Punto primo: non è vero, come lamenta De Benedetti
assieme ai suoi megafoni, che la Mondadori gli fu portata via corrompendo un
giudice. La sentenza della Corte d’Appello di Roma che annullava il Lodo fu
emessa da un collegio di tre giudici. Uno di loro venne successivamente
ritenuto colpevole di corruzione, al termine di un procedimento molto
controverso che vide anche due assoluzioni. Gli altri due giudici, mai sfiorati
dal sospetto, interrogati hanno ribadito più volte di aver studiato l’intera
causa e di aver totalmente condiviso il
verdetto, in piena consapevolezza. Quella della Corte romana era quindi una
sentenza non inquinata e assolutamente giusta, conforme al diritto. Per il
verdetto, peraltro, la Cir rinunciò al ricorso in Cassazione e non chiese
successivamente la revocazione, che era l’unica strada per un eventuale
annullamento.
Punto secondo: dalla spartizione della Mondadori De
Benedetti non subì affatto, come lui continua a sostenere, un “danno
drammatico”. Ottenne invece solo benefici. Basta andare a rivedersi le sue
dichiarazioni dell’epoca, estremamente soddisfatte. La spartizione venne
infatti imposta dalla politica alla Fininvest, che dovette rinunciare alla
Grande Mondadori, mentre De Benedetti ebbe una parte molto rilevante
dell’azienda, sia sotto il profilo economico che del peso politico: la
Repubblica, l’Espresso e i quotidiani locali della Finegil.
Punto terzo: siamo stati condannati in primo e
secondo grado dalla magistratura milanese, e sottolineo milanese, con due
sentenze molto più che ingiuste e assurde. Due sentenze in totale
contraddizione tra loro, perché il giudizio d’appello ribalta completamente il
verdetto di primo grado, ma sfidando ogni logica riesce ad arrivare alle
medesime conclusioni: imporci quello che rappresenta un autentico esproprio
giudiziario, per una somma, 564 milioni
di euro, macroscopicamente inaccettabile. Basti pensare che è pari a cinque
volte il valore azionario della quota Fininvest nella Mondadori. E, pur in
assenza di una sentenza definitiva, di questa somma da ormai due anni non
possiamo disporre: non è difficile comprendere quale danno, questo sì evidente
e concreto, tutto ciò abbia rappresentato e rappresenti per le nostre aziende,
a maggior ragione in un contesto economico complesso come l’attuale. Appaiono
grotteschi, se non in malafede, quanti fanno notare la riduzione dell’entità
della condanna in appello. In realtà neppure un euro da parte nostra era ed è dovuto,
perché per la Cir non ci fu alcun danno.
Punto quarto: non occorrono tante parole per sottolineare l’inquietante anomalia rappresentata dal fatto che proprio la magistratura milanese ci abbia condannato a finanziare il gruppo De Benedetti, cioè il gruppo che si è dato un’unica missione: quella di cancellare mio padre dalla scena politica.
Chi esamini i fatti con imparzialità, non può non
rilevare quanto grave e inaccettabile sia l’ingiustizia subita dalla Fininvest.
Attendiamo la sentenza di Cassazione con la fiducia di chi sa di essere totalmente
dalla parte della ragione e di averlo dimostrato in modo incontrovertibile.
Attendiamo la sentenza per capire se esiste ancora una Giustizia degna di
questo nome in questo Paese.
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