lunedì 26 febbraio 2007

Silvio il Grande.

Non parla più "a braccio", non improvvisa: le sue dichiarazioni sono scritte nero su bianco.
Carta canta e villan dorme.
Berlusconi ha capito che era troppo "decifrato", in troppi lo interpretavano a modo loro travisando il senso delle parole, estrapolate dal contesto, spesso per fargli dire il contrario di quello che pensava.
Non offre più il fianco a critiche perché in questo frangente tiene il profilo basso: le sue esternazioni sono centellinate e scritte.
Non chiede le elezioni: sa benissimo che, alla fine, le chiederà qualcun altro al posto suo per il semplice fatto che Prodi non farà più molta strada.
Sicuramente starà preparando e pianificando la prossima campagna elettorale: è largamente avanti nei sondaggi e nessuna legge elettorale può impedirgli di vincere.
Sono certo che ha già pronto il programma e sono sicuro che dal suo "cilindro" tirerà fuori molti conigli.
Ormai non è più l'imprenditore prestato alla politica, visto che ha dato prova di essere uno statista.
La sinistra è veramente allo sbando e Prodi sta arrivando al capolinea, questa volta senza la coincidenza per Bruxelles. Inutile infierire ed infatti non affonda il coltello più di tanto nella ferita.
Non ci sono "inciuci" alle viste anche se le malelingue fanno insinuazioni: la debacle della sinistra è totale e irreversibile e la resa sarà senza condizioni.
Questa volta è stata la sinistra che ha fatto tutto da sola e Berlusconi ha solo il merito di essere stato alla finestra ma anche per questo è un Grande.

La difficile legge elettorale. Davide Giacalone

Per come l’ha messa il Presidente Napolitano al prossimo incidente parlamentare si va dritti a votare. Egli, difatti, ha escluso vi sia la possibilità di un governo di larghe intese perché ha verificato l’indisponibilità dei più. Al tempo stesso, però, ha sottolineato che prima del voto sarà necessario riformare la legge elettorale.
E qui lascia la maggioranza parlamentare, con una missione impossibile. Ragioniamo di sistemi elettorali, e sarà chiaro perché non ci sarà una seria riforma. Facciamolo senza ghirigori professorali, ma guardando alla sostanza. Prima, però, non dimentichiamo il messaggio quirinalizio: alla prossima si vota.
L’Italia è divenuta ricca e forte nel mentre si votava con un sistema proporzionale, corretto a sfavore delle piccole forze politiche. Ciascun partito si presentava per i fatti propri, prendeva i voti che arrivavano e con quelli andava in Parlamento, a far leggi e governi. Data la libertà di ciascuno, il sistema non ne produceva di granché duraturi, e ce ne lamentavamo tutti. Vista da lontano, però, quell’Italia ci sembra sia stata governata, nell’arco di un cinquantennio, praticamente da quattro tipi di governo. Quindi abbastanza stabile. A quel sistema le forze maggiori, e molte anche delle minori, dicono di non volere tornare. Credo che non si potrebbe e non sarebbe produttivo, quindi chiudiamola qui.
C’è un sacco di gente che parla e straparla di sistema francese o di sistema tedesco, quasi fossero intercambiabili. Vi dico perché non si adotterà né l’uno né l’altro. Il sistema francese è un maggioritario uninominale a doppio turno, che funziona in una Repubblica presidenziale, con il Presidente direttamente eletto dal popolo. Non è un dettaglio, perché dal Presidente dipende la politica estera, oltre, naturalmente, la nomina del governo. C’è, oggi, in Italia, una maggioranza che vuol portarci al presidenzialismo? No, quindi il sistema francese è fuori dalle cose. Ma facciamo finta che si possa prendere il sistema elettorale scartando quello istituzionale (che è una bestialità), così, tanto per verificare che neanche quello passerebbe.
In Francia si vota in collegi uninominali, dove ciascun partito può presentare i propri candidati. Se un candidato prende la maggioranza assoluta dei voti è direttamente eletto, altrimenti si va al secondo turno, cui accedono i due più votati. Il meccanismo funziona per potere falciare le ali estreme. Figuratevi come sarebbero contente le nostre, che siedono al governo e sfilano in piazza. Quando, a causa del crollo socialista, capitò che un estremista (Le Pen) sia giunto al ballottaggio presidenziale i francesi votarono in massa dall’altra parte. Funziona così, e non vedo come possano volerlo quelli che ne sarebbero gli agnelli sacrificali.
La Germania ha, invece, un sistema elettorale proporzionale, con un complicato meccanismo di preferenze che serve a scegliere i candidati più centristi. In ogni caso la faccenda funziona perché tutti possono presentarsi alle elezioni, ma chi non prende almeno il cinque per cento, su base nazionale, è fuori dal gioco. Guardate la consistenza dei partiti politici italiani, che grazie ad un maggioritario bislacco sono giunti a più di venti, e vi accorgerete che moltissimi dei più garruli semplicemente sarebbero cancellati. Siccome, però, ciascuno di loro, anzi, come Follini ha dimostrato (certificando il contrario di quel che sostiene), visto che anche un solo senatore può essere vitale per tenere in piedi il governo, sembra a voi possibile che la stessa maggioranza vari una legge che stermini tutti quei simpaticoni che ruzzano al piccolo politico? Ovvio che no. E così ci siamo giocati anche il sistema tedesco.
Alle questioni tecniche si accompagni una considerazione politica. I socialdemocratici tedeschi avrebbero potuto vincere le ultime elezioni, come matematicamente si è dimostrato, se solo il cancelliere uscente avesse fatto l’alleanza con il partito alla sua sinistra. Ma egli rifiutò, perché disse che con quelli si sarebbe vinto, ma poi sarebbe stato impossibile governare. Vi pare che Prodi possa fare un ragionamento solo lontanamente simile? E, in fondo, non è così che funziona anche dall’altra parte?
A questo punto quelli che hanno studiato cominciano a citare i sistemi austriaco o neozelandese, mentre quelli che la scuola l’hanno frequentata per strada dicono: datemi qualsiasi sistema, fatemelo correggere e tutto resterà come prima. I primi sono culturalmente esotici, i secondi pragmaticamente conservatori del caos. Politicamente inutili a pari merito. Leggo che l’Udc sarebbe grandemente favorevole al sistema tedesco, ma se si arriverà al dunque si chiederà di abbassare lo sbarramento dei cinque per cento. Il prodotto sarà una cosa del tutto diversa.
Allora, per tornare a Napolitano: un legge elettorale seria può farla solo una coalizione dove le forze maggiori si liberano del ricatto delle minori e si alleano per quella riforma, tornando poi a sfidarsi nelle urne. Ma questo Napolitano ha accertato che non si può fare. Se si resta all’interno delle coalizioni esistenti, invece, di riforme serie non se ne fanno, ma solo aggiustamenti di comodo. Infine, se mi permettete, la maggioranza di sinistra è solidissima alla Camera solo grazie alla nuova legge elettorale votata dal centro destra, mentre traballa e cade al Senato perché lì hanno preso meno voti degli avversari (e non c’è sistema, democratico, che sovverta i risultati), e perché il premio di maggioranza è assegnato, per volontà di sinistra e Quirinale, in modo diverso. L’attuale legge elettorale è disdicevole, concordo, ma è anche l’unica con la quale questa sinistra ha potuto vincere.
Un po’ di gratitudine, che diamine.

sabato 24 febbraio 2007

Il terrorismo, il comunismo e l'anomalia italiana. il Domenicale

I terroristi sono schegge impazzite. E sia.
Ma di quale ordigno, varrebbe la pena capire. Stando alle ultime notizie, anche le nuove Br sono sé-dicenti comuniste. L’ordigno dal quale deflagrano le schegge sarebbe dunque il comunismo. E allora, in primis, bisogna chiedersi perché i comunisti e anche i post comunisti in Italia, non hanno mai preso fino in fondo le distanze da fenomeni di questo tipo.
La violenza come strumento di lotta politica è storicamente guardata con benevolenza, l’odio di classe perfino inneggiato come un valore. Poi, si deve valutare con attenzione il ruolo del sindacalismo comunista. Che è, nonostante le prese di distanza, brodo di cultura per i terroristi. Le Brigate rosse innestano un percorso rivoluzionario e armato sopra un più generico metodo di lotta sindacale che però contiene in nuce medesimi vizi.
Non a caso i bersagli degli ultimi anni, D’Antona, Biagi e il più fortunato Ichino, sono giuslavoristi capaci di progettare reali riforme del mondo del lavoro. E le loro riforme sono state osteggiate dalla Cgil che spesso sembra difendere una delirante idea di mondo, più che impegnarsi per migliorare le condizioni dei lavoratori.Infine si deve allargare l’analisi sull’ordigno: il comunismo. Dopo 120 milioni di morti, sostenere che l’idea è ancora buona, sebbene l’applicazione esasperata, è un atto di malafede. Il comunismo per sua natura si fonda sull’utopia, non tiene conto della realtà, usa la violenza per piegare la realtà all’utopia. Non si dà ordigno senza schegge, non si dà comunismo senza derive. E anche depurarlo dalle cose cattive è operazione inadeguata.
In un paese normale, il comunismo sarebbe bandito alla stregua del nazismo.
Lo stesso sdegno che provoca la croce uncinata, dovrebbe provocarlo la falce e martello. Lo stesso giusto timore che incutono i naziskin dovrebbero incuterlo i centri sociali. Così non è, per quegli strani percorsi della storia, per cui i vincitori spesso decidono cosa è buono e cosa è giusto. In Italia, tre partiti si disputano con orgoglio il nome del Pci. Due di essi sono al governo. I Ds permettono che ex terroristi ricoprano importanti cariche istituzionali, proprio quelle persone che volevano abbattere lo Stato. Un italiano su due ha capito che la bugia del comunismo è diabolica. Il Centrodestra più volte rimarca il grande inganno, peccato che non abbia l’autorevolezza per convincere l’altra metà degli italiani.

venerdì 23 febbraio 2007

Te le do io le domeniche a piedi. Carlo Stagnaro

E' disponibile un Briefing Paper di Francesco Ramella, fellow dell'IBL e blogger su RealismoEnergetico, sul tema dell'inquinamento atmosferico e le domeniche a piedi. Ramella dimostra come l'inquinamento atmosferico e i suoi presunti effetti sulla salute siano problemi ampiamente sopravvalutati. Da leggere e distribuire in occasione della domenica a piedi prevista in tutto il nord Italia per il 25 febbraio.

giovedì 22 febbraio 2007

Va' dove ti porta il dialogo

E' la prima crisi di governo che vivo da blogger.
In questi momenti ognuno dice la sua, ma nessuno sa come andrà a finire.
Devo ammettere che capisco lo sconforto dei compagni e la delusione per una caduta così precoce e inaspettata, anche se pronosticata.
I tempi della politica italiana sono biblici, i rimedi raffazzonati, gli sbocchi prevedibili e la sceneggiatura sempre uguale: per cui si tornerà alla normalità tra qualche giorno come si è tornati alla consuetudine delle domeniche calcistiche dopo la tragedia di Catania.
Intanto il popolo freme, a ragione. Vuole dire la sua e comunicare con il Potere.
Come?
La rete telematica di internet ha avvicinato la Base ai Vertici; il rapporto è più diretto attraverso il web. Ma come si comportano i partiti, come si aprono al dialogo?
Rifondazione comunista, Comunisti italiani e Margherita nei loro siti hanno forun a cui si accede previa registrazione.
Udeur non ha contatti con la base, i Verdi hanno a disposizione il blog di Pecoraro Scanio e i democratici di sinistra hanno i "volontari digitali" che si incaricano di inoltrare ad amici e simpatizzanti la newsletter del partito, la superdemos. Dibattito zero! Anche se nel sito ci sono tanti indirizzi di posta elettronica per contattare i vari responsabili del partito.
Ecco perché i nostri blog sono così frequentati dai compagni...

mercoledì 21 febbraio 2007

Il Governo Prodi è caduto.

Alle 14,45 è mancata la maggioranza al Senato della Repubblica.

martedì 20 febbraio 2007

Intervista a Luca Ricolfi. Claudio Sabelli Fioretti

Prima ha scritto Perché siamo antipatici in cui diceva che la sinistra è supponente e ha il complesso di superiorità. Poi, Tempo scaduto in cui sosteneva che Berlusconi aveva realizzato più della metà delle cose che aveva promesso. Luca Ricolfi, insegnante di Analisi dei dati all’università di Torino, è un intellettuale di sinistra. Ma con i suoi saggi ha gettato nello sconforto l’Unione e s’è fatto lisciare il pelo dalla destra.
E adesso che la sinistra ha vinto come la mettiamo?«In Perché siamo antipatici davo per scontato che la sinistra avrebbe vinto. Semmai dicevo che non se lo meritava. E che il consenso era legato alla figura del nemico Berlusconi». È la seconda volta che Prodi sconfigge Berlusconi.«Non c’è un’Italia che guarda a sinistra. C’è un’Italia in cui l’ostilità per Berlusconi è maggiore dell’ostilità per Prodi».
L’errore più grave della sinistra?«Credere che l’importante fosse rimuovere l’avversario e che solo dopo si sarebbe deciso che politiche fare. Nel marzo del 2005 D’Alema diceva: “Il giorno dopo le regionali dovremo individuare i punti di attacco necessari per il cambiamento del Paese”. Fassino, il 16 marzo 2005, riferendosi alle politiche, diceva: “Se dovessimo vincere, la prima cosa che farà Prodi sarà di chiamare a raccolta le grandi organizzazioni sociali per decidere insieme le dieci cose più importanti da fare». Questa è la sinistra: dateci il voto, poi vi diremo che cosa ne faremo».
Avevano scritto un ponderoso programma.«Io l’ho letto. 281 pagine nelle quali erano riprodotti gli schemi mentali tipici della sinistra. Più involuti, più astratti e meno comprensibili di quelli del 1996 e del 2001. Ho confrontato i programmi: anche lessicalmente c’era una regressione linguistica. E c’erano cose false».Per esempio?«Che in questi anni è molto aumentata la precarietà e quindi, noti il passaggio hegeliano, doveva essere aumentata anche l’insicurezza nei luoghi di lavoro».Non è vero?«Gli incidenti mortali sul lavoro, durante il centro destra, sono crollati. Durante il centro sinistra erano aumentati».Lei è di sinistra, no?«Incontrovertibilmente di sinistra».
Allora diciamo che è terzista.«Ogni tanto mi danno del terzista. Se significa imparzialità di giudizio anche nei confronti del proprio schieramento, allora lo sono».Se io non sapessi che lei è di sinistra, potrei confonderla con qualche liberale. «Tipo quelli che io chiamo “i rifugiati”? Gente di destra che sta a sinistra finché la destra non sarà di nuovo praticabile. Come, Giovanni Sartori, Marco Travaglio, Valerio Zanone. La madre di tutti i rifugiati era Montanelli». Se scomparisse l’anomalia Berlusconi lei si sposterebbe a destra?«Ottima domanda. Non so che cosa succederebbe in assenza di Berlusconi. Io appartengo a quell’insieme di persone che culturalmente stanno da una parte, ma poi pragmaticamente potrebbero decidere che a volte è meglio votare lo schieramento opposto».
Come si riconosce un uomo di destra da uno di sinistra?«Una persona di sinistra sostiene che il gioco del mercato è truccato, che non tutti partiamo con le stesse possibilità. Ma a questo punto la sinistra si biforca».Chi da una parte e chi dall’altra?«Lasciando fuori i massimalisti, c’è una sinistra socialdemocratica che ha un’idea di correzione a posteriori di tutte le disuguaglianze e quindi punta su una redistribuzione del reddito. È quello che fa la sinistra italiana attuale».E l’altro tipo di sinistra?«È quella che ha un’idea meritocratica delle pari opportunità. Cioè pensa che le disuguaglianze prodotte dal mercato bisogna correggerle prima, permettendo a tutte le persone di competere ad armi pari».
Facciamo un esempio.«La scuola. Se io fossi il ministro dell’Istruzione quadruplicherei le tasse universitarie e destinerei gli introiti alla creazione di 200 mila borse di studio da destinare ai capaci e meritevoli. Borse ricchissime, mille euro al mese. Questa è una sinistra liberaldemocratica. La mia sinistra».I suoi libri avrebbero potuto fare il gioco della destra.«Dovere di uno studioso è dire quello che scopre».
Lei che cosa ha scoperto?«Che la stragrande maggioranza delle mie convinzioni di sinistra erano luoghi comuni. Non è vero quasi niente di quello che pensavo fosse successo negli ultimi dieci anni».Tipo?«La sinistra crede che la nostra sia una società in cui aumenta la precarietà, cresce la disuguaglianza, la gente si sta impoverendo. Ne ero convinto. Non è vero. Io scrivo senza badare alle conseguenze. Bisogna tenere distinti i ruoli dello studioso e del politico. E poi non dobbiamo sopravvalutare la nostra influenza». Cioè lei non ha aiutato la destra... «Bobbio disse che l’intellettuale svolge una funzione più positiva quando critica la propria parte politica. Se io fossi di destra farei quello che Marcello Veneziani non sta facendo, una critica come Dio comanda alla destra. Non c’è un intellettuale di destra che la faccia. Sacconi? Brunetta? Cazzola? Hanno scritto cose sensate, ma sempre a sostegno del governo Berlusconi».
Scalfari è stato durissimo con lei.«Noi siamo amici di famiglia. Mia nonna era amica di Giulio De Benedetti, il suocero di Scalfari. Io sono amico d’infanzia di Enrica e di Donata, le figlie di Scalfari. Le nostre famiglie sono legate da tre generazioni».Nonostante ciò Scalfari ha fatto una recensione sull’Espresso nella quale tentava di toglierle la pelle.«A mio parere senza aver effettivamente letto il libro».Mi sembra esagerato.«Allora senza averlo letto per intero».E lei gli ha risposto. «Lui è intervenuto ancora. Ha avuto lui l’ultima parola».Vi siete mai parlati? «Mi capita di vederlo una volta ogni sette, otto anni. Anche se la mia prima cattedra l’abbiamo festeggiata a casa sua».Con Enrica ne avete parlato?«Ha detto: “Ma lo sai com’è papà, lui è un passionale”». E così è entrato nel cono d’ombra. «Non sono mai stato sotto i riflettori di Eugenio».Eppure sembra quasi la lacerazione di un’amicizia…«Può darsi che lui abbia vissuto la rottura di qualcosa. Ma non c’è mai stato un rapporto intellettuale organico fra noi La sua reazione è di carattere affettivo. Avrà pensato: “Luca l’ha fatta grossa. Proprio lui che è dei nostri”. Non si aspettava che io facessi una cosa così profondamente errata, controproducente, inopportuna».Altre reazioni?«Una bella crisi di rigetto da parte di alcuni colleghi all’università. Si sono chiusi in un imbarazzato silenzio. Non mi contestavano una sola analisi. Mi contestavano l’opportunità: “Ma non potevi scriverlo in altro momento?”».Glielo chiedo anche io.«Il momento giusto non arriva mai. La sento da 40 anni questa litania del passaggio drammatico della storia nazionale».
Da destra invece commenti entusiasti.«Alla destra faceva comodo una parte delle mie affermazioni. Ma facevano scomodo tutte le altre». Per Ferrara lei ormai è un idolo.«Lei sa come è andata la storia? Il Giornale aveva fatto un falso scrivendo: “Mantenute quattro promesse su cinque”. Io invece avevo detto “Non mantenute quattro su cinque”. Io avevo smentito. Il Foglio, in un articolo di Christian Rocca, mi accusò di vigliaccheria, sospettando che ritrattassi in stile staliniano. Sono seguite lettere e un invito a Otto e mezzo. Credo che Ferrara abbia capito che non sto facendo aggiotaggio politico, che non mi interessa aiutare loro né gli altri».
Altri attacchi sui giornali?«Corrado Stajano sull’Unità. Sull’Unità ha scritto un articolo anche Cotroneo. Ma non ho capito che cosa volesse dire. Non saprei neanche dire se fosse critico o elogiativo».
Parliamo di questo benedetto contratto con gli italiani. Berlusconi lo aveva onorato o no?«No. E non doveva presentarsi alle elezioni se era un uomo d’onore. Aveva mantenuto completamente solo una promessa su cinque, quella delle pensioni. In media le promesse di Berlusconi erano state mantenute solo al 60%».
Come si spiega allora l’ostilità della sinistra?«La sinistra ha passato tutta la legislatura a raccontare balle, a dire che Berlusconi non ha fatto un tubo. Se se ne esce uno a dire che ha fatto più del 50% di quanto aveva promesso, questo sconvolge le menti. Oltretutto io sostenevo che il contratto era realizzabile davvero. La sinistra ha sempre pensato che fosse fin dall’inizio una patacca demagogica».Parliamo dell’antipatia della sinistra.«L’antipatia è un cocktail di due cose: il senso di superiorità morale e il linguaggio oscuro».Bertinotti ha un linguaggio complesso ma è simpatico.«Qualche volta fa dei ragionamenti astratti, hegelo-marxisti. Però io capisco più Bertinotti di Prodi».
Parlano più chiaro quelli di destra?«Berlusconi, come anche i leghisti, è chiaro. La sua comunicazione è ancorata al senso comune e quindi etichettata ingiustamente come populista. È un misto di linguaggio chiaro e di rispetto dell’elettorato altrui (ultimamente macchiato dal “coglioni”)».Chi sono i simpatici a sinistra?«Le tre B: Bertinotti, Bindi e Bersani. Sono simpatici a prescindere da quello che dicono».Il grande antipatico?«Lei chi direbbe?».Quello che dicono tutti: D’Alema.«D’Alema è sprezzante e saccente. Ma il vero antipatico è chi parla sopra l’altro. Schifani e Angius, per esempio. Dicono cose false e non pertinenti pur di zittire l’avversario».Quindi D’Alema?«D’Alema non ha questo difetto. Lui ti lascia finire di parlare e poi t’ammazza. Però ha fatto un disastro con la bicamerale e merita le critiche dei girotondi».Se lei dovesse fare un governo dei simpatici ?«Bindi, Bertinotti, Bersani, La Russa, Stefania Prestigiacomo, Alessandra Mussolini…».Meglio fascista che frocio?«Stiamo parlando di simpatia non di correttezza…».Manca il premier…«Luciana Litizzetto. È il massimo da tutti i punti di vista».
Lei ha detto: «Ci sono persone colte, intelligenti, educate che all’argomento Berlusconi perdono il lume della ragione». Ma non ha detto di chi è la colpa.«Dovrei dire che la colpa è di Berlusconi. Ma perdere il controllo perché riteniamo insopportabile Berlusconi, vuol dire aiutarlo. Dopo dodici anni di berlusconismo e di anti-berlusconismo siamo tutti più immaturi, infantili, incapaci di ragionare, faziosi, indisponibili ad ascoltare».Ci sono quelli che dicono: prima di tornare a discutere serenamente bisogna eliminare l’anomalia Berlusconi. «C’è una sottovalutazione della forza della ragione. La gente accetta Berlusconi o meno indipendentemente da ciò che quattro gatti possono dire sulla sinistra. Che i quattro gatti debbano tacere perché sospettati di fare il gioco del nemico è una proiezione del delirio di onnipotenza degli intellettuali».Lei conosce Berlusconi?«Il mio massimo avvicinamento a Berlusconi è il seguente: io vado sempre a fare il bagno con la mia barchetta tra Paraggi e Santa Margherita Ligure. Sotto il castello che Berlusconi ha preso in affitto per dieci anni».
Gioco della torre. Cofferati o Bertinotti?«Butto Bertinotti. Mi sembra immerso nell’Ottocento».Bondi o Baget Bozzo?«In Baget Bozzo colgo a volte barlumi di intelligenza. Su 100 cose che dice Bondi non ne ho sentita una intelligente».Annunziata o Travaglio?«Li adoro entrambi. Ma l’Annunziata, tra coloro che hanno la chance di stanare i politici, è l’unica che lo fa».Pera o Ferrara?«Non capisco il percorso intellettuale di Pera».Anche Ferrara ne ha fatta di strada.«Ferrara ha cambiato idea, come Pera. I motivi di Ferrara mi sono chiari. Quelli di Pera oscuri».Fassino, D’Alema, Veltroni e Rutelli...«Aveva ragione Moretti. Con questi dirigenti non si va da nessuna parte. Questa classe dirigente deve mollare».Berlusconi o Prodi?«Prodi e Berlusconi hanno fatto, fanno e faranno gravi danni al Paese. Mi auguro che si rivoti presto e un’altra classe dirigente si presenti alla guida di questo disgraziato Paese». 27/4/2006

Fiat e sindacati, marchette e sussidi: l'eterno ritorno. John Christian Falkenberg

In Italia esistono cose che fanno dubitare della direzione del fluire del tempo; che essa sia circolare e non lineare e noi intrappolati in una pessima replica del "Giorno della marmotta".Uno dei tratti peculiari della non compianta Prima Repubblica post-sessantottina e post-autunno caldo era la posizione peculiare della FIAT nel panorama economico italiano: anche dopo aver cessato di essere la più grande azienda privata italiana, il colosso di Torino aveva mantenuto una straordinaria preminenza, evidenziata in due comportamenti particolarmente odiosi a chi vorrebbe un'Italia più liberale.Il primo era l'atteggiamento adulatorio dei media italiani e soprattutto della televisione, attenti a non mettere mai in cattiva luce gli Agnelli e la loro azienda principale. Gianni Agnelli divenne, anzi, il "re senza corona" d'Italia anche dal punto di vista mediatico: come un monarca, non venne quasi mai criticato apertamente dalla grande stampa e dalle televisioni.Il secondo, la valanga di favoritismi di cui godeva FIAT, in cambio di una gestione delle risorse umane di fatto concordata con il neo-caporalato del sindacato metalmeccanici: il sindacato faceva ed otteneva cio' che voleva, almeno sul piano economico; il governo, in cambio, sovvenzionava FIAT: cassa integrazione e mobilità per gonfiare i livelli occupazionali, politiche fiscali, di trasporto e doganali che sembravano fatte apposta per favorire l'unico grande polo automobilistico italiano.
La crisi di Fiat ne ha ridotto drasticamente il peso specifico nel sistema economico e politico italiano, ma non lo ha mai del tutto eliminato, come paradossalmente esemplificato dalla vicenda di Lapo Elkann: mai sarebbe finita in pasto ai media, una generazione fa; mai sarebbe risorto tanto rapidamente, se non avesse avuto ancora le spalle abbondantemente coperte.Con la ripresa industriale di cui Fiat è almeno temporaneamente protagonista, potremmo assistere ad una riedizione della "Monarchia" piemontese? Due di piccole cose, avvenute rispettivamente oggi e sabato, sembrano riportarci direttamente in quegli anni tutt'altro che formidabili e riproporre entrambi i fastidiosi comportamenti di cui si parlava.
Gianni Riotta, fresco direttore del TG1, ha imparato perfettamente come funzionano certi meccanismi e ce ne ha data una magistrale interpretazione. L'ex-ragazzo prodigio del Manifesto avrebbe dovuto essere un inflessibile fustigatore di ogni deviazione dal sacro dovere di cronaca, l'epuratore dell'epidemia di sicofanti berlusconiani; con un'agile capriola, il suo Tg1 ha propinato agli spettatori di TV7 una intervista a Sergio Marchionne nello stile da inginocchiatoio tipico delle interviste ai vertici Fiat degli anni di massima gloria. Una "marchetta" in piena regola: panegirico sulle immense doti del nuovo team di management, magnifiche sorti e progressiva di Fiat, elegante glissagigo sui motivi delle difficoltà precedenti. Sul finale, la rivendicazione di aver tagliato manager, ma quasi mai "colletti blu", come li ha definiti Marchionne, perché il problema non sarebbe stato di efficienza industriale, ma di cattiva leadership e mancanza di spinta commerciale e creativa.Le parole di Marchionne suonano profondamente ironiche, di fronte alla seconda notizia, di oggi: 2mila operai in mobilità, a spese di Pantalone, a seguito di un accordo fra Fiat e Governo che ratifica quello fra Fiat e sindacati metalmeccanici. Ha un bello strillare Epifani, che prima usa i soldi del contribuente per colmare la differenza fra richieste sindacali e quelle dell'azienda, e poi si atteggia a Thatcher in trentaduesimo: è uno dei colpevoli, non un testimone impotente, di questo ennesimo assalto alla diligenza, guidata da un Romano Prodi, che alla FIAT e al sindacato ha fatto ben altri favori, in linea con la propria visione della società, tranquillamente definibile come "feudalesimo industriale".
Il documento recepisce le richieste del Gruppo e dei sindacati facendo riferimento "alla misura indicata" nell'accordo raggiunto tra Fiat e le confederazioni il 18 dicembre scorso. "Poi Fiat non chieda più nulla", ha commentato il segretario generale della Cgil Guglielmo Epifani.Chi scrive ha un enorme rispetto per le doti dell'attuale AD di Fiat, doti dimostrate anche in altre occasioni tutt'altro che semplici. Eppure, rimane un sottile retrogusto amarognolo: che bisogno c'era, con una bella, vera storia di risanamento e rinascita industriale da raccontare, di ricorrere a certi mezzucci? Le cattive abitudini sono tanto dure a morire?tag: , , , , ,,
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lunedì 19 febbraio 2007

Ha rinunciato a battersi contro lo Stato. Giordano Bruno Guerri

«È mancato alla destra un ancorarsi a liberismi più coerenti come quelli di Hayek o al pensiero libertario e solidale», sostiene Geminello Alvi nel suo articolo sul Giornale del 15 febbraio. A molti sarà parso stonato quell’aggettivo «libertario», che sembra così in controtendenza rispetto alla destra italiana, proprio in questi giorni impegnata in battaglie di retroguardia per non concedere alcuni diritti alle coppie non unite dal sacro vincolo del matrimonio.
Ma il pensiero libertario, così diffuso nella destra americana, non è riducibile - come si fa da noi - alla libertà sessuale, di usi e di consumi, se non addirittura all’anarchismo. Il pensiero libertario contemporaneo nasce all’inizio degli anni Settanta del ’900 negli Stati Uniti con il Libertarian Party, che fa propria una lunga storia di antistatalismo di taglio liberale. Da allora il termine «libertario» viene usato soprattutto per definire le teorie che privilegiano la scelta individuale rispetto alle pretese di qualunque potere politico, a partire dallo Stato.
Anche se i libertari americani amano spesso definirsi anarco-capitalisti, niente hanno a che vedere con l’anarchia, perché sostengono a oltranza la proprietà privata. È tra le idee dei libertari che la destra italiana dovrebbe pescare per un reale rinnovamento, soprattutto sulla gestione della cosa pubblica. Se le conclusioni estreme del libertarismo (fra cui l’affidamento della giustizia e della difesa a istituzioni private) sono impraticabili nella nostra società, la destra italiana può realmente distinguersi dalla sinistra nel segno di una maggiore libertà dello Stato. «Più individuo, meno Stato», dovrebbe essere il suo motto: meno tasse, meno assistenzialismo, più concorrenza, più meritocrazia.
Ci sono, anche da noi, associazioni e punti di aggregazione e di sviluppo del pensiero libertario, vere fucine di idee: l’Istituto Bruno Leoni, le case editrici Leonardo Facco e LiberiLibri, di Macerata, ben poco o affatto bazzicate dai politici e dagli intellettuali di destra, con l’eccezione di Antonio De Martino. Ci sono, all’interno della stessa Casa delle Libertà, i Riformatori liberali, ignorati quanto preziosi per portare nuove idee in una destra che sembra vivere esclusivamente per contrapporsi alla sinistra, lasciando ai radicali di Marco Pannella il monopolio della difesa dei diritti individuali e civili. Così come si lascia alla sinistra il monopolio dell’ecologismo, che nelle sue forme più razionali è un dovere imprescindibile di ogni società. O come si lascia alla Lega il fare, disorganicamente, una minima resistenza al Moloch europeo: tanto che il partito di Umberto Bossi, nato «contro» l’Italia, rischia di essere l’unico a difendere la nostra identità nazionale dall’invasione comunitaria, e di certo non basta.
Intimidita dal peso del nazionalismo fascista, la destra italiana si è resa complice di un’Europa che va contro la cultura e l’unicità dei popoli che la compongono. È un’Europa basata sull’euro, che sradica le nazionalità e omologa tutto. L’Unione Europea, così com’è, rischia di essere il trionfo dell’idea comunista proprio quando il comunismo sembrava sconfitto: perché l’Ue si basa essenzialmente sull’economia (secondo i principi marxisti), e l’egualitarismo in versione ammodernata: non più tutti i cittadini devono essere uguali, ma tutti i popoli devono essere uguali.Altro tema sollevato da Alvi e pienamente condivisibile è quello della cultura, con il collasso dell’università dovuto alla leva pessima e sempre in via di peggioramento degli insegnanti: «Sottrarre la cultura ai condomini statali e alle varie menzogne ideologiche che coi soldi delle tasse vi si perpetuano: ecco quanto di meglio si sarebbe potuto fare e si dovrà fare». Ma il problema non sono soltanto l’università e la scuola.
L’incapacità - o, meglio, la non volontà - della destra di fare cultura è palese anche nel non essere riusciti a creare su internet dei siti, blog, forum diversi da quelli dei partiti, spesso stantii come i loro giornali. È lì, su internet, che si forma il pensiero giovanile, anche quello politico, ed è lì che manca un pensiero della destra sollecitato e promosso dalla destra stessa.

giovedì 15 febbraio 2007

mercoledì 14 febbraio 2007

Un lungo album di famiglia. Gianni Baget Bozzo

Si poteva parlare di odio di classe con leggerezza, come in una poesia, lasciare fluttuare le parole al vento, pensando che esse non significassero quello che dicevano e che non potessero diventare onde di un messaggio e giustificazione di una azione. Le parole hanno un peso. E l'odio seminato contro l'avversario politico trasformandolo in forza del male ha dato ampio frutto.
Questa volta i terroristi miravano direttamente a obiettivi politici, legati a Berlusconi e al centrodestra, come negli anni '70 erano rivolti contro i democristiani sino a rapirne ed ucciderne il leader.
Un filone rivoluzionario percorre la storia italiana come non percorre nessun'altra nazione europea. La Germania ha potuto assistere alla sparizione del suo socialismo reale all'Est senza che riprendesse il terrorismo all'Ovest: la Germania è sempre la nazione più simile all'Italia, pur nelle differenze di lingua e di storia. Sono nazioni in cui alberga un senso di un valore assoluto che può risolversi anche in violenza assoluta. In Germania non è avvenuto, in Italia sì.
Questo filone rosso è stato coperto da tutti i comunismi legittimi, da quello del Pci fino a quello extraparlamentare e del Manifesto; percorre oggi le parole contro Berlusconi di tutta la coalizione di sinistra e soprattutto il rifiuto dell'Occidente e l'antiamericanismo che prende le insegne pacifiste. E la guerra contro l'Occidente e la civiltà che esso esprime fa parte del linguaggio legittimo in Italia ed è anzi quello dominante. E per questo l'odio di classe è legittimato da tutte le parole della politica di sinistra, che sembra contemplare anche nei sindacati le violazioni alla legalità con affermazioni di un diritto del sindacato.
E Rina Gagliardi teorizza su Liberazione il diritto delle comunità locali a farsi valere contro lo Stato. E' come se il termine rivoluzione non fosse più portatore di una utopia, ma solo della definizione di un nemico; l'antagonismo fine a se stesso diviene la giustificazione della politica.
Nel linguaggio politico della sinistra il terrorismo nasce e vive come un pesce nell'acqua e soprattutto in quella Cgil che è la base di massa della sinistra italiana, il vero partito che teorizza il conflitto sino al punto di farlo diventare all'interno della Cgil la motivazione dell'omicidio politico.
Dalle Brigate Rosse degli anni '70 a quelle che hanno ucciso D'Antona e Biagi corre un filo rosso che prende alla lettera e coinvolge le parole di delegittimazione e di antagonismo fine a se stesso, che danno alla sinistra i suoi quattro quarti di nobiltà. Basta soltanto trasformare in fatto quello che la lettera dice e dare alla violenza delle parole la concretezza del fatto. Se pensiamo che esiste anche un terrorismo islamico, possiamo immaginare come i due filoni abbiano relazioni che comunichino il medesimo odio per l'Occidente. E anche in questo caso le parole diventano piombo e mostrano che le acque sono molto diverse e i pesci assai lontani tra loro. E molto più numerosi di quelli che la Boccassini, proprio la Boccassini, ha fatto arrestare.

lunedì 12 febbraio 2007

Chiacchiere sul clima. Robi Ronza

E' in corso il tentativo di trasformare alcune agenzie dell'Onu in organi di una specie di «governo mondiale» tecnocratico e quindi ovviamente autoritario. Il metodo è il seguente: si grida che sull'umanità incombono pericoli tremendi, che né le società civili né gli Stati sono in grado di affrontare; e da ciò deriva come logica conseguenza che se ne devono occupare queste agenzie, divenute frattanto il maggior punto di coagulo di culture cosmopolite di tipo anti-umanistico.
Per anni si brandì lo spettro di un incontrollabile boom demografico che poi i fatti smentirono, tanto che ora in molte parti del mondo le nascite non sono troppe ma troppo poche. È stato allora tirato fuori dal cassetto lo spettro del «riscaldamento globale».
Sullo spunto di un comunicato recentemente diffuso a Parigi da una Commissione intergover-nativa sul cambiamento del clima, Ipcc, è appena scattata in tutto il mondo una campagna di opinione i cui aspetti mistificatori meritano di essere analizzati.
Costituita da 500 persone provenienti da 130 Paesi, la Commissione viene accreditata come una specie di... incontestabile Parlamento mondiale di scienziati. Come segnala il Cespas di Milano, uno dei pochi centri di informazione su questioni ambientali che sia fuori del proverbiale coro, per raggiungere il numero 500, di evidente fascino simbolico, si sono contati tutti coloro che a vario titolo hanno lavorato per la Commissione, compreso il personale con compiti organizzativi e compresi esperti di materie che poco o niente hanno a che fare con la climatologia; e in secondo luogo, cosa più importante, gli esperti di climatologia della Commissione si sono scelti a vicenda tagliando fuori chiunque non fosse pronto ad avallare le conclusioni prestabilite.
Che il clima stia cambiando è un fatto, ma che i suoi cambiamenti siano una costante storica è un altro fatto: nel Medioevo faceva molto più caldo di adesso, tanto che in Inghilterra si produceva vino, e molti passi alpini oggi coperti di ghiaccio e neve erano percorsi da mulattiere.
Ma che, come sostiene l'Ipcc, l'aumento delle temperature registrato negli ultimi 50 anni sia dovuto per il 90% alle attività umane è una pretesa senza alcuna prova obiettiva. Combattere l'inquinamento dell'ambiente è doveroso, e peraltro già avviene, tant'è vero che l'aria e l'acqua delle nostre aree metropolitane sono oggi molto più pulite di quanto fossero 50 anni fa.
Il mezzo di questo lodevole fine è però la tecnologia; non invece il blocco delle nascite e dello sviluppo. Tutto ciò non ha niente a che vedere con il cambiamento del clima cui l'uomo si deve semplicemente adattare: come già tante altre volte ha fatto con successo nella sua lunga storia.

sabato 10 febbraio 2007

Bologna, polemica sulla lapide "ipocrita". Fausto Biroslavo

Negli ambienti degli esuli istriani, fiumani e dalmati è diventata la targa della discordia, perché sminuisce violenze ed angherie subite anche nella madre patria dagli italiani che fuggirono dalla pulizia etnica di Tito. L’Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, che rappresenta gli esuli ed il Comune di Bologna, guidato dalla sinistra, scoprono oggi una targa commemorativa in occasione della Giornata del Ricordo.Per Bologna passarono i treni carichi degli esuli in fuga nel 1947, «italiani costretti ad abbandonare i loro luoghi dalla violenza del regime nazional-comunista jugoslavo e a pagare, vittime innocenti, il peso e la conseguenza della guerra d’aggressione intrapresa dal fascismo» si legge sulla targa.
Fino a questo punto passi. Il peggio viene dopo: «Bologna seppe passare rapidamente da un atteggiamento di iniziale incomprensione a un’accoglienza che è nelle sue tradizioni». L’iniziale incomprensione erano in realtà insulti, sputi, pestaggi e addirittura rifiuto di concedere un pasto caldo agli esuli, chiusi nei vagoni.
Dal libro di padre Flaminio Rocchi L’esodo dei 350.000 giuliani, fiumani e dalmati: «La Pontificia Opera di Assistenza di Bologna aveva predisposto un pasto caldo alla stazione. Ma dai microfoni una voce grida: “Se i profughi si fermano per mangiare lo sciopero bloccherà la stazione”. Il treno rallenta e scompare nella nebbia con il suo carico di delusione e di fame». La targa ha sollevato una marea di polemiche con centinaia di e-mail anche da oltreoceano, dove molti esuli sono emigrati. Roberto Menia, deputato di An, ha rivolto un’interrogazione al presidente del Consiglio Romano Prodi, sottolineando che «all’arrivo dei vagoni che trasportavano gli esuli da Pola nei diversi campi profughi, essi furono insultati, sputacchiati e offesi dai comunisti bolognesi; fu gettato sulle rotaie il latte caldo loro destinato e fu impedito ai treni di fermarsi».

venerdì 9 febbraio 2007

Bye, bye paese normale. Christian Rocca

Massimo D’Alema era noto perché voleva vivere in un “paese normale”, ma da ministro degli Esteri è diventato l’alfiere di un “paese impazzito”, l’unico del mondo occidentale a essere governato da due partiti comunisti e ad aver delegato la politica di sicurezza nazionale al primo procuratore della Repubblica che voglia giocare al piccolo antiamericano, magari chiedendo l’arresto degli agenti Cia e Sismi impegnati in operazioni antiterrorismo e capace di trasformare i reclutatori di kamikaze nei nuovi fratelli Rosselli. Non bastava la sit-com farnesiniana spacciata per politica estera discontinua né la comica del voto parlamentare contro la relazione del proprio ministro della Difesa. Non erano sufficienti nemmeno le passeggiate a braccetto con gli Hezbollah, gli incontri con Ahmadinejad, l’equidistanza con Israele e i bye bye Condi sussurrati al porto di Marettimo. C’era, in effetti, da aspettarsi di tutto da un paese impazzito che ha perfino cercato di scaricare sul consiglio di quartiere di Vicenza la gestione di un trattato internazionale e che è così surreale da aver ricevuto il rimbrotto pubblico dagli ambasciatori di mezzo mondo.
Ieri, infatti, ne è capitata un’altra: l’ordinanza di rinvio a giudizio del soldato americano che aveva sparato sull’auto di Nicola Calipari e Giuliana Sgrena ha definito l’uccisione dell’agente italiano “un omicidio politico”. Sì, politico.

Immigrazione: benvenuti solo i clandestini. Davide Giacalone

La storia di Bulat Sanditov è esemplare di come l’Italia abbia masochisticamente deciso di affondarsi nell’incapacità di gestire l’immigrazione.Siamo pieni d’immigrati clandestini, abbiamo rinunciato a fare quello che fanno gli inglesi e tutti i Paesi governati razionalmente, vale a dire sceglierci gli immigrati, la conseguenza è che non riusciamo a bloccare l’afflusso di persone non qualificate, spesso direttamente consegnate alla manovalanza delinquenziale, le nostre forze dell’ordine, i nostri parlamentari e governanti passano ogni giorno indifferenti davanti ad immensi mercati illeciti, organizzati per le vie di ogni dove, e partoriamo normative che servirebbero a reprimere e rimpatriare, ma di fatto servono solo a fregare Sanditov.
Lui non è un immigrato clandestino, ma un ricercatore universitario che ha vinto una borsa di studio alla Bocconi e che è entrato in Italia del tutto regolarmente. Non solo si mantiene lavorando, ma c’è anche il rischio che crei ricchezza in Italia. Nonostante questo ci sono voluti mesi e tribolazioni per fargli avere un permesso di soggiorno, dato che la questura di Milano non riusciva ad “inquadrare” il caso. La moglie, che fa l’avvocato in Russia, ha potuto vivere con il marito solo tre mesi, con un banale permesso turistico, poi è dovuta rientrare. Nel frattempo aspetta il loro primo figlio. Sanditov chiede il ricongiungimento, naturalmente dimostrando di avere un appartamento e di avere i soldi per mantenere la famiglia. Ma la questura rifatica ad “inquadrare”.
Esasperato l’interessato scopre che in Olanda non solo può trovare lavoro, ma può anche risolvere in fretta tutti i suoi problemi cartacei e burocratici, quindi si appresta a lasciarci per andare a vivere, con regolare permesso, assieme alla moglie ed in lieta attesa dell’erede. Salutate Bulat Sanditov, e fate ciao ciao con la manina al suo valore di ricercatore, alla sua testa ed alle sue idee. Poi voltatevi, e fate un ciao ciao di benvenuti alla moltitudine di disperati cui, presto o tardi, offriremo una bella sanatoria.

Clima: l'adattamento più efficace della mitigazione. IBL

Quali strategie per reagire alla minaccia climatica? Indur Goklany, economista di origine indiana e vicedirettore dell’Ufficio di analisi politica del Dipartimento dell’Interno Usa, afferma nell’ultimo Focus dell’Istituto Bruno Leoni che, mentre i tentativi di mitigazione non possono reggere una seria analisi costi-benefici, l’adattamento, lo sviluppo e l’innovazione tecnologica sono la via da seguire. In un’intervista di Paolo Bricco pubblicata sul Corriere Economia di lunedì 5 febbraio e qui riportata in versione integrale, Goklany mostra che “un mondo più ricco ma più caldo è meglio di un mondo più povero ma più freddo”.Commenta Carlo Stagnaro, direttore Ecologia di mercato dell’IBL: “il riscaldamento globale non crea problemi, ma esacerba problemi esistenti, come la fame nel mondo, la diffusione della malaria e altre malattie tropicali, i rischi per le aree costiere. La vera sfida, quindi, è risolvere tali problemi in modo da prevenire un loro peggioramento: l’evidenza suggerisce che ciò sia più efficace e meno costoso del tentativo di governare il clima globale, le cui dinamiche sono ancora scarsamente comprese”.L’intervista di Paolo Bricco a Indur Goklany è liberamente scaricabile qui.

giovedì 8 febbraio 2007

mercoledì 7 febbraio 2007

da "Rivoluzione italiana" blog di Paolo Guzzanti

Strasburgo, 25 gennaio 2006 - Con 99 sì e 42 no, l’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha approvato una risoluzione di condanna dei crimini del comunismo.
La votazione è avvenuta al termine di un acceso dibattito. L’assemblea ha approvato e fatto propria la risoluzione presentata dallo svedese Lindblad (Ppe) a nome della Commissione politica dopo aver bocciato una richiesta di rinvio del voto sulla condanna avanzata dal Pse.
La risoluzione è intitolata ‘Necessità di una condanna internazionele dei crimini dei regimi comunisti totalitari’ e parte dalla constatazione che la grande opinione pubblica è molto poco a conoscenza di tali crimini relativi al secolo scorso e che finora, al contrario di quanto è avvenuto per i crimini del nazismo, nessuna istituzione internazionale ha preso chiaramente una posizione di condanna nei confronti delle atrocità dei regimi comunisti.
A 15 anni dalla caduta del muro di Berlino - dice la risoluzione di condanna - si offre l’occasione per colmare questa lacuna alla luce del fatto che ancora oggi ‘una certa nostalgia del comunismo’ sembra essere presente in alcuni Paesi, per cui c’è il rischio ‘che in alcuni di questi Paesi i comunisti riprendano il potere’.
La risoluzione fatta propria dalla assemblea invita quindi i partiti comunisti o post-comunisti degli stati membri del Consiglio d’Europa che non l’hanno ancora fatto a ‘riesaminare la storia del comunismo e il loro proprio passato, a prendere chiaramente le distanze dai crimini commessi dai regimi comunisti totalitari ed a condannarli senza ambiguità’.
Quindi le cifre, tragiche, dei crimini del comunismo: secondo una valutazione per difetto - dice la risoluzione - il numero delle persone uccise dai regimi comunisti è questo: Unione Sovietica, 20 milioni di vittime; Cina, 65 milioni; Vietnam, 1 milione; Corea del Nord, 2 milioni; Cambogia, 2 milioni; Europa Orientale, 1 milione; America Latina, 150 mila; Africa, 1,7 milioni; Afghanistan, 1,5 milioni.
Il totale, secondo la risoluzione di condanna, sfiora i 100 milioni di vittime tra esecuzioni individuali e collettive, decessi nei campi di concentramento, vittime della fame e delle deportazioni.

martedì 6 febbraio 2007

Italiani in coda dal demolitore. Sandra Giovanna Giacomazzi

http://www.opinione.it/pages.php?dir=naz&act=art&edi=30&id_art=534&aa=2007

Ha senso demolire un'auto solo perché non risponde alle normative antinquinamento che cambiano in continuazione?

Il calcio non c'entra. il Foglio

Uccidere un poliziotto è il peggiore reato: con la spranga o con l’estintore.

A Catania è stato ammazzato un poliziotto con una sprangata, punto e virgola. Dopo la virgola mettiamoci il fatto che a Genova sei anni fa fu ucciso un ragazzo che voleva ammazzare un poliziotto con un estintore. Quel ragazzo, Carlo Giuliani, è diventato per la gente ideologicamente perbene una leggenda, un simbolo purificante di disperazione e di rivolta, la vittima di un’ingiustizia di cui la società, e in particolare il poliziotto che si difese sparandogli, è colpevole. Gli è stata intitolata un’aula della Camera dei deputati, nella sede del gruppo di Rifondazione comunista che annovera sua madre Heidi tra i propri membri.
Il poliziotto di Genova sopravvissuto è finito praticamente ai pazzi, quello morto è stato celebrato ieri nella Cattedrale della sua città, e sarà presto dimenticato. In un soprassalto etico di quelli duri, il giottino Francesco Caruso, deputato della Repubblica scelto e messo in lista dal presidente della Camera, ha subito specificato che la vita di un poliziotto vale quella di un tifoso, e che i poliziotti devono imparare a tenere in pugno nel modo giusto, corretto, l’ordine pubblico, possibilmente rendendosi identificabili con un numero sul loro casco perché sia fatta giustizia del loro manganellare nel mucchio. Ora torniamo al punto.
A Catania è stato ammazzato un poliziotto con una sprangata. In un paese come si deve è il reato più grave che esista, assassinare un poliziotto. Il perché lo si sa, è intuitivo. Ne va della pace civile e del contratto sociale basilare, quando un agente in divisa che si occupa della sicurezza dei cittadini è aggredito, offeso, ucciso. In Italia subiamo da sei anni il rovescio di questa regola. Siccome un altro mondo deve essere assolutamente possibile, gli eroi hanno l’estintore in mano, e quelli in divisa o si difendono sparando, e la loro vita finisce lì, oppure si accasciano al suolo, con maggiore delicatezza, e tolgono il disturbo. Tutta questa discussione sul calcio e le sue sottoculture omicide ha forse un qualche interesse sociologico, ed è encomiabile tutta questa ondata moralistica che chiude gli stadi e cerca colpevoli in ogni curva e in ogni tribuna, contemperando la necessaria severità, sempre ribadita, e la rigorosa disapplicazione delle leggi di repressione, sempre perseguita. Ma la chiacchiera non vale quando si tratti di giustizia e di politica.
Il calcio non c’entra. Non c’entrano le passioni dei catanesi e dei livornesi, dei rossi e dei neri. C’entra solo la forza della legge, che nel caso specifico si rivela nell’incapacità forte di farla rispettare. Sbattendo in galera i violenti, punendo con pene tremende chi aggredisce e uccide i poliziotti, dentro e fuori gli stadi di calcio, sotto l’occhio delle telecamere e nella disattenzione degli organi giurisdizionali.

lunedì 5 febbraio 2007

Italie mon amour. Monica

Il clamore suscitato dal caso-Scalzone induce a qualche riflessione: perché la Francia ha sempre rifiutato l’estradizione di quanti in Italia sono stati condannati per reati di terrorismo? Perchè Mitterand dall’85 garantì asilo politico a tutti i terroristi, alla semplice condizione che rinunciassero alla lotta armata? Perché una semplice dichiarazione di intenti avrebbe potuto emendare un passato di sangue?Poiché la Francia, al pari dell’Italia, è indubitabilmente un Paese democratico ci deve essere una evidente insanabile divaricazione fra i due Paesi sul modo di percepire gli anni di piombo.
La Francia deve aver identificato i terroristi italiani come altra cosa da quello che sono sembrati in Italia: dei gruppi dediti alla lotta armata contro uno Stato democratico nel tentativo di instaurare un diverso ordine politico. Viene difficile pensare, infatti, che uno Stato democratico, quale è la Franci, offra asilo a chi combatte la democrazia. Quale è stata quindi l’opinione della Francia nel corso degli anni?
Sul quesito ci viene in soccorso un’intervista, pubblicata da La Repubblica il 5 marzo 2004, a Philippe Sollers, scrittore francese, che argomentando in merito alla richiesta di estradizione di Cesare Battisti, inoltrata alla Francia dall’Italia, dichiarò fra l’altro: "...in Italia c’è stato anche un terrorismo di Stato molto importante in quegli anni: è stata una vera guerra civile e sociale".L’Italia era quindi uno Stato terrorista. Per chi ha vissuto l'Italia di quegli anni, ed è in grado di giudicare con un minimo di obbiettività, l’affermazione è del tutto paradossale e spinge a chiedersi quale ne sia la fonte, da dove Sollers tragga ispirazione.La risposta la si può trovare facendo un passo indietro nel tempo, immergendosi in quelle atmosfere ed esaminando le posizioni assunte da buona parte dell’intelligentia nostrana, sempre pronta a firmare un appello o un documento contro i servitori dello Stato, come il commissario Calabresi. Forse per omologazione o per sentirsi alla moda, ancor più che per convinzione, perché riesce difficile credere che tanti pensatori fossero ciechi e completamente estranei alla realtà.
Fu così che un documento in cui Calabresi era definito "commissario torturatore" fu firmato fra gli altri da: Bobbio, Colletti, Villari, Fellini, Soldati, Zavattini, Comencini, Cavani, Bertolucci, Lizzani, Pontecorvo, Bellocchio, Samperi, Gregoretti, Loy, Pasolini, Guttuso, Levi, Laterza, Einaudi, Feltrinelli, Hack, Aulenti, Pomodoro, Moravia, Eco, Maraini, Siciliano, Bevilacqua, Levi, Terracini, Amendola, Paletta, Benvenuti, Carniti, Scalfari, Bocca, Colombo, Calamandrei, Barbato, Rognoni, Cederna, Terzani, Zevi, Negri, Ripa di Meana. (L'Espresso, 13 giugno 1971)Numerosi intellettuali furono pronti anche a sostenere gli esponenti di Lotta Continua indagati dalla Procura di Torino con le parole:"Testimoniamo pertanto che, quando i cittadini da Lei imputati affermano che in questa società l’esercito è lo strumento del capitalismo, mezzo di repressione della lotta di classe, noi lo affermiamo con loro. Quando essi dicono se è vero che i padroni sono dei ladri, è giusto andarci a riprendere quello che ci hanno rubato, lo diciamo con loro. Quando essi gridano lotta di classe, armiamo le masse, lo gridiamo con loro. Quando essi si impegnano a combattere un giorno con le armi in pugno contro lo Stato fino alla liberazione dai padroni e dallo sfruttamento, ci impegniamo con loro".Un fulgido esempio di prosa rivoluzionaria che fu sottoscritto da 50 intellettuali tra cui, i più insigni, Eco, Mieli, Argan, Ginzburg, De Mauro.
Poiché in Francia vi era una solida base di intellettuali pronti a fare da cassa di risonanza all’immagine che veniva data del nostro Paese, ecco spiegata l’indulgenza data Oltralpe a chi in Italia era stato condannato da uno "Stato terrorista".Probabilmente per spiegare la posizione della Francia non ci si può limitare alle questioni esaminate, sarebbe troppo semplicistico, esse possono però costituire una ragionevole base di partenza per un approfondimento.
Da leggere: eccellente Parbleu
posted by Monica : 20:22 12 comments

Cari "esperti", ricordate l'aviaria? Mario Giordano

http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=154520

Il solito allarmismo ingiustificato o la voglia di catastrofe a tutti i costi?

domenica 4 febbraio 2007

Il "messaggio Berlusconi". Gabriele Cazzulini

«The medium is the message» è uno dei più citati, abusati, inflazionati aforismi della teoria della comunicazione confezionata in pillole per uso casereccio. E' come voler citare E=MC2. A furia di ripeterlo, ormai lo sanno anche i muri. Lo sanno, ma non tutti lo hanno capito davvero. Non hanno capito che Berlusconi è il messaggio di se stesso. Quindi, a parte i club dei suoi aficionados, non serve molto soppesare ogni sua dichiarazione, ogni singola parola come fosse oro colato. Berlusconi non è Prodi o Fassino, Agnelli o Montezemolo, Gerry Scotti o Pippo Baudo.
Berlusconi non è un tipo socialmente definito. Non fa una cosa sola; non è una cosa sola. Non è solo un uomo politico, non è solo un imprenditore, non è solo il presidente di una squadra di calcio. E' tutto questo messo insieme. Come diceva Totò, «è la somma che fa il totale». Politica, vita privata, calcio, televisione sono parole che nel vocabolario berlusconiano esprimono lo stesso concetto: Berlusconi. Forse neppure Berlusconi lo sa, ma questo è un vantaggio enorme. Certamente quando ogni settore richiede elevate capacità e una corposa esperienza, il «messaggio Berlusconi» viene tritato e spezzettato. E' quanto successe quando fu presidente del Consiglio. Fu costretto ad asserragliarsi a palazzo Chigi lavorando oltre ogni limite. Il suo magnetismo comunicativo s'indebolì notevolmente, la sua calamita divenne sempre meno capace di trainare il consenso pubblico. Ma appena ritorna in video, nel suo habitat naturale, il «messaggio Berlusconi» torna subito ad imporsi. Ad un certo punto non conta ciò che dice. Perché va oltre ogni perimetro, ogni confine e ogni limite. Che spari giudizi sulla politica estera o sul calcio mercato del Milan, che stringa la mano a Bush e a Putin o che faccia il donnaiolo in televisione scatenando la gelosia della consorte, il messaggio è sempre e solo Berlusconi. Il valore delle sue parole è che le pronuncia lui. Se non lo dicesse o facesse Berlusconi, le sue parole e i suoi gesti non avrebbero tutta questa eco.
Questo spiega perché Berlusconi, nonostante siano passati i tempi in cui l'Italia faceva le scappatelle con l'antipolitica perché non ne poteva più dell'opprimente prima Repubblica, è ancora un messaggio essenzialmente impolitico. Lui parla al popolo, ai lavoratori, ai contribuenti, parlando di grandi idee e grandissimi progetti; più che un politico è un oratore al limite del visionario. Ma non è demagogia. E' mantenersi su un piano così generale ed aperto da favorire l'incontro con tanti, perché in tanti capiscono al volo il suo linguaggio chiaro e diretto. Molti di più di quelli che seguono a fondo la politica, conoscono il mondo dello spettacolo e del calcio.
Ecco perché Berlusconi va oltre, per raggiungere molti di più senza dire molto di più rispetto agli altri - anzi dicendo molte meno cose. Parlare meno perché tutti capiscano.
Solo i vecchi dinosauri della sinistra ancora blaterano di ideologie e sistemi filosofici senza capire che ormai non li capisce più nessuno. Possono passare altri dieci anni che Berlusconi resta sempre Berlusconi, cioè una fortissima ed ingombrante presenza che si muove a cavallo tra politica, economia e spettacolo.
Il problema della successione è che il dopo-Berlusconi va cercato fuori dalla politica, fuori dai riduttivi schemi dei partiti e dalle logiche chiuse del potere. Bisogna ripetere il cammino di Berlusconi per essere in grado di riprodurlo. Altrimenti l'eredità di Berlusconi sarà solo un ricordo. Non c'è niente da fare. Lui è fatto così. E' questo il segreto del suo successo. Passano i partiti, passano i leader e i campioni di calcio, passano gli idoli della televisione ma Berlusconi resta sempre lì. Se nasce una nuova stella, lui ne ha già pronta un'altra. Finora l'unica speranza per sostituire Berlusconi continua ad essere la clonazione genetica.

venerdì 2 febbraio 2007

Lo Scaramella oscurato. Valerio Fioravanti

“Il Giornale” è l’unico quotidiano a tentare una difesa d’ufficio per Mario Scaramella. Le interviste e i documenti che pubblica sembrano seri, i ragionamenti sensati, le firme di rilievo. Però sul Giornale escono e sul Giornale rimangono. Non si crea dibattito, interesse, polemica. Zero assoluto. E questo non dipende certo dal personaggio Scaramella, o dal suo committente Guzzanti. Entrambi hanno sicuramente fatto degli errori ma niente di così grave da giustificare tanto ostentato disinteresse. Se un ex agente del Kgb lo avessero avvelenato gli americani, allora sì che saremmo stati sommersi da inchieste, controinchieste, rivelazioni e crisi di governo. Basta fare la proporzione tra un imam di periferia rapito dagli Usa (e liberato dopo pochi mesi), e i molti giornalisti o ex Kgb uccisi dai russi. Se non sei vittima degli americani, purtroppo in Italia non conti niente.

Clima, scandalosa la propaganda sui mutamenti climatici. IBL

L'Istituto Bruno Leoni giudica “scandaloso e senza precedenti” il comportamento dell'Intergovernmental Panel on Climate Change, che a Parigi ha presentato la sintesi per i policy-makers del quarto rapporto sul mutamento del clima, rimandando però di alcuni mesi la diffusione del rapporto stesso.Commenta Carlo Stagnaro, direttore Ecologia di mercato dell'IBL: "questa procedura è disonesta perchè, nel momento di massimo clamore mediatico, impedisce agli scienziati sia di verificare l'accuratezza del rapporto, sia soprattutto di valutare la coerenza col documento di sintesi. In passato l'Ipcc è già stato criticato proprio per le dissonanze tra le parti scientifiche dei suoi lavori e quelle dichiaratamente politiche".Conclude Stagnaro: "il blackout volontario che ha salutato la presentazione del documento dovrebbe valere da monito per quel che potrebbe accadere se l'Europa decidesse di portare fino in fondo le sue folli politiche climatiche. Una recente rilevazione Eurostat mostra che gli europei ritengono prioritari interventi sulla sicurezza energetica e la riduzione dei prezzi dell'energia: ciò è incompatibile con la propaganda terroristica dei professionisti dell'allarmismo climatico e coi loro suggerimenti, irrazionali e utopistici, in materia di politica energetica".
Su questo tema l'Istituto Bruno Leoni ha recentemente pubblicato:
“Economia, cambiamenti del clima e salvezza del mondo”, di David Henderson (IBL Occasional Paper n.24 - PDF);
“Clima di superstizione", di Nigel Lawson (IBL Occasional Paper n.30 - PDF);
"L'economia e la politica dle cambiamento climatico: un appello alla ragione", di Nigel Lawson (IBL Occasional Paper n.36 - PDF);