venerdì 20 ottobre 2006

Rispettare i vivi. Filippo Facci

Ugo Pecchioli, ex storico «ministro ombra» del Pci, è morto esattamente dieci anni fa. Ieri i senatori dell'Ulivo l'hanno celebrato con toni comprensibilmente retorici ma che purtroppo non hanno aggiunto una parola circa un certo passato suo e nostro. Si è parlato del «fratello maggiore», di «un coraggio fisico davvero eccezionale», di lui che «insegnò al Pci il senso dello Stato», parole di chi gli ha voluto bene. Ma dieci anni sono tanti, e ci sono domande che attendono risposta.
Giancarlo Lehner, nel 1993, venne in possesso di un verbale del Pcus poi reso noto dall'Ansa di Mosca; era il protocollo 25/S/187 del 30 gennaio 1976: «Il compagno Ugo Pecchioli ha rivolto al CC del Pcus la richiesta di assistenza al Pci per l'addestramento di istruttori, radiotelegrafisti, esperti di tecniche di partito, di realizzazione di rifugi segreti, di individuazione di microspie, e ha rivolto richiesta di aiuto anche per la fabbricazione di documenti italiani in bianco, da utilizzare sia all'interno che all'estero».
La notizia apparve clamorosa anche perché Pecchioli era stato eletto presidente della Commissione di controllo dei servizi segreti. La Dc ne chiese le dimissioni, ma poi esplose il caso Scalfaro-Sisde e la richiesta fu ritirata per giochi di scambio. Da allora, silenzio. Francesco Bigazzi in seguito scoprì che a occuparsi di Gladio Rossa, prima di Pecchioli, era stato Armando Cossutta. Silenzio anche su questo. E Cossutta è vivo.

giovedì 19 ottobre 2006

Il precariato non uccide più la famiglia italiana. Ferruccio Formentini

La “Repubblica” tesse l’elogio della flessibilità

E’ proprio vero, ad alcuni basta un niente per cambiare idea. Per cinque anni quotidiani come “la Repubblica” e reti Tv come “Rai tre” hanno voluto conficcare nella testa degli italiani che il precariato uccide la famiglia, massacra il matrimonio e inibisce la voglia di fare figli. Forse per alcuni è così ma evidentemente non per tutti. E’ bastato che Prodi tornasse nella stanza dei bottoni per assistere ad una inattesa mutazione". La Repubblica”, martedì 17, a pagina 21 sotto il titolo a tutta pagina “La tribù della famiglia precaria” scrive: “Hanno lavori atipici e stipendi incerti. Ma si sposano e fanno figli” e aggiunge: “I nuclei flessibili saranno il modello prevalente nel futuro prossimo. L’inventiva come rimedio” e “Nonostante la precarietà, solo due coppie su 10 rinunciano al matrimonio”. Una curiosità: le cazzate le sparavano allora o le propongono oggi?

Occhio all'euro

Ci siamo rassegnati troppo in fretta a considerare un euro l'equivalente di mille lire!
E' un argomento che mi sta molto a cuore e ne ho già scritto in precedenza: spendiamo con troppa leggerezza, perché psicologicamente dieci euro sono infinitamente meno di ventimila lire.
Certamente bollette, benzina, tariffe e affitto non si possono comprimere, ma laddove possiamo scegliere e valutare è bene ponderare.
Purtroppo stipendi e pensioni sono rimasti gli stessi e, per chi ha solo entrate fisse, la vita è sempre più difficile. E' vero, si fatica ad arrivare a fine mese e, forse, qualche piccola evasione o elusione diventano una forma di autodifesa.
Ma quando facciamo una spesa abituiamoci a convertire in lire il prezzo, al bar e al ristorante, dal salumiere o dal professionista, dal meccanico o dal dentista, con l'imbianchino o l'idraulico, dobbiamo calcolare e soppesare il costo della prestazione con il parametro della lira.
Facciamo qualche piccola rinuncia, cerchiamo la convenienza e lo sconto, non andiamo dove i prezzi sono ingiustificatamente alti, mettiamo in concorrenza i prestatori d'opera, comunichiamo a parenti e amici negozi e artigiani "onesti", boicottiamo alberghi e ristoranti costosi e scadenti: insomma, non subiamo passivamente il costo di una moneta che ha fatto raddoppiare i prezzi.
E' un circolo vizioso, purtroppo, quello che si è messo in moto con l'arrivo dell'euro: tutti coloro che potevano aumentare i prezzi lo hanno fatto adeguandosi all'andazzo generale. Bene, nel nostro piccolo dobbiamo cercare di interrompere questa spirale adottando quelle piccole accortezze di cui ho detto: ci farà bene allargare i nostri orizzonti di acquisto e scoprire nuove opportunità.

mercoledì 18 ottobre 2006

Visco dà ragione a Tremonti. il Foglio

Il vero significato delle cifre, ancora sottostimate, sulle entrate fiscali

Le notizie di ieri sulla Finanziaria dicono che ci saranno: il ritorno della tassa di successione con franchigia fino a un milione, la non applicabilità dell’aliquota unica del 20 per cento sulle rendite finanziarie sui rendimenti maturati nel passato, il bollo più caro per le moto che inquinano.
Ma l’informazione più interessante arriva dall’audizione alla Camera del viceministro Visco, il quale ha dato una dimostrazione matematica del successo della politica fiscale del governo Berlusconi e del ministro Tremonti e dell’inconsistenza della tesi che cerca di far passare tale successo come un risultato della lotta all’evasione attuata con il decreto Visco-Bersani, e con l’annuncio delle misure della finanziaria.
Visco ha informato che, nei primi otto mesi di quest’anno, l’Irpef ha registrato una crescita del 6,4 per cento rispetto allo stesso periodo del 2005, per effetto soprattutto del buon andamento delle ritenute sui redditi da lavoro dipendente. L’aumento deriva dall’incremento di occupazione dovuto alla legge Biagi e all’attenuazione degli oneri tributari e contributivi sui redditi da lavoro e, probabilmente, anche ai condoni che hanno favorito l’emergere del sommerso. Osservazione analoga si può fare per l’Ires, aumentata del 20,2 per cento. Visco ha detto che tale crescita eccezionale è dovuta “anche” a misure una tantum, così confermando che in buona parte essa non dipende da tali misure, ma da fenomeni permanenti.
Poiché i bilanci delle società erano stati redatti sulla base di dati contabili acquisiti prima dell’avvento del nuovo governo, anche questo miglioramento di gettito dipende dall’azione dell’esecutivo precedente. Visco ha aggiunto che l’Iva è cresciuta del 9,3 per cento per la componente relativa alle importazioni e una dinamica dei consumi più accentuata. Ma non risulta che in Italia i consumi siano in vistoso aumento.
La spiegazione del maggior gettito va trovata nel fatto che, anche sull’Iva, emergono imponibili prima sommersi. Rimane un mistero: come mai Visco dichiara che, sulla base di questi dati, sono stati acquisiti al gettito del 2006 solo sei miliardi di maggiori entrate, pari allo 0,4 per cento del pil, dato che nei primi otto mesi le maggiori entrate superano i 25 miliardi e, su base annua, oltrepassano il 2 per cento del pil?

martedì 17 ottobre 2006

Diamo un'anima libertaria al centrodestra. Riformatori Liberali

Se per la politica non è più il tempo delle ideologie, è di nuovo il tempo delle idee. Ciò che distingue il centrodestra dal centrosinistra è l’idea di una società in cui a prevalere siano gli individui, le persone, con le loro libertà, le loro responsabilità e i loro meriti; dove il mercato, dei beni come delle idee, prevalga sullo Stato. L’idea di una società basata sul rifiuto di ogni costruzione sociale che imponga dall’alto uno schema di valori e di soluzioni. L’idea di un paese ancorato, anche nelle scelte politiche internazionali, ai valori della propria identità “occidentale” di cui sono parte integrante e costitutiva quelle conquiste civili, eredità dell’umanesimo liberale e cristiano, che oggi marcano la distanza rispetto alle culture teocratiche e autoritarie.
Ci riconosciamo in un centrodestra che è liberale innanzitutto perché è antistatalista. Sulle questioni “eticamente sensibili”, concordiamo sulla necessità di una seria riflessione sui limiti della scienza applicata. Ma non pensiamo che, su questi temi, la politica liberale possa assegnare ogni potere allo Stato, senza riconoscere alcun diritto alla libertà dell’individuo. Il centrodestra non può contrapporsi allo statalismo economico e civile, e costruire allo stesso tempo un fronte compatto a difesa dello “statalismo etico”. Questo sarebbe un errore di carattere culturale, storico, politico ed elettorale. Il rapporto fra tradizione e innovazione, anche nel campo delle convinzioni morali e dei comportamenti privati, può meglio svilupparsi sul piano del conflitto delle idee e del mercato delle soluzioni e non su quello della “conquista dello Stato”. Tutto ciò non pregiudica, anzi esalta, il ruolo pubblico e attivo della tradizione, anche religiosa, proprio perché non la priva di occasioni di verifica reale, e non ne affida una artificiosa immutabilità alla tutela della legge. Scelgono Forza Italia e la Cdl milioni di antistatalisti, “cattolici” o “laici”, che sulle questioni etiche hanno idee e posizioni che incontrano sempre, salvo eccezioni, l’ostilità del centrodestra. Milioni di persone che, come noi, sono favorevoli, o non ostili a priori, alle unioni civili omosessuali, alla ricerca scientifica sugli embrioni soprannumerari destinati comunque alla distruzione, al testamento biologico o a una regolamentazione dell’eutanasia, a una legislazione sulla droga che non alimenti la mafia e la violenza. E che lo sono, come noi lo siamo, per ragioni quasi sempre diverse da quelle genericamente e scontatamente “di sinistra”.
A tutti loro una coalizione compattamente schierata su politiche d’ispirazione confessionale per i temi etici finirebbe per chiudere la porta in faccia. Un centrodestra, moderato ma liberale, senza un’anima libertaria finisce per essere zoppo politicamente ed elettoralmente. Diamo un’anima libertaria al centrodestra.
Per informazioni: info@riformatoriliberali.org
Primi firmatari: Vittorio Feltri, Giordano Bruno Guerri, Alessandro Cecchi Paone, Tiziana Maiolo, Luca Barbareschi, Roberta Tatafiore, Mauro Mellini, Carlo Monaco, Sofia Ventura, Andrea Marcenaro, Francesca Scopelliti, Mauro Suttora, Piero Milio, Emilia Rossi, Raimondo Cubeddu, Dario Fertilio, Filippo Facci, Arturo Gismondi, Maria Luisa Rossi Hawkins, Nicholas Farrel, Ivan Maravigna, Sandra Fei, Ernesto Caccavale, Arturo Diaconale

Reconquista musulmana. Ida Magli

http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=126679

L'allarme dell'anziana sociologa non deve essere sottovalutato.

mercoledì 11 ottobre 2006

Rivedere la storia

A leggere i giornali non favorevoli al centrodestra sembrerebbe di aver vissuto, durante il governo Berlusconi, in un Paese non libero e condizionato pesantemente dallo "strapotere mediatico" del Presidente del Consiglio.
Il Cav. è stato accusato di conflitto di interessi, di epurazioni alla Rai, di essere mafioso, di avere avuto troppo successo negli affari, di essere stato un servo di Bush, di averci fatto fare brutte figure in tutto il mondo, di essere un corruttore di giudici, di non capire nulla di politica, di essere basso di statura, di portare la bandana, di aver fatto il lifting, di cantare, di parlare male l'inglese, e chi più ne ha più ne metta: insomma una demolizione continua e quotidiana.
Certe accuse decisamente false e smentite dai fatti, altre lanciate solo per puro spirito di critica e per mettere in cattiva luce la persona.
Abbiamo vissuto tutti il precedente governo, abbiamo avuto modo di vedere con i nostri occhi, giudicare, verificare e non ci sembra di essere stati cittadini di una nazione illiberale e soggiogata dal potere di un capo assoluto.
E allora mi viene un dubbio: Mussolini fu veramente quel despota che la storia ci racconta?
E' certamente improprio il paragone, anche se c'è chi lo ha fatto, ma a me interessa evidenziare come spesso i fatti siano diversi da come vengono raccontati. Qualche coraggioso e onesto scrittore di sinistra, che cerca di rendere giustizia alla storia e riportare la verità nella imparziale rassegna degli avvenimenti, sta aprendo delle crepe nella storiografia ufficiale raccontata sempre dagli stessi e mai messa in discussione.
Molta strada è stata percorsa nella ricerca della verità e sono convinto che in un futuro non troppo lontano si potranno fare grandi passi avanti. Lo speriamo tutti per mettere definitivamente la parola fine alle dispute e alle rivalità che ci condizionano da sessant'anni.

martedì 10 ottobre 2006

Indurre la badante a denunciare il vecchietto. Davide Giacalone

Stiano attenti, i pensionati che si fanno assistere da una badante non regolarizzata, perché rischiano di essere trattati come quei criminali che riducono le ragazze in schiavitù e le costringono a prostituirsi. Anzi, finiranno peggio, perché secondo il ministro Paolo Ferrero si deve premiare l’immigrato che denuncia l’italiano sfruttatore, ma mentre i papponi sono discretamente violenti e vendicativi, quindi temibili, il vecchietto è già un miracolo se sta in piedi, quindi denunciarlo sarà uno spasso.
Il pregiudizio classista ha portato il ministro ad un bel paradosso: siccome il lavoratore è la parte debole per definizione, ne deriva che l’anziano non autosufficiente è la parte forte, denunciamolo, tassiamolo, multiamolo. Prima, però, ricattiamolo. Già immagino la scena, con l’affezionata badante che, un bel giorno, gli dice: o mi dai dei soldi o ti denuncio, così ottengo anche il permesso di soggiorno.
Il lavoro in nero non è affatto una bella cosa, così come non lo è l’economia sommersa, che è tale solo per il fisco, giacché immette nel mercato beni e servizi alla luce del sole. Ma pensare di combattere il fenomeno facendo passare le famiglie italiane per schiaviste e le madri lavoratrici come espressione del dominio capitalista, è da matti. Giuliano Amato ha sostenuto che è il lavoro nero ad attirare gli immigrati, non certo l’accattonaggio. Anche lui commette un errore: non il lavoro nero, ma il lavoro. Posto, però, che solo pochi pervertiti provano gusto a violare le leggi, e posto che tenere manodopera in nero è comunque un rischio, ci si domandi il perché questo avviene. E la risposta è la seguente: perché il costo di regolarizzazione è troppo alto, una famiglia che assume una collaboratrice per otto ore quotidiane, regolarizzandola fa crescere enormemente il costo dell’operazione, ed anche per la raccolta dei pomodori, se si carica il peso fiscale di tutte le regolarizzazioni si finisce con il mangiare sugo cinese, dove la schiavitù si accompagna alla pena di morte.
Il governo che cerca i soldi per dare agli industriali una riduzione del cuneo fiscale sta tentando, con queste proposte, di riversarne il costo sulle famiglie e sui settori più poveri, per giunta promettendo un premio ai presunti sfruttati. Dalla lotta di classe alla botta di tasse.

lunedì 9 ottobre 2006

"I giusti". Jorge Luis Borges

Un uomo che coltiva il suo giardino, come voleva Voltaire.
Chi è contento che sulla terra esista la musica.
Chi scopre con piacere una etimologia.
Due impiegati che in un caffè del Sud giocano in silenzio agli scacchi.
Il ceramista che intuisce un colore e una forma.
Il tipografo che compone bene questa pagina che forse non gli piace.
Una donna e un uomo che leggono le terzine finali di un certo canto.
Chi accarezza un animale addormentato.
Chi giustifica o vuole giustificare un male che gli hanno fatto.
Chi è contento che sulla terra ci sia Stevenson.
Chi preferisce che abbiano ragione gli altri.
Tali persone, che si ignorano, stanno salvando il mondo.

venerdì 6 ottobre 2006

La meritocrazia è preziosa per i deboli. Davide Giacalone

Nella legge finanziaria, a saper cercare, ci si trova di tutto. Dicevamo della proibizione di vendere alcool ai minorenni, concordando. Ma dei giovani ci si occupa anche per quel che riguarda la selezione scolastica, che già è estremamente bassa.
Ebbene, nell’articolo 66 si ragiona così: avere dei ripetenti significa dovere affrontare costi superiori, perché la stessa persona frequenta due volte la stessa classe, allora, per risparmiare è necessaria “l’adozione di interventi finalizzati alla prevenzione ed al contrasto degli insuccessi scolastici attraverso la flessibilità e l’individualizzazione della didattica, anche al fine di ridurre il fenomeno delle ripetente”. Una prosa che, già da sola, racconta quanti guasti crea il non bocciare taluni.
Il criterio in sé, secondo il quale promuovendo tutti si risparmia, non merita d’essere commentato. Interessa di più capire chi viene danneggiato, chi paga. Ecco, deve essere chiaro che una scuola non formativa e non selettiva è una gran fregatura per i più svantaggiati e, per dirla in modo più preciso, per i più poveri, per quei ragazzi che non erediteranno una rendita di posizione. Se sei figlio di un ricco, campi tranquillo riscuotendo affitti, interessi, cedole. Se sei figlio di un notaio puoi anche studiare diritto colpendo di rovescio, tanto, alla fine, ti lasciano uno studio dispensabolli con il quale campi più che bene. Anche il figlio del tassista, in barba all’iniziale decreto Bersani, può contare sul non aumento delle licenze. Ma chi nasce in famiglie che si guadagnano da vivere cercando spazi nel mercato, chi non ha rendite sulle quali contare, chi non ha santi cui votarsi, chi può contare solo su se stesso e sulle proprie capacità paga, ed assai caro, il fatto d’investire anni ed anni della propria vita in una scuola che non promuove e fa avanzare i più bravi, fermando gli altri, ma, al contrario, promuove tutti, lasciando che le differenze rimangano, ma siano date dal come si è nati. Una grande ingiustizia.
La lettura di quel comma, con il suo andamento cunicolare e malsociologico, induce a pensare che sia in corso uno sforzo affinché nessuno resti indietro.
Sembra giusto, ma non lo è. La scuola pubblica deve essere aperta a tutti, e tutti devono essere messi nelle condizioni d’eccellere. Ma, dopo, chi eccelle deve andare avanti e chi non riesce ha il diritto di impiegare in modo più produttivo il tempo. Alla fine, insomma, si riafferma l’idea che il sistema dell’istruzione ha come scopo il titolo di studio, e siccome tutti hanno diritto a studiare tutti hanno diritto al titolo di studio. Con questo andazzo, appunto, sono i più deboli a rimetterci, mentre i più forti possono tranquillamente conservarsi tali, oltre che, eventualmente, zucconi.

Il "caso Redeker" e un po' di storia. Raffaele Iannuzzi

http://www.ragionpolitica.it/testo.6561.caso_redeker_storia.html

L'Islam vuole la nostra sottomissione e noi siamo incapaci di capirlo

giovedì 5 ottobre 2006

Conti commissariati. il Foglio

La sciocca idea di un’altra commissione di verifica della spesa pubblica

Da un articolo di ieri sul Giornale di Fabrizio Ravoni – molto informato sulle questioni di finanza pubblica – si scopre che l’articolo 46 della Finanziaria sostituisce la commissione di garanzia per la statistica, con una nuova che non si occuperà soltanto della regolarità delle procedure della statistica nazionale, ma avrà anche poteri sull’informazione statistica fornita dalle amministrazioni che si occupano di finanza pubblica. L’articolo 46 ha allarmato la Ragioneria generale dello stato – l’organismo inquadrato tra i dipartimenti del ministero dell’Economia che predispone la legge di bilancio e la Finanziaria, e verifica la compatibilità finanziaria delle leggi di spesa – perché teme un commissariamento di fatto da parte di Palazzo Chigi da cui dipende la nuova commissione.
L’idea di istituire un nuovo soggetto è insensata almeno per due motivi. Primo: la commissione si sovrapporrebbe ad altri organismi di verifica, oltre alla Ragioneria c’è la Corte dei Conti e per la parte statistica (di intrinseco valore politico) l’Istat e in proiezione Eurostat. Secondo: subito dopo le elezioni il neo-ministro dell’Economia ha istituito una inutile commissione di verifica dei conti pubblici che, dopo aver promesso di svelare terribili segreti contabili, ha finito con il confermare i dati sul deficit già comunicati in campagna elettorale dal governo uscente, precedentemente accusato di mentire. E nel caso avesse dato numeri diversi l’unico ad avvantaggiarsene sarebbe stato l’arbitro delle guerre di cifre, Luca Ricolfi, il quale sul numericamente corretto sta costruendo una solida fortuna di ricerca

mercoledì 4 ottobre 2006

"Imploderanno"

La capacità di "fiutare l'aria" del genio di Arcore si dimostra vincente anche in questi giorni.
"Imploderanno" aveva detto ed effettivamente sono sulla buona strada per implodere.
Governare è molto, ma molto più difficile che stare all'opposizione, anche se è molto, ma molto più gratificante. Rinunciare al potere per chi ama il potere fine a se stesso è quasi impossibile: allora ecco che assistiamo, tra i vari galli del pollaio, a lotte furibonde smorzate da richiami all'ordine più o meno espliciti degli alleati.

Il loro problema è... Berlusconi.
Il Cavaliere non parla, non si esibisce, non esterna e non commenta: a loro manca il collante che li tiene uniti, che consente loro lo sfogo liberatorio e oscura le loro diversità e le loro distanze.
Non avendo il capro espiatorio su cui riversare il loro odio e trovare l'unione nel linciaggio mediatico, si azzuffano tra loro e dimostrano la mancanza di un progetto unitario e condiviso.
Se facciamo mente locale durante il governo della Cdl l'opposizione non ha mai presentato programmi alternativi, ma il loro messaggio era cancellare tutti i provvedimenti del governo Berlusconi: e, purtroppo, ci stanno riuscendo.
Il loro progetto era la sconfitta del centrodestra attraverso la continua e costante demonizzazione del suo leader; nessun altro piano, nessun' altra idea, nemmeno una proposta: solo distruggere, demolire, demonizzare.
Adesso che il bersaglio dei loro attacchi si è tolto dalla traiettoria, sono costretti a fare i conti tra loro, a guardarsi in faccia e rendersi conto che non sono alla Mecca, ma nella m... .

lunedì 2 ottobre 2006

SONOUNCOGLIONE.COM. Magna Carta

Suscitò un grande scandalo Silvio Berlusconi davanti all’assemblea di Confcommercio, poco prima del voto del 9 aprile, quando disse: “Ho troppa stima per l'intelligenza degli italiani per credere che ci possano essere in giro tanti coglioni che votano per il proprio disinteresse”.
Si era allora nel pieno della polemica tra il premier uscente e Romano Prodi sulla questione delle tasse. Berlusconi sosteneva che il centro-sinistra sarebbe ricorso a un maggiore prelievo fiscale nel tentativo di far quadrare il bilancio pubblico; Prodi giurava e spergiurava che non sarebbe andata così: “sono tutte balle”, diceva infatti a più riprese.
Sull’epiteto usato da Berlusconi fiorirono subito siti internet, blog, spillette, manifestazioni e girotondi: tutto all’insegna della goliardaggine e dell’ironia. Moltissimi elettori di centro-sinistra, in quei giorni, indossavano fieramente un distintivo con la scritta: “sono un coglione”.
Oggi che il governo ha reso note le sue decisioni circa l’aumento dell’aliquota irpef su quei “ricchi” che guadagnano oltre 70 mila euro l’anno, molti di quei distintivi andrebbero rispolverati.
Questa volta senza ironia e magari con una postilla: aveva ragione lui.

Visitors

Sono dappertutto.
Li trovi sull'autobus, ai giardini, in piazza, alla posta, si mimetizzano vestendosi come noi, hanno le nostre sembianze, hanno il nostro colore della pelle, sembrano proprio dei nostri.
Li riconosci solo quando parlano, allora ti accorgi che non sono italiani.
Ce ne sono molti di più di quanti immaginiamo perché, quelli che vengono dai Paesi di razza bianca, non li riconosci subito.
La cosa non mi spaventa, mi preoccupa. Per anni abbiamo diffidato di nostri connazionali che venivano dal sud, li abbiamo spesso discriminati, sfruttati e tenuti alla larga, ma parlavano la nostra stessa lingua e avevano le nostre stesse radici e tradizioni. Siamo stati irriconoscenti, superficiali ed anche un po' razzisti.
Oggi, forse, commettiamo l'errore contrario: troppo aperti, troppo disponibili e troppo arrendevoli. La mia preoccupazione deriva dal fatto che non c'è omogeneità tra diritti e doveri: loro hanno troppi diritti e pochi doveri e la parità con noi "residenti" finisce per essere un vantaggio per loro.
Non vorrei essere accusato di razzismo (oggi è diventato un termine più usato di antifascismo), ma mi piacerebbe che se ne parlasse senza falsi pudori, per cercare di risolvere il problema, partendo dal presupposto che gli extracomunitari sono una risorsa per il nostro Paese.
Ho gettato il sasso nello stagno, aspetto di vedere i cerchi concentrici nell'acqua....