venerdì 31 luglio 2009

Corruzione costituzionale. Davide Giacalone

Se Luigi De Magistris non esistesse, si dovrebbe inventarlo. Egli svolge un ruolo sociale di grande importanza, consistente nel dimostrare perché il prestigio della magistratura è in inarrestabile crollo. Critico spesso i costumi della politica, ne denuncio quelle che mi sembrano imperdonabili insufficienze, ne detesto le cadute di stile. Qualche volta mi coglie il dubbio d’esagerare, qualche altra temo d’essere troppo reticente, rimproverandomi di non utilizzare giudizi ancor più severi. C’è una formazione politica, però, in cui non riesco a trovare un solo lato positivo, un solo aspetto convincente, una sola parola che non desti ripulsa istituzionale: l’Italia dei Valori. Gioca un ruolo nefando nei confronti della sinistra, trattenendola in atteggiamenti reazionari. Rappresenta un rigurgito dell’Italia peggiore. Da ultimo, ne è dimostrazione De Magistris, che dall’esibizionismo giudiziario, dalle inchieste a mezzo stampa, passa direttamente ad un seggio europeo, pronunciando parole bugiarde.
Aveva detto che si sarebbe dimesso dalla magistratura, invece ha chiesto l’aspettativa, che sarebbe la versione burocratica del tenere il piede in due scarpe, del fare i faziosi e pretendersi al di sopra delle parti. Il suo capo, del resto, Antonio Di Pietro, si dimise, ma solo per non essere buttato fuori. I due sono gemelli nell’avere utilizzato il ruolo di pubblico ministero allo scopo di promuovere e propagandare se stessi, adeguandosi all’idea che il diritto s’incarni in quello proprio di mettersi in mostra ed incassare al più presto il corrispettivo della fama così conquistata. Dicono che, adesso, i due siamesi si trovino in un qualche contrasto. Sarebbe ragionevole, giacché non è facile far convivere gente che guarda solo a se stessa e si considera al servizio esclusivo della propria scalata sociale.
Circa la bugia detta da De Magistris, si potrebbe essere indulgenti ed osservare che la falsità è intrinseca alla politica, e le promesse violate ne sono il cacio sui maccheroni. Non la penso così: la politica è materia di alto valore, il praticarla dovrebbe essere un onore, le sue finalità possono essere nobili. A patto non s’empia d’ignobili. Delle bugie di De Magistris, però, non vale la pena occuparsi più di tanto, il fondo limaccioso su cui poggia il partito che lo ha candidato esclude se ne possa ragionare seriamente. Le segnaliamo agli italiani che lo hanno votato, acciocché ricordino di che pasta sono fatti certi eroi. Interessa, invece, l’aspetto generale: ai magistrati che si candidano deve essere impedita l’aspettativa, chi intraprende la carriera politica non deve più potere tornare indietro.
Risponderanno che, così, si viola la Costituzione, che un magistrato deve avere, almeno, gli stessi diritti politici degli altri. E’ vero il contrario: la Costituzione prevede esplicitamente che i diritti di taluni abbiano una regolamentazione particolare, quindi si tratta di applicarla, smettendo di violarla. L’articolo 98 è chiarissimo: “si possono con legge stabilire limitazioni al diritto d’iscriversi ai partiti politici per i magistrati, i militari di carriera (…) i funzionari ed agenti di polizia, i rappresentanti diplomatici (…)”. Ed è giusto che sia così, perché i cittadini non devono temere d’essere inquisiti o giudicati da gente presa da passione politica. I Costituenti, invece, vengono trattati come degli scemi, pertanto non solo non si è fatta la legge necessaria ad applicare questo precetto, ma s’immagina, come nel caso di De Magistris, che non sia violazione della Costituzione l’essere stati eletti, quindi l’essersi candidati per un partito, se prima non s’è presa la tessera. Un imbroglio, reso ancor più grave dal non volere neanche rinunciare ai privilegi dell’anzianità e del futuro stipendio, quindi della doppia pensione. Non si tratta, sia chiaro, del solo De Magistris, il quale, di suo, ha aggiunto la faccia tosta di denunciare il fatto e promettere le dimissioni, per poi fare marameo ai gonzi che ci hanno creduto. Ci sono altri casi, ma tutti, senza nessuna eccezione, scandalosamente incostituzionali.
I magistrati hanno una montagna di garanzie, a tutela della loro indipendenza, anche i cittadini hanno diritto a qualche garanzia. La Costituzione ne ha descritto alcune, ma i diretti interessati hanno preso quelle pagine e ne hanno fatto aeroplanini di carta, da tirarsi durante le lunghe ore di ozio fra una ripresa televisiva e la posa per le foto dei rotocalchi, in attesa che qualche cittadino arrestato consegni la possibilità di divenire preziosi sul mercato elettorale, quindi essere eletti prima che il malcapitato sia assolto. Questa storia è parte della malagiustizia italiana, ma evidenzia anche una gravissima corruzione costituzionale. Grazie a De Magistris, ora la cosa è ancora più chiara.

Bari. Jena

Aveva proprio ragione D’Alema: «Ci saranno altre scosse...». (la Stampa)

martedì 28 luglio 2009

Dunque. Christian Rocca

Un inviato della Stampa, Francesco Semprini, ha raccontato il suo viaggio nel carcere di Guantanamo e ha scoperto che:
a) i detenuti stanno benissimo, leggono libri in varie lingue, tra cui Harry Potter, imparano l'inglese, guardano i film in dvd, le partite di calcio in alta defiizione, giocano a pallone e a basket, pregano, giocano a scacchi, mangiano da un menu ricco di sette varianti.
b) che l'ospedale interno è molto impegnato a curare distorsioni agli arti causate non dalle torture, ma dalle partite di calcetto
c) che un detenuto appena trasferito in America, dove in teoria Obama vorrebbe mandare tutto il gruppo, ha fatto richiesta esplicita di tornare a Guantanamo e che in generale i detenuti non irriducibili non vogliono tornare nei carceri del loro paese
d) che l'unico accenno di tortura riscontrata è la presenza nella biblioteca interna di una copia in italiano di "Caos Calmo".
PS
Poi non dite che qui non l'avete letto alcuni anni fa. (Camillo)

Dieci domande ai dilettanti dell'Antimafia. Lino Jannuzzi

10 domande ai dilettanti dell’antimafia che hanno indagato, processato e condannato per la strage di via D’Amelio, dove furono uccisi il giudice Paolo Borsellino e i cinque agenti della scorta, e che oggi dopo diciassette anni, quando crolla tutta la loro (ri)costruzione, sollevano il polverone delle presunte “rivelazioni” del figlio di Vito Ciancimino e del presunto “messaggio” di Totò Riina e della “trattativa” tra la mafia e lo Stato e del “papello” e dell’eterno teorema dei “mandanti esterni” per sfuggire alle loro responsabilità e per evitare la revisione dei loro tre processi-farsa, il Borsellino primo, il Borsellino bis e il Borsellino ter, confermati in appello e in Cassazione, e continuare a tenere in galera gli innocenti condannati all’ergastolo.

1. E’ vero o no che tutta la loro (ri)costruzione si basa sulla presunta “confessione” di Vincenzo Scarantino, che avrebbe rubato la Fiat 126 imbottita di tritolo e l’avrebbe portata sul luogo della strage? E che questo Vincenzo Scarantino era un meccanico semianalfabeta del rione Guadagna, esentato dal servizio militare per schizofrenia, tossicodipendente e fidanzato con i transessuali Fiammetta, Giusi la sdillabrata (che significa “ampia capienza”) e Margot, e contro tutte le evidenze hanno voluto credere e sostenere per anni e per tre processi, e in appello e in Cassazione, che Cosa Nostra avesse potuto affidare a costui il compito di innescare la strage?

2. E’ vero o no che la presunta “confessione” e le presunte “rivelazioni” di Scarantino sono state smentite radicalmente, fin dal primo momento, non solo dai presunti complici da lui accusati, ma anche da boss di primo piano di Cosa Nostra, già ufficialmente “pentiti” e gratificati dal contratto di “collaboratori di giustizia” e già accreditati e riconosciuti credibili in svariati processi, come Salvatore Cancemi e Mario Santo Di Matteo e Gioacchino La Barbera? E che i verbali dei confronti, svoltisi a Roma nella sede della Dia, in cui costoro hanno smentito e persino ridicolizzato Scarantino, sono stati segretati e non esibiti nei processi Borsellino fino a quando gli avvocati non hanno denunciato i procuratori? E che tutti i boss hanno decisamente negato che lo schizofrenico, tossicodipendente e fidanzato dei transessuali Scarantino fosse mai stato affiliato a Cosa Nostra e che prima della strage ci fosse stato una riunione plenaria della “Commisione” di Cosa Nostra, allargata a tutti i mafiosi della Guadagna e presieduta personalmente da Totò Riina, a cui avesse addirittura assistito Scarantino, sì da poter udire con le sue orecchie Riina decidere la condanna a morte di Borsellino: ”A stu curnuto s’ha ‘a fare saltare ‘nda l’aria come du’ crastu che ci stava ristannu vivu, picchè chistu Borsellino fa chiu’ danni che Falcone a Roma (questo cornuto lo dobbiamo fare saltare in aria come abbiamo fatto con quel caprone che stava restando vivo, perché questo Borsellino fa più danni che Falcone a Roma)”? (segue)


3. E’ vero o no che lo stesso Scarantino, solo un mese dopo che aveva firmato il primo verbale da “pentito”, ha ritrattato la sua “confessione” e le sue “rivelazioni” e ha denunciato che con minacce e promesse gli avevano fatto firmare “tutte bugie”? E che ha dichiarato a verbale esattamente così: ”Vistiri ‘u pupu... Mi ficiru inventare tutti ‘i cosi...’u verbale lu fici iddu poi mi fici firmare...(Hanno vestito il pupo... Mi fecero inventare tutte le cose... il verbale l’ha scritto lui (il pm)e poi me l’ha fatto firmare)”. E che ha confessato che tutto ciò che aveva raccontato di Cosa Nostra, compresi i nomi dei boss,lo aveva appreso ascoltando la Radio Radicale?

4. E’ vero o no che, dopo che Scarantino fu convinto a ritrattare la ritrattazione, la moglie Rosalia, che nel frattempo aveva scritto ai giornali, alla radio, alla televisione, alla moglie di Borsellino, alla figlia di Enzo Tortora, a Vittorio Sgarbi, a deputati e a senatori, al Presidente della Repubblica, ha deposto in tribunale e ha raccontato, citando numerose testimonianze, che la mattina della strage il marito non era uscito di casa per portare l’auto in via D’Amelio, ma aveva dormito fino alle 7 e mezza, quando lei lo aveva svegliato con il caffè? E che alla vigilia del “pentimento” e della concessione del contratto di protezione e del relativo servizio di scorta, ogni volta che il marito doveva andare a deporre al processo, veniva a casa il pm, accompagnato dai poliziotti, e si chiudeva col marito in cucina per rileggergli i verbali e per allenarlo a rispondere,facendogli le domande “a scavalco”. E che ha raccontato pure quando condussero il marito a un “incontro amichevole ”con il boss Marino Mannoia, venuto apposta dall’America per istruirlo sulle cose di Cosa Nostra e per imbeccarlo su di una storia di spedizione di cocaina ad Arcore: ”Vincenzo doveva dire che chissu Berlusconi era un cornuto”?

5. E’vero o no che dopo la sentenza di primo grado del processo Borsellino primo, con cui comminarono tre ergastoli ai presunti complici di Scarantino, a quello che gli avrebbe ordinato il furto dell’auto, a quello che avrebbe imbottito l’auto di tritolo e a quello che avrebbe intercettato la telefonata con cui Borsellino annunciava la visita alla madre, un altro fior di boss di Cosa Nostra, anche lui da tempo “pentito” e fornito di contratto di collaborazione e più che accreditato per essere stato il killer confesso di tutti i delitti eccellenti e di tutte le stragi, dall’assassinio di Salvo Lima alla strage di Capaci, Giovanni Battista Ferrante, si presentò ai magistrati per spiegargli che Scarantino e i tre presunti complici condannati all’ergastolo non c’entravano niente con la strage di via D’Amelio: io c’ero e so come è andata, mise a verbale, per uccidere Borsellino, come avevamo fatto per Falcone, abbiamo messo in campo il fior fiore dei nostri boss e dei nostri esperti,niente picciotti e variopinta manovalanza, niente schizofrenici, tossici e fidanzati di transessuali...? (segue)

6. E’ vero o no che nonostante le ritrattazioni e le smentite e i verbali dei confronti “ammucciati” e tirati fuori dopo anni i tre processi in cui l’inchiesta era stata sconsideratamente smembrata furono portati avanti per anni fino alla Cassazione e che, a conclusione del Borsellino ter, dieci anni or sono, ormai già a sette anni dalla strage, in sede di requisitoria finale il pm annunciò che non solo erano stati trovati e processati gli esecutori materiali e, ovviamente, i mandanti obbligati, e cioè la “Commissione” di Cosa Nostra e il Capo dei Capi Totò Riina, ma si era ormai vicini alla scoperta dei famosi “mandanti esterni”? ”E' sufficientemente provato - dichiarò il pm - quanto ha rivelato il boss pentito Salvatore Cancemi, e cioè che c’erano stati rapporti stretti tra Totò Riina e Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri, i quali sarebbe persino venuti a Palermo per parlare con il capo di Cosa Nostra alla vigilia delle stragi: ”La strage va ricondotta anche a responsabilità esterne a Cosa Nostra - dichiara il pm nel corso della requisitoria finale - e va inquadrata in una sfida-ricatto rivolta al Paese per ottenere la revisione del maxi-processo e l’abolizione dell’ergastolo da nuovi referenti e nuovi soggetti politici”. E’ vero o no che il Borsellino ter si conclude con il pm che dichiara che ormai sono sufficientemente provati i rapporti indicati da Cangemi nel periodo delle stragi tra il capo di Cosa Nostra e Berlusconi e Dell’Utri, sicché c’è da approfondire una sola cosa: ”se la strage venne compiuta da Cosa Nostra su richiesta dei soggetti esterni citati dal ‘pentito’ Salvatore Cancemi, o se invece la strage sia stata fatta nella inconsapevolezza di questi ultimi, nella convinzione tuttavia di fare loro un favore”? E che, del resto, Berlusconi e Dell’Utri sono stati indagati per le stragi dalla procura di Caltanissetta per quattro anni, i due concessi dalla legge più il rinnovo per altri due anni?

7. E’ vero o no che, dopo diciassette anni dalla strage e a dieci anni da questo solenne annuncio fatto nella requisitoria finale del Borsellino ter, i dilettanti dell’antimafia, sepolti dalle macerie di tutti e tre i processi Borsellino che, partiti dallo schizofrenico e tossicodipendente e fidanzato con i transessuali Scarantino erano arrivati a Dell’Utri e a Berlusconi, sono ridotti a sperare, per far dimenticare le loro gravi responsabilità, nelle “rivelazioni” del figlio di Vito Ciancimino (dopo che rifiutarono di ascoltare il padre, che sulle cosiddette “trattative” ha scritto persino un libro), e sui “messaggi” di Riina, sepolto vivo nel carcere duro del 41bis? E che come “mandanti esterni” ormai si accontentano, al posto di Berlusconi e Dell’Utri, di un “agente segreto” con il volto sfigurato e di un “americano” che beve whisky a Villa Igea? (segue)

8. E’ vero o no che tutte queste storie sul “pentito” Gaspare Mutolo che racconta a Borsellino delle stragi e della “trattativa” e del Ministro degli Interni Nicola Mancino che per dirottare le indagini chiama e “innervosisce” Borsellino furono già inventate e propalate per incastrare il più famoso poliziotto di Palermo, Bruno Contrada, che sarebbe stato a via D’Amelio al momento della strage (e che invece era in barca per mare con almeno altre dieci persone,compresi carabinieri e poliziotti) e che si sarebbe impadronito della “agenda rossa” sulla quale Borsellino avrebbe scritto chissà quali segreti di cui sarebbe venuto a conoscenza? E che ora vengono riciclate,più per distrarre e far confusione che per indagare e incastrare non si sa più chi e per che cosa e a quale scopo?

9. E’ vero o no che, a questo punto, i dilettanti dell’antimafia dovrebbero piuttosto affrettarsi a promuovere la revisione dei processi falliti, non fosse per altro per tirare fuori dalla galera gli innocenti condannati all’ergastolo? E che dovrebbero riaprire le indagini sulla strage di via D’Amelio non per inseguire i fantasmi dei “mandanti esterni”, ma per scoprire e arrestare almeno gli esecutori materiali (dopo diciassette anni non si sa ancora chi è stato a premere il pulsante per far esplodere il tritolo, né da dove l’ha fatto, né da dove è venuto il tritolo)?

10. Nel frattempo, almeno non potrebbero presentare le scuse al giornalista che tutte queste cose le ha scritte in tempi non sospetti, diciassette e dieci e cinque anni fa, sul “Foglio”, su “Panorama”, sul “Giornale”, e nell’agenzia di stampa “Il Velino”, ed è stato da lor signori querelato e processato, ma non condannato (per ultimo è il pm del processo Borsellino ter che ha perso clamorosamente la causa)? (il Velino)

giovedì 23 luglio 2009

La coerenza di Di Pietro. Davide Giacalone

Antonio Di Pietro è un uomo coerente, con il proprio tornaconto quale unica stella che lo guida nella vita. L’ordine degli avvocati di Bergamo, che lo ha sospeso per tre mesi, ha preso una decisione sbagliata. Questa storia, a cavallo fra il ridicolo e l’orrido, riassume un pezzo di storia italiana e non risparmia l’ennesimo quadretto del corporativismo autoconservativo. Già, perché il gran (falso) moralizzatore non esita a passare sui cadaveri, pur di esibirsi, e l’ordine degli avvocati avrebbe dovuto buttarlo fuori, non fargli totò sulla manina.
Il fatto è grottescamente semplice: un carissimo amico dell’onorevole Di Pietro ha ammazzato la moglie e l’ex pubblico ministero più acclamato d’Italia, ora avvocato, è corso a difenderlo. Tutto bene, perché anche il peggiore dei criminali ha diritto ad essere difeso e ad avere un regolare processo. Che tali principi potessero essere incarnati da Di Pietro, sarebbe stata la dimostrazione che le vie della giustizia sono realmente infinite. Ma non è andata così. Più che da avvocato si comportò da amico, annunciandone l’innocenza ed ospitandolo in casa. Il rapporto era solido, la confidenza totale, e, del resto, il segreto professionale suggerisce che né al medico né all’avvocato è saggio mentire. Il presunto omicida, insomma, si confidò. Non è dato sapere l’esatto perché, ma sta di fatto che dopo avere conosciuto la verità fornita dall’amico, Di Pietro abbandonò la difesa. Non è bello, però può capitare. Ma il nostro prode giustiziere fece di più, passando al tavolo dell’accusa, indossando la toga della parte civile e fornendo indicazioni utili ad ottenere la condanna dell’imputato. Che, difatti, si ritrova con 21 anni da scontare.
Se si deve usare il metro dell’amicizia, lascio a ciascuno di voi di trovare l’aggettivo appropriato per qualificare una simile condotta. Potete indicarne anche più di uno. Io rinuncio, e non per timore di querela, ma perché l’accaduto mi pare inqualificabile. Dal punto di vista professionale, però, mi domando quand’è che l’ordine degli avvocati decide di prendere un collega e restituirlo ai trattori ed ai seggi parlamentari, due attività per le quali non è indispensabile la buona fede. I signori avvocati sono pronti a far cenni d’approvazione quando raccontiamo le scostumate assoluzione che il Consiglio Superiore della Magistratura riserva a magistrati meritevoli di radiazione con disonore, ma poi tendono ad essere assai indulgenti con soggetti analoghi, ma della loro parte. L’albo serve per tutelare i cittadini dall’incontrare gente disposta a venderli e tradirli. Se l’albo fallisce, meglio cancellarlo, e come difensore mi prendo chi mi pare, non un collega di certa gente. Gli avvocati sono assai pronti nel difendere le tariffe minime, cerchino di non assopirsi quando si tratta di garantire un minimo di serietà.
In quanto a Di Pietro, ribadisco: è un uomo coerente. Faceva bisbocce con gli amministratori comunali della Milano da bere. In un suo libro l’ex sindaco meneghino, Paolo Pillitteri, ne racconta di belle. Accettava ben volentieri di avere a disposizione un appartamento dove continuare le feste, senza settimanali interessati a raccontarne le prodezze. Prendeva Mercedes in sostanziale regalo, così come prestiti assai consistenti, che restituiva in contanti ed in scatole da scarpe. Accettava favori per la moglie (la seconda), anch’ella avvocato e destinataria di cause non proprio spontaneamente affidatele. E che ha fatto, il nostro (falso) moralizzatore, di tutti questi benefattori? Li ha portati sul banco degli accusati, contestando loro i reati che non riconosceva in se stesso. Secondo lui ciò dimostra indipendenza. Secondo me una certa disinvoltura. E’ un peccato che il suo amico uxoricida non avesse capito. E’ incredibile che, ancora oggi, sia la sinistra a non capire.
Ah, dimenticavo: alla ricerca di palcoscenici estivi, con sempre maggiore coerenza giustizialista (che è il contrario della giustizia), il parlamentare utilizzatore d’idioma oscuro e guttufacciale ha provato a fare un girotondo attorno al Quirinale. Megalomane com’è avrebbe raccontato d’averlo circondato, se non fosse che è stato disperso ed allontanato, come un qualsiasi disturbatore della quiete pubblica. State certi che tornerà a farsi sentire, se solo riuscirà a trovare le parole in lingua italica.

Ecco chi tiene in piedi la persecuzione mediatica contro il Cavaliere. Filippo Facci

Prendete quanto è accaduto in un solo giorno, cioè ieri: 1) il gruppo editoriale Espresso ha denunciato Silvio Berlusconi - non viceversa -, depositando un esposto curato da Guido Rossi e Federico Grosso: ipotizzano i reati di diffamazione - non viceversa, ripetiamo - e di abuso d’ufficio e di cosiddetto market abuse; in sede civile il Cavaliere è stato citato anche per concorrenza sleale e boicottaggio. Tutto nasce da alcune dichiarazioni da lui rese il 13 giugno quando parlò di un attacco eversivo mosso da la Repubblica e invitò quindi gli industriali a non fare pubblicità su quel quotidiano. Carlo Federico Grosso, in particolare, ieri ha parlato di «attacco senza precedenti».

(Nota: l’associazione Bo.Bi, alias Boicotta il Biscione, è operativa dal 1993 ed è giunta a contare settanta sedi; proprio Repubblica, il 26 novembre 1993, pubblicò i numeri di telefono e di fax dell'associazione e rilanciò questo invito: «Smettiamo di comprare i giornali di Berlusconi e di fare la spesa nei suoi supermercati, ritiriamo la pubblicità dalle sue riviste e dalle sue televisioni, boicottiamo le sue reti tv». I recapiti del Bo.Bi. furono pubblicizzati anche a Il rosso e il nero di Santoro, sulla tv di Stato. Non risulta che «il Biscione» abbia mai denunciato nessuno. È un caso diverso? Forse è un caso diverso).

2) Beppe Grillo - personaggio che dobbiamo sforzarci di considerare un politico a tutti gli effetti in quanto fa liste, è presente in alcuni consigli comunali, fa alleanze con Di Pietro, si candida a segretario di altri partiti - ieri ha prospettato questa realistica dinamica politica: Patrizia D'Addario potrebbe corrispondere a un’emissaria della mafia per far inciampare Berlusconi come già accadde ad Andreotti col cadavere di Salvo Lima; le registrazioni del resto potrebbero essere finte, recitate; pare che stia nascendo questo Partito del Sud, come desiderato storicamente da Cosa nostra, e insomma ci sarebbero degli attriti tra mafia e centrodestra e Grillo li dipinge come se stesse ipotizzando una qualsiasi verifica di governo. Ne ha avute anche per Veltroni: «Un salvagente per Testa d’Asfalto (sarebbe Berlusconi, ndr) è in arrivo. Si chiama Topo Gigio Veltroni che si è proposto come osservatore esterno all’Antimafia. Proporrà una supercazzola al posto del papello e la mafia sarà sconfitta per sempre». Ripetiamo: Beppe Grillo è un politico a tutti gli effetti.

3) Essendo nati per soffrire, ieri c'è stata anche la conferenza stampa di presentazione del libro «Antonello Zappadu, l’Incubo di Berlusconi» scritto da Salvatore Zappadu, che è suo fratello. Il volume è stato presentato ieri. Zappadu, a proposito di sicurezza dello Stato e dintorni, è quello che ha fatto cinquemila scatti inquadrando Villa Certosa e se n'è fottuto di ogni legge sulla privacy. Durante la conferenza stampa, ieri, ha definito «impensabile» che la villa di Berlusconi possa essere «controllata da solo 180 uomini» e ha fatto una rivelazione molto precisa e circostanziata: «L’impressione che ricaviamo da tutta questa vicenda è che all’interno di queste foto ci siano delle situazioni che neanche noi possiamo capire, ma che non si vuole che vengano fuori». Il pene di Mirek Topolanek era venuto fuori benissimo: i preziosi fratelli Zappadu in ogni caso sono riusciti a spiegare che «non c’è niente di pruriginoso in questi scatti» - hanno smentito che ci siano foto di Berlusconi nudo - e infine hanno severamente sentenziato che «la vera notizia è che nel nostro Paese non si possono pubblicare foto-notizie». Topolanek, in effetti, seguita a celare la sua notizia nelle mutande.

4) In ultimo, a proposito di notizie e di mutande, c'è Peppe D'Avanzo di Repubblica: l'unico giornalista del mondo che riesce a scrivere «Berlusconi sapeva che Patrizia era una prostituta» nello stesso articolo in cui una registrazione spiega esattamente il contrario. Ieri l'ha fatto ancorè il fuochista ufficiale, l'incaricato affinché la fiaccola delle ormai demenziali «dieci domande» arda in eterno. Ormai D'Avanzo passa le giornate a soppesare e a incrociare le uscite di Ghedini, di Noemi, di Berlusconi e della D'Addario con una seriosità e un linguaggio diviso tra la metodologia della ricerca storica e una richiesta di proroga delle indagini preliminari: continua a sudare articolesse come se la vita e la morte - di un governo, perlomeno - dipendessero realmente dall'esattezza di una frase di Berlusconi pronunciata a Porta a Porta, dal dettaglio che il premier sapesse o non sapesse o anche solo presumesse che Patrizia D'Addario nella vita era ciò che aveva stampato in faccia. Come se alcune uscite di Berlusconi - alcune delle quali assolutamente sconclusionate - fossero state non delle reazioni talvolta nervose e improvvisate a una campagna che è stata quello che è stata, ma dei giuramenti davanti alla Nazione e con la mano sulla Bibbia, come se fosse stato Clinton davanti al Congresso o a Kenneth Starr, non Berlusconi di fronte alle domandine demenziali di Peppe D'Avanzo.

Se ci fosse un complotto potrebbe essere davvero del centrodestra o di una parte del centrodestra, a questo punto: perché tutto non fa che favorire quel famoso clima di esasperazione e di inasprimento in cui potrà sguazzare chiunque voglia fare delle nuove leggi per esempio a difesa della privacy - e chi potrebbe opporsi? - o voglia rendere sin troppo liberticida la famosa normativa sulle intercettazioni, cui si sta stendendo una passatoia formidabile. Luca Sofri, un signore di sinistra che ha dispiacere di avere talvolta la mia stima, sul suo sito Wittgenstein.it ha centrato perfettamente il punto: dopo aver citato l'irrigidimento difensivo dei media pro-Berlusconi e l'inevitabile chiusura a riccio della maggioranza di governo – lui naturalmente ha usato termini molto più duri dei miei - si è infine chiesto: «Non è che questa escalation ha a che fare anche con la battaglia di informazione su Villa Certosa, le escort, eccetera? Non è che i giornali di opposizione stanno alzando il livello dello scontro, e la maggioranza risponde dichiarando lo stato di guerra, e ci andiamo di mezzo tutti?». Oh, ci siamo arrivati. (il Giornale)

mercoledì 22 luglio 2009

Borsellino e la memoria. Davide Giacalone

Falcone e Borsellino, prima d’essere ammazzati, erano stati isolati. Ad isolarli, ad imbozzolarli nell’impotenza o negar loro i necessari poteri è stata la magistratura, utilizzando in Consiglio Superiore. Furono necessarie coperture politiche, naturalmente, fornite da Magistratura Democratica e dal Partito Comunista, per il tramite di Elena Paciotti e Luciano Violante. A gioirne furono in molti, nel mondo che naviga nella continuità fra gli affari e la politica, che nella lotta contro la mafia vede solo il fastidio subito da chi viola le leggi e nasconde il denaro illecito, quando non s’avvale direttamente della protezione criminale. Un mondo che non ha confini politici, perché conosce solo la legge della malaricchezza. Dato questo scenario, si dovrebbero abolire le ricorrenze, affinché gli ammazzati non siano anche diffamati.
L’anniversario della strage di via D’Alelio, quest’anno, si festeggia usando le parole di Riina: “Lo hanno ucciso loro”. Loro chi? Ma è ovvio: i servizi, che sono “deviati”, gli stragisti, che sono “di Stato”, il tutto alla ricerca di una verità che è “inconfessabile”. Per dare un tocco horror alle balle odierne è pure spuntato fuori un agente segreto con la faccia mostruosa e sfregiata, che, in quelle condizioni, sarebbe dovuto passare inosservato e solo adesso se ne percepisce l’esistenza. Roba da matti. Come il pendere dalla labbra di una bestia disonorata, come Riina.
Prima che la falsificazione inquini la memoria, teniamo dei punti fermi. La strategia stragista, con cui i corleonesi accompagnarono gli anni dell’inchiesta Mani Pulite, non era certo finalizzata a spaventare per bloccare quei procedimenti. Avvenne l’esatto contrario, e l’assassinio di Falcone servì a portare Scalfaro al Quirinale, poi complice del giustizialismo imperante, salvo salvare se stesso. La sterilizzazione di Falcone e Borsellino servì anche ad istruire i processi politici, per condurre i quali si doveva evitare che deponesse Tano Badalamenti e, quindi, che venisse in Italia. Per impedirlo fu Orlando Cascio ad infamare il carabiniere Lombardo, che, minacciato dalla mafia, fu indotto al suicidio. A denunciare questi fatti fu il carabiniere Canale, che Borsellino chiamava fratello, che fu accusato di mafia e che attende ancora il deposito della sua definitiva assoluzione.
Non voglio dimostrare nulla, non qui e non così in breve. Intendo dire che certe ricostruzioni di comodo, certe induzioni al luogocomunismo, sono vergognose, e che le continiguità politiche vanno non cercate, ma riconosciute in molti che si sgolano a commemorare. Almeno risparmino l’infamia di corrompere la memoria nel ricordare chi è morto per la giustizia.

La crociata di "Repubblica" ha avvelenato la democrazia. Peppino Caldarola

Forse Ezio Mauro e Beppe D’Avanzo non se ne rendono conto ma stanno avvelenando i pozzi. Dopo questa torbida campagna stampa niente resterà come prima. La scena italiana sarà mutata una volta per sempre e i veleni propagati in queste settimane saranno più dannosi del fumo di Chernobyl. Cercherò di elencare freddamente i danni collaterali della campagna stampa di Repubblica soprattutto dopo che l’Espresso ha trascritto e pubblicato le registrazioni della signora D’Addario. A differenza di D’Avanzo non appesantirò questi pezzo di inutili citazioni colte, ma trarrò da un’antica dimestichezza con i testi classici delle cultura politica democratica gli elementi per raccontare quanto costa e costerà questa campagna di stampa.

Primo danno. È in discussione in Parlamento la legge sulle intercettazioni telefoniche. C’è uno scontro aspro fra maggioranza e opposizione attorno alle limitazioni introdotte dalla proposta del governo. Il capo dello Stato è intervenuto più volte, persino martedì, per sollecitare un dialogo che consenta di approvare una buona legge. Per fare una buona legge occorre che vi sia un clima adeguato e che nessuna delle parti si senta minacciata. Nel provvedimento che il Parlamento sta discutendo vi sono norme che riguardano la pubblicazione di atti per i quali vige il segreto istruttorio e sono previste sanzioni assai severe (non approvo l’idea della detenzione per i giornalisti) per chi pubblica documenti che violino il segreto istruttorio. Il tema di fondo è se vi sia una sfera privata che debba essere severamente tutelata oppure no. I fautori di un ammorbidimento delle norme sostengono che esistono già nell’ordinamento sanzioni adeguate. È del tutto evidente che la recente svolta impressa dal gruppo De Benedetti rafforzerà l’altra tesi, quella di chi pretende maggiori tutele e garanzie. La trattativa riparte in salita. Questo è un danno a breve, ce ne sono altri che vivranno nel tempo.

Secondo danno. Stanno cambiando le regole della politica e della vita pubblica. Lo spionaggio diventerà l’arma suprema della battaglia politica e delle guerre industriali e finanziarie. Tutto ciò che finora era stato disapprovato ora diventerà legittimo. Per decenni ci siamo battuti contro la politica dei dossier. I servizi segreti sono stati più volte smantellati per aver raccolto informazioni indebite sulla vita degli uomini pubblici. Recentemente è stata decapitata la sicurezza della Telecom per aver dato vita a un sistema di spionaggio parallelo. Per lustri è stata messa al bando la stampa scandalistica che alludeva a vicende private e sollecitava morbose curiosità sulle abitudini sessuali dei potenti. C’era un’Italia rispettabile che sapeva fare diga contro l’uso abnorme delle informazioni illecitamente raccolte. La trasparenza degli uomini pubblici richiedeva anche la trasparenza della battaglia politica che andava condotta con mezzi leciti e legali. La campagna dei giornali del gruppo De Benedetti ha rovesciato e buttato per aria tutta questa tradizione democratica elevando a sistema la rivelazione truffaldinamente recuperata. Mi chiedo come si potrà fare politica e affari in un paese in cui una cimice o un registratore possono prendere il posto di una trattativa alla luce del sole, di un braccio di ferro, dello scontro di idee. Vi fidereste di un paese che non conosce limiti all’indagine sulla vita personale di uomini pubblici: politici, giornalisti, funzionari, imprenditori, banchieri e ambasciatori?

Terzo danno. Viviamo in Italia e non a Teheran o Riyad. Abbiamo per anni contestato ogni intervento della Chiesa cattolica che ci sembrava invadere il campo della sfera privata. Nelle grande battaglia per il divorzio il mondo laico-democratico aveva sconfitto la pretesa di una parte del mondo cattolico di dettare regole erga omnes attorno ai comportamenti privati. La politica aveva saputo nel nostro paese trovare una linea di confine fra le dure battaglie e il rispetto della vita personale degli avversari. Ogni volta che qualcuno aveva cercato di superare questa sottile linea di frontiera era stato contestato vivacemente. L’intera stampa italiana si scandalizzò durante gli anni di Clinton per il moralismo bacchettone dei repubblicani nella vicenda Lewinsky. Faceva a tutti un certo ribrezzo l’uso delle informazioni sulla vita personale come arma di demolizione di un personaggio pubblico. Con la campagna di Repubblica il moralismo è diventato uno dei tratti fondativi di una nuova sinistra al punto da spingerla a presentare una mozione per sindacare la vita privata degli uomini pubblici. Gli ayatollah non avrebbero saputo fare meglio.

Quarto danno. La battaglia distruttiva contro Berlusconi alimenterà una nuova campagna anti italiana. In Francia non sarebbe possibile. Qui da noi c’è una parte della pubblicistica, della politica e della pubblica opinione che si rinfranca quando il paese viene sottoposto al dileggio. Abbiamo fatto appena in tempo a incassare gli elogi sul G8 che torneremo sulle prime pagine dei giornali stranieri per le storie di escort.

Quinto danno. La sinistra italiana esce stravolta da questa vicenda. L’abbiamo già scritto. Per la prima volta è un giornale a prendere la guida della battaglia politica per imporre i temi su cui l’opposizione deve lavorare. La sinistra laica e riformista non ha avuto il coraggio di sottrarsi a questa deriva. Impaurita per la potente scesa in campo di tutta la corazzata De Benedetti e galvanizzata da un rigurgito antiberlusconiano, la sinistra italiana non ha trovato il coraggio per dire di no allo spionaggio, al moralismo, al bacchettonismo dilagante. L’argomento principe è che il premier è indifendibile perché certe frequentazioni lo esponevano al ricatto. Il ricatto è quello che si sta sviluppando in questi giorni a mezzo stampa nel tentativo di modificare il corso della legislatura con armi improprie. Dopo queste settimane, l’Italia è un paese un po’ meno laico e siamo tutti un po’ meno liberi. (il Giornale)

giovedì 16 luglio 2009

Il caso Munzenberg, ispiratore dei guastatori che affosseranno il Pd. Luca Josi

Un consiglio non richiesto per gli amici del Partito democratico l’avrei. Ok a Grillo. Benvenuto! Fantastico! Porte aperte!

Ma nel sospetto, piccolo piccolo, che la candidatura sia un poco strumentale perché non v'iscrivete tutti all'Italia dei Valori, prendete la maggioranza assoluta, cambiate il segretario e poi disponete la chiusura del partito? Almeno anticiperete quello che Di Pietro vorrebbe fare a voi.

Poi dite quello che volete. Ma i due, Di Pietro e Grillo, saranno grulli, saranno grilli, ma sono due talenti straordinari della devastazione.Portano all'ennesima potenza la provocazione.

Il gioco è presto fatto. Una volta che tu molli i freni e dici che si può dire ogni cosa sul tuo nemico - che non è mai avversario - è difficile fissare un limite. Un po' di filosofi all'inizio del Novecento la spiegavano così: «Tutto quello che può accadere accadrà». Direte: che geni! Ma la frase è meno lapalissiana di come appare. Ovvero sostiene che se in qualche parte del mondo qualcuno si mette in testa un'idea, un'intuizione, sfrucuglia una possibilità, stai tranquillo che prima o poi quella cosa troverà il modo di realizzarsi. Puoi inventare qualunque barriera morale e ideologica per fermarla ma una volta che è venuta in mente a qualcuno, presto o tardi, lui o qualcun altro, la metterà in opera.

Quindi, se la temi, ti conviene farci i conti, prevederla, governarla e preoccuparti subito subito di trovarle un antidoto o un vaccino.
Ora a vederla grigia la pandemia distruttiva potrebbe estendersi all'intero parlamento ma per il momento guardiamo cosa può accadere al nuovo Partito democratico.

La gara nella storia è sempre stata a sedersi per primi dalla parte del Giusto, del Buono, dell'Eroe e della Verità.

Dal secolo scorso questi termini sono diventati i cavalli da battaglia della propaganda. Se devi convincere qualcuno, in effetti, è meglio dire che parli per conto di queste parole, belle e rassicuranti, anziché delle parole che evocano atmosfere contrarie. Infatti, a parte una piccola minoranza di masochisti - e ci sono anche quelli - le persone amano stare dalla parte del Giusto lasciando agli altri il posto del Torto.

Di Pietro e Grillo sono un'ulteriore evoluzione, contemporanea, della rincorsa a queste promesse.

Pensate che a sinistra si erano molto arrabbiati perché dopo corsi intensivi, durati un secolo, di egemonia gramsciana a trarne vittoria è stato un geniotto capitalista che con la Sardegna del loro bistrattato fondatore condivide poco più di una batteria di ville (e oggi un po' troppo sbirciate). Lavorare sul consenso è l'Abc della politica per conquistare qualunque maggioranza. Il problema è che il Cavaliere si è ricordato che chi vende serenità, speranza, fiducia, benessere, ricchezza in terra - bada bene, in terra - è un pochettino più charmant di chi ti elenca i guai del nemico, annuncia apocalissi e invece che impegnarsi a produrre un panino in più t'invita a fare a metà con quello del vicino (un mercato anche questo, quello dei catastrofisti, anche se minoritario. D'altre parte i popoli cercano la pensione in paradiso mica all'inferno).

Ma torniamo ai due sconquassatori del Partito democratico: Di Pietro e Grillo. Essendo guastatori nati interpretano strade che nessuno gli ha mai insegnato. Il talento sta proprio in questo. È natura.

Ad Est per quasi un secolo la Pravda (il cui nome significa, Verità) costruiva in maniera industriale la mente dei suoi cittadini per trasformarli in un esercito di apostoli del comunismo.

Ad Ovest, invece, Goebbels veniva immeritatamente raccontato come il sacerdote unico, creatore della propaganda. Un'immeritata leadership sottratta a un suo connazionale, autentico genio della materia: Willy Munzenberg.

Munzenberg per Lenin e poi per Stalin inventò lo judo mediatico. La forza dell'avversario veniva ribaltata nella sua debolezza. Portò, in sostanza, il cavallo di Troia nel secolo scorso. Piuttosto che lavorare su armi e paura, Munzenberg, teorizzava che con investimenti ridotti e ben più redditizi si potesse fiaccare l'umore dei propri nemici. Invece che produrre ulteriori carri armati e incrociatori - soprattutto in tempi di pace - si sarebbe dovuto investire nella diffusione di «Verità» da infiltrare nel territorio nemico attraverso le porte maestre dei loro fragilissimi capisaldi. Facciamo degli esempi: le democrazie difendono la libertà di espressione? Usiamola! Tutelano ogni minoranza? Creiamone! Accettano il confronto e rallentano ogni azione per non offendere sensibilità diverse? Facciamo esplodere ogni contraddizione che la natura umana possa prevedere! Vi viene in mente qualcosa o qualcuno adesso? Qualche suggestione applicabile ai nostri giorni?

Così vennero finanziati movimenti per la liberazione sessuale nell'Inghilterra postvittoriana e in Europa, furono supportate intere generazioni d'intellettuali «indipendenti», si stimolarono le cause ambientaliste contro l'industrializzazione, quelle animaliste contro le industrie alimentari, quelle pacifiste contro le politiche di difesa.Oggi tutto questo ambaradan sta sdraiato sui divanetti di qualche talk show.

Non importa cosa dici ma se quello che dici vellica gli istinti peggiori dei nostri sensi.

Non importa la ricostruzione di un fatto, il suo capovolgimento, la sua confutazione ma solo l'emozione, la percezione di tutto questo. Perché non è necessario avere ragione nella Storia ma ottenerla (avendo poi, da vincitori, tutto il tempo per riscriverla).

Il nostro Munzenberg, Willy, fu suicidato nel 1940 forse da sicari di Stalin che lo impiccarono al ramo di una possente pianta.

Era irritato dall'involuzione dei suoi discepoli e per vendetta, racconta la leggenda, una notte di molti molti anni dopo, si presentò sotto false spoglie nel sonno di un leader politico. Nei panni di Morfeo suggerì all'uomo che voleva guidare al successo una gioiosa macchina da guerra un simbolo: la Quercia. Come l'albero a cui Munzenberg era stato lasciato appeso, a ciondoloni, a morire.Oggi pare che il vecchio Willy, non pago di quella punizione, si sia rimesso in azione.

PS: domanda ai lettori. Munzenberg in 60 anni di storia democratica italiana non è stato, di fatto, mai pubblicato nel nostro Paese. Perché? (il Giornale)

martedì 14 luglio 2009

Cambia la scuola: promosso solo chi studia. Stefano Zecchi

Una brutta notizia in realtà molto positiva. Le bocciature dei nostri studenti non dovrebbero essere accolte con favore, ma se riflettiamo su come si è ridotta la nostra scuola dal Sessantotto in avanti, l’aumento di quasi il 20 per cento dei respinti agli esami di maturità, a cui si deve aggiungere anche il numero in crescita dei non ammessi a quella prova, fa sensatamente sperare in un definitivo cambiamento di rotta dell’insegnamento scolastico. Un cambiamento profondo.
Il ministro della Pubblica istruzione ha intrapreso un cammino che i suoi detrattori avevano giudicato irrilevante: solo provvedimenti di facciata, dicevano. Per esempio il voto in condotta, la sostituzione dei giudizi con i vecchi e tradizionali numeri arabi per indicare il grado di profitto degli studenti, le normative contro il bullismo. Poi ci si è messo anche il ministro Brunetta a perseguire i fannulloni nella scuola, che costituiscono una realtà scandalosa per cui l’opinione pubblica ha finito col fare di tutt’un’erba un fascio, confondendo insegnanti eccellenti (ce ne sono: siatene certi) con quelli lavativi e incapaci (ce ne sono molti: siatene certi).
Insomma, un insieme di provvedimenti legislativi che ha segnalato e imposto la volontà governativa di procedere con convinzione verso una scuola seria, attenta al profitto degli studenti e alla capacità degli insegnanti. Ma a questo lodevole impegno c’è da aggiungere dell’altro.
La chiave di volta per costruire la scuola come un edificio stabile sono i professori.
Accorgersi del tempo che passa è quasi sempre molto malinconico. «Quasi», però. Nella scuola, il tempo che passa significa pensionamento degli insegnanti sessantottini, quelli che hanno usufruito di innumerevoli ipocrisie sindacali per superare concorsi fasulli o addirittura per non farli, per ottenere lauree concesse senza nessuna vera qualificazione da parte di docenti universitari demagoghi nella loro ideologia antimeritocratica. Un disastro figlio di troppe complicità che ha danneggiato tutti: una scuola che non funziona è una sciagura per l’intera collettività.
In questo caso, bisogna dire che il tempo che passa è galantuomo, è una ramazza che fa pulizia. Sono convinto che nessun provvedimento di legge abbia effetto se non ci sia anche un tessuto sociale pronto ad accoglierlo. Ora è indubbio che da alcuni anni si è fatta strada l’idea che la difesa del merito e il dovere di premiarlo siano una condizione necessaria per lo sviluppo civile. Quest’idea è sempre stato un punto di forza della cultura liberale che però ha dovuto assistere, in anni passati, alla sua denigrazione e, quindi, all’onda montante di uno sconfortante egualitarismo con il quale si sono avvantaggiati i peggiori. Ma quell’idea era stata umiliata dal radicalismo di sinistra, non annientata. Lentamente, i governi liberali di questi ultimi quindici anni sono riusciti a ridarle forza, a imporla culturalmente nella nostra società. La sinistra ha dovuto ammettere i suoi errori di valutazione, e oggi nessuno, se non qualche irriducibile cretino, ritiene che la difesa del merito nella scuola, come in ogni realtà lavorativa, sia un’offesa alla democrazia.
Una scuola seria, capace di formare e selezionare, in grado di preparare i giovani alla ricerca scientifica e alla professione, la vogliono anche gli insegnanti di sinistra che non hanno nulla a che spartire (se non altro per motivi anagrafici), con la demagogia sessantottina. Il numero in aumento dei bocciati alla maturità vuol dire proprio questo, significa che la scuola è ormai avviata a un cambiamento nel segno della qualità, a cui partecipano tutti gli insegnanti. Loro potranno discutere, secondo i diversi orientamenti di pensiero, sul modo di instaurare stabilmente la meritocrazia della scuola, ma non di affossarla.
L’accortezza del ministro dovrà essere perciò quella di inserire lentamente e progressivamente, senza rotture che possano essere recepite come provocazioni da una parte del corpo docente, normative idonee per proseguire sul cammino della serietà negli studi, e darci finalmente una riforma universitaria adeguata al nuovo clima culturale, ricordando che dagli atenei escono i futuri insegnanti insieme alla classe dirigente del Paese. (il Giornale)

lunedì 13 luglio 2009

G8 e club del golf. Davide Giacalone

Basta, ha detto Angela Merkel, vediamoci di meno e lavoriamo di più. Altri, commentando, hanno sostenuto che il G8 è morto. Tutti gli esclusi concordano. Dubito che il dilemma tolga il sonno ai cittadini del mondo, ma per farsi un’idea, sull’utilità di questi vertici, occorre considerarli in una prospettiva più ampia. I singoli problemi che vengono discussi, attorno a quel tavolo, sia quando la composizione è ristretta che quando la si allarga fino ad una quarantina di partecipanti, sono in gran parte predigeriti e le conclusioni fissate in anticipo. Non potrebbe essere diversamente, considerata la quantità e la delicatezza delle questioni affrontate, oltre alla caratura ed al numero di coloro che prendono la parola. Insomma, che ci voglia meno tempo a stabilire come affrontare la crisi economica rispetto a quello necessario per impiantare un’antenna condominiale, suona paradossale anche alle orecchie di chi non fosse aduso alla diplomazia. Gli accordi finali, del resto, risentono delle lunghe e laboriose preparazioni, nel corso delle quali si cerca di far convivere esigenze ed idee opposte. Sul clima, ad esempio, s’è detto che l’accordo ha una portata “storica”. Qualificazione che si presta a considerazioni ironiche: fissato il riferimento climatico base al 1880, si stabilisce che la temperatura non deve artificialmente salire per più di due gradi, ma fin qui sarebbe salita di soli 0,8 gradi, e ciò significa che la si può ancora arroventare per più di quanto fin qui fatto. “Storico”, pertanto, è forse esagerato. Ma è, pur sempre, il migliore accordo possibile, perché i Paesi in via di sviluppo, Cina in testa, se la ridono all’idea che noi si voglia imporre loro quel che nessuno ha imposto a noi nel corso del nostro processo di industrializzazione e gli stessi Stati Uniti, fino a L’Aquila, non volevano sentirne parlare. Ed è sommamente ridicolo che l’Onu protesti, parlando di un presunto fallimento, giacché quando il tema è stato affidato alle cure burocratiche del palazzo di vetro (ben riscaldato d’inverno e ben raffreddato d’estate, a tutto detrimento del clima circostante) non s’è ottenuto neanche questo.
La vera utilità del G8, a ben vedere, risiede nella possibilità di intessere rapporti personali, bi e multilaterali. Il che vale sia per i leaders, che per i rispettivi staff. I più bravi non sono tanto quelli che fanno l’intervento più rotondo e ficcante, visto che la platea non è incline né all’emozione né alla commozione, i più bravi sono quelli che riescono ad aumentare la confidenza personale e la possibilità, fin dal giorno successivo, di alzare il telefono e chiamare per risolvere problemi particolari, di minore portata globale, ma di maggiore interesse nazionale. Da questo punto di vista la prova italiana è migliore che nel passato, anche perché favorita da una sempre più globale e marcata (benché non necessariamente positiva) personalizzazione. Per molti anni la nostra diplomazia governativa è stata incarnata da uomini, pur di grande valore, incapaci di intessere rapporti altro che con i propri elettori. Kissinger scrisse chiaramente che Aldo Moro non riusciva neanche a capirlo, e la responsabilità non era dell’interprete. Oggi è molto cambiata l’idea stessa della politica e delle relazioni internazionali. Quel che sembrò straordinario nell’intesa umana, creata durante una passeggiata, lontano dalle spie, fra Reagan e Gorbaciov, è, oggi, la norma. Il che, naturalmente, non cancella affatto il ruvido confronto fra interessi ed idee diverse, ma consente di valorizzare più velocemente i punti di contatto. Si potrebbe dire, con tutto il rispetto, che il G8 sta alla politica internazionale come il club del golf sta al mondo degli affari: sono noiose le mazze, le buche e le palline, ma la sera, davanti al caminetto, con un bicchiere in mano, il fatturato può crescere assai più che grazie ai pagati e talora inutili consulenti. Il G8 de L’Aquila è riuscito bene per quel che doveva e poteva (con la dolorosa eccezione del capitolo iraniano). La consuetudine non è morta affatto, ma per continuare ad essere utile ha bisogno di allargarsi.

giovedì 9 luglio 2009

Si pubblichino le foto della ressa dei giornalisti per i gadget... Il Velino OreSedici

Ci permettiamo di avanzare una piccola richiesta: chi le ha, renda disponibili e consenta di pubblicare le foto di un episodio eloquente, avvenuto ieri a L’Aquila, e - ovviamente - quasi silenziato dalla stampa “mainstream”.

Dunque, pare che, nell’apposito gazebo, si sia verificata una specie di rissa e di ressa tra i giornalisti accalcati per accaparrarsi i gadget del G8. È servito l’intervento della Guardia di Finanza, raccontano alcuni testimoni, per riportare tutti alla calma.

Una storia minore e di colore, si dirà. Vero: ma istruttiva e da tenere a mente per il futuro.

Psicopatologia del no global per mestiere. Michele Brambilla

C’è da chiedersi perché continuiamo a interpellare politologi e sociologi per cercare di «comprendere le ragioni» dei contestatori in servizio effettivo e permanente, quando sarebbe più adatto un buon psicologo, o meglio ancora un buon psichiatra.
Costoro, i professionisti della protesta, scendono in campo ad ogni G8, e c’è da capirli: i G8 sono le loro Olimpiadi. Ma sottotraccia sono sempre presenti: per denunciare chiunque detenga un potere (cattivo per definizione); per gridare che la democrazia è in pericolo; per sottolineare lo squilibrio fra ricchi e poveri; per esecrare un terremoto; per stigmatizzare un’alluvione. Per loro c’è sempre «un colpevole» in tutto, dalle crisi alle calamità naturali ai loro insuccessi privati.
La psicopatologia del contestatore può essere analizzata passando attraverso alcune chiavi di lettura. La prima è quella del linguaggio.
Il contestatore non pensa prima di parlare: va in automatico. Ripete slogan e frasi fatte che si possono rimescolare come il cubo di Rubik ottenendo sempre il risultato di non ottenere alcun risultato. Per esempio a questo G8 il «manifesto della protesta» annuncia «una dinamica di blocco della circolazione e della mobilità che, combinando pratiche creative e intelligentemente radicali, rivolga la nostra degna rabbia a ostacolare la funzionalità della celebrazione dei potenti della Terra e della loro bancarotta». Sembra un monologo di Verdone e invece è pubblicata sul sito di Indymedia. Ad Ancona, per dire, hanno spiegato che ci sarà «una giornata senza frontiere per liberare il porto dalle barriere e dalle gabbie dove si infrangono quei desideri di libertà e dignità che vengono dal mare». La parola d’ordine per tutti è «essere imprevedibili per vincere la repressione». Cioè, un sacco impegnati, questi ragazzi.
Secondo indizio che suggeriamo allo psichiatra che avrà la bontà di esaminare il caso: l’essere sempre «contro» senza mai proporre soluzioni ai problemi che denunciano. Al Forum dell’altro ieri, per esempio, c’erano quelli «contro» la discarica di Chiaiano, quelli «contro» l’allargamento della base Dal Molin, quelli «contro» la Tav, e tutti naturalmente «contro» il G8, che è «illegittimo, l’espressione politica dello sfruttamento e del profitto». Sono «contro» anche l’immancabile «globalizzazione», un termine che ormai non si capisce più che cosa voglia dire, e infatti debbono averlo intuito perfino loro, visto che Luca Casarini, ex portavoce del «movimento» (altro termine frusto) ha detto ieri che non si riconosce più nel termine «no global» ma nella dicitura «un altro mondo è possibile». Quale mondo? Boh. Casarini cerca di articolare una piattaforma: «Le richieste sono le stesse: democrazia, partecipazione, consenso dal basso». Di nuovo boh. Qual è l’idea di modifica dell’attuale democrazia? Proposte zero. Almeno le Brigate rosse una visione della società l’avevano.
Terzo sintomo psichiatrico: la voglia di menare le mani. Sul web corre il tam tam della guerriglia urbana, si informa «sulle cariche e la caccia all’uomo degli sbirri», si indicano «gli obiettivi sensibili». Su Ticker, un rullo di notizie aperto da Indymedia, si forniscono informazioni dettagliate: «Blindati circondano la stazione Termini, evitare di circolare da soli»; in piazza vengono distribuiti «vademecum anti repressione», consigli su cosa fare «se la polizia ti ferma per strada». Ad esempio, se ti rincorrono «corri e cerca di stare in gruppi di sesso misto». Vengono distribuiti anche numeri di telefono per l’assistenza legale. Che suggerire allo strizzacervelli? Che i casi sono due: o questi poveretti credono di vivere in Iran o nel Xinjiang, oppure stanno solo giocando alla guerra ed è un peccato che scomodino tanta forza pubblica quando potrebbero sfogarsi con un Risiko o una battaglia navale.
Quarto psico-sintomo: la singolare scopiazzatura dall’odiato mondo borghese di ruoli, cariche e gradi da appuntarsi sulla giubba. Ad esempio: ormai basta che cinque universitari si mettano insieme perché all’interno del gruppo venga nominato «un portavoce».Infine il vittimismo: «Abbiamo nemici potenti che ci mettono anche in galera», ha detto Casarini; gli ha fatto eco Lele Rizzo del centro sociale Askatasuna di Torino: «In questi giorni è la galera il modo usato per reprimere il dissenso e intimorire il movimento». Queste frasi forse fanno parte più di quel fingere di essere in guerra. Invece, il pensare che ci sia sempre qualcuno che te l’ha messo in quel posto è probabilmente il vero denominatore comune dei professionisti della protesta. Un vittimismo che ti permette di scaricare sugli altri quel che non sei capace di fare. Se mai un giorno si decidesse ad andare a lavorare, il professionista della protesta diventerà un perfetto «mobbizzato», figura ideata ad hoc dalla nostra società di geni incompresi. Costretto a far le fotocopie dal capufficio fascista, il mobbizzato potrà sempre consolarsi raccontando ai colleghi di quando combatteva il G8. Il suo quarto d’ora di gloria. (il Giornale)

mercoledì 8 luglio 2009

Ora Lerner e D'Alema scoprono Santa Maria Goretti. Camillo Longone

Lasciar stare i santi è una regola che da cattolico praticante e militante non mi sognerei mai di violare. Però sui distributori di santini rivendico il diritto di scherzo. Gad Lerner (su La Repubblica), monsignor Mariano Crociata (dal pulpito) e Massimo D’Alema (ovunque si trovi) fanno a gara per elogiare il modello-Santa Maria Goretti: i politici, secondo loro, dovrebbero imitare la modestia e la castità della dodicenne che nel luglio del 1902 scelse di farsi uccidere anziché stuprare. Credo non sia necessario rammentare la figura di questa ragazzina marchigiana, emigrata con la famiglia nella pianura pontina al tempo ancora malarica. La prima volta che conobbi la sua storia la commozione si mescolò, devo ammetterlo, con la perplessità: sono uomo pratico e a una figlia consiglierei il primum vivere. Ma se la Chiesa l’ha proclamata santa significa che Dio ha apprezzato più di me il suo comportamento, realizzando attraverso di lei vari miracoli. Quindi chino umilmente il capo, senza però smettere di sentirmi più vicino ai campioni del cattolicesimo immoralista, ovvero di una religione non basata sulla morale (una morale sono capaci di inventarsela tutti, anche Eugenio Scalfari), ma su Cristo: Sant’Agostino che scrisse «Ama, e fa’ ciò che vuoi» e San Filippo Neri la cui tipica, simpatica esortazione era «State buoni se potete». E non vorrei tirare in ballo la prima meravigliosa enciclica di Papa Benedetto XVI, la Deus caritas est in cui è stampato qualcosa di inaudito, qualcosa che ribadisce la Chiesa come l’unica istituzione erotofila che ci sia: l’eros non è mai totalmente disgiunto dall’agape, scrive Ratzinger; anche in ciò che viene definito volgarmente sesso può nascondersi, si nasconde, il segreto dell’amore. Che Lerner e D’Alema non siano ferratissimi in encicliche è comprensibile, giustificabile, più grave che a contraddire il Santo Padre sia monsignor Crociata, segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana. Comunque nulla di sorprendente: Crociata è un sacerdote cattolico che si veste da pastore protestante e parla come un puritano, proprio come se appartenesse a quella setta eretica, di stampo calvinista, con cui da tempo si denominano i braghettoni e i beghini, gli ossessionati dai cosiddetti peccati della carne. All’apice della loro parabola, nell’Inghilterra del XVII secolo, i puritani riuscirono a imporre la chiusura dei teatri e dei locali di divertimento, come forse vorrebbe fare monsignor Crociata per contrastare il da lui deprecato «libertinaggio». Ma il prelato trapanese (esperto di dialogo con l’islam, inesperto di dialogo coi cattolici) conosce il significato della parola? Dai resoconti dell’omelia pronunciata nella casa di Santa Maria Goretti, a Borgo Le Ferriere (Latina), non si direbbe. Del resto è normale, non credo che De Sade sia molto presente nelle biblioteche dei seminari. Io invece l’ho cominciato a leggere da ragazzino alla biblioteca comunale di Reggio Emilia, magari ne so qualcosa in più. Il libertino non va confuso col donnaiolo, il libertino può essere etero, omo o anche asessuato, il libertino può essere un sadico o un masochista o un marito fedele alla moglie essendo il libertinismo innanzitutto mentale. I libertini sono all’origine filosofi o parafilosofi francesi vissuti fra Sei e Settecento secondo i quali, tenetevi forte: 1) Dio non esiste; 2) le religioni sono superstizioni; 3) l’uomo è un animale, nient’altro che un animale. Chi frequenta la storia delle idee e non parla per sentito dire riconosce come eredi dei libertini Corrado Augias e Piero Angela e Aldo Busi e Michel Onfray e Piergiorgio Odifreddi e Margherita Hack e Stefano Rodotà, non certo, tanto per essere chiari, Silvio Berlusconi. Nel lungo e tristo elenco non ho volutamente inserito Lerner né D’Alema di cui non ho ben chiaro il presente status (non ho capito quanto e se ancora pratichino le religioni d’origine, l’ebraismo per il primo, il comunismo per il secondo). So soltanto che sono due acerrimi anticristiani, gorettini solo all’occorrenza, per orrendo machiavellismo: D’Alema complotta sotto i baffi mentre Lerner imputa a Berlusconi addirittura dei «festini», con un linguaggio da questura anni ’50. Sono nella realtà scagliatori di prime pietre, e di seconde, e di terze... Specialisti di caccia al capro espiatorio, l’unico rito che conoscono bene è quello del linciaggio. (il Giornale)

La vera immagine di un Paese. Sergio Romano

Nelle battaglie italiane anche la politica estera finisce spesso, malauguratamente, nell’arena dove il governo e l’opposizione, per la maggiore gioia dei loro tifosi, preferiscono lanciarsi accuse reciproche piuttosto che accordarsi su linee comuni. Non vorrei che accadesse anche in occasione del G8 dell’Aquila dove i giudici di gara e i segnalinee non sono italiani e potrebbero avere interesse, soprattutto in questo momento, a fischiare i nostri falli. Questa è l’occasione in cui gli italiani hanno interesse a ricordare che nei grandi incontri internazionali il governo, al di là di polemiche e vicende personali, piaccia o no, rappresenta l’intero Paese. Se ne esce a testa alta è una vittoria per tutti, se ne esce male siamo tutti sconfitti.

Non credo d’altro canto che l’Italia, in questo momento, debba vergognarsi della sua politica internazionale. Abbiamo alcune debolezze che sono il risultato di vecchi errori e di obiettive condizioni di bilancio. Spendiamo poco per le forze armate. Non siamo riusciti a mantenere gli impegni assunti verso i Paesi in via di sviluppo. Siamo più bravi a declamare i protocolli di Kyoto che a rispettarne gli obblighi. Ma abbiamo sempre avuto, anche quando l’espressione non esisteva, un certo soft power che giova al nostro ruolo internazionale. Nelle zone di crisi dell’ultimo decennio, dalla Jugoslavia all’Afghanistan, siamo stati presenti con uomini e donne che hanno fatto scrupolosamente il loro dovere e creato sentimenti di simpatia per il loro Paese.

In Libano, durante la guerra del 2006, il governo è riuscito a creare una forza internazionale che ha giovato, se giudichiamo dal risultato delle ultime elezioni, alla stabilità della regione. E’ facile ironizzare sull’Italia che gioca contemporaneamente su molti tavoli e riesce a essere amica di tutti. Ma chiunque abbia occasione di andare in giro per il Mediterraneo e il Medio Oriente si accorge che abbiamo un credito e una simpatia che possono servire sia all’Unione mediterranea di Nicolas Sarkozy, sia alla nuova politica di Barack Obama verso l’Islam. Gli accordi con la Libia, anche se momentaneamente appannati dallo stile operettistico di Gheddafi, sono utili per tutti, non soltanto per noi.

Chi scrive ha molti dubbi sulla utilità della personalizzazione delle relazioni internazionali, ma deve riconoscere che i rapporti di Berlusconi con Putin e con Erdogan, negli anni in cui George W. Bush era poco amato in Russia e in Turchia, sono serviti a tenere aperti i canali di comunicazione e a raffreddare alcuni momenti di tensione. Vi è poi un’altra carta che l’Italia può giocare sul tavolo della politica internazionale. Abbiamo un alto debito pubblico e facciamo fatica ad adottare le riforme di cui abbiamo bisogno. Ma nei momenti più gravi della crisi del credito abbiamo dimostrato di avere una società parsimoniosa e flessibile, un decoroso sistema bancario e un buon senso finanziario di cui altri Paesi sono stati privi.

Dopo una fase, nella prima metà del decennio, in cui il governo sembrava voltare le spalle all’Europa, siamo stati più europeisti di alcuni nostri partner. Al vertice dell’Aquila l’Italia e la Germania portano idee che meritano di essere ascoltate e discusse. Non sono sicuro che il G8 sia l’organizzazione più adatta ad affrontare i problemi dei prossimi anni. Ma se mi guardo attorno e confronto la politica italiana con quella di altri Paesi, non credo che siano soltanto sette quelli che hanno il diritto di farne parte. (Corriere della Sera)

giovedì 2 luglio 2009

Seguendo la stampa. l'Occidentale

“Intrattenere rapporti amichevoli e conviviali con i magistrati” Dice Concita De Gregorio sull’Unità (2 luglio) Niente signorine, niente magistrati, al povero Berlusconi sarà concesso di andare a cena solo con Bondi e Cicchito?

“Bersani vuole essere e sarà l’uomo della rassicurazione” Dice un corsivo di Europa (2 luglio) La famosa rassicurazione Runipol?

“Debora Serracchiani, una quarantenne che si presenta come giovane” Dice Peppino Caldarola sul Riformista (2 luglio) Bè, c’è stata anche la D’Addario, minorenne di 42 anni

“Ho in mente un partito dove c’è rispetto per la generazione precedente e quelli che vengono prima considerano loro compito aprire la strada alle nuove generazioni sostenendola e accompagnandola” Dice Pierluigi Bersani alla Repubblica (2 luglio) Max, quello che viene prima, non solo sostiene e accompagna Pierluigi, gli toglie anche la saliva dal bavaglino

“Per me la procura di Bari è un punto di riferimento” Dice Nichi Vendola alla Repubblica (2 luglio) Finita la gloriosa Unione sovietica, con la Cgil conciata com’è conciata, uno si accontenta di quello che passa il convento: persino della procura di Bari

mercoledì 1 luglio 2009

Più sicurezza (invece della rissa). Mario Giordano

Tregua o non tregua, nel nostro Paese c’è sempre voglia di far gazzarra. E non bastano le immagini rose dal dolore, non bastano le fiamme che sventrano le case, e quelle storie di bambini sorpresi e inceneriti mentre si trasferivano dal letto alla speranza, non basta niente di tutto ciò per dare a quest’Italia l’aspetto normale, per lo meno nei momenti eccezionali. Non ce la facciamo, è più forte di noi. Abbiamo scatenato una rissa persino attorno alle bare del terremoto, figurarsi se potevamo esimerci in Versilia: e infatti, appena si sono sparsi i carichi di Gpl, qualcuno ha pensato bene di accendere la miccia. Spenti i fuochi della tragedia, si sono accesi quelli della polemica.
Quello che impressiona non è tanto la mini-contestazione dal solito manipolo di fischiatori in servizio permanente effettivo al presidente Berlusconi, quanto piuttosto le reazioni sindacali: la tragedia era ancora ustionante, le fiamme non erano ancora spente, e già il segretario della Cgil Epifani attaccava le Ferrovie per «l’uso di materiali troppo vecchi». Meraviglioso, no? Peccato che i materiali non fossero delle Ferrovie, ma di una società privata, la Gatx Rail Austria, impresa americana con sede a Vienna e ammessa a circolare dall’agenzia per la sicurezza ferroviaria tedesca. Austria, Stati Uniti, Germania: le Fs che c’entrano con quei materiali? Nulla. Epifani non era tenuto a saperlo, certo. Ma, non sapendo, non era meglio tacere?
Il fatto è che in Italia nessuno pensa di tacere quando c’è possibilità di far gazzarra. Nessuno pensa ad evitare la rissa, nemmeno di fronte ai lutti, ai feriti, agli sfollati, a quelle bende che non riescono a coprire corpi ustionati dalle fiamme e dalla paura. E così finisce che ogni volta si leva un grande fumo, che copre tutto, e soprattutto copre i problemi veri. Quello che ieri abbiamo scoperto, in realtà, è che si può morire in casa o mentre si passeggia, al ritorno dal mare, solo perché un treno esplode. E abbiamo scoperto che il treno esplode non per colpa di un macchinista stanco o di un binario curato male, ma per colpa di convogli che arrivano dall’estero. Che sono pericolosi. E per i quali, per il momento, non è previsto nessun respingimento e nessun decreto d’espulsione.
Proviamo a dirlo ancor più chiaramente: il problema, a quanto pare, sono le norme europee. Da quando l’Ue si è allargata sono stati abbassati i parametri di sicurezza. E così nel nostro Paese entrano convogli, come quello esploso ieri, che rispettano perfettamente tutti i parametri, superano tutti i controlli, ma sono pericolosi. Bisogna intervenire? Sicuro: bisogna intervenire subito. Bisogna verificare lo stato di sicurezza dei nostri treni? Sicuro, bisogna verificarlo. E bisogna capire se le norme europee non si possano per caso inasprire e se, magari, qualcuno non le rispetta. Come vedete, ci sono molte cose che bisognerebbe fare subito. Molte cose, tranne una: la gazzarra. E invece noi cominciamo sempre da qui. Quando è arrivato Berlusconi, a causa del gruppuscolo di facinorosi, la piazza si è divisa: da una parte i contestatori, dall’altra i sostenitori. Ma vi pare possibile? Che cos’è? Milan-Inter davanti alle bare? Il derby del cattivo gusto? È possibile che l’odio non possa rispettare nemmeno un minuto di silenzio per lutto? Si può essere anti-berlusconiani fino al midollo, ma se il presidente del Consiglio accorre sul luogo della tragedia rappresenta tutta l’Italia, tutti gli italiani. Nessun americano, nemmeno il più feroce anti-bushiano, avrebbe osato fischiare il Capo dello Stato a Ground Zero. Da noi invece qualche stupido lo si trova sempre. Il sito on line di Repubblica ne enfatizza subito le gesta. E il segretario di Rifondazione comunista, Paolo Ferrero, fa un lancio di agenzia per dire «grazie ai cittadini per la contestazione» (dando così involontariamente una dimostrazione pratica del perché il suo partito è di fatto estinto: atrofizzazione della materia grigia).
Che ci volete fare? Negli altri Paesi le tragedie fanno venire fuori i sentimenti patriottici, da noi fanno venire fuori i cretini. Annozero si gode il meritato riposo estivo, Santoro è in vacanza e non può esibirsi a suon di Vauro&Travaglio. Ma c’è chi lo sostituisce degnamente. Il Codacons, per esempio, chiede addirittura di sospendere la licenza alle Fs (sì, e poi? Il patibolo per i dirigenti?), Adusbef e Federconsumatori tirano in ballo i treni pendolari, che non c’entrano nulla, i sindacati ne approfittano per accendere la polemica sull’Alta Velocità (in virtù della quale sarebbe stato trascurato, chissà perché, il trasporto merci). Spuntano fuori persino personaggi da museo della ribellione ferroviaria, come Enzo Gallori, che se la piglia con l’introduzione del macchinista unico. Come se uno, due o dieci macchinisti potessero cambiare qualcosa quando si rompe una cisterna...
Alla fine di una giornata così, in cui si passa dai vigili del fuoco che spengono le fiamme agli incendiari che fanno di tutto per riaccenderle, vi confesso che cascano un po’ le braccia. Che sia importante parlare di sicurezza lo pensiamo a tal punto che ci abbiamo dedicato, come avete visto, l’apertura del nostro quotidiano. Ma ci piacerebbe che parlare di sicurezza, per una volta, non fosse soltanto l’occasione per sollevare polveroni, che servono solo a difendere non l’incolumità di chi viaggia in treno, ma gli interessi di bottega, piccole o grandi rivendicazioni politiche e sindacali. Ci piacerebbe, ma abbiamo l’impressione che anche questa volta non sarà così. È cominciata male, con Epifani che parla di quello che non sa, e tutti che cercano di trarre un piccolo vantaggio a spese di quei morti, e i sindacati che proclamano un’ora di sciopero (ma sicuro: che si fa per la sicurezza? Un’ora di sciopero...). È cominciata male con una manciata di fischi attorno alle bare e un leader della sinistra che ne gioisce. Ci manca solo la battuta infelice del leggenDario Franceschini, ma non temete: siamo sicuri che arriverà presto. Giusto il tempo di leggere su Repubblica quello che deve pensare... (il Giornale)