sabato 31 marzo 2007

Il S.S.N. non esiste più.

Se vi capitasse di dover fare degli accertamenti clinici o delle analisi, prima di ricorrere al servizio sanitario nazionale, informatevi sui costi nelle strutture private.
Dall' introduzione dei ticket, infatti, può succedere di pagare meno nel privato, con un ulteriore vantaggio: esami eseguiti in tempi ragionevoli, spesso il giorno dopo, e con esiti consegnati altrettanto rapidamente.

Ne consegue una riflessione: il governo della sinistra incentiva il ricorso alla sanità privata e, di fatto, non esiste più il servizio sanitario nazionale.

Provare per credere.

venerdì 30 marzo 2007

Il dissenso "morale". Geminello Alvi

http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=167526&START=0&2col=

Il partito democratico, la Margherita ed il dissenso di Mussi.

giovedì 29 marzo 2007

L'errore di Pierferdi. Lodovico Festa

Perché le posizioni prese da Pierferdinando Casini sulla questione del finanziamento delle missioni all'estero sono state gravemente sbagliate? Perché non hanno permesso all'area responsabile del centrosinistra di venire allo scoperto. La politica estera italiana è allo sbando: Fassino vuole trattare con i talebani, Prodi dice a Putin d'essere d'accordo con lui su Iran e Afghanistan, Bobo Craxi e Intini rassicurano Hamas, D'Alema ammicca a Chavez all'Onu, Prodi fa asse con Zapatero nella Nato, Parisi è scavalcato sul rapimento Mastrogiacomo.
Prodi invece di occuparsi di affari esteri si interessa solo di affarismo estero per controllare grandi gruppi economici italiani come Telecom Italia o Autostrade. Infine D'Alema, invece di gestire in silenzio i nodi imbarazzanti del sequestro Mastrogiacomo, si vanta della comprensione americana. E aggiunge subito dopo che Al Qaida è un'invenzione degli Stati Uniti, dimenticandosi di essere ministro degli Esteri e non solo un comiziante da quattro soldi. Questa politica estera, cucita sull'esigenza di legare alla coalizione gli estremisti di Rifondazione, dà sempre più il mal di pancia a un'area ampia del centrosinistra. Quest'area andava incalzata e per farlo bisognava chiedere in cambio del naturale voto al rifinanziamento delle nostre truppe all'estero, scelte nette e vincolanti. Quando Casini, prima di trattare, rassicura il governo sul suo voto, impedisce l'operazione chiarimento.
Vi possono essere state sbavature di altro tipo nel centrodestra. Ma la colpa centrale del riallineamento dell'area responsabile del centrosinistra è di Casini. E nasce da un disegno politico non solo suo, ma anche di settori dell'establishment: presentare Berlusconi, Fini, la Lega come un'opposizione di serie B, che può essere rappresentata solo da una forza responsabile come l'Udc. Una sorta di nuova conventio ad escludendum che dovrebbe finire in gloria con un proporzionale senza indirizzo maggioritario tale da ridare centralità ai ricatti dei partitini.La politica di Casini implica anche rotture non evitabili perché non esiste più un'alleanza. E si tratta di ragionare anche di identità: in questo senso l'esigenza di un grande democratico partito dei moderati diventa impellente. Ma in politica non possono mai mancare le risposte politiche. Dai Dico alle pensioni, alla riforma elettorale, alla gestione del «tesoretto», all'evolversi della situazione in Afghanistan, l'agenda politica presenterà presto nuove fatali scadenze per un governo ormai morto. Il centrodestra «reale» deve avere sue proposte: sui Dico deve trovare un compromesso tra i cattolici e i «suoi» laici; su pensioni e tesoretto deve fare capire agli imprenditori che appoggiano Casini che queste loro manovre, contro l'interesse delle proprie basi sociali, costano consenso. In politica estera bisogna interloquire con i «responsabili» del centrosinistra. Così si svuota la strategia casiniana.

mercoledì 28 marzo 2007

Annibale, il vino scozzese e il protocollo di Kyoto. Milton

218 a.C., Idi di Marzo. Cinquantamila uomini guidati da Annibale, attraversano le Alpi assieme a molti elefanti. Il traforo del Monte Bianco non c’è ancora, e ovviamente neanche la TAV.
Basso Medioevo. I Cavalieri della Tavola Rotonda bevono del buon vino non certo importato dalla Borgogna o dal Chiantishire, ma prodotto nelle valli della Scozia.
Ma non c’era neve sulle Alpi? o quanto mite era il clima in Scozia?
Come la maggior parte dei fenomeni fisici soggetti a milioni di parametri, la temperatura del globo terrestre ha un andamento ciclico. In sostanza non c’è nessun riscaldamento anomalo, nè tantomeno foriero di catastrofi. Siamo semplicemente in una fase con temperature più alte della media, alla quale subentrerà un altro periodo con temperature medie più basse, e così via da milioni di anni. Qualcuno potrà obiettare che nella fase attuale il riscaldamento appare repentino, ma non dobbiamo dimenticare che la capacità di misurazione dei fenomeni fisici oggi, non è proprio la stessa dei Cartaginesi o di Re Artù.Inoltre, la climatologia, più di ogni altra scienza ha come fondamento matematico una dimensione priva di struttura analitica e considerare solo alcuni parametri, sottopesarne o sopravvalutarne altri, porta a conclusioni totalmente diverse.
In questo senso, è bene chiarire una volta per tutte che la CO2 rappresenta solo il 2% del totale dei gas serra, e di questo solo il 4% è prodotto dalle attività umane, il resto proviene da fenomeni naturali. L’impatto della CO2 derivante dalle attività umane, è infatti insignificante rispetto a quello delle emissioni vulcaniche, o all’influenza delle radiazioni solari o dei raggi cosmici o ancora all’effetto della termodinamica degli oceani.
Insomma, in questo groviglio di equazioni, una cosa è certa, la CO2 prodotta dall’uomo, non c’entra niente (o molto, molto poco).
Di conseguenza, le condizioni dettate dal Protocollo di Kyoto sulla riduzione delle emissioni di CO2 sono pressochè ininfluenti sul sistema globale e sulle variazioni climatiche. Di Kyoto insomma se ne può fare benissimo a meno.
E fin qui niente di male; viviamo in un mondo pieno di cose superflue. Ma in questo caso il problema è un altro. Anche il solo parziale soddisfacimento dei parametri dettati dal Protocollo non è solo inutile, è spaventosamente costoso.
Di questo sembra non accorgersi l’Unione Europea che nella sua solita smaniosa rincorsa al politicamente corretto, ha appena sottoscritto un accordo tra gli stati membri che prevede l’impegno, entro il 2020, di ridurre del 20% le emissioni di CO2. Inoltre, entro la stessa scadenza bisogna elevare alla stessa percentuale l’energia generata da fonti rinnovabili per usi termici ed elettrici.
Entrambi gli obiettivi, ed ancor più la loro combinazione, appaiono non solo, come detto, ininfluenti sullo stato di salute del pianeta ma difficili, costosissimi e devianti rispetto ad una seria e sostenibile politica energetica. Devianti perché l’unico modo realistico per raggiungere l’obiettivo di riduzione posto dalle UE non è nè il solare, nè l’eolico, ma il nucleare.
Di più, tutto ciò diventa tremendamente ancora più complicato per il nostro Paese, date le caratteristiche del nostro portafolio energetico, pressochè totalmente costituito da combustibili fossili e gas e privo di nucleare.
Tenendo presente questo, le alternative per essere in linea con l’Europa, in termini di riduzione dei livelli di CO2, sono: a) investire 20 miliardi ed installare 6 reattori da 1600 megawatt di terza generazione (come quelli attualmente in costruzione in Francia e Finlandia); b) spendere 50 miliardi ed installare 50.000 (!) turbine da 1 megawatt (provate a mettere 50.000 turbine una a fianco all’altra); c) spendere 500 miliardi ed installare un’infinità quantità (!!) di pannelli solari.
Naturalmente per le ultime due alternative bisognerebbe aumentare ancor più l’investimento, perché a volte, purtroppo, non soffia il vento e non splende il sole.
La verità è che l’eolico e il fotovoltaico sono nicchie energeticamente infinitesimali, oltrechè essere enormemente costose, destinate ad utilizzi particolari e specifici (energia domestica per esempio), ma assolutamente non determinanti alla soluzione del problema generale.Cosa accadrà? L’Italia non rispetterà gli impegni appena sottoscritti in sede europea, dovrà pagare multe salatissime, continueremo ad importare petrolio, i comitati di condominio e la bocciofila locale continueranno ad avere l’ultima parola sull’installazione dei rigassificatori e naturalmente pagheremo, ancor più di oggi, bollette salatissime.
Il tutto benedetto dagli Al Gore di casa nostra.

L'inutile e il dilettevole. Filippo Facci

Sir Henry John Woodcock non dovrebbe esistere, nel senso che mediaticamente non dovremmo neppure conoscerlo: come capita a chi, sulla carta, abbia registrato perlopiù insuccessi professionali. Ma la carta era quella delle cancellerie, non quella dei giornali. Le sue inchieste più note sono state una collezione di incompetenze territoriali, nomi altisonanti assolti, ministri prosciolti, valanghe di richieste d'arresto ingiustificate, e poi archiviazioni, bocciature per il 70 per cento dei suoi ricorsi (198 contro 139) più 6 milioni e 400mila euro spesi per tre anni di intercettazioni. Ma se Woodcock facesse anche condannare tutti, qual è la rilevanza sociale delle sue inchieste? Quali sono le priorità verso le quali la giustizia dovrebbe concentrare i suoi sforzi e i giornalisti la loro attenzione? Il letto di Aida Yespica? Le deviazioni stradali di Sircana? Che cosa invoca chi lamenta l'inefficacia della nostra giustizia, che cosa invocavano le manifestazioni milanesi di ieri l'altro? La giustizia dei Woodcock non è soltanto economicamente dispendiosa e fallimentare nei suoi esiti e devastante per la dignità dei coinvolti. È soprattutto irrilevante. Mentre nelle metropoli mancano uomini e risorse.

Così Floris fa ballare le sue trasmissioni. Maurizio Belpietro

Ieri sera ero in collegamento da Milano con lo studio di Ballarò. A Roma erano presenti il vice premier Francesco Rutelli e il leader dell’Udc Pierferdinando Casini. Dopo aver sentito che la Casa delle libertà era accusata di aver votato contro i soldati italiani, ho chiesto a Rutelli perché invece il governonon avesse accolto un ordine del giorno del centrodestra che sollecitava «in tempi brevi, che ai nostri militari venissero messi a disposizione veicoli di massima blindatura, elicotteri, postazioni per attivare la reazione immediata in caso di attacco, eliminando così quanto più possibile il rischio della vita dei soldati». Così la missione avrebbe potuto continuare e per di più rafforzata. Rutelli ha risposto come nel suo stile: fumo.
Stavo per replicare, per spiegare che quell’ordine del giorno il centrosinistra non poteva votarlo, perché la maggioranza si sarebbe spaccata: la sinistra estrema avrebbe votato contro, perché è ancora convinta che la guerra ai terroristi la si faccia offrendo dei fiori. Il nocciolo della questione è tutto lì, altro che voto contro i nostri militari da parte del centrodestra. A lasciare soli e non equipaggiati i nostri soldati sono proprio gli uomini della maggioranza, i quali hanno tentato di dare a bere agli italiani che senza l’approvazione del decreto Prodi, i nostri militari sarebbero stati lasciati senza mezzi e costretti a fare le valigie in ventiquattr’ore. Una colossale bugia. Fosse caduto il decreto, il governo, d’intesa con l’opposizione, poteva varare un nuovo provvedimento in tempi brevissimi, consentendo la prosecuzione della missione a Kabul con i mezzi adeguati. Tutto ciò però non ho potuto dirlo e gli ascoltatori non hanno potuto ascoltarlo. Il motivo è semplice: mi è stato tolto democraticamente l’audio.
Siccome non è facile farmi star zitto, qualcuno ha premuto un tasto che mi ha reso afono: microfono spento, così la fastidiosa voce che incombe da Milano non va in onda. Al massimo si vede un tizio che apre bocca ma è muto come un pesce. Ma si dà il caso che io non abbia l’attitudine a fare da tappezzeria sui video di Floris. Dunque mi sono alzato eme ne sono andato. Capisco che a Ballarò siano abituati a far danzare i loro ospiti in base alla musica che hanno deciso, ma siccome io non so ballare, mi spiace, non mi adeguo alle loro piroette.

martedì 27 marzo 2007

La crisi Max-Condi letta da Rep. con un briefing in meno e senza leggere la stessa Rep. Christian Rocca

Il surreale tentativo del quotidiano La Repubblica di negare che cia stato un durissimo rimbrotto americano a Sua Eccellenza il Ministro Max D’Alema, nell’edizione di ieri ha raggiunto vertici sublimi con un articolo a pagina 9 titolato: “E il portavoce Usa disse ‘Nessun problema su Mastrogiacomo’”. Ovviamente questa frase virgolettata, attribuita al portavoce americano Sean McCormack, Rep. se l’è inventata di sana pianta, in omaggio al principio giornalistico (diciamo così) che consente al redattore di turno a Largo Fochetti di sintetizzare a suo piacere le frasi pronunciate da qualunque sventurato citato in un articolo di Rep. Fin qui è la solita approssimazione dei republicones, di per sé non meritevole del ritorno di Redazionalmente Corretto. Repubblica, però, spaccia per ricostruzione “documentale” un suggerimento dalemiano offerto domenica in un’intervista al quotidiano di Largo Fochetti. D’Alema aveva ribadito la sua ricostruzione, quella smentita ufficialmente dal Dipartimento di Stato, secondo cui gli americani avevano prima manifestato “comprensione” salvo poi ripensarci dopo aver fatto altre valutazioni, “magari su pressione dei militari, o di qualche alleato”.
D’Alema aveva chiesto di andare a rileggersi le trascrizioni delle conferenze stampa del portavoce del Dipartimento di Stato. E Rep. diligentemente l’ha fatto, però a metà. Sicché, nell’articolo di ieri, rubricato “il documento”, ha raccontato che “nei briefing di McCormack non ci furono critiche all’Italia”.
Rep. cita ampiamente le trascrizioni dei briefing di mezzogiorno del 19 e del 20 marzo, ovvero dei giorni in cui D’Alema è arrivato a Washington e poi a New York. In quelle due occasioni il portavoce del Dipartimento di Stato non aveva detto una parola sulle modalità di rilascio di Mastrogiacomo, né contro né a favore, anche perché ancora non c’erano state, o non erano ancora arrivate a Washington, le rivendicazioni dalemiane di “comprensione” americana. Il problema è che Rep. si è dimenticata di andare a leggere il briefing del 22 marzo (disponibile anche in video, qualora il sito di Rep. fosse interessato), cioè della mattina successiva al rimbrotto americano a D’Alema. Rep., inoltre, si è dimenticata di consultare una fonte cui solitamente tiene molto, cioè la stessa Rep. del 22 e del 23 marzo, dove a firma del corrispondente Mario Calabresi c’era scritto esattamente come erano andate le cose. E non perché Calabresi sia una quinta colonna di Cheney, come i gregari del Foglio, piuttosto perché era uno dei cinque giornalisti convocati ufficialmente dal Dipartimento di Stato il 21 marzo per ascoltare la smentita a D’Alema.
Al briefing del 22, ignorato dal “documento” di Rep., McCormack ha spiegato che cosa era successo: nei due giorni precedenti gli americani “non erano al corrente dei dettagli di questo patto che era stato siglato tra il governo italiano e quello afghano” e ha specificato che “certamente al momento della cena con D’Alema, il Segretario di Stato non era al corrente di questi accordi”. La prova che il portavoce della Rice non s’è inventato una scusa ex post si trova sempre su Rep. del 23 marzo, ancora a firma di Mario Calabresi, dove si legge che gli americani si sono incavolati nel momento esatto in cui al Dipartimento di Stato sono arrivate le traduzioni delle dichiarazioni dalemiane sulla “comprensione” americana e della comunicazione parlamentare di Ugo Intini di conferma ufficiale dello scambio di prigionieri.
L’altro pilastro della tesi republicones, nonché dalemiana, è che le critiche all’Italia siano state anonime, quindi non ufficiali. Peccato non sia vero, come ha scritto il corrispondente di Rep. convocato appositamente dal Dipartimento di Stato per ascoltare Kurt Volker, il numero 3 di Condi Rice, il quale ha criticato l’Italia “a nome del suo governo”. Qui ci sarebbe da spiegare ai republicones, e a D’Alema, la differenza tra un background briefing e una fonte anonima, ovvero tra il giornalismo anglosassone e quello alle vongole, ma per carità di patria evitiamo.

Lettera al Direttore. il Foglio

Al direttore - Dal novembre 2002 passo in Afghanistan in media 4 mesi l’anno. Lavoro, nell’ambito della cooperazione internazionale, a contatto con un gruppo di donne, di cui alcune mi chiamano sorella, vivo una quotidianità più afghana che occidentale; ho girato 7 province, raccolto racconti, letto il Corano, studiato un po’ di storia islamica, e sto ancora cominciando a imparare. Mi affascina chi, dopo pochi giorni o settimane, muovendosi tra un progetto umanitario e un albergo presidiato, dà giudizi e spiega un paese di cui ha capito tutto. Io non sono così brava: quando accadono certi fatti non so esternare opinioni, ho bisogno invece di spiegazioni. Come ad esempio nel recente caso Mastrogiacomo.
Ero a Kabul quando è stato rapito e liberato, e chiedo, a titolo esclusivamente personale: - Perché un governo che deve occuparsi di decine di milioni di cittadini, alcuni dei quali sparsi per il mondo, si dedica a uno solo dei suoi figli, in pericolo, mentre quello stesso giorno, come ogni giorno, altre vite sono pure in pericolo o si spengono nell’indifferenza, mentre urgenti bisogni collettivi aspettano? - Quel figlio speciale è stato rapito mentre faceva il suo lavoro rispettando le norme di sicurezza raccomandate a chiunque sia in Afghanistan? Ha pensato a non mettere a rischio altre vite, oltre alla sua? Ha misurato le possibili conseguenze dei suoi atti? Sapeva che chi ha scelto la via dell’imprudenza ha pagato a volte con la morte? Perché i suoi colleghi non hanno seguito quella strada pur avendo lo stesso diritto-dovere di ‘informare’? Aveva un compito eroico tutto suo, una missione speciale? Per questo meritava di essere salvato pagando un simile prezzo? - Ma qual è il prezzo pagato per Mastrogiacomo? Oltre al tempo del governo e ai lunghi giorni in cui un’ambasciata coraggiosa, sovraccaricata e straordinariamente reattiva – che svolge un sottile lavoro diplomatico mentre si è improvvisamente trovata impastoiata dall’imperativo di salvare un giornalista, quanto è costato questo giornalista, in moneta, in delicati equilibri infranti e in vite umane, già pagate o messe a repentaglio dalla sua liberazione? - Quanti talebani vale un italiano? Quanti sforzi afghani e internazionali, pericoli e perdite avute per catturarli, è lecito mettere sull’altro piatto della bilancia con cui Mastrogiacomo è stato pesato? E quanti autisti, interpreti, insomma quanti afghani possono essere sacrificati all’informazione? - Mastrogiacomo non avrebbe potuto tra un flash e l’altro, magari sottovoce, chiedere scusa? - Se è vero che Gino Strada ha detto “Meglio i talebani che un governo amico degli americani”, vorrebbe spiegare a nome di chi parla? Perché la grande maggioranza degli afghani – per quanto mi riguarda tutti gli afghani che conosco, alcuni dei quali rischiano lavorando con noi, sapendo che nessuno pagherà mai per loro in talebani – crede in una svolta democratica del paese, non vuole il ritorno dei talebani né che i contingenti militari lascino l’Afghanistan, e chiede: “Come mai ci aiutate a costruire uno stato democratico, fate ospedali, tribunali, scuole, e poi per salvare uno di voi accettate il ricatto dei nemici della democrazia?”. - Perché il guru dell’Afghanistan, l’amorevole soccorritore si scaglia contro i militari che fanno il loro dovere anche portandolo ad abbracciare Mastrogiacomo davanti a una macchina fotografica? Perché mentre molte organizzazioni umanitarie agiscono in silenzio, lasciando la politica a chi compete, il leader di una delle tante, di innegabile valore e dichiaratamente neutrale, parla pubblicamente di politica in modo non neutrale? Invece di alimentare così fratture e tensioni che non servono a nessuno, non potrebbe usare la sua esperienza per aiutare a conciliare, a capire? - Contenta solo per lui, auguro lunga vita a Mastrogiacomo. Mentre se la gode penserà ogni tanto che, grazie alle modalità e al prezzo della sua liberazione, in Afghanistan il pericolo di rapimenti è aumentato e la situazione è ancora un po’ meno facile, non solo per gli italiani? Sono tutt’altro che un’eroina, se fossi rapita certo vorrei aiuto. Ma mi unisco qui a chi, lavorando in Afghanistan, ha lasciato disposizioni scritte di non trattare oltre limiti ragionevoli, che escludono di pagare costi tali da creare problemi a due governi, quello afghano e quello italiano. Anche se la paura al momento mi spingesse a chiederlo.
Susanna Fioretti, via Web

Risposta del Direttore
Se D’Alema e Strada, il suo mediatore unico, leggessero questa lettera, diventerebbero meno impudichi, meno sicuri di sé, meno arroganti. La lettera di questa cooperatrice internazionale d’altra parte ha in loro i veri destinatari, e anche nelle sue parti più coriacee è molto chiara.

La grande beffa. Geronimo

http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=166757&START=0&2col=

Considerazioni e commenti sulla Finanziaria e sulla politica fiscale del governo che ci rafforzano nella convinzione di mandare a casa Prodi.

lunedì 26 marzo 2007

La tribù di Mastrogiacomo. Magna Carta

“Mi hanno fatto sentire come un prigioniero di Guantanamo” ha scritto Daniele Mastrogiacomo subito dopo essere stato liberato dai suoi carcerieri talebani con grande dispiego di mezzi e di emozioni da parte del governo italiano.
E’ una frase che avremmo preferito non leggere. Mastrogiacomo non ha perso un secondo per tornare ad essere un qualsiasi giornalista di Repubblica. Uno che non esita a paragonare i Talebani che lo hanno rapito e frustato, che hanno sgozzato il suo autista senza pietà, al governo americano che a Guantanamo tiene giustamente rinchiusi i terroristi dell’11 settembre e dintorni e protegge il mondo dai loro crimini. La vicenda di Mastrogiacomo semmai ha prodotto l’esito opposto: il ritorno in pista di un manipolo di terroristi.
E’ stato il modo con cui “Daniele” si è immediatamente ricongiunto alla sua “tribù”, come la chiama nel suo editoriale il direttore Ezio Mauro, parlando dei suoi giornalisti. La tribù di quelli (ma non sono solo a Repubblica) che odiano l’America e l’Occidente, a cui attribuiscono tutte le colpe del mondo, mentre loro stessi se ne purificano attraverso quell’odio.
Paragonare Guantanamo alle carceri talebane, specie da parte di uno che vi è stato appena rinchiuso, è qualcosa che va oltre la sindrome di Stoccolma, è l’indice di un pregiudizio anti-americano che infetta come un virus l’élite giornalistica nazionale, quella politicamente corretta e coccolata.
A Mastrogiacomo forse è sfuggita la confessione di Khalid Sheikh Mohammed, che proprio dal carcere di Guantanamo – dove per fortuna continua ad essere rinchiuso - ha raccontato di avere “decapitato con la sua mano destra benedetta l’ebreo americano Daniel Pearl”, oltre ad aver coordinato l’attacco alle torri gemelle e una quantità di altre stragi.
Il giornalista del Wall Street Journal è stato meno fortunato di Mastrogiacomo. Apparteneva a un’altra tribù.

Il Pci e l'anomalia italiana. Fabrizio Cicchitto

http://www.magna-carta.it/riforme%20e%20garanzie/0303_fabrizio_cicchitto.asp

L'intervento dell'esponente azzurro al convegno sull'influenza del comunismo in Italia organizzato dalla fondazione Magna Carta.

Come è nato il duro rimbrotto americano alle ambiguità italiane nella guerra al terrorismo. Christian Rocca

La clamorosa iniziativa del dipartimento di stato americano contro i bizantinismi nella guerra al terrorismo a cura del governo italiano, e in particolare del ministro degli Esteri, è stata definita “inaspettata” dalla Farnesina, “un fulmine a ciel sereno” in un’intervista riparatoria di Massimo D’Alema a Repubblica, “un colpo di coda dei falchi” dal Corriere della Sera, “un’indiscrezione senza il titolare” quindi “meno credibile” dal segretario dei Ds Piero Fassino. Chi ha letto con attenzione i giornali di ieri mattina avrà però notato che gli articoli di Maurizio Caprara del Corriere della Sera, di Mario Calabresi di Repubblica, di Maurizio Molinari della Stampa e di Mario Platero del Sole 24 Ore non contenevano nessuna di queste bizzarre e fantasiose ricostruzioni, piuttosto prendevano maledettamente sul serio il ruvido rimbrotto americano a Massimo D’Alema e alle sue allegre ricostruzioni a proposito di una presunta “comprensione” espressa al nostro ministro degli Esteri da Condoleezza Rice nella gestione della liberazione di Daniele Mastrogiacomo in cambio del rilascio di cinque capi talebani.
A leggere gli articoli di questi giornalisti, infatti, si intuisce che la durissima presa di posizione americana non è stata una semplice battuta scappata di bocca a un anonimo funzionario del dipartimento di stato, ma qualcosa di più, di molto di più, il segnale che era stato passato il segno.La stessa Farnesina se ne è accorta, sia pure dopo una prima e imbarazzante reazione a caldo in cui aveva detto che non avrebbe commentato le dichiarazioni espresse da fonti anonime. Ieri mattina, invece, il portavoce del ministro D’Alema ha riconosciuto la gravità della situazione e ha spazzato via le teorie dietrologiche, avanzate ancora ieri mattina da alcuni giornalisti romani, su chi avesse fatto partire le critiche all’Italia. La Farnesina ha anche fatto marcia indietro, spiegando che, alla cena di Washington, D’Alema e Rice in realtà avevano parlato soltanto brevemente della liberazione di Mastrogiacomo. Il punto è che a poco a poco al ministero degli Esteri sono venuti a conoscenza del fatto che le critiche all’Italia non erano anonime, ma erano ufficiali, provenivano dal governo americano ed erano state autorizzate da Condoleezza Rice, come ha spiegato lo stesso segretario di stato ieri pomeriggio nel corso di una telefonata con Massimo D’Alema.
E’ successo, infatti, che quei cinque giornalisti italiani, più il corrispondente dell’Ansa che mercoledì pomeriggio aveva diffuso la notizia dell’arrabbiatura americana, erano stati convocati dal dipartimento di stato di Washington per partecipare a un’audio-conferenza telefonica con Kurt Volker e Daniel Fried, ovvero con il numero uno e due al dipartimento degli Affari europei ed eurasiatici di Foggy Bottom. L’irritualità della mossa e la ruvidità nei confronti dell’iniziativa italiana è subito sembrata pari all’urgenza e alla necessità americana di prendere nettamente le distanze dal suggerimento dalemiano che ci fosse stata una qualche “comprensione” del dipartimento di stato nella gestione del sequestro Mastrogiacomo.

Non c’è stata nessuna “comprensione”Ieri pomeriggio Massimo D’Alema ha chiamato Condoleezza Rice per provare a chiarire. Al telefono la Rice ha confermato ciò che i suoi due vice avevano spiegato ai giornalisti italiani: cioè che al momento della cena, al ristorante del Watergate di lunedì sera, il segretario di stato non era ancora a conoscenza dell’accordo raggiunto tra il governo italiano e quello afghano per il rilascio dei cinque talebani. Sicché non c’è stata nessuna “comprensione” americana alla soluzione italo-afghana del caso Mastrogiacomo, al contrario di quanto aveva detto da D’Alema. Al briefing di mezzogiorno, il portavoce di Condoleezza Rice ha ribadito tutta la “preoccupazione” americana per la liberazione dei capi talebani e per le “conseguenze potenziali” di tale decisione. Sean McCormack ha aggiunto che “gli Stati Uniti non negoziano con i terroristi e raccomandano agli altri di non farlo”, mentre un successivo comunicato del dipartimento di stato ha riconfermato la contrarietà americana allo scambio di prigionieri. Il caso internazionale ora è chiuso, ma se ne apre uno interno con le prime critiche della Margherita e dei settori più atlantici della maggioranza. E’ probabile, però, che le pressioni americane su Roma siano destinate ad allentarsi, come si intuisce dal comunicato del dipartimento di stato che ricorda come l’Italia svolga “un ruolo chiave a sostegno del popolo e del governo dell’Afghanistan” e rimanga “un importante partner degli Stati Uniti in altre aree del mondo”.
Questa è la diplomazia. Nella realtà Washington ha voluto riaffermare il principio che la guerra al terrorismo è una cosa seria, non una vicenda da affrontare in modo ambiguo. Con il consueto pragmatismo, gli Stati Uniti non tireranno la corda dei rapporti italo-americani fino a spezzarla, anche se Romano Prodi resta ancora l’unico leader europeo a non essere stato invitato alla Casa Bianca. Chi ne esce a pezzi è il ministro D’Alema, la cui affidabilità pare ampiamente al di sotto della soglia di sicurezza, malgrado la simpatica e mondana propaganda sui “bye bye Condi”.

venerdì 23 marzo 2007

Parisi non può restare nel governo Prodi-D'Alema-Strada. Marco Taradash

Mettiamo che ci sia un paese impegnato in una trattativa con dei feroci sequestratori. Mettiamo che sia stato rapito un giornalista. Mettiamo che i servizi segreti di questo paese riescano a trovare un modo per liberarlo senza accedere alla richieste dei sequestratori. Mettiamo che l’operazione venga bloccata per consentire che invece il ricatto vada a buon fine. E che nessuno paghi per questa ignominia. Assurdo vero? Eppure è quanto è successo nei giorni scorsi in Italia. Per consentire a Gino Strada, ambasciatore di fatto dei talebani in Italia, di chiudere l’accordo con i tagliagole islamici e riconsegnare loro 5 capi militari detenuti nelle carceri afgane in cambio della consegna di Daniele Mastrogiacomo, il governo Prodi-D’Alema ha impedito ai servizi segreti italiani di arrivare alla liberazione dell’ostaggio per altra via.
Chi lo dice? Questa è la cosa più incredibile. Lo dice il ministro della Difesa di questo stesso governo, Arturo Parisi. E lo dice ad alta voce, a un giornalista del Corriere della Sera. Queste le parole di Parisi, riportate tra virgolette l’altro ieri da Francesco Verderami, e non smentite: “Quel che avevo da dire a Romano l’ho detto: i nostri servizi erano riusciti a trovare la strada per liberare Mastrogiacomo, ma è stato loro impedito. Ora dovremo fare i conti con le ripercussioni che rischiano di essere pesanti”. E ha aggiunto Parisi: “Le contraddizioni e la confusione nel governo, uniti ai modi sprezzanti del dottor Strada nei confronti dei servizi italiani hanno provocato un grave danno all’immagine dello Stato e la perdita di credibilità agli occhi degli alleati”.
Parole che in qualsiasi altro paese avrebbero provocato le dimissioni del ministro in questione oppure quelle del Governo ma che da noi sono state inghiottite dal silenzio come acqua sulla sabbia, tranne un’interpellanza firmata dall’on. Benedetto Della Vedova e dal predecessore di Parisi alla Difesa, Antonio Martino.
Le dichiarazioni di Parisi gettano anche una luce sull’apparente contraddizione nell’atteggiamento del governo Usa, che, a quel che ci racconta il ministro degli Esteri D’Alema, avrebbe dato il suo consenso all’operazione di scambio dei prigionieri per poi accusare l’Italia di essere venuta meno ai suoi impegni di lealtà. La realtà è un’altra. E’ assolutamente probabile, per non dire scontato, che il Dipartimento di Stato americano, e la stessa Condoleeza Rice, fossero convinti che il governo italiano agisse attraverso i suoi servizi segreti, e che lo scambio di informazioni sull’andamento delle trattative avvenisse a livello di intelligence. Ingenuità americana, questo sì, di fronte a un Governo che ha nel suo Dna la tradizione machiavellica del togliattismo. Si può ben immaginare la sorpresa a Washington quando, a cose fatte, si sono resi conto che il vero negoziato l’aveva condotto un misterioso personaggio di nome Gino Strada. Quel Gino Strada che nel giugno scorso aveva scritto sull’Unità, scambiando le sue paranoie per la realtà, che “la maggioranza degli afgani non vede il ritorno dei Talebani al potere come una «minaccia»: per molti sarebbe «meglio», per altri è «una speranza», alcuni perfino pregano perché succeda. Molti non hanno simpatia alcuna per i Talebani, ma giudicano ancora peggio il fatto che il loro Paese sia militarmente occupato da stranieri”; quello Strada che nella stessa occasione aveva lanciato per primo l’idea di un tavolo della pace allargato ai talebani, pensata brillantemente ripresa dal segretario dei Ds Fassino nel pieno del sequestro Mastrogiacomo. Quello Strada che l’altro giorno, ad autista sgozzato e giornalista liberato, ha ripetuto che “In Italia c’è una percezione distorta della realtà afgana. In questa storia ci si è voluti fidare del governo filoamericano di Karzai, che a parole garantiva piena collaborazione e massimo impegno, mentre nella realtà faceva di tutto per far fallire una trattativa che a Kabul, e forse anche altrove, non piaceva”.
Ora che il bubbone con gli Usa è scoppiato, ora che il Governo si è rassegnato a sorbire una giusta ma indecorosa rampogna dagli alleati, che senso ha offrire, da parte dell’opposizione, un qualsiasi sostegno a una missione in Afghanistan che, inutile quanto a contributo bellico e civile per i limiti imposti dalla sinistra massimalista, serve soltanto a mantenere in piedi il governo Prodi-D’Alema-Strada?

giovedì 22 marzo 2007

Afghanistan, la Casa Bianca furiosa con l'Italia. il Giornale

http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=165584&START=0&2col=

D'Alema se è uno statista entro sera si deve dimettere. Dopo le figuracce non possiamo tollerare anche le menzogne.

Trama del film "Oltre il giardino" (1979)

L'analfabeta Chance (la sua sola fonte d'istruzione è la TV), ha passato tutta la vita facendo il giardiniere in una casa di Washington. Alla morte del padrone egli, che ha ormai cinquant'anni, ma l'età mentale di un bambino, si vede costretto a sloggiare. Mentre vaga per le strade viene urtato dall'auto di una ricchissima signora. Eve O'Brien. Colpita dalla sua aria di distinto gentiluomo, e preoccupata forse più di quanto meriterebbe l'incidente, la donna si porta Chance in casa, per farlo curare dal medico di famiglia. Il morente marito di Eve, Ben O'Brien - un uomo ancora potente, amico personale del Presidente degli Stati Uniti - è così impressionato dall'aura di riservatezza che circonda il suo ospite, da attribuirgli doti che egli davvero non ha. Scambiato per un uomo di profonde intuizioni, mentre è un semplice di spirito, e confusa la sua goffaggine con il "sense of humour", Chance, di cui Eve si è addirittura innamorata, viene presentato al Presidente. Il colloquio tra i due - in cui i continui riferimenti di Chance al giardinaggio, cioè alla sola cosa che conosca davvero, passano per acute metafore sulla conduzione dello Stato - sconcerta il Presidente, che si affanna a ordinare inchieste riservate su quell'uomo di cui non aveva mai sentito parlare. Le indagini dell'FBI e della CIA non rivelano nulla sul conto di Chance, che intanto, però, intervistato dalla stampa e dalla TV, è diventato una celebrità nazionale. Lo è a tal punto che, quando Ben muore, i suoi amici progettano di candidare Chance alla presidenza degli Stati Uniti.
(Ogni riferimento a persone o fatti è puramente casuale)

martedì 20 marzo 2007

Grand Hotel & d'Italie. il Foglio

Per come si porta in Afghanistan, l’Italia può diventare un albergo.

Siamo felici come tutti per il rilascio di Daniele Mastrogiacomo, che ha passato 15 giorni in catene e adesso è restituito alla gioia della libertà, però ci sentiamo in obbligo di riflettere sui costi che comporta questo tipo di presenza italiana nel teatro della guerra al terrorismo. Tanto più che, come avvenne in altri casi, nel clima limpido della festa si inseriscono qualche sporcizia ideologica, omissioni che parlano, esempi di cattivo gusto. La storia del rapimento del giornalista di Repubblica non è una favola a lieto fine di cui compiacersi, rilanciando da destra a sinistra e ritorno una quantità miserevole di complimenti per la trasmissione (con poche ma segnalate eccezioni).
Quella di Daniele è una tragedia, con il suo autista trucidato, con la vedova che abortisce per il dolore, e ben cinque comandanti militari di una formazione terrorista restituiti alla loro libertà di combattere contro tutto ciò che ci dovrebbe essere caro, in nome di un regime e di un’ideologia del terrore che hanno generosamente ospitato, finché non sono stati spazzati via dall’azione di guerra dei nostri alleati, benedetti dall’Onu e sotto il comando Nato, le basi di Osama bin Laden. In un solo caso, quello dei body guard addetti alla sicurezza, abbiamo accettato che la liberazione degli ostaggi avvenisse attraverso un’azione militare, per poi accogliere i reduci con facce meste o imbarazzate, e magari sputare sui resti di uno di loro, Fabrizio Quattrocchi, che aveva commesso la gaffe di dire una frase patriottica prima di essere fucilato su una duna sabbiosa. Giornalisti e operatori umanitari godono di maggior prestigio sociale, a quanto pare, dunque si pagano riscatti e si fanno scambi di prigionieri anche con bande che selezionano l’ostaggio da liberare dietro un prezzo cospicuo dopo aver ucciso quello inutile, l’autista-spia.
Bene, ma non ci vorrebbe un po’ più di sobrietà, e magari qualche visibile segno di imbarazzo, di fronte allo scioglimento di una tragedia che non è un happy end? Non si dovrebbe evitare di fare i complimenti, come Bertinotti, alla “diplomazia dei movimenti”? Non si dovrebbe distinguere tra operatori umanitari neutrali e ambasciatori dichiarati dei talebani presso la Repubblica italiana, come Gino Strada? Nessuno prova un po’ di ribrezzo per la trasformazione del rilascio di un ostaggio, pagato con un prezzo altissimo, in una festicciuola pacifista con il conforto delle più alte autorità? Per come ci comportiamo nella guerra al terrorismo, ieri in Iraq e oggi in Afghanistan, dovremmo ritirare le nostre tuppe d’urgenza, proclamare la neutralità italiana, uscire dalle alleanze internazionali di cui facciamo disonorevolmente parte, e mettere a capo del paese, trasformato in un Grand Hotel & d’Italie, in un resort per il turismo di lusso, una società di gestione commerciale, e forse anche un barman.

lunedì 19 marzo 2007

Giallo sul "caso Sircana", hanno pagato per far sparire quelle fotografie. Gian Marco Chiocci e Gianluigi Nuzzi

http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=164826&START=0&2col=

Nessuno tocchi Sircana, ma è meglio sapere come sono andate esattamente le cose.

Chi è Cesare Battisti. Adnkronos

L'ex leader dei Pac Cesare Battisti, 52 anni, evaso da un carcere italiano nel 1980 e rifugiatosi in Francia 15 anni fa si era dato alla latitanza il 22 agosto 2004 per sfuggire a un'estradizione che vedeva sempre più vicina. Da tre anni, sulle sue tracce erano gli agenti francesi ed i carabinieri del Raggruppamento Operativo Speciale, che erano riusciti a localizzarlo in Sud America prima che facesse nuovamente perdere le proprie tracce. L'incontro con un esponente dei comitati di sostegno, che avrebbe dovuto consegnargli del denaro, è stato fatale all'ex ''primula rossa'', catturato dalla polizia brasiliana e dagli agenti venuti da Parigi insieme alla sua compagna.

E proprio a Parigi l'ex leader dei Pac, grazie alla 'dottrina Mitterand', si era rifatto una vita: abbandonata la lotta armata, si era dato alla scrittura, diventando un giallista di fama e pubblicando opere in cui proponeva alcune analisi sull'esperienza dell'antagonismo radicale, tra cui 'L'orma rossa', edito da Einaudi. Poi, però, quando l'aria era cominciata a farsi più pesante, Battisti aveva deciso di fuggire. A cambiare le carte in tavola era stato il parere favorevole all'estradizione dato dalla Corte d'appello di Parigi il 30 giugno del 2004. Poco dopo il presidente francese Jacques Chirac aveva fatto sapere che avrebbe dato il via libera all'estradizione nel caso in cui il ricorso in Cassazione presentato dai legali di Battisti fosse stato respinto.

''La dichiarazione di Jacques Chirac, due giorni dopo la decisione della Corte d'appello, è riuscita a togliermi ogni speranza'', aveva detto l'ex leader dei Pac nella lettera inviata agli avvocati Irene Terrel e Jean-Jacques de Felice per spiegare le ragioni della sua fuga. ''Di fronte al baratro, cosa mi resta?'', aveva scritto. ''Soltanto i miei figli e la sottile possibilità, un giorno forse, di potermi spiegare sulle mie responsabilità politiche e di tornare infine su quel passato che l'Italia vorrebbe, mi pare, seppellire per sempre, al prezzo di una contraffazione storica''.

''Non lascerò la Francia, non saprei farlo, è il mio paese e non ne vedo altri nel mio futuro'', aveva scritto Battisti, aggiungendo: ''Continuerò a battermi affinché sia resa giustizia all'uomo e alla storia''. Con la prigione a vita, trent'anni dopo i fatti, ''sarebbe la famiglia, i figli, altre vite a pagare'', aveva spiegato, sottolineando: ''Non posso correre questo rischio, non rivedere più i miei figli, il paese dove sono nati, l'idea mi risulta insopportabile''.

Pochi mesi dopo, il 23 ottobre 2004 il primo ministro francese, Jean Pierre Raffarin, aveva firmato il decreto di estradizione che costringeva l'ex terrorista dei Proletari armati per il comunismo a scontare la propria pena in Italia. Contro il decreto nel novembre 2004 i legali di Battisti avevano presentato invano ricorso al Consiglio di Stato, che aveva al contrario convalidato il decreto nel marzo 2005.

Gli avvocati ci hanno poi riprovato poco più di un mese fa, presentando un ricorso presso la Corte Europea dei diritti dell'uomo di cui non si conosce l'esito. Pur riconoscendo di aver fatto parte dei Pac, Battisti si era sempre detto innocente. Arrivato in Francia nel 1990 dopo alcuni anni trascorsi in Messico si era appellato alla dichiarazione del presidente della Repubblica François Mitterand, che nel 1985 aveva promesso asilo agli ex militanti della lotta armata che avessero rinunciato alla violenza.

In Italia l'ex leader dei Pac era stato condannato a due ergastoli per quattro omicidi: in due di essi, quello del maresciallo Antonio Santoro, avvenuto a Udine il 6 giugno del '78, e quello dell'agente Andrea Campagna, avvenuto a Milano il 19 aprile del 1979, il terrorista sparò materialmente. Nell'uccisione del macellaio Lino Sabbadin, avvenuta a Mestre il 16 febbraio del '79, invece, Battisti fece da copertura armata al killer Diego Giacomini e, nel caso dell'uccisione del gioielliere Pierluigi Torregiani, avvenuta a Milano il 16 febbraio del '79, venne condannato come co-ideatore e co-organizzatore.

L'idea alla base di quel biennio di sangue, secondo quanto si appurò in seguito, era quella di colpire, oltre ad esponenti delle forze dell'ordine, i commercianti che si erano difesi durante i cosiddetti 'espropri proletari'. Proprio per questo nel mirino dei Pac finirono il macellaio di Venezia Sabbadin e il gioielliere di Milano Torregiani. In quest'ultimo caso, poi all'omicidio, si aggiunse un ulteriore tragedia: nel corso della colluttazione, il figlio del gioielliere, Adriano, venne colpito da una pallottola sfuggita al padre prima che questi cadesse, e da allora, paraplegico, è sulla sedia a rotelle.

giovedì 15 marzo 2007

Che cosa mi tocca fare. Christian Rocca

Mi tocca difendere Belpietro – direttore di uno dei giornali più brutti di tutti i tempi – pur non avendo letto il suo editoriale su Sircana e non avendo nessuna intenzione di leggerlo. Ma ho letto l'inqualificabile e, scusate la citazione, "schifoso" scritto del solitamente ragionevole (ma pur sempre un ex Manifesto) direttore di Europa, Stefano Menichini. Dunque. I nomi e le intercettazioni non si dovrebbero pubblicare, perlomeno nel modo in cui vengono pubblicati ogni giorno dal 1992 su tutti i giornali italiani (e il Giornale è quello che in questi anni ci ha marciato di meno). E' roba da paese incivile, quale siamo. Nel caso specifico: non è che gli altri non abbiano fatto i nomi e li ha fatti solo Belpietro. No. Gli altri hanno fatto tutti i nomi e hanno pubblicato tutto il solito schifo, come fanno regolarmente dal 1992, facendo sparire soltanto il nome di Sircana. Ecco, nello "schifo" generale, credo che abbiano fatto più schifo gli altri quotidiani. Anche perché, se anziché Sircana il nome fosse stato quello di Bonaiuti sarebbe accaduto esattamente l'opposto, naturalmente con Belpietro a protestare vivamente come fa oggi l'ex comunista Menichini.
PS
Scritto in disaccordo con Luca Sofri, il quale però mi pare in disaccordo con se stesso, visto che prima scrive di condividere l'articolo di Menichini e poi spiega perché non lo condivide affatto

Il cosmopolitismo al governo. Aurora Franceschelli

La sinistra si appresta ad istituzionalizzare la politica delle porte aperte: la prossima settimana approderà al Consiglio dei ministri il ddl delega di riforma della legge Bossi-Fini. L'Unione, così, aggiunge un altro mattone alle mura della sua cittadella rossa, una cittadella che, se da una parte si appresta ad essere eccessivamente permeabile a qualsiasi flusso migratorio, dall'altra si mostra impermeabile, e quindi piuttosto chiusa, alle esigenze dei suoi cittadini, vessati e penalizzati da una politica di vendetta sociale. Mentre i Paesi dell'Unione europea si stanno avviando sulla strada di politiche sempre più severe in tema di concessione della cittadinanza, attraverso un atteggiamento più selettivo in relazione ai flussi migratori e alla loro accoglienza, in Italia la sinistra di Prodi va controcorrente, preferendo investire sulla perpetuazione del suo potere attraverso una politica che si fonda sul principio di un garantismo sfrenato a favore degli immigrati.

La controriforma targata Amato-Ferrero, che dovrebbe soppiantare la Bossi-Fini, prevede infatti il voto attivo e passivo alle elezioni amministrative per gli immigrati che risiedono in Italia da cinque anni. Tale riforma, vista e considerata la crisi di consensi che ha investito il Governo Prodi, potrebbe costituire un volano elettorale, poichè gli immigrati rappresenterebbero un ottimo bacino di voti per sanare l'emorragia letale di consensi della coalizione di Prodi nel Paese. La nuova legislazione elaborata dalla sinistra potrebbe scardinare un sistema sociale, quello italiano, che già fatica a reggere il peso di uno sviluppo demografico che penalizza le giovani generazioni. La decisione di spalancare le frontiere potrebbe portare a delle spaccature insanabili, dovute all'insostenibilità di un sistema sociale che non reggerebbe alla forza d'urto di flussi migratori poco regolamentati.

La sinistra vive nella contraddizione di chi da una parte, per ragioni strategiche, mostra un volto buonista e solidale nei confronti degli immigrati e dall'altra, dietro la maschera dell'ideologismo multiculturalista, adotta una politica che non appare assolutamente ispirata al principio di solidarietà nei confronti dei propri cittadini. La normativa a cui sta lavorando l'attuale governo, a differenza di quanto statuiva la Bossi-Fini, che collegava l'ingresso legale degli immigrati all'esibizione di un contratto di lavoro, prevede che gli extracomunitari abbiano l'unico dovere, per entrare nel nostro Paese, di esibire il passaporto (non ci sarà più il contratto di soggiorno).
La riforma Amato-Ferrero prevede il mantenimento della cadenza triennale per la determinazione delle quote d'ingresso, che, in alcuni casi, potrebbero comunque essere riviste al rialzo. Sarà inoltre superata la quota prevista per gli ingressi relativi a quegli stranieri che lavorano negli ambiti domestici e di assistenza alle persone. Un'altra novità riguarda la reintroduzione dell'artificio giuridico degli sponsor, che fu introdotto dalla legge Turco-Napolitano: gli stranieri che arriveranno in Italia potranno avvalersi della garanzia economica costituita sia da privati cittadini sia da enti locali (in maggioranza rossi), associazioni volontaristiche e sindacati, che rappresenterebbero una sorta di sponsor istituzionale per gli immigrati. L'immigrato, poi, avrà anche la possibilità di autosponsorizzarsi attraverso una dote che presenterà nel momento in cui decide di entrare nel nostro Paese, dote che poi gli verrà erogata durante il soggiorno. Preoccupa, inoltre, il provvedimento che prevede di ridurre numericamente i Centri di Accoglienza Temporanea (CPT), che Rifondazione, prima o poi, vorrebbe addirittura tentare di eliminare del tutto.

La sinistra, attraverso la nuova normativa Amato-Ferrero, sta tentando di edificare uno Stato sociale che si faccia carico di garantire, in nome di un esasperato multiculturalismo, la tutela assoluta del diritto di ingresso nel nostro Paese. Lo Stato che caratterizza la visione politica dell'Unione sembra abbia più a cuore la necessità di garantire la sicurezza sociale agli stranieri piuttosto che ai propri cittadini, cittadini sulle cui spalle dovrebbero gravare i costi di una politica di solidarismo demagogico volta esclusivamente ad accrescere il proprio bacino elettorale. Evidentemente i voti degli stranieri sono più importanti della necessità di preservare la nostra società da un congestionamento che potrebbe essere deleterio per la stabilità sociale del nostro Paese.

La nuova normativa sull'immigrazione richiede che il nostro Paese abbia la capacità di assorbire più o meno un milione di immigrati ogni tre anni. Ebbene, i ministri Ferrero e Amato si sono posti il problema di come far fronte alle esigenze di un numero così cospicuo di persone, esigenze che vanno dal bisogno di avere un alloggio alla necessità di avere un lavoro e di poter godere di un'assistenza sanitaria? Che senso ha spalancare le frontiere del nostro Paese a un flusso sregolato di stranieri quando poi non siamo in grado di garantire a questi stessi immigrati condizioni di vita accettabili? Gli stranieri si possono integrare nel tessuto socio-economico solo ove vi siano le condizioni e le certezze sociali grazie alle quali è più facile raggiungere una condivisione dei valori fondanti della società che li accoglie. Ma a sinistra, forse, questo aspetto non conta. A contare, evidentemente, sono soli i voti degli immigrati. Quelli per rimanere al potere.
[Questo post è il numero 700]

mercoledì 14 marzo 2007

Il pool dei Pippibaudi. Magna Carta

Vale forse la pena di riflettere un po’ a freddo sul fenomeno montante dei conduttori televisivi in preda a sindrome da comizio.I due casi più illustri e recenti sono quelli di Pippo Baudo e Michele Santoro.
Il primo, sull’onda del successo di ascolti del suo Sanremo, si è scagliato in diretta contro “i politici”, colpevoli di mettere in discussione i suoi cachet televisivi “invece di occuparsi dei veri problemi del paese”. Era furioso e irato, Pippo, mentre concionava contro la politica e sullo sfondo si udiva il fragore di applausi di dubbia autenticità.
Peggio ha fatto Michele Santoro durante la puntata di AnnoZero dedicata al tema dei Dico. Subito dopo la polemica uscita di Mastella dalla trasmissione, Santoro è esploso. Con l’occhio fisso sulla telecamera, il dito alzato e la fronte aggrottata ha urlato che “i politici la devono finire”, che “è una vergogna”, che “questi signori della politica si devono abituare alle domande”. Fino a dire, con risibile vittimismo, “cacciatemi pure, non me ne frega niente” (in realtà venne cacciato e gliene fregò moltissimo).
Questi episodi ci sembra vadano al di là del pur riprovevole “uso privato del mezzo televisivo”. Racchiudono una carica di antipolitica (per di più fatta da due politici incalliti) che ricorda fasi brutte e ancora brucianti della storia italiana recente.
I comizi di Baudo e Santoro sembrano la versione aggiornata – con tanto di ricaduta su youtube.com – dei pronunciamenti di Borrelli e soci, dei loro proclami contro la politica infetta davanti alle piazze plaudenti. La politica era debole allora come lo è oggi, e allora venne spazzata via dalla furia purificatrice delle manette.
Baudo e Santoro fanno quello che fanno e dicono quello che dicono perché colgono la stessa debolezza dell’interlocutore e sanno di poter accendere facilmente la furia delle loro platee. Non hanno bisogno di tribunali: hanno gli studi televisivi (da cui guai a evadere); e il loro potere è altrettanto irresponsabile di quello dei magistrati di allora (e di oggi).
I paralleli storici sono sempre pieni di trappole e non vogliamo spingerci oltre. Certo la situazione politica alimenta presagi foschi e il “pool” dei conduttori andrebbe tenuto d’occhio. Perché non sono solo canzonette.

Bassolino cancella l'Epifania per far posto al Ramadan. il Giornale

http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=163697&START=0&2col=

Nell'agenda della pace sparisce anche San Gennaro.

martedì 13 marzo 2007

Anche il Papa entra scalzo in moschea

Mi sembra di giocare a second life.
Forse ho perso dei riferimenti, può darsi che i valori siano andati a puttane, è probabile che abbia trascurato qualche passaggio, ma ho bisogno di fare il punto della situazione, così rispondo anche ai miei interlocutori di blog.
Torri gemelle: non mi sono inventato nulla! La mia è la versione ufficiale che tutto il mondo conosce e che Bin Laden ha avallato rivendicando l'atto terroristico. Nel post che ho pubblicato si smonta una versione alternativa, complottista e fantasiosa che gira assieme ad altre su web e dvd e che non mi convince per niente: se mi permettete, sarò conformista, ma mi attengo alla versione ufficiale.
Caso Corrado Carnevale: è stato assolto e reintegrato nelle funzioni perché era innocente, non aveva "aggiustato" i processi ai mafiosi, ma si era comportato da garantista. Punto e basta.
Non vedo perché dovrei pensarla diversamente dalla Cassazione. E per associazione di idee, ma mi dispiace dirlo, devo rammentare che Adriano Sofri è stato ritenuto mandante del delitto Calabresi e condannato a 22 anni.

La verità ha colore? I fatti non ne hanno. Poi se vogliamo fare dietrologia, se vogliamo fare il tifo per la nostra parte, se vogliamo negare la realtà, allora inevitabilmente i fatti prendono colore.
A me va bene una lettura critica, sono anch'io per mettere il tarlo del dubbio nell'analisi degli avvenimenti: è giusto non prendere tutto per oro colato, ma i fatti sono fatti e le opinioni sono un'altra cosa.

Vorrei fare un'ultima riflessione riguardo all'atteggiamento che abbiamo nei confronti della Chiesa cattolica e dell'Islam.
I musulmani macellano gli animali sgozzandoli, possono avere più mogli, trattarle male e ripudiarle quando vogliono. Nei loro Paesi è vietato persino farsi il segno della croce e i convertiti rischiano la morte. Gli omosessuali sono imprigionati. La pena di morte e la legge del taglione vigono in tutto l'Islam.
C'è chi vuole togliere il crocefisso nella aule e "laicizzare" il Natale.

Però il Vaticano non può criticare i "dico".

lunedì 12 marzo 2007

Intervista a Corrado Carnevale: "Tornerà la mia giurisdizione". Dimitri Buffa

“Fino al 2013 i miei nemici non riusciranno a liberarsi di me”

“Meglio tardi che mai, certo non potrò concorrere per posti in cui pure non avrei demeritato ma almeno posso dire alto e forte che nella magistratura non si libereranno di me per i prossimi sei anni, sei mesi e 24 giorni, giusto il periodo che rimasi sospeso per quelle accuse calunniose dei pentiti che si rivelarono tutte puntualmente false”.
Tremate, tremate Carnevale è tornato. E preannuncia in questa intervista di avere intenzione di riprendere il discorso lì dove si era interrotto oramai più di dieci anni fa. Cioè da quella giurisdizione garantista che dopo di lui le sezioni penali della Cassazione per anni hanno avuto paura di applicare. E che solo recentemente è ritornata in auge grazie alla buona volontà di alcuni singoli.
Giudice Corrado Carnevale, sarà contento? Finalmente il Csm ha deciso di ottemperare a una legge dello stato italiano in vigore ormai da più di tre anni..
Sì, l’udienza dell’altro giorno è stata fissata al Csm proprio pochi giorni prima che io mettessi in esecuzione un giudizio di ottemperanza del suo pronunciamento diventato definitivo dopo che il Consiglio di Stato lo aveva confermato a suo tempo. Certo in Italia è veramente difficile convincere certi magistrati ad applicare una semplice legge....
I giornali a lei ostili sottolineano come il Csm si sia spaccato in due nella votazione che la ha riammessa all’interno della suprema corte...
Quello che questi giornali si dimenticano però di fare notare ai propri lettori è che il voto del Csm non riguardava una questione dove è lecito avere opinioni differenti ma la mera applicazione di una legge ormai in vigore da anni che semplicemente aveva stabilito che quelli che come me hanno patito una ingiusta sospensione dal servizio a causa di accuse che poi si sono rivelate destituite di ogni fondamento avevano diritto a un periodo uguale e contrario di tempo in deroga oltre l’età pensionabile per recuperare gli anni perduti. E nel mio caso si tratta di anni sei, mesi sei e giorni 24, il che vuol dire che fino al 2013 lor signori non mi si toglieranno di torno....
E ora che succederà? Dove andrà a far danno, nelle sezioni civili o in quelle penali?
Tutto dipenderà da dove verrò assegnato dal primo presidente, o quello titolare o quello facente funzioni visto che da quasi un anno siamo in regime di vacanza del posto e non si riesce a trovare un candidato per quel posto. Mi auguro di poter riprendere servizio già prima di Pasqua.
Come si sono svolte le ultime puntate della telenovela di cui è stato l’involontario protagonista?
Io avevo promosso il giudizio di ottemperanza nei confronti del Csm ma nel frattempo il presidente del Tar aveva saputo che c’era stata la fissazione della seduta decisiva in seno al Csm e quindi ha ritenuto di attendere l’esito. Poi mercoledì c’è stata questa benedetta decisione che come lei forse saprà si è conclusa con un voto a favore del mio reintegro. Più precisamente 11 voti a favore, 10 contrari e 4 astensioni.
Commenti sul voto?
Mi domando come si potesse votare contro o astenersi quando in ballo c’era soltanto l’applicazione di una legge. Mica era materia di opinioni o dibattiti, era una legge in vigore e si trattava di decidere finalmente di applicare l’esecuzione di una sentenza del Tar ormai passata in giudicato. Quindi non mi spiego i voti contrari né gli astenuti. Però è accaduto. In Italia evidentemente queste cose capitano.
Insomma lei crede che non fosse possibile votare contro il suo reintegro?
No, perché si trattava di ottemperare a una legge dopo una sentenza definitiva del Tar. E io non capisco come il procuratore generale presso la Corte di Cassazione abbia potuto votare contro. C’è da ridere. Sono persone che non sanno cosa è il diritto e di conseguenza non sembrerebbero nemmeno adatti a fare i giudici, o no?.
Uno potrebbe pensare che si tratta solo dell’ennesima riprova che il caso Carnevale fu un caso politico, non giudiziario..
Non c’è dubbio, diciamo che è andata. Adesso mi aspettano, e non solo a me, altri sei anni, sei mesi e 24 giorni di carriera e non ho intenzione di fare un minuto di meno, a meno che il destino non mi colga. Tenga presente che ho 77 anni ma sono in buona salute fisica e soprattutto mentale, cosa che non è scontata nel mio ambiente.
Tornerà ad ammazzare le sentenze?
Tornerò a essere un magistrato scrupoloso e garantista e se sarò assegnato alle sezioni penali riprenderò la mia giurisprudenza lì da dove era stata interrotta la mia carriera. Su questo nessuno può nutrire illusioni. Quanto alle sentenze non ero io che le ammazzavo ma qualcuno che le faceva nascere morte. E ai miei persecutori ricordo di essere sopravvissuto anche a qualcuno di loro, io sono uno che sa sedersi sulla riva del fiume e aspettare.

domenica 11 marzo 2007

Torri gemelle: inganno globale? no, balla colossale.

http://nuke.crono911.org/Home/tabid/65/Default.aspx

Un sito fondamentale che smonta tutte le ipotesi di complotto sugli attentati dell'11 settembre 2001 con foto, documenti ed un'accurata ricostruzione storica.

Governo italiano, scusati. il Foglio

Su Calipari, Abu Omar e gli ostaggi è casomai l’Italia a doversi giustificare

I giudici italiani continuano a tenersi occupati attaccando le truppe americane e gli agenti impegnati nell’antiterrorismo. Ora anche i politici stanno entrando nel gioco. Il ministro degli Esteri D’Alema all’inizio della settimana ha attaccato gli Usa perché non si sono assunti le loro responsabilità nell’uccisione, nel 2005, di un agente italiano in Iraq, e pareva dare il proprio appoggio a una causa illegittima nei confronti di un funzionario americano. Il mese scorso, una corte di Roma ha accusato di omicidio e tentato omicidio un soldato americano che ha ucciso l’agente Nicola Calipari e ferito un ostaggio appena liberato, la giornalista Giuliana Sgrena, colpita a una spalla. “Il nome della persona che ha aperto il fuoco è noto – ha detto D’Alema – Qualunque sia la verità, è stata un’opportunità mancata da parte degli americani.
Ora c’è un bisogno di giustizia da soddisfare”. Se c’è qualcuno che ha perso un’opportunità, quello è il governo italiano che non ha respinto l’accusa nei confronti di un soldato americano che lavora legittimamente in una zona di guerra. Calipari stava raggiungendo un checkpoint americano vicino all’aeroporto di Baghdad in auto con Sgrena. Un’inchiesta congiunta americana e italiana non ha trovato un accordo nell’individuare una responsabilità univoca su quel che è successo. Gli Usa hanno detto che un’auto non identificata stava andando ad alta velocità e gli spari sono partiti solo dopo che il conducente ha ignorato i segnali che chiedevano di rallentare. Gli italiani sostengono che il soldato era inesperto e che ha reagito in modo esagerato. Ma entrambi i governi hanno considerato il caso come un incidente di fuoco amico. Lo stesso non vale per la corte di Roma. La sua affermazione di giurisdizione extraterritoriale è arrivata in un momento in cui era già in corso un’altra battaglia legale contro gli Usa.
Il mese scorso, una corte di Milano ha accusato 26 agenti della Cia per la “rendition” di un sospetto terrorista egiziano (l’imam Abu Omar, ndr), un’operazione realizzata a Milano con l’aiuto di agenti italiani. Il governo di centrosinistra di Romano Prodi non ha avuto il coraggio morale di dire qualcosa contro la parodia giudiziaria di un’incriminazione di agenti americani che, in base al diritto internazionale, sono immuni da procedimenti legali in Italia. Ha resistito alle pressioni sull’estradizione degli agenti della Cia, che in ogni caso gli Usa non concederanno. Nel caso Calipari, gli italiani non sono stati timidi nell’alimentare il contenzioso politico. Ciò che rende il tutto ancora più fastidioso è che il governo precedente di Silvio Berlusconi quasi certamente ha pagato un riscatto per liberare l’ostaggio italiano. Questo non solo ha fornito ai jihadisti i soldi per comprare armi e munizioni per uccidere più americani, ma anche l’incentivo a rapire altri ostaggi, italiani preferibilmente, ma anche di altra nazionalità. Se c’è qualcuno che deve delle scuse, è l’Italia.
© Wall Street Journal per gentile concessione di MF

sabato 10 marzo 2007

Una pedata ci salverà. Paolo Guzzanti

http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=162681&START=0&2col=

Il senatore di Forza Italia spiega le ragioni del suo no al rifinanziamento della missione in Afghanistan.

venerdì 9 marzo 2007

La conferenza mondiale per la pace e la festa dell'Unità

Alla madre di tutte le feste dell'Unità, quella nazionale, spetta un'attenzione particolare perché è la più seguita-anche dai telegiornali-la più frequentata e la più curata.
Propongo che la conferenza mondiale per la pace in Afghanistan venga curata dai diessini che hanno organizzato la Festa nazionale dell'Unità di Pesaro che si è svolta dal 31 agosto al 19 settembre del 2006.
Scorrendo il programma dei venti giorni di festa si poteva trovare-tra i quasi centoquaranta- l'incontro, il dibattito o il convegno che ti cambiava la vita: solo i fortunati che hanno partecipato possono dire, oggi, di avere le idee più chiare sui massimi sistemi e di poter affrontare il mondo preparati e consapevoli. Non è possibile? Ecco i titoli di alcuni incontri: Il futuro inizia adesso; Chi ha paura della scienza?;Sentendosi sicuri; Memoria: forza del futuro; Diventare vecchi sì, invecchiare no.
Ma la massima espressione della politica ci viene dai sottotitoli degli incontri Verso l'Italia che vogliamo: 1. giusta con i cittadini, 2. forte e responsabile, 3. dalla parte del lavoro, 4. in buona salute, 5. con le donne, 6. investire sul sapere, 7. nobile e pulita, 8. lo sviluppo possibile, 9. scommettere sul futuro, 10. giusta e moderna, 11. il Paese di Galileo, 12. con la famiglia, 13. tra sicurezza e solidarietà, 14. un sud moderno, 15. libera e pluralista.

Nell'ambito della festa dell'Unità si è tenuta la festa nazionale dell'agricoltura: gli agricoltori che non hanno partecipato si sono persi: L'agricoltura italiana verso la conferenza nazionale; L'agricoltura italiana tra Europa e mondo; Diritti e legalità in agricoltura; Agricoltura e welfare; L'impresa agricola di successo al femminile; Le donne protagoniste della nuova agricoltura; Ricerca e innovazione per un'agricoltura competitiva e sostenibile; Agricoltura e stili di vita: nuovi orientamenti agli acquisti dei consumatori; Evoluzione del no food in agricoltura: sviluppo delle bioenergie; Qualità e sostenibilità per l'agricoltura multifunzionale:la sfida della competizione territoriale. Giuro che i titoli sono autentici.

Ma non basta, le credenziali per organizzare la conferenza per la pace non finiscono qui: ci sono serate che rappresentano pietre miliari nella storia delle feste dell'Unità: Vado e riparto da Pesaro; Dopo il referendum:ripensare la repubblica; Appennino risorsa ambientale da proteggere per allargarsi poi a Il patrimonio naturale e culturale del Bel Paese, una risorsa da valorizzare e personalizzando con Uomini,donne...cose nel paesaggio rurale.

Tra gli "imperdibili" segnalo: Pazienti imprevisti? la salute delle persone omosessuali e bisessuali in Italia e nelle Marche; avrei pagato per vedere la faccia dei compagni "duri&puri" che sono intervenuti il 13 settembre alle 18 in Sala verde. La sinistra, la democrazia, la televisione: perché non sono stati ascoltati Marshall Mac Luhan, Pier Paolo Pasolini, Nam June Paik? vada per i primi due, ma il terzo chi è?

Alla portata di tutti, invece, Per la pace in Medio Oriente; Un partito democratico: quale?, Nuovi modelli di cooperazione a partire dalla formazione; Caccia da problema a risorsa; Da cento anni dalla parte del lavoro perché non dei lavoratori, visto che il relatore era Epifani?

Più sul tecnico-politico Costruire l'antimafia del giorno prima nella Società, nelle istituzioni, nella politica; inquietante l'antimafia preventiva che ricorda l'antifascismo precauzionale.
Un governo a misura dei bambini e degli adolescenti, condotto da sole donne, e che potrebbe prestarsi a facili battute con Prodi Presidente.

Chissà se è stato evocato Marco Polo la sera di Progetti sulla nuova via della seta: porti, modalità di trasporto, logistica e servizi. Sicuramente alla proiezione in prima visione del filmato di Gianluigi Brusadini Dalle rotative al popolo, c'erano solo posti in piedi: i vecchi militanti, riferiscono le cronache, avevano le lacrime agli occhi.



giovedì 8 marzo 2007

La scuola che vogliamo. Davide Giacalone

Da molte parti si celebra il '77. Fu anno di violenze e d'indiani metropolitani. Più che celebrare ci sarebbe da commiserare. Fra chi ne pagò le conseguenze vi sono molti studenti di famiglie disagiate, ragazze e ragazzi che hanno visto i contestatori privilegiati conservare i loro privilegi, lasciando agli altri povertà ed emarginazione, lasciando agli ottusi la galera per terrorismo ed ai deboli l'inferno della tossicodipendenza. Averne nostalgia è folle.

Allora si disse di non volere una scuola di classe. Adottando questa categoria marxiana dirò che neanche noi vogliamo una scuola di classe. Per questo vogliamo, come dice Tony Blair, una scuola dove all'ingresso dei professori gli studenti si alzino in piedi. Il rispetto della pubblica autorità è condizione perché venga meno l'esclusività del rispetto per i privilegiati. E vogliamo docenti che meritino quel rispetto, selezionati prima d'essere selezionatori. Vogliamo una scuola meritocratica, severa, che premi i bravi e bocci i somari. Non vogliamo una scuola consolatrice, accompagnatrice d'ignoranza a salvaguardia di un'eguaglianza che è solo ripetizione e conservazione delle disuguaglianze. Vogliamo una scuola libera, di cui si preservi il valore ed il pluralismo culturale abbattendo il totem del valore legale del titolo di studio. Non della legalità del titolo, ovviamente, ma dell'idea che il valore della formazione non stia nella persona che ha acquisito conoscenze, saperi e professionalità, ma nel titolo, nel pezzo di carta che attesta non si sa cosa e pretende di garantire un privilegio. Alla fine vale solo nella pubblica amministrazione, paradiso dell'improduttività.Dal mondo non potranno mai essere eliminate le disuguaglianze e l'essere poveri resterà spesso un'ingiustizia. Ma la cosa più straziante della povertà è il pensare che in quella condizione resteranno anche i nostri figli. Per rompere quel cerchio vogliamo che il sapere sia strumento d'ascesa sociale, e l'ignoranza una buna ragione per discendere. Per i viziatelli del '77, forti dalla parte dei forti, la meritocrazia era autoritarismo, la promozione garantita una libertà. Noi stiamo dalla parte dei deboli e speriamo che presto la cultura italiana faccia un passo avanti, liberandoci dagli avanzi piagnucolosi di quella stagione d'odio e miseria morale.

martedì 6 marzo 2007

Il sociale frantumato nel comunismo "rifondato". Raffaele Iannuzzi

Dalla lotta di classe al teatro senza classe

Il ministro Ferrero, ad un dibattito a La7, ha dichiarato, con malcelato orgoglio, che Rifondazione Comunista ha oggi più che mai un progetto da realizzare: ascoltare il malessere della società che tracima addirittura dalle canzoni presentate a Sanremo. Se Sanremo mette in scena il disagio sociale, questa la tesi di Ferrero, è chiaro che viviamo in un momento di grave crisi del Paese, crisi sociale che tocca i ceti più deboli. Ferrero evidentemente veste i panni del marziano quando gli fa comodo e questo è un tocco non insolito nella genìa comunista, che, notoriamente, sta sempre un palmo sopra della media degli interessi dei cittadini comuni (a parte i notabili professionisti delle Coop, ovvio), dunque non merita particolari commenti.

Un commento particolare merita, invece, l'imponenza della retorica neocomunista che sta conquistando anche qualche non marginale strato di giornalismo non schierato con il comunismo bertinottiano. L'idea-forza che sostanzia questa nuova retorica, che soppianta quella legata al «declino», il «declinismo», è più o meno questa: la società è in profonda crisi, i ceti deboli sono alla deriva e la politica del governo abbisogna di una forte sterzata in direzione della giustizia sociale, richiesta da molte parti, perfino da coloro che, di fatto, non hanno problemi di reddito e di status sociale, vedi Sanremo.
Tutto si tiene. E invece no. Perché, a ben guardare, non soltanto i comunisti al governo sono responsabili di questa crisi causata in larga misura dalla finanziaria da loro voluta nei termini attuali, sostenuta e oggi osannata, ma, in aggiunta a ciò, essi tentano di disgregare, anche sul piano della comunicazione di massa, l'idea di «sociale», immettendo nel corpo sociale l'idea che ovunque vi siano moltitudini desiderose di combattere per la giustizia sociale e per la redistribuzione fiscale.
Così non è e non soltanto perché, come ha perfettamente sostenuto von Hayek, la giustizia sociale è, né più, né meno, che un miraggio, ma anche perché gli operai, oggi, non vogliono redistribuzioni fasulle, ma soldi veri nelle buste paga e possibilmente non tassati al 50,6% lordi. Sacconi me lo diceva con puntualità nell'ultimo appuntamento di Gubbio 2006, a settembre, a un passo dalla finanziaria disastrosa di cui mai si potrà dire tutto il male possibile, è al di là di qualsiasi linguaggio politico possibile.
I comunisti, che intendono compattarsi in un'unica forza politica, gran brutto segno per il Paese, da un certo punto di vista almeno, non comprendono affatto le trasformazioni reali della società italiana, ben fotografate da uno scaltro osservatore come De Rita, che appunto sottolinea come il nostro Paese sia invaso da varie sacche di corporativismi e tra questi i più forti sono i sindacati, la base sociale del comunismo e, in parte, la base del reclutamento di brigatisti e sovversivi (una minoranza, sia chiaro, però attiva e sempre pronta a ricollocarsi sul terreno dello scontro sociale).

Dunque, non sarà il sociale diffuso sul palco di Sanremo a definire il progetto politico delle moltitudini sovversive, casomai è ben più preoccupante per l'establishment di Rifondazione che compagni della base possano affermare, dando così man forte a Ferrando, più ancora che a Turigliatto (perché i giornali italiani di punta coltivano amnesie di circostanza: ma Ferrando ha colpito ben più a fondo, in termini strategici ed analitici, di Turigliatto, fermo restando che la prima caduta del governo Prodi sull'Afghanistan la dobbiamo direttamente anche a lui, ma il contesto strategico era già in netta crisi, questo è il vero nodo politico), cose di questo genere: «Vi chiamate Rifondazione da 15 anni, ma che avete rifondato?» (Citato nell'articolo di Stefano Di Michele, Partito di lotta e di autocoscienza, Il Foglio, sabato 3 marzo).

Il sociale disperso regge la realtà malamente come lo «specchio in frantumi» di Scalfari e Diamanti: qui in frantumi sono il governo neocomunista e delle banche. Altro nodo politico da non eludere. D'altro canto, nell'alveo della sinistra, come Ostellino e Salvati hanno richiamato con accenti ed argomenti diversi, anche il sedicente «riformismo» produce stasi e corporativismo, altro che modernizzazione del sistema-paese. Se poi a questo insieme di elementi aggiungiamo la reazionaria uscita dei socialisti dei vari rami, con l'aggiunta di qualche rivistine di area, che si trovano a Bertinoro per alzare il ditino e gridare: noi esistiamo! Il mondo deve accorgersi di noi!, ebbene, il quadro è completo e possiamo tranquillamente constatare che, in Europa, la sinistra, a cominciare dall'Italia per chiudere con la Francia, è alla canna del gas. Sul quotidiano radical chic progressista fino allo sbadiglio o allo sfinimento, decidete voi, il celebre Le Monde (venerdì 2 marzo), un certo ricercatore del CERI, tale Ziki Laidi, dunque non un nume tutelare, un Morin o un Touraine, tanto per fare qualche grosso nome, si permette il lusso di domandarsi: «Quale futuro per la sinistra del XXI° secolo?» e dopodiché giù botte da orbi sul determinismo storico ed ideologico della sinistra, senza risparmiare neppure la Giovanna d'Arco socialista, la Ségolène Royal.

Sostiene Ziki Laidi che una sinistra del futuro non può censurare la propulsione positiva della globalizzazione, come, parimenti, non può vivere di meccanismi redistributivi, che tanto piacciono a Ferrero, ma deve adattarsi ai nuovi sistemi culturali e sociali, non alle pulsioni delle moltitudini sovversive. Ziki Laidi sostiene, evidentemente non conoscendo a fondo la sinistra nostrana, che la sinistra francese è la peggiore in Europa con ritardi culturali spaventosi, quasi incolmabili, illiberale in un Paese già di per sé così poco liberale. Niente male come giudizio. Ma il ricercatore, acuto e fine nelle sue analisi, non sa che razza di sinistra dobbiamo sorbirci in Italia...Vale la pena citare un passaggio dell'ottimo articolo del ricercatore del CERI: «(...) La sinistra e l'estrema sinistra hanno abbandonato qualsiasi critica sociale dello Stato rispetto alla quale essi hanno posto un altro compito prioritario: la lotta contro il nemico liberale». Anche in Italia abbiamo ministri comunisti che, invece di criticare i meccanismi distorsivi dello Stato, con le iniquità del caso, alimentano una battaglia continua contro ogni modernizzazione del sistema pubblico.
Ecco, allora, che la sinistra italiana è alla canna del gas ancor più di quella francese, il che, e Ziki Laidi ce lo confermerebbe, è tutto dire. Ma forse, in Francia, non hanno quel punto dolente che abbiamo invece noi in Italia: Sanremo. No, non intendo il festival della canzone italiana, ma l'ultimo congresso di Rifondazione comunista, dedicato al sociale diffuso. Con Baudo speaker del partito e il comico Rossi portavoce di Ferrero.

"Il Prof. ha mentito, ecco le prove". Piergiorgio Picozzi

http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=161905&START=0&2co

Il contabile di Legnano, nero su bianco, smentisce gli allarmi ed evidenzia le bugie di Prodi.

lunedì 5 marzo 2007

Lenzuolata Bersani. Un Position Paper per capirla. IBL

Un Position Paper dell'Istituto Bruno Leoni, intitolato "Bersani 2: Dove sono le liberalizzazioni?" analizza nel dettaglio il disegno di legge Bersani sulle "liberalizzazioni". Il ddl viene considerato "deludente", in quanto "non mantiene le promesse alimentate dal suo marketing", cioè quelle di nuove liberalizzazioni. Infatti, solo due articoli - quello relativo alla distribuzione dei carburanti e quello sul trasporto ferroviario - hanno un contenuto liberalizzatore: in entrambi i casi, poi, "coesistono spunti interessanti o decisamente positivi con una scarsa determinazione a perseguire fino in fondo l'opera liberalizzatrice (che nel caso della distribuzione carburanti avvalora il sospetto che si tratti di un passo compiuto non solo nell'interesse dei consumatori, ma anche a favore di alcuni soggetti economici rilevanti)".Se si guarda al merito dei provvedimenti, abbandonando la cortina fumogena sulle liberalizzazioni, la valutazione dell'IBL è invece moderatamente positiva: "spesso si tratta di interventi giusti ed efficaci, anche se di modesta incidenza". In altri casi invece prevalgono "misure di stampo consumerista che talora contrastano con un approccio di mercato". Nel dettaglio "6 articoli o gruppi di articoli vengono valutati positivamente, 5 negativamente, e 6 in maniera indifferente: ciò significa talvolta che si tratta di misure modeste che non migliorano né peggiorano la situazione, piùspesso che nello stesso articolo o gruppo di articoli convivono passi avanti e passi indietro, in una misura tale da rendere difficile una valutazione netta".Dice Alberto Mingardi, direttore generale dell'IBL: "questo disegno di legge non ha nulla a che vedere con l'agenda di liberalizzazioni che la politica continua a promettere. Se un'azienda privata avesse adottato una tecnica di comunicazione simile, sarebbe stata condannata per pubblicità ingannevole".Il Position Paper è liberamente scaricabile qui

IL GIUDIZIO DELL'IBL SUL DDL BERSANI NEL DETTAGLIO:
Art. 1. Distribuzione carburanti - incerto
Art. 2. Attività di intermediazione commerciale e di affari - positivo
Art. 3. Componentistica dei veicoli a motore - positivo
Art. 4. Distribuzione del Gpl - negativo
Art. 5. Servizi a terra aeroportuali - incerto
Art. 6. Trasporto ferroviario - incerto.
Art. 7. Trasporto innovativo - negativo
Art. 8. Incentivi - negativo
Artt. 9-19. Impresa più facile - incerto
Artt. 19-27. Misure per le imprese - positivo
Art. 21. Capitalizzazione delle imprese - incerto
Art. 28. Istruzione tecnico-professionale - positivo
Art. 29. Organi collegiali delle istituzioni scolastiche - negativo
Art. 32. Nullità della clausola di massimo scoperto - negativo
Art. 33. Modernizzazione degli strumenti di pagamento - incerto
Art. 35. Portabilità della targa - positivo
Artt. 36-41. Abolizione del Pubblico Registro Automobilistico - positivo

venerdì 2 marzo 2007

I trucchi sui numeri. Paolo Del Debbio

http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=160735

Ancora una volta è necessario fare chiarezza sul deficit pubblico e sull'incremento del Pil.

Produsconi. Filippo Facci

Esercitazione per l'esame di giornalismo, sezione logica aristotelica. Il candidato consideri che: 1) il programma di Romano Prodi, dopo la fabbrica del programma, e dopo l'albero del programma, e dopo la carta di Caserta, e soprattutto dopo un programma cartaceo di 280 pagine, si è ridotto a 12 punti programmatici; 2) per cotanto dimagrimento è stato sufficiente eliminare tutte le parti mirate a distruggere quanto il governo Berlusconi aveva fatto in precedenza; 3) dei 12 punti rimasti, alcuni sono di una genericità totale, tipo «impegno forte per cultura, scuola e ricerca» o «impegno concreto per il Mezzogiorno»; 4) gli altri punti, invece, sono per esempio «riordino del sistema previdenziale», «rispettare gli impegni internazionali», Afghanistan compreso, o ancora «realizzazione degassificatori» o «sostegno della famiglia», o ancora «attuazione del piano infrastrutturale», Tav compresa: e sono punti che erano già stati realizzati o senz'altro impostati o comunque cominciati dal precedente governo Berlusconi; 5) Prodi e Berlusconi hanno preso più o meno gli stessi voti. Tutto ciò posto, il candidato ha trentadue ore e mezza per rispondere al seguente quesito: ma allora perché governa Prodi?

Intervista a Capezzone: "I radicali riflettano sulla crisi di Prodi e sulle riforme". Dimitri Buffa

Se qualcuno dentro e fuori dai Radicali italiani si era illuso che a Daniele Capezzone, ex segretario e attuale presidente della Commissione attività produttive della Camera, prima o poi saltassero i nervi, a forza di critiche ingenerose e meschinità di ogni tipo, compresi processi politici da movimentismo comunista anni ’70, quel qualcuno farà meglio a ricredersi. La battaglia è impari. Capezzone, per usare il gergo tennistico, è il classico pallettaro: con più forza lo attacchi, con più convinzione ti risponde e rimette sempre la palla al di là della rete. Mai un errore gratuito, mai una palla sprecata. Sereno come Rafael (Rafa) Nadal dopo cinque ore di gioco sulla terra rossa del Roland Garros. E questo nonostante sia ormai al trentacinquesimo giorno di sciopero della fame, portato avanti con convinzione perché finalmente il Senato aggiudichi quegli otto seggi contestati. Secondo la legge scritta e non quella interpretata. Difficile averla vinta con lui. E questo vale anche per Marco Pannella ed Emma Bonino. Con i quali evita le polemiche. Pur non recedendo di un millimetro dalle proprie posizioni assai critiche su questo governo Prodi al quale Capezzone conferma che negherà il voto di fiducia.

Onorevole Capezzone, lei conferma che si asterrà oggi alla Camera negando la fiducia a Prodi?
Allo stato non è intervenuto nessun fatto nuovo che possa mutare la situazione. Alla Camera c’è una maggioranza di cinquanta deputati. Il preannuncio della mia astensione è solo un modo per aiutare il dibattito sulle riforme. Che per ora non si fanno. In queste settimane oltre a lagnarsi della situazione mi domando se ci sarà voglia di discutere sul da farsi...”.

Cioè?
Io mi riconosco nelle parole dell’amico Nicola Rossi che ha detto che la responsabilità dell’attuale crisi è più colpa della sinistra riformista che non di quella massimalista...

Quella che gli altri chiamano “radicale”..
Già. Peccato che la sinistra conservatrice e massimalista faccia il suo mestiere mentre quella riformista no. E questa è la ragione dell’attuale stallo.

Però proprio questa posizione di critica costruttiva ha attirato le critiche dei radicali a cominciare da Angiolo Bandinelli che dice che lei vuole solo mettersi in mostra. Non è paradossale?
Francamente devo dire che questo dibattito interno ha avuto delle punte di piccolezze che non ci hanno aiutato. Per questo io l’altro ieri ho molto ringraziato Adriano Sofri che, con il suo articolo sul “Foglio”, ha contribuito ad alzare il livello della discussione. Semmai faccio io un’osservazione rispetto alla maggioranza nel suo insieme...

Quale?
Quella che molti deputati del centro sinistra sono assolutamente consapevoli della criticità della situazione, semmai è strano che qualcuno abbia avuto reazioni nervose al mio preannuncio di astensione. Devo constatare che evidentemente anche una maggioranza sulla carta di più di cinquanta voti non è ritenuta una soglia di sicurezza sufficiente.

Già…
Ma questa è una prova di forte debolezza. Adesso sembra che non si voglia nemmeno discutere nel merito le mie osservazioni. Sono però molto confortato dalla valanga di messaggi di incoraggiamento che sto ricevendo, sia da parte di radicali sia da parte di non radicali, e poi anche dalla solidarietà di molti deputati della stessa maggioranza.

Bandinelli però ha ritorto l’articolo di Sofri contro di lei. Come la mettiamo?
Tutto farò tranne che aprire una polemica con lui. Ciascuno può giudicare. Colgo l’occasione per fare ad Angiolo i miei più sentiti auguri.

E come risponde a quelli che dicono che lei ha escluso i radicali dal tavolo dei volenterosi?
Che è un’osservazione che non sta in né in cielo né in terra. Questo tavolo è aperto a tutti, non è e non sarà mai un partito politico o niente del genere. Decine di persone si sono registrate... proprio non capisco questa cosa. Francamente però io mi voglio sottrarre a queste polemiche. Per fortuna, come ho scritto ieri nel mio comunicato, è arrivato l’articolo di Sofri a riscaldare un dibattito e a indirizzarlo su binari da cui aveva deragliato. Prendendo anche una piega che mi aveva amareggiato. Con punte di piccolezza che mi hanno ferito. Ora è venuto il momento di una riflessione seria e serena sul futuro dei radicali che io credo sarà straordinario. Devono però costruirlo con pazienza e con coraggio. Io sono pronto ad assumermi le mie responsabilità. Ma tutti dobbiamo compiere una scelta non subalterna e non rinunciataria nell’attuale momento politico di crisi.

In pratica?
Sono sicuro che Marco che è spesso il primo a cogliere le occasioni e le opportunità, a valutarle e a costruire soluzioni nuove, non si farà sfuggire questa possibilità. E’ in ballo il nostro rapportarci da radicali con il governo Prodi in un momento in cui in politica estera, in quella economica e in quella dei diritti civili non si fa un solo passo in avanti.

Già, ma Pannella che ne pensa di tutto ciò?
Io sono sicuro che la discussione verrà aperta. E sono molto felice che la mia scelta politica ha contribuito a creare le condizioni per aprire questa discussione sul futuro dei radicali.

La Rosa nel pugno è un’esperienza chiusa?
Neanche per sogno, quanta fretta. Certo però il progetto nasce dal principio di non subalternità. Non può diventare un cespuglio amico della sinistra. Noto che coloro che oggi hanno fretta di liquidare quell’esperienza sono gli stessi che si dichiarano pronti a farsi omologare nel senso suddetto.

Lei partecipa al toto Prodi? Quanto durerà?
Non riesco ad appassionarmi al nuovo gioco di società. Piuttosto mi chiedo e con me la maggioranza degli italiani, cosa possa fare in queste condizioni questo governo, la domanda non è se durerà, ma come durerà. Ed è quello che dirò domani nel mio intervento di dichiarazione di voto. Io sarei il primo a rallegrarmi se l’esecutivo potesse stupire me e il Paese, tutto il mio sforzo è proteso a ciò... però allo stato mi pare che questo non ci sia.

Parliamo infine dei seggi al Senato e dei trentacinque o trentasei giorni di digiuno di dialogo. Si intravede uno spiraglio?
Mentre ci parliamo sono al trentacinquesimo giorno della fame. I risultati per ora sono la coraggiosa relazione del senatore Manzione e la prima risposta del presidente della giunta per le elezioni Nania. Ora io proseguo per portare a compimento l’iniziativa, confido che presto potranno esserci fatti nuovi. Presto la legge verrà finalmente applicata. Nel metodo e nel merito.

Quando? Quanto presto?
Non ho la palla di vetro ed è meglio perché se la avessi potrei avere la tentazione di usarla in maniera impropria.