domenica 11 novembre 2012

La legge elettorale, in soldoni. Gianni Pardo

  

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Nessuna legge elettorale è perfetta. La governabilità e la rappresentatività, ambedue necessarie, sono infatti inversamente proporzionali fra loro e ogni partito giudica il compromesso secondo che esso gli convenga o no.
Attualmente per convenzione bisogna dire peste e corna del “Porcellum”. Lo si accusa perfino di provocare l’ingovernabilità mentre questo al massimo può avvenire perché il sistema non è applicato al Senato come alla Camera. Qui la coalizione di Prodi, pur essendo prevalsa per sei decimillesimi dei voti, non ebbe infatti nessun problema: aveva il 55% dei seggi.

Oggi al “Porcellum” si rimproverano quattro cose: (1) la soglia di sbarramento al 4%, (2) la mancanza delle preferenze, (3) il premio di maggioranza e (4) la mancanza di un livello minimo di voti per beneficiarne.

La soglia di sbarramento non è molto discussa. Serve infatti ad evitare il possibile ingresso in Parlamento di formazioni lillipuziane tuttavia capaci, all’occasione, di esercitare ricatti.

L’eliminazione delle preferenze fu voluta, a suo tempo, per evitare l’imperversare del voto di scambio e per non sottoporre i candidati a grandi spese per farsi pubblicità. Se si vuole tornare alle preferenze, che lo si faccia: ricordando però che anche in questo caso i nomi nelle liste sono stabilite dai partiti, non dagli elettori.

Il premio di maggioranza è graditissimo alle grandi formazioni, che sperano di beneficiarne, e sgraditissimo ai piccoli partiti, che da esso sono resi irrilevanti. Naturalmente i più ostili sono quelli che ancora non sanno se faranno parte di una coalizione o se dovranno correre da soli: Udc, Lega e Idv. Dunque si pensava che si volesse riformare il “Porcellum” in modo da dar voce ai piccoli, tornando al proporzionale. E infatti se ne è parlato a lungo. Il buon senso però avvertiva che probabilmente la legge non sarebbe stata affatto cambiata: la rinunzia al premio di maggioranza non era infatti nell’interesse dei due grandi partiti.

Viceversa, il crescente successo del partito di Beppe Grillo ha cambiato lo scenario. Tutti si sono preoccupati e si sono messi a riflettere sul quarto elemento, cioè la mancanza di un livello minimo di voti per beneficiare del premio. Prima era certo che o avrebbe vinto il Pdl, con i suoi alleati, o avrebbe vinto il Pd, con i suoi alleati: e poiché essi vantavano percentuali intorno al trenta per cento o più, tutto sembrava accettabile. Oggi invece da un lato il Pdl sembra in gravi difficoltà (è sotto il 20% e la Lega è andata per conto suo), dall’altro lo stesso Pd, temendo il vento della protesta, paventa che, per un’imprevedibile manifestazione di malumore dell’elettorato, tutti i partiti abbiano percentuali basse. Potrebbe avvenire che il partito di Grillo, avendo per ipotesi il 22% dei voti, benefici di quell’enorme premio di maggioranza perché il Pd è arrivato solo al 21%. Grillo potrebbe avere il 55% dei seggi alla Camera solo per avere ottenuto il 22% nelle urne. Assurdo.

E allora, per non dire che aboliscono il premio di maggioranza, Pdl, Lega e Udc hanno proposto una soglia minima di voti, per beneficiarne. Solo che la soglia “minima” invece è “stratosferica”, addirittura il 42,5%: in modo che nessuno la possa raggiungere. L’intento è trasparente: meglio la proporzionale che un governo dominato dai dilettanti qualunquisti della politica.

Naturalmente ciò danneggia i partiti che sembrano destinati a vincere le elezioni. Grillo infatti ha parlato, nientemeno, di colpo di Stato. Dal Pd ci si aspettava che “insorgesse”, che negasse il proprio voto, che almeno si opponesse seriamente. Invece, dopo avere affermato che la soglia del 42,5% era demenziale, ora sembra disposto ad accettare uno sbarramento al 40%. La zuppa no, il pan bagnato sì.

Vedremo come andranno le cose. Attualmente sembra che i partiti si metteranno d’accordo per una soglia alta e di fatto si tornerà al proporzionale. Il Pd e il Pdl, a costo di tenersi Monti e a costo di allearsi di nuovo fra loro, sono risoluti a non permettere che la cosa pubblica vada in mani peggio che inesperte. Un Masaniello deve vendere pesce, non sedere a Palazzo Chigi.

Si ha quasi l’impressione – falsa, naturalmente – che per una volta essi siano preoccupati, oltre che per sé, anche per l’Italia. (il Legno storto)

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