martedì 29 dicembre 2015

Il fumo e l'arrosto: Davide Giacalone



Oltre al fumo potrebbe esserci l’arrosto, se solo il problema dell’inquinamento cittadino fosse affrontato puntando alle soluzioni, anziché alle polemiche. Bloccare il traffico, ridurlo coartando la libertà di movimento nella riffa illogica del pari e dispari e delle fasce orarie, serve solo ad una cosa: evitare che al sindaco possano essere mosse accuse per omissioni d’atti d’ufficio. Per il resto è tempo e denaro perso. Il traffico cittadino, del resto, non crea solo inquinamento atmosferico, ma caos e lentezze che andrebbero comunque eliminati. Solo che si dovrebbe farlo offrendomi delle alternative, non proibendomi di usare quel che è mio e ho comprato in un regolare negozio. Discorso lungo, quello del trasporto collettivo, che da noi è anche lento perché ci si ostina a credere che il solo modo economico ed equo per gestirlo sia tenerlo nelle mani delle municipalizzate, quindi di personale politicizzato, così conquistando diseconomie e iniquità.
L’inquinamento, però, può essere affrontato anche dal lato della ripulitura e della prevenzione. Scoprendo che si tratta di un affare, non di una sciagura. Noi italiani, ad esempio, abbiamo brevetti importanti nel campo delle vernici che mangiano l’inquinamento. E’ una tecnologia che funziona in modo simile alla fotosintesi delle piante: utilizza l’energia della luce per produrre una ionizzazione dell’area vicina alla superfice trattata, rendendo possibile la trasformazione degli inquinanti pericolosi, tra cui l’azoto, in sali minerali idrosolubili. Innocui. Se usassimo queste vernici per tinteggiare il 20% delle facciate degli immobili saremmo in grado di assorbire l’inquinamento prodotto dalle vetture in circolazione. Il che, almeno, toglierebbe l’alibi dei blocchi per far finta di far qualche cosa.
Anche in questo settore valgono le caratteristiche così marcate del nostro mercato produttivo: tanta ricerca fatta in fabbrica, tanta inventiva, poco capitale, dimensioni ridotte. Ricordo di avere visto una di queste ditte, la Airlite, in una trasmissione televisiva a concorso, alla ricerca di investitori. Le banche sono occupate a prestare capitali con diversi criteri. Pur in queste condizioni riusciamo a esportare (altra caratteristica del nostro mercato, sbandierata come un merito da chi non ha alcun merito). Se, anziché dare mance e bonus a cappero, usassimo quei soldi per farne investimenti, correremmo il serio rischio di vedere salire il pil, aumentare l’occupazione e diminuire l’inquinamento.
Se, anziché far entrare la manona statale in casa, con la pretesa di girare il termostato (a proposito, frequento stanze ministeriali dove è saggio portarsi dietro un golf d’estate e i bermuda d’inverno), si lavorasse alla coibentazione e alla sostituzione degli infissi spifferanti, otterremmo risparmio energetico e minore inquinamento.
In tutti i casi simili, ed è la cosa più importante, riusciremmo a usare l’edilizia, che assorbe molta manodopera, nuovamente come volano di sviluppo. Non più moltiplicando le cubature, ma riqualificando il patrimonio immobiliare esistente. Considerato che il fisco ha lungamente provveduto a eroderlo, sarebbe un ottimo servizio a una ricchezza che, ricordiamolo, tiene ancora in equilibrio il nostro patologico debito pubblico. Inoltre, così procedendo, si farebbe dell’Italia un meraviglioso laboratorio a cielo aperto, dove le bellezze che ci invidiano, risalenti non solo all’impero romano, ma anche a molta edilizia pre-palazzinara, si unirebbe alla tecnologia della salvaguardia ambientale. Una specie di show-room aperto al mondo, in cui esporre quel che può essere venduto e riprodotto.
Invece diamo gli incentivi per mettere sul tetto i pannelli solari fatti dai cinesi, per produzioni energetiche così poco convenienti da dovere essere sussidiate, naturalmente a carico di quelli che poi puniamo perché accendono il condizionatore. Se anziché le targhe si varassero le bischerate alterne, almeno una su due si potrebbe indovinarla.

Pubblicato da Libero



lunedì 14 dicembre 2015

Il salvabanche è lo specchio dell'incapacità del governo. Renato Brunetta

La politica economica di Renzi è fallimentare. L'esecutivo si è svegliato troppo tardi portando in sofferenza il sistema bancario. E si rischia l'effetto panico agli sportelli



Di tegola in tegola, di banca in banca. Lo stesso sistema mediatico e di potere che ha portato Matteo Renzi a palazzo Chigi dopo meno di due anni già lo sta affossando. La sua stella si sta offuscando prima del previsto. Ormai tutto quello che fa suona finto, falso, strumentale. Fuori dalla realtà. Ormai la sua narrazione viene da tutti percepita come insopportabile, lugubre propaganda. La gente adesso gli chiede il conto, e non sopporta più di essere presa in giro.
Nella incredibile vicenda delle quattro banche fallite e malamente «salvate», su una sola cosa Renzi ha ragione (anche se nessuno ormai gli crede): bisogna fare chiarezza. Ma questa richiesta di chiarezza l'ha fatta prima, con uno scatto d'orgoglio, il Parlamento, proponendo l'istituzione di una Commissione di inchiesta non solo sul sistema bancario italiano, ma anche e soprattutto sul sistema che vigila su di esso.L'obiettivo è fare chiarezza su chi ha sbagliato: 1) nelle quattro banche coinvolte, vale a dire amministratori e responsabili di vari livelli, che hanno venduto titoli inadeguati; 2) in Banca d'Italia, che è la responsabile della vigilanza sull'operato degli istituti che hanno emesso i titoli ora diventati carta straccia; 3) in Consob, che è responsabile della correttezza dei prospetti informativi dei prodotti finanziari offerti ai risparmiatori; 4) nel governo, alla luce degli interessi e dei conflitti di interesse in esso presenti. Così facendo Renzi scoprirà davvero la verità, e cioè che gli errori di politica economica che hanno portato il sistema bancario italiano, una volta solido, alla condizione in cui versa oggi vengono da lontano. Dal governo Monti e dall'aver accettato l'egemonia tedesca nella soluzione della crisi del debito in Europa e la demenziale strategia del sangue, sudore e lacrime che ne è derivata. Aver subito passivamente l'imbroglio dello spread con conseguente colpo di Stato contro un governo legittimo, democraticamente eletto, ha distrutto in un colpo solo non soltanto il sistema delle imprese italiane, ma conseguentemente anche il sistema bancario.Vediamo, allora, com'è andata, dalla A alla Z. Dallo scoppio dei mutui subprime negli Stati Uniti, che ha portato al fallimento di Lehman Brothers il 15 settembre 2008, al fallimento e relativo salvataggio (?) delle quattro banche italiane. A. Il 3 ottobre 2008, sotto la presidenza di George Bush e su iniziativa dell'allora segretario al Tesoro americano, Henry Paulson, gli Stati Uniti approvano il troubled assets relief program (Tarp), che contiene lo stanziamento di 700 miliardi di dollari volti a depurare i bilanci delle banche statunitensi dai titoli cosiddetti «tossici». B. Mercoledì 8 ottobre 2008, l'allora governo Berlusconi vara l'istituzione di un Fondo di 20 miliardi di euro finalizzati alla ricapitalizzazione delle banche italiane, qualora ve ne fosse stato bisogno. Fondo mai utilizzato: è bastata l'approvazione in Consiglio dei ministri per tranquillizzare gli italiani ed evitare la corsa agli sportelli. C. Il provvedimento italiano viene tanto apprezzato che due giorni dopo il governo di Gordon Brown vara un atto simile per le banche inglesi, per un importo pari a 50 miliardi di sterline, poi elevato a 100 miliardi. D. Nei giorni che seguono, anche il governo americano, il cui primo intervento per salvare i propri istituti di credito non aveva ben funzionato, rielabora il troubled assets relief program alla luce di quanto fatto in Italia e in Inghilterra. A conferma dell'efficacia del provvedimento. Fino a quel momento, il sistema bancario italiano, come detto da tanti e in svariate occasioni, era ancora solido. E. Per tutto il 2009 e il 2010 gli indicatori macroeconomici del nostro paese erano ancora positivi. F. Arriva il 2011, quella maledetta estate e quel maledetto autunno in cui caschiamo tutti nel grande imbroglio dello spread. In quei mesi la speculazione finanziaria prende di mira i debiti sovrani degli Stati dell'area euro considerati più fragili, inclusa l'Italia. Inizia un periodo di grande tensione sui mercati che si traduce, a partire dal 2012, in una profonda recessione economica, aggravata dalle misure varate in quei mesi, a partire dal decreto cosiddetto «Salva Italia» del 6 dicembre 2011, dal governo Monti. La crisi attuale deriva dalle misure di politica economica sbagliate adottate con il governo Monti. G. Per far fronte a questa condizione di grave difficoltà per le banche, gli istituti hanno chiesto ai propri azionisti di procedere a grossi aumenti di capitale. Non tutte ce l'hanno fatta, ed è da lì che deriva il fallimento delle quattro banche. Qui comincia la seconda parte della storia. H. Tutto nasce dalla necessità di offrire tutela al cosiddetto «risparmiatore inconsapevole», vale a dire colui che non ha facile accesso alle informazioni necessarie per valutare lo stato di salute dei soggetti cui affida il proprio risparmio. Quello citato/accusato dal ministro Padoan nella sua scandalosa, ridicola, inutile audizione in Commissione Bilancio della Camera deideputati di venerdì 11 dicembre 2015. A tal fine, nel 1987 viene costituito il «Fondo interbancario di tutela dei depositi» (Fitd), che garantisce conti correnti e depositi fino a 100.000 euro. Nota bene: il Fondo non garantisce le obbligazioni, le azioni e i titoli di Stato. Il Fondo interviene nei casi di banche in liquidazione coatta amministrativa o di amministrazione straordinaria, e gli interventi sono subordinati all'autorizzazione della Banca d'Italia. I. Con il decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180 è stata data attuazione alla direttiva 2014/59/UE (cosiddetta Brrd, Bank recovery and resolution directive). La direttiva introduce nuovi strumenti di gestione delle crisi bancarie finalizzati ad evitare che il salvataggio di banche in crisi avvenga a carico della finanza pubblica (cosiddetto bail-out), bensì anticipando nella fase fisiologica dell'attività bancaria la gestione dell'eventuale emergenza (cosiddetto bail-in). L. Stando alla lettera del decreto, la Banca d'Italia può sottoporre a procedura di risoluzione le banche che versino in una condizione di dissesto o prossima al dissesto, avendo verificato che non sussistano alternative di mercato che consentano la soluzione della crisi. M. Pertanto, in data 21 novembre 2015, la Banca d'Italia ha avviato le procedure di risoluzione, ai sensi del decreto, nei confronti di 4 banche italiane in amministrazione straordinaria: Cassa di risparmio di Ferrara Spa; Banca delle Marche Spa; Banca popolare dell'Etruria e del Lazio - Società cooperativa; Cassa di risparmio della Provincia di Chieti Spa. N. I provvedimenti di avvio della risoluzione sono stati approvati dalministro dell'Economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan, in data 22 novembre 2015. O. Lo stesso giorno, una domenica pomeriggio, il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto legge n. 183, che contiene le norme di «tempestiva» attuazione delle 4 procedure di risoluzione avviate dalla Banca d'Italia il giorno precedente (21 novembre 2015). I provvedimenti di avvio della risoluzione prevedono la costituzione di un «Ente ponte», al quale vengono trasferite le attività e le passività delle banche in risoluzione, e la costituzione e di una società-veicolo (bad bank) a cui vengono trasferiti i crediti in sofferenza. Azioni e obbligazioni subordinate sottoscritte dai piccoli risparmiatori vengono azzerate. P. Primo punto critico. L'azzeramento da un giorno all'altro delle azioni e obbligazioni subordinate emesse dalle 4 banche ha comportato perdite per i piccoli risparmiatori pari a circa 1,2 miliardi di euro: 800 milioni di euro circa è la perdita causata a circa 20.000 sottoscrittori di obbligazioni subordinate; 400 milioni circa è la perdita causata a circa 130.000 piccoli azionisti. Q. Secondo punto critico. Le risorse per il funzionamento dell'«Ente ponte» e della bad bank sono fornite dal nuovo «Fondo di risoluzione nazionale», a sua volta alimentato da tutte le banche italiane mediante contributi ad hoc, diversi da quelli che le banche già versano al «Fondo interbancario di tutela dei depositi». Fondo non previsto, straordinario. E per un importo rilevante, pari a 2,4 miliardi di euro circa che si aggiunge, come abbiamo visto, a 1,2 miliardi di perdite sostenute dagli azionisti e sottoscrittori di obbligazioni subordinate delle 4 banche «salvate». Un conto totale di circa 3,6 miliardi di euro. R. Perché, ci si chiede, Banca d'Italia e governo hanno voluto intervenire «a gamba tesa» tra il 21 e il 22 novembre 2015, ricorrendo al «Fondo di risoluzione nazionale» per salvare le quattro banche e non al «Fondo interbancario di tutela dei depositi»? Si poteva fare, e infatti è stato fatto negli altri Stati europei, ad esempio in Germania per 247 miliardi. Bastava pensarci per tempo. Non si sarebbero potuti comunque garantire gli azionisti e i sottoscrittori di obbligazioni subordinate ma si sarebbe senz'altro evitato l'ulteriore onere di 2,3-2,4 miliardi a carico degli azionisti di tutte le altre banche italiane. Garantendo conti correnti e depositi fino a 100.000 euro. S. Stando alla ricostruzione di Banca d'Italia e governo, non è stato possibile fare ricorso al Fondo interbancario per la «preclusione manifestata da uffici della Commissione Ue, che hanno ritenuto di assimilare ad aiuti di Stato gli interventi di tale Fondo». T. Ma la versione della Commissione europea è un'altra: «All'Italia sono state prospettate tre possibili strade per salvare le quattro banche in amministrazione controllata: una con fondi privati; una usando il Fondo interbancario; una usando «Fondo di risoluzione nazionale». La decisione è stata presa dalle autorità italiane». U. Posizione confermata dal presidente e direttore generale dell'Abi Giovanni Sabatini in audizione in commissione Finanze alla Camera il 9 dicembre 2015: «Il Fondo interbancario è un fondo distinto, con suoi organi che avevano deliberato già da luglio degli interventi per risolvere la situazione delle quattro banche in amministrazione straordinaria. Ma poi non vi è mai stata un'istruttoria formalizzata che possa aver portato la Commissione Ue a esprimere una specifica valutazione contraria sull'intervento del Fondo». V. Qualcuno mente. O qualche passaggio non ci è ancora noto. Sorge il dubbio che il governo abbia barattato la flessibilità in Europa, per comprarsi il consenso con l'uso del Fondo interbancario, che avrebbe potuto in parte risolvere la situazione. Senza dubbio la proposta del ministro Padoan di «misure umanitarie volte a tutelare le fasce deboli di cittadini che hanno perso i loro risparmi» è un implicito riconoscimento di responsabilità del governo Z. Perché il governo non è intervenuto subito? Perché si è ridotto a poche settimane prima dell'entrata in vigore, dal primo gennaio 2016, della direttiva europea sul cosiddetto bail-in? L'opacità e lo stato confusionale in cui si trova oggi l'esecutivo rischiano di produrre il panico finanziario. Gli italiani hanno ormai paura di tenere i propri risparmi in banca e speriamo che lunedì non comincino le file agli sportelli. Questa spericolata operazione colpisce il sistema, indebolendolo. E questo non potrà che riverberarsi sul credito a famiglie e imprese, che diventerà ancora più caro e più difficile, con la connessa fuga degli investitori e l'aumento del rischio sistemico. In un perverso circolo vizioso. I nodi stanno venendo al pettine. Renzi non è uno statista, ma un populista. E se di questi tempi il populismo si può comprendere, a piccole dosi, per i partiti di opposizione, il populismo di governo è disgustoso perché sa tanto di peronismo.

(il Giornale)


sabato 12 dicembre 2015

Prevenzione bancaria. Davide Giacalone

Invece di giocare a scaricabarile, facendo sì che la ragione di ciascuno divenga il torto di tutti, sarà meglio accertare subito quanti altri azionisti e obbligazionisti inconsapevoli ci sono in giro. Dal prossimo primo gennaio non potranno più essere né salvati né aiutati, ma, una volta tanto, ci si potrebbe muovere in anticipo, disincagliando le posizioni critiche. E invece di avviare indagini penali su roba immaginifica, come l’induzione al suicidio, sarà meglio piantarla di far finta di non vedere la diffusione delle truffe allo sportello bancario.

I titoli emessi da una banca, come da una qualsiasi società, non si dividono in appropriati e inappropriati, ma in legali e illegali. Pur restando nella legalità, però, la vendita di determinati prodotti a determinati clienti segnala una anomalia. Pericolosa. Il giorno in cui, a Cortina, si vendessero più fucili subacquei che scarponi da sci, sarebbe più che saggio chiedersi cosa diamine stia succedendo. Quante banche hanno venduto proprie azioni e obbligazioni a soggetti incoerenti con quel genere di investimenti? Possiamo accertarlo non solo nel fare l’autopsia del morto, ma nel monitorare il vivo. Meglio avere dati che sensazioni. La paura è velenosa, quando si parla di risparmio. Quindi accendiamo la luce. Accertata la dimensione, proviamo a rompere il vincolo insano: il risparmiatore che cerca alti rendimenti, non sapendo o facendo finta di non sapere che comportano alti rischi, e la banca che usa la cupidigia altrui per alimentare la propria dissolutezza. Si può farlo aprendo una via d’uscita, capace di evitare il panico: riassorbire quei titoli e avviarne la resa a investimenti meno rischiosi, naturalmente scontando una perdita del loro valore. Chi rifiuta è libero di farlo, ma domani non venga a piangere per le perdite (anche perché non vengono mai a condividere la gioia dei guadagni). Per i clienti singoli, i piccoli risparmiatori, può provvedere direttamente la banca emittente. Per gli istituzionali serviranno veicoli e fondi specifici, che sono normali operatori di mercato, remunerati per i rischi che corrono. Ma è discorso del tutto diverso.

Ora leggete quanto mi scrive un imprenditore: “oltre a coloro che hanno comperato le azioni consapevolmente e a quelli che le hanno comperate inconsapevolmente (i più), ci sono quelli, come me, che sono stati obbligati a comprarle. Era prassi consolidata (mi creda siamo in tantissimi) che quando si andava in banca a presentare una qualsiasi operazione immobiliare, questa veniva vista favorevolmente e quindi deliberata a condizione, ovviamente non scritta, che si comprassero delle azioni della banca stessa. Addirittura ti davano loro i soldi per farlo, o ti facevano usare il fido personale”. Gli credo. Ho tolto i riferimenti alla persona e alla banca, anche perché lo stesso imprenditore aggiunge: “prove scritte di tutto ciò che le ho detto non ci sono oltre al fatto che spesso l’imprenditore, come il sottoscritto, ha impegni con l’istituto e ha paura di ritorsioni che non riuscirebbe a gestire”. Vuol dire che se ti metti contro la banca quelli ti chiedono subito di rientrare di tutte le esposizioni e ti rovinano.

Tale condotta non è in tutte le banche, ma è in troppe. Sono convinto che il nostro sistema bancario sia sano, ma questo non è un buon motivo per trascurare le parti malate. Invece di indagare l’ipotesi che qualcuno abbia spinto un disperato a impiccarsi sarà meglio indagare sull’esistenza di reati come quello descritto. Si può farlo incrociando i dati e descrivendo il profilo dell’azionista e del prestatore di soldi. Se si scopre che spesso sono gli stessi cui i soldi vengono prestati, la cosa puzza. E manco poco.

Leggo geremiadi vittimistiche circa il fatto che le banche di altri Paesi europei hanno ricevuto soldi statali, mentre a noi è impedito farlo. Questa roba la scrivevo mentre accadeva, ricordando che a banche tedesche e francesi sono andati soldi anche del nostro contribuente. Ma non prendiamoci in giro: quando quei trasferimenti di ricchezza erano possibili in Italia si negò fossero necessari. Che le regole sarebbero cambiate lo sapevamo. Si poteva esserne all’oscuro solo a patto d’essere ignoranti (in quel caso ci si occupi d’altro). Mi fa rabbia, tanta, che noi non si sia stati capaci di usare quello che allora era un punto di forza, magari per dare qualche lezione di buon mercato e sfruttare il vantaggio. Come fanno gli altri, quando possono. Invece fummo inerti allora e piagnucolosi oggi. Francamente insopportabile.

Pubblicato da Libero