mercoledì 27 settembre 2006

L'Italia di cera

Scandali, scandalini e scandaletti: non ne posso più.
Siamo un popolo che digerisce tutto, dimentica e perdona troppo. Siamo i campioni mondiali dei diritti e gli analfabeti dei doveri. Non c'è legge che non sia aggirata, non esiste la certezza del diritto e la pena è un optional. Sopportiamo le peggiori ingiustizie, assistiamo a nefandezze di ogni genere e lasciamo passare indecenze di ogni tipo: vaccinati e immuni da protesta.
Sarebbe ora di finirla, dobbiamo ribellarci.
Non mi riferisco solo a quanto succede in questi giorni, ma in generale ad un andazzo che dura da anni e che -a mio avviso- vede la mentalità della sinistra corresponsabile. Non è possibile predicare la supremazia di certi ideali, volerli imporre e non aspettarsi reazioni. Non è possibile pretendere di avere sempre ragione e dimenticare le ragioni degli altri. Non è possibile fomentare la lotta di classe, giustificare la violenza ed evitare che si espanda nella società.
Sacrosanti i diritti di Caino, ma i diritti di Abele che fine hanno fatto?
Tutto permesso, regole saltate, giustizia in crisi- spesso smaccatamente di parte- lassismo e mancanza di rispetto, sono tra i mali che affliggono la nostra Italia.
Le colonne portanti della nostra tradizione, del diritto, dell'etica e persino del buonsenso, si squagliano come cera al caldo di nuove ideologie che non ci appartengono: ben venga un'era glaciale.

Nuova Cdl, in soffitta i sogni Udc. Giancristiano Desiderio

http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=121758

Incompatibili tra loro le linee guida del centrodestra di Pera e Casini.

Da Roma a New York, otto mesi di gaffe. il Giornale

C’è qualcosa o qualcuno, un demone sulla spalla, uno spiritello che lo insegue e lo perseguita. C’è un nemico che tallona Romano Prodi da vicino e ogni tanto – eh - ehh! – lo accoltella alle spalle, quando meno se lo aspetta. Se stesso. I primi cento giorni di governo del Professore, a parte la sofferenza dei tredici partiti riottosi, e dei tanti alleati più o meno infidi, hanno avuto un protagonista: il doppio – gaffeur di Romano Prodi, il suo alterego dalla lingua lunga, un Peter Sellers con accentoe miliano-romagnolo (ricordate Oltre il giardino?) che ogni tanto – nei momenti critici – irrompe sulla scena con l’incedere di un elefante in cristalleria e una battuta di troppo.
Margherita«suicida». Il primo schizzo di umor nero macchiò la prima pagina di La Repubblica proprio all’inizio della campagna elettorale, una letterina (oggi dimenticata) piena di furore contro i soci dell’Ulivo che remavano contro. Tutto fu sanato, mediato e ricomposto: ma pochi mesi dopo, sempre dalla fatidica Cina (quanto è costata al professore la passione sinologica del figlio Giorgio!) Prodi cesellò un commento laconico e spietato sul comitato nazionale della Margherita che aveva respinto (allora) la proposta di liste uliviste. Francesco Rutelli coniò lì il suo stile mamitico del «pane&cicoria», Prodi sibilò feroce: «E’ un suicidio!».
Roma ladrona. A volte è la bizza di carattere che agita la scimmia. Altre è la facondia disinibita, l’idea che se lo fai in romagnolo, sibililando e sorridendo – eh - ehh!- puoi dire tutto quel che vuoi. La gaffe più topica della campagna elettorale si verifica durante una trasmissione radio di Linus, quando il futuro premier dice: «Roma è bella ehhh, mi piace checché ne dicano... ma non ci abiterei. Ad abitarci davvero no». Ma come, a venti giorni dal voto? Persino Walter Veltroni fu costretto a distinguersi («Mi dispiace, Romano ha sbagliato»), quei discolacci di An, invece, tappezzarono la Capitale di manifesti sarcastici: E chi te ce vole!
«Non ho la bolletta...». Su Ici, tasse e successioni, come è noto è un pasticico. Nell’intervista a Lucia Annunziata poi (su Raitre, alla vigilia del voto) è memorabile lo scambio di battute. «Professor Prodi, lei ha una casa?». E lui: «Sì: una a Bologna e una a Bruxelles più...un nono di una casa di campagna» (dopo le elezioni, badabene, la casa di campagna è diventato «il castello dei Prodi»!). La giornalista: «Quanto vale?». Il professore: «Beeeh... 600-650 mila euro?». Lei: «E quanto paga di Ici?'». Lui:«Non lo so... Ehhh... se lo avessi saputo le avrei portato la bolletta...». Mitico.
«Abbiamo vinto!». Ma l’incidente topico, il vero passo falso, si verifica la sera del voto, con la celebre dichiarazione di piazza Santi Apostoli.
Quella volta, ad animare la scimmia, sulla spalla del Professore fu lo choc anafilattico - adrenalinico del risultato imprevisto: alle tre del pomeriggio ti danno vincente di sei punti; alle sei e mezza dovresti celebrare la tua vittoria (ma non ti presenti); alle undici di sera ti dicono che stai perdendo e hai il down. Quando lo scrutinio nella notte gli regala la Campania, per un soffio di voti, la scimmia si cala in Prodi, che era sul palco, e prende a parlare con voce rauca: «Grazie.... grazie per la bellissima campagna elettorale... abbiamo vinto!».
Vinto? Ad urne aperte era troppo, persino Ciampi lo tenne a bagnomaria per un mese, e lasciò il Quirinale senza dargli l’incarico.
Siria&Iran. Questa estate il Professore si ritrova improvvisamente senza comunicatori intorno: tutti in ferie, da Rodolfo Brancoli a Silvio Sircana, a Sandra Zampa. È il tempo della luna di miele, si autogestisce, parla pochissimo. Gli sfugge un moto di gioia: «Visto come vado bene da solo?». Meglio mordersi la lingua, perché subito dopo, in politica estera non gli va bene: un giorno gli scappa detto che sul Libano deve «mediare Theran» (e dice che è stato frainteso).
Un altro annuncia che ci sarà «pattugliamento al confine «d’accordo con la Siria» (e il giorno dopo Bashar Assad lo fa smentire). Magari il Prof aveva ragione, ma la scimmia chiacchierona gli aveva fatto dire una parola. Di troppo.
«In Aula Io?» Dalla Cina, mentre precipita in Italia il caso Telecom, e le opposizioni, in nome del galateo istituzionale gli chiedono di andare in aula, la scimmia di nuovo si impadronisce del Professore, gli grida in gola il suo disappunto: «Ma che siamo matti?». Stavolta, a dirgli che in Parlamento ci si deve andare, che è la democrazia, bellezza! è Fausto Bertinotti. Le ultime due perle? Arrivano a raffica. La prima: «Siamo contro l’embargo delle armi» (come come? Scimmia guerrafondaia?). La seconda: «Siamo favorevoli al fatto che la Cina resti una» (Scimmia anti-Tawan).
Guardie svizzere. Sulle minacce a Papa Ratzinger, si arriva al capolavoro: «La sicurezza del Pontefice? Ci penseranno le sue guardie». Roba che nemmeno i mangiapreti. Il curato di campagna (definizione che Prodi fece sua) ha sfiorato l’apostasia. Errore fatale, per un cattolico che tutti gli anni si raccoglie a Camaldoli.
Doveva essere il «papa Romano», la scimmia – maledetta bestia – lo ha fatto sembrare un nuovo Milingo.

martedì 26 settembre 2006

E' un decreto salva-magistrati? Marco Taradash

http://riformatori.blogspot.com/

Dubbi, sospetti e analisi dopo il decreto varato in seguito alle vere o presunte intercettazioni nell'affare Telecom.

La Cina non è vicina. Massimo Pandolfi

Prima di sorridere e calcolare i profitti, un governo dovrebbe valutare come i partner potenziali rispettano i diritti umani. L’economia cinese va, ma a che costo? Quello di un Paese con 5 milioni di persone nei lager e 10mila esecuzioni l’anno.

Mancava solo Gianni Morandi. Non ha resistito, Romano Prodi, alla vanità di portarsi in Cina la coppa del Mondo vinta a luglio dai calciatori italiani, ma si è dimenticato di un altro... trofeo, il suo compagno cantante; bolognese, podista e più o meno catto-comunista come lui. Ci sarebbe stato a pennello. Volete mettere? Un bell’In ginocchio da te intonato dal Morandone ai «nostri amici cinesi che saranno sempre più nostri amici» (parole del premier) avrebbe messo il timbro, ufficiale e canoro, su una delle più assurde missioni mai effettuate all’estero dall’Italia.
Siamo andati – anzi, sono andati: in questi casi non ci sentiamo affatto rappresentati come italiani – in 1047 in Cina: il capo del governo, quattro ministri, vari sottosegretari, il presidente degli industriali (e di mezza Italia) Montezemolo, una corte dei miracoli fatta di imprenditori, una novantina di giornalisti in vacanza premio spesati da Regioni o Camere di Commercio (non certo dalle loro testate) e i soliti infiltrati. Milionate di euro, paga lo Stato: forse è stata la più faraonica spedizione del dopoguerra. Non c’era Gianni Morandi, ma anche senza la sua canzone i nostri prodi (Romano e gli altri 1046) son tornati con le ginocchia arrossate. Addirittura il premier ha chiuso col botto:«Basta con l’embargo delle armi da parte dell’Europa ai cinesi» ha detto. Persino i suoi cari amici della Ue lo hanno guardato male.
Una settimana di genuflessioni, sbornie di inchini cinesi, contratti firmati, affari, numeri, economia, business, pil e parametri di crescita. E i giornali, Corriere della Sera in testa, ci hanno ubriacati con i loro Giavazzi e Giavazzini vari, di analisi finanziarie, solo finanziarie, sempre finanziarie. La Cina va di moda, viva la Cina, è lì il futuro, apriamo le porte, non abbiamo paura, è così che si fa, prendiamo la Cina come modello, importiamo ingegneri cinesi. Ma che, scherziamo? Vogliamo prenderci in giro da soli? Abbiamo, anche solo per un attimo, la forza di confessarci cos’è davvero la Cina, quella reale, non quella finta che ci hanno fatto vedere la scorsa settimana o che magari ci verrà mostrata nel 2008 per le Olimpiadi? La Cina, se non altro per le dimensioni del Paese, è oggi la più brutale e sanguinaria dittatura del mondo. Prendete Hitler, prendete Stalin, prendete il dittatore che più detestate: bene, questi signori sono tutti dei dilettanti rispetto al Grande Dittatore cinese, che dopo Mao non ha in realtà un nome e un cognome, ma è ancora peggio perché è lo Stato, cioè il Partito Comunista, cioè una struttura che calpesta selvaggiamente e indistintamente ogni diritto umano.
Proprio perché indefinibile è una dittatura ancora più pericolosa. Per forza che l’economia va: circa cinque milioni di cinesi sono tenuti rinchiusi dentro i lager (che in Cina si chiamano laogai) e costretti a lavorare diciotto ore al giorno. Fanno di tutto, dalle scarpe ai computer. Vengono picchiati, umiliati, ammazzati. In Cina diecimila persone sono ogni anno condannate a morte e la pena capitale è prevista anche per l’evasione fiscale. In Cina per recitare un’Ave Maria ci si deve rinchiudere nei sotterranei, con l’incubo che arrivi la polizia e arresti tutto, compreso la preghiera. In Cina trenta poliziotti sono andati ad arrestare e malmenare un povero vescovo con suore e preti alla vigilia dell’arrivo dei “nostri prodi”; e succede così ogni anno, ogni mese, ogni settimana, ogni giorno. L’elenco e i numeri degli orrori cinesi li trovate dettagliatamente all’interno. E non è vero che la situazione sta migliorando: no, è sempre peggio.
Prima o poi esploderà tutto.
Giancarlo Politi, un sacerdote che ha passato più di 20 anni in Cina, ci ha detto: «Rischia di finire come una Jugoslavia moltiplicata per cinquanta. Molto peggio della Russia». Ma le sanno Prodi e i suoi compari tutte queste cose? Possibile che una gran donna come Emma Bonino si sia così inchinata al dio danaro? «Perché la democrazia non si può esportare», parole sue, ma questa è una frase un po’ pilatesca e tanto pericolosa perché recitata in quel tour sembra quasi voler dire: «a noi interessano i nostri affari, il resto sono affaracci cinesi».Perché il resto non è il resto.No, c’è qualcosa che viene prima dell’affare inteso dai “nostri prodi”.
Forse è il caso che ci si cominci anche a interessare degli affaracci cinesi. E questo non vuol dire non andare in missione, chiudersi a riccio, lasciare la miccia Cina laggiù in Oriente, sola soletta. No, sarebbe anacronistico, ovvio, e in fondo è da decenni che si va a Pechino, indifferentemente con governi di centrodestra o centrosinistra. Il guaio è che ci si va solo per firmare contratti economici e il “resto” (che non dovrebbe essere il “resto”, ma le fondamenta) è tutto un condensato di ipocrisie. «Dai, fate i bravi, rispettate i diritti umani, se no a noi dell’Ue ci tocca sgridarvi ancora con una letterina». E poi giù affari.In uno splendido articolo su Avvenire padre Bernardo Cervellera, una delle “sentinelle della libertà” più attente di tutto l’Occidente, ha chiuso un suo articolo così: «Un professore agnostico dell’università di Shanghai ci ha detto: “La Cina ha bisogno di una nuova rivoluzione culturale. Per millenni alcuni diritti sono stati una concessione dell’imperatore. è giunto il momento di scoprire che i diritti umani sono innati nella persona. Ma per fare questo, la Cina deve riscoprire che l’uomo è proprietà di Dio, non dello Stato”. Forse – è il commento finale di Cervellera – perché questo avvenga la Cina ha bisogno anche di occidentali che vadano in missione non soltanto per commerciare, ma per offrire il meglio della loro cultura: le radici cristiane, base dei diritti umani universali».
Una risposta ancora più concreta, immediata e facile facile su che cosa dovrebbe essere una missione in Cina, e su che cosa avrebbero dovuto fare i “nostri prodi” a Pechino, la dà il sessantanovenne Harry Wu, per 19 anni recluso in un laogai cinese. Ne è uscito solo perché è miracolosamente riuscito a fuggire; ora gira il mondo e racconta le vergogne cinesi e purtroppo in pochi lo ascoltano. Wu ha detto: «è molto semplice: quando gli italiani si siedono al tavolo per firmare un accordo, chiedano ai cinesi di mostrare i luoghi di lavoro, come sono pagati i lavoratori e come sono trattati. Se un governo non fa questo, allora vuol dire che pensa solo ai soldi».E quando si pensa solo ai soldi ci si chiude prima il cuore, poi gli occhi. E poi, nel trionfo dell’ipocrisia, ci si sbuccia le ginocchia.Peccato che il premier italiano non si sia portato dietro Gianni Morandi. Senza In ginocchio da te i nostri prodi si son dovuti sorbire in continuazione l’inno cinese. Si intitola La marcia dei volontari e fa così: «Avanti eroico popolo di tutte le nazionalità! Il grande partito comunista ci guida in una nuova marcia. Uniamoci! Come un sol uomo e marciamo verso il comunismo».
Questa è la Cina. Cos’è il comunismo, ormai lo sappiamo tutti. Auguri.

lunedì 25 settembre 2006

400 mila euro sprecati. Davide Giacalone

Ah, ah, ah. Il libro a causa del quale sono stato spiato dagli omini della Telecom, ed inserito nel loro prezioso “archivio Zeta”, è Il Grande Intrigo, che i lettori di Libero possono comodamente comprare al costo di euri tre. Una volta compratolo possono leggerlo, ed alla fine ne sapranno assai di più di quelli che hanno speso almeno 400 mila soldoni per farsi gli affari miei.
Dicono di avermi “radiografato”, commettendo un reato. Io di loro mi sono occupato in modo aperto, citando nomi e cognomi, anche delle fonti, e non sono stati in grado di smentire una sola parola di quelle che ho scritto. Proprio per questo trovavo, e trovo ancora, singolare che i fatti narrati non siano finiti prima all’accurata attenzione delle autorità preposte, ma, insomma, adesso, grazie a Tavaroli ed ai suoi accoliti, troverò qualche lettore in più.
A chi il libro lo ha letto, invece, è il momento di raccontare qualche retroscena. Io ci tengo allo stile, ci tengo all’onorabilità, pertanto non vado in giro a spifferare incontri e colloqui riservati. Ma visto che della riservatezza, gli interlocutori, hanno un’idea tutta personale ed assai originale, è bene che a giudicare siano i lettori (mentre della parte penale si occuperanno i giudici, spero in questo decennio). Quel che segue, sia chiaro, non cambia di una virgola il contenuto del libro, anzi, suggerisce l’opportunità di scriverne un altro.
Dunque, contrariamente a quel che le apparenze suggeriscono, io non faccio il giornalista. Mi occupo, da molti anni, di diritto delle telecomunicazioni. Conoscevo bene il mondo della Stet (la finanziaria che controllava Sip, Italcable e Telespazio, nei cui consigli d’amministrazione sedetti) ed alcuni degli uomini che per questa lavoravano, in giro per il mondo. Nel corso della gestione Colaninno si fecero, in Brasile, operazioni di rara demenzialità e di altissimo costo (trovate tutto nel libro, con particolari e cifre), al punto da allarmare chi ben conosceva quei mercati. Telecom, per molti di noi, era una bandiera nazionale, non una mucca da mungere, non mi piaceva lo spettacolo che stavamo dando e pensai che qualcosa si dovesse fare. Nello stesso periodo, però, Colaninno cedette Telecom a Tronchetti Provera. Finalmente, pensai, così la si finisce di smandrapparla e si potrà trovare una soluzione ragionevole al conflitto che, nel frattempo, si era aperto con i soci brasiliani.
Per il tramite di una comune conoscenza (l’allora viceministro all’economia, prof. Baldassarri), chiesi a Tronchetti Provera di parlargli. Lui fu assai cortese, mi chiamò al telefono, gli esposi la questione, mi disse che erano appena arrivati e non ne sapeva nulla, pertanto di prendere contatti con l’allora amministratore delegato, Bondi. Lo feci, si organizzò un incontro tecnico, vennero delle persone dal Brasile, si doveva incontrarsi con l’ufficio legale, ma, una mattina, in quel di Milano, saltò tutto. Bondi mi mandò una lettera dove scrisse che la faccenda riguardava gli azionisti e che non dovevano esserci intromissioni politiche. Giusto, gli risposi, ma quali intromissioni ci sono state? Nessuna, a mia conoscenza, a parte l’iniziale presentazione di Baldassarri, che mi sembrava, e mi sembra, del tutto normale. Comunque, si badi al sodo e si organizzi l’incontro fra gli azionisti, cioè fra Marco Tronchetti Provera e Daniel Dantas. L’incontro si fece. Per inciso, la mia tesi era che Telecom avesse torto marcio (tesi poi suffragata da sentenze), ma che la richiesta di Dantas fosse troppo esosa, si dovevano limitare i danni (fatti da Colaninno) e rilanciare la collaborazione. Nel mentre gli azionisti si preparano al primo incontro, spunta fuori un signore di nome Giuliano Tavaroli.
Mai visto né sentito, mi chiede un incontro. Lo vedo con la disponibilità di sempre. Mi riempie di complimenti (ancora grazie), dice che sono uno dei pochi a sapere tutto (il che era leggermente esagerato), poi mi fa la proposta: senta, lei conosce fatti e persone, del Brasile e non solo, noi, invece, non sappiamo quasi nulla, ci darebbe una mano? Volentieri, ma a fare cosa? A “sapere”. La cosa puzzava, ed il suo essere ex carabiniere, il quel contesto, non mi rassicurava. Gli dissi che ero disposto a collaborare con Telecom, affrontando la sostanza del problema brasiliano, nella speranza che la nuova proprietà facesse pulizia dove la precedente aveva seminato disastri. Non si fece più sentire.
Qualche mese dopo vidi crescere attività molto sospette, e dal Brasile mi facevano sapere che si stavano muovendo spie di ogni tipo. Chiamai Tavaroli, andai a trovarlo, e gli dissi: mi dicono queste cose, state attenti perché potrebbero provare a diffamarvi. Lui fu schietto: questi sono dei delinquenti, usano le spie e noi risponderemo con gli stessi strumenti. Fine, non ho più voluto vederlo. Il suo ragionamento era radicalmente sbagliato: se un tuo antagonista usa mezzi illeciti lo denunci, non prendi più spioni di lui.
Un passo indietro. Subito dopo l’acquisto di Telecom Tronchetti Provera si accorse che i conti erano in disordine e vi erano delle poste di bilancio, fra le quali spiccava il Brasile, sopravvalutate in modo scandaloso. Non so se avesse usato le informazioni che avevo fornito, ma, insomma, se ne accorse. A quel punto cosa fece? Secondo me avrebbe dovuto rivolgersi alla magistratura ed avviare un’azione contro chi aveva provocato quei danni alla società, che, è bene non dimenticarlo, non era sua, non era un suo affare privato, ma era quotata in Borsa e custodiva i soldi di miglia di risparmiatori. Invece fece una cosa diversa: chiamò Gnutti, che con Consorte e Sacchetti gli aveva venduto la Telecom contro l’opinione di Colaninno, e gli chiese uno sconto. Uno sconto per sé, per la Olimpia che aveva comperato, indebitandosi. Gnutti, che è più bravo, gli disse che lo sconto poteva scordarselo, ma gli avrebbe fatto un prestito, garantito da una quota di Olimpia, che si sarebbe intestata. Fu così che Gnutti, con la sua Hopa, tornò ad essere socio di chi controllava Telecom. E’ regolare, tutto questo? Credo di no, l’ho scritto, ma nessuno è intervenuto.
A quel punto, mi sembrava che il vaso fosse colmo. Ogni azione seria e ragionevole era inutile, il tavolo fra le parti era saltato, quella storia meritava d’essere raccontata, con il giusto grado d’indignazione e senza tacere nulla al lettore. Mentre inizio il lavoro, capita una cosa strana: il Giornale pubblica un’inchiesta a puntate, tutta ispirata alla difesa di Telecom da quei malfattori dei brasiliani (faranno lo stesso il Sole 24 Ore ed il Corriere della Sera), alla quarta puntata racconta di un incontro, a Milano, presso il Fuor Season, fra Tavaroli e l’amministratore delegato di Brasil Telecom, Carla Cico. Scrivono che Tavaroli sospettava vi fossero spie, così prese delle contromisure, e fece bene, perché quando uscì dalla camera, dopo un po’ di tempo, entrarono gli uomini della Kroll, che è un’agenzia internazionale d’investigazione. Un momento, scrissi sull’Opinione diretta da Arturo Diaconale, come fanno a sapere chi entra ed esce dalla camera di una signora? L’inchiesta s’interruppe, e Tavaroli non la prese bene.
Una mattina entro in studio, mi metto al tavolo da lavoro, accendo il computer ed ho la sensazione che si prova quando, all’aeroporto, prendi per sbaglio la valigia di un altro. Qualcuno aveva abbondantemente grufolato. Non sporgo denuncia, per due ragioni: primo perché non ho prove di nessun tipo (chi lo dice, se non io, che il computer era stato manomesso?), secondo perché capisco che quello che li infastidisce è il libro, di cui hanno avuto notizia ascoltando le telefonate. Quindi decido di fare una sola cosa, accelerare la scrittura.
Valuterà il mio avvocato (a proposito, lo straordinario Vittorio Virga si arrabbia sempre quando legge, come sul Corriere della Sera di ieri, concetti, a me riferiti, del tipo “indagato in Mani Pulite”, perché ritiene un suo successo il fatto che io sia stato assolto e prosciolto senza che nessuno abbia mai provato le iniziali accuse, mai, quindi, se la piantano gli fanno un piacere. Grazie. Auguro, di cuore, a Tavoli la stessa sorte), valuterà, dicevo, se avviare e quali azioni, ma a me disturba un’altra cosa. Mi disturba l’idea che, secondo alcuni, davvero siamo tutti uguali ed il più pulito ha la rogna, talché basta spiare una persona per poterla ricattare. Ecco, su questo, e per fatto personale, vadano pure a fare …..

venerdì 22 settembre 2006

Gente di mondo. da www.ingrandimenti.blogspot.com

Le entrate tributarie, in Italia, sono aumentate del 12,6% (pari a 24.214 milioni) nei primi 7 mesi dell’anno.Qualcuno, ingenuo, potrebbe pensare che sia un effetto virtuoso dei provvedimenti del precedente Governo ma noi, gente di mondo, sappiamo che invece è merito dell’attuale Governo…Esso infatti, pur non avendo ancora assunto alcuna iniziativa in grado di incidere sull’economia si è avvalso dell’effetto-annuncio, come ha limpidamente spiegato il nostro Presidente del Consiglio: “Questa è pura lotta all’evasione…Gli italiani sanno che non facciamo condoni e quindi la gente è saggia e capisce che c’è serietà. Il tutto senza nessuna variazione di aliquota, senza nessun cambiamento c’è stato un aumento degli introiti fiscali per in un anno in cui non è aumentato il reddito” – La Repubblica 07.08.2006
E fa nulla se l’Istat dice che, nell’ultimo anno, il fatturato industriale è aumentato del 5,5% e che gli ordinativi cresciuti dell’8%. E fa nulla se l’Istat informa che la disoccupazione è calata in 12 mesi passando dal 7.3% al 7.0% e che l’occupazione è aumentata del 2,4% portando il numero degli occupati a 23.187.000 con la creazione di 534.000 nuovi posti lavoro.Qualcuno, ingenuo, potrebbe credere che le entrate fiscali sono aumentate perché è aumentata la base imponibile ma noi, gente di mondo, abbiamo ben chiaro, con l’aiuto del Presidente Prodi lo confessiamo, che le tasse sono versate non in base al reddito ma sulla paura della lotta all’evasione e che l’effetto di quest’ultima è addirittura retroattivo.
Infine, il prezzo del barile di petrolio è iniziato a scendere.Qualcuno, ingenuo, potrebbe pensare che ciò sia dovuto alla scoperta, nelle acque del Golfo del Messico da parte della Chevron, di un giacimento da 15 miliardi di barili. Noi, gente di mondo, sappiamo invece che la riduzione del prezzo dell’oro nero è dovuta anch’essa all’effetto-annuncio. I paesi arabi si sono intimoriti quando l’Italia ha comunicato fieramente al mondo intero che non era più disposta a scherzare e che avrebbe inviato in Libano un contingente militare armato fino ai denti.Noi, gente di mondo, restiamo in attesa che il Governo confermi queste nostre intuizioni con un comunicato ufficiale che, ne siamo certi, non si farà attendere.[Monica]

giovedì 21 settembre 2006

Finalmente Montezemolo ha detto qualcosa di liberista. Alberto Mingardi

Anche Montezemolo due volte l'anno segna l'ora giusta. Dopo mesi di traccheggiamenti, passati spolverando senza convinzione una retorica sì liberista ma timida timida, e soprattutto lisciando nervosamente il pelo al governo, ieri il Presidente di Confindustria ha fatto professione di una fede nel mercato un po' meno di circostanza. Lo Stato "deve indietreggiare", ha detto al Corriere chiedendo il ritorno, e non la sospensione fino a giorni più propizi, delle privatizzazioni. Bravo.
Ma il Presidentissimo non è stato l'unico a dar colpi di maglio.
Lasciamo perdere Francesco Giavazzi, che a chi ha orecchi per intendere ha regalato un'analisi perfetta di che cos'è e perché è pericolosa la Cassa Depositi e Prestiti, cui Angelo Rovati avrebbe voluto affidare la remissione dei peccati di Telecom. Da Giavazzi ce lo si aspetta. L'affondo contro la "nuova Iri" da parte di Guido Rossi, per giunta amplificato da un giornalista come Federico Rampini, non certo una majorette del mercato globale, ecco, quella sì che è una sorpresa. Cosa sta succedendo?
Sta succedendo che siamo un Paese un po' più normale di quanto pensassimo.
L'arrocco su Telecom tentato da Romano Prodi era la mossa arrogante di chi sa di poter contare su un blocco di potere invincibile. Un network poderoso, ai vertici della finanza, ben radicato in tutti i centri d'irradiazione dell'opinione pubblica. Leader senza partito, Romano ha ben più che un gruppo parlamentarealle spalle: ha un branco, lasciatogli in eredità da Beniamino Andreatta, solidissimo grazie ad alcune personalità d'eccellenza (su tutti, Nanni Bazoli). Ma persino il branco più compatto ogni tanto viene messo in crisi dalla temerarietà del capo.
Angelo Rovati ci ha rimesso il posto, a salvaguardia del boss, e le sue dimissioni sono il contentino strappato a Prodi da un diverso agglomerato di potere. Da un'altra parte della sinistra, quella dalemiana. Che parla e si esprime nella lingua del mercato.
Operazione di abile dissimulazione? Vendetta per la fusione mancata fra San Paolo e Montepaschi, il piano diessino mandato a gambe per aria dal supermatrimonio bancario di agosto?
Può darsi. Ma sarebbe troppo malizioso liquidare come un battibecco d'interessi un dibattito che sta riportando al centro della discussioni questioni non da poco. Cosa deve fare lo Stato, quant'è giusto che il governo pretenda di sapere sull'attività di aziende private, come devono saldarsi politica e business.
Il fatto che la società italiana reputi ormai intollerabile un'ingerenza diretta come quella che è nelle ambizioni di Prodi è un segnale incoraggiante. Sì, è vero, Berlusconi non ha abbassato le tasse. Sì, è vero, dopo dodici anni di traversata nel deserto le grandi riforme sono ancora di là da venie. Però qualcosa è cambiato, se la parola "Iri" è un insulto, se il ritorno delle partecipazioni statali, periodicamente evocato dal ceto politico, nel mondo vero raccoglie solo fischi.
Qualcosa è cambiato, non tutto. Ci sono altri segnali meno interessanti. Due, su tutti. È bello che si senta in giro tanto amore per la concorrenza e la libera iniziativa, ora che è rotolata la testa di Marco Tronchetti Provera. Ma prima, i mujaheddin dell'impresa, dov'erano? Quando la stessa Telecom si è comportata men che rettamente rispetto ai suoi avversari di mercato, per esempio, chi alzava la testa? Quanti hanno guardato alle vicende bancarie presenti e passate con lenti meno annerite dal conformismo,sezionando i troppi e troppo stretti legami fra banca e politica? Quanti dei difensori professionisti dei grandi padroni si sono sporcati le mani con liberalizzazioni magari malviste, da chi ancora passa la vita a suggere dalla mammella di Stato?
C'è poi un assente ingiustificato nel dibattito. Il centro-destra.
Disfida di potere o discussione ideologica, la partita è tutta fra liberisti dalemiani e dirigisti prodiani, i destrorsi non toccano palla, se non fosse per qualche uscita di Berlusconi. È normale, che la parte politica che rappresenta le partite Iva, i professionisti, il popolo dei produttori del Nord, non abbia un pensiero organico e non estemporaneo su una cosetta non del tutto marginale come il ruolo dello Stato nella nostra società? Cercasi Cdl disperatamente. Di questo passo, a chi cerca un po' di liberismo non proprio posticcio, non rimarrà che un'altra destra: la destra della sinistra.
Prodi è convinto che il governo sia la continuazione dell’Iri con altri mezzi.
Carlo Panella

mercoledì 20 settembre 2006

Se il premier tende la mano al demonio. Carlo Pelanda

http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=119990

Prodi farebbe bene a non incontrare il Presidente iraniano.

Laogai. Filippo Facci

Esercitazione per l'esame di giornalismo. Il candidato consideri che:1) Durante la seconda guerra mondiale, in Germania, quasi 8 milioni tra civili e prigionieri di guerra furono deportati per essere impiegati nell'industria tedesca. Erano praticamente degli schiavi. Poi, dal 1938, anche i campi di concentramento acquistarono un peso crescente nell'economia nazionale: nell'inverno del 1941 l'utilizzo dei prigionieri per lavoro coatto divenne preponderante,
e i campi, oltre a luoghi di detenzione, divennero sedi contrassegnate da condizioni e ritmi inumani;2) In Cina, nei primi anni Cinquanta, furono ideati dei campi di rieducazione e concentramento in cui dissidenti veri o presunti, perlopiù arrestati per reati politici o di opinione, venivano rinchiusi senza un'imputazione precisa e senza nessun genere di processo: non si trattava di prigioni, ma di autentici campi di lavoro, ideati da Mao,
che in condizioni aberranti (proibito parlare, proibito pregare, niente cibo se non produci abbastanza) divennero un pilastro dell'economia cinese.
Erano praticamente degli schiavi.Ciò posto, il candidato ha tre millesimi di secondo per indicare quale dei due sistemi di lavoro viva ancor oggi, e produca merce che giunge sino a noi. Ne indichi pure, se possibile, il nome.

Perché sull'Islam il silenzio è l'arma vincente. Rino Camilleri

http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=120025

Attaccare l'Islam significa mettere a repentaglio la vita di milioni di cristiani.

martedì 19 settembre 2006

Telenovelacom. Davide Giacalone

http://www.davidegiacalone.it/index.php/economia/telenovelacom

Riflessioni di un esperto sullo "scandalo" Telecom Italia.

(...) Il vero conflitto d'interessi che esiste in Italia

non è quello di Berlusconi: è questo inestricabile intreccio di rapporti, interessi politici ed economici che coinvolge l'attuale maggioranza di centrosinistra. Sono questi antichi vizi della sinistra e degli imprenditori a lei vicini ad ingessare ed appesantire il sistema produttivo del nostro Paese: sono questi i santuari da liberalizzare, non i taxi o le farmacie. Il governo Prodi ha il dovere di fare chiarezza, in particolare per salvaguardare l'affidabilità del nostro Paese nei confronti degli investitori stranieri, fortemente turbati dagli sviluppi del caso Telecom. La credibilità dell'Italia è stata fortemente intaccata da questa sprovveduta condotta di Prodi; e tutto avviene nel quasi totale silenzio della stampa e delle televisioni progressiste, in passato sempre pronte a criticare Berlusconi. Emerge la solita sinistra che non rinuncia a calpestare tutto e tutti pur di ficcare il naso da tutte le parti, senza preoccuparsi di fare invasioni di campo. Alla faccia della superiorità morale. [David Consiglio]

lunedì 18 settembre 2006

giovedì 14 settembre 2006

Io non ci sto. Paolo Guzzanti

http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=118461

Le ragioni del no alla missione in Libano del senatore di F.I.

L'11 settembre all'italiana. Magna Carta

L’11 settembre cinque anni dopo si celebra in Italia tra noncuranza e sfacciataggine. Basta guardarsi attorno per cogliere i segni di un modo farsesco di raccogliere la memoria di quella tragedia.
La teoria del complotto sembra essere la regina della festa. In modo ammiccante e quasi divertito giornali e giornalisti preferiscono cincischiare con le più assurde teorie cospiratorie piuttosto che cercare qualche idea nuova da spendere nel già spento dibattito pubblico. Enrico Mentana è il campione di questo andazzo. Matrix dedica all’11 settembre una puntata dal titolo “Le verità contrapposte” in cui darà spazio alle tesi complottarde e antisemite di un giornalista come Maurizio Blondet. C’è dunque la verità delle 2973 vittime uccise dai 19 terroristi di Al Qaeda in una mattina di settembre del 2001 e c’è la verità di Maurizio Blondet, con la benedizione di Mediaset.
Ma c’è anche chi, non credendo ai complotti della Cia o del Mossad, festeggia i terroristi vittoriosi e viene premiato a Venezia. E’ il caso dei registi Jean Marie Straub e Danielle Huillet, che hanno preso il premio alla carriera alla mostra del Cinema. Con un messaggio hanno fatto conoscere il loro pensiero alla giuria: “Finche ci sarà il capitalismo imperialistico americano, non ci saranno mai abbastanza terroristi”. E nessuno ha battuto ciglio.
Per l’11 settembre invece la Camera dei Deputati ospita un convegno dal titolo “La pace è l’imperativo. Vittime di un popolo vittima”, voluto dal Pdci e organizzato da Dacia Valent. Ospite d’onore è il rabbino ultraortodosso Moshe Friedman, vezzeggiato dalla sinistra radicale in Italia oltre che star dei campi antimperialisti per le sue tesi contro lo Stato di Israele e contro il sionismo, che Dio avrebbe giustamente punito con l’Olocausto. E’ così che la Camera di Deputati ricorda l’11 settembre.
Anche perché in questi stessi giorni, il presidente della Fondazione della Camera, Pierferdinando Casini, è a Teheran, per stringere la mano ad Ahmadinejad, il presidente iraniano che vuole cancellare Israele dalla faccia della terra e ritiene che l’Olocausto non sia mai esistito. Casini è volato in Iran con aereo di Stato e codazzo di giornalisti, il più acuto dei quali ha notato nel suo resoconto che l’ex presidente della Camera era molto più elegante del suo illustre ospite. Una vera lezione di stile.
Se sono bastati solo 5 anni per trasformare l’11/9 in una merce così contraffatta e vilipesa allora aveva ragione chi diceva: “Nulla sarà più come prima”. E’ infatti tutto molto peggio.

martedì 12 settembre 2006

Capire l'11 settembre. Valentina Meliadò

Io, come tutti, quel giorno non lo dimenticherò mai. Quelle immagini, quell'apocalisse in diretta televisiva, la follia umana che si mostrava in tutta la sua feroce potenza e si mischiava al coraggio e alla semplice grandezza di chi era lì a fronteggiare il finimondo, tutto questo rimarrà impresso nella mia memoria come un film assurdo, un incubo talmente eccessivo da non poter credere di non averlo solo sognato.
Forse è inutile ricordare che da allora tutto è cambiato, che il mondo non è più lo stesso, che la sfida che abbiamo di fonte sarà lunga e difficile, e che da quel giorno la paura accompagna la nostra vita quotidiana. Forse è inutile ribadire che l'11 settembre è stato un brusco risveglio per un Occidente che dopo la caduta del Muro di Berlino si è superficialmente proiettato in una infinita prospettiva di pace, e che i pochi anni che vanno dalla fine della guerra fredda alle Twin Towers sono stati vissuti con lo stesso spirito della Belle Epoque, che non a caso finì travolta dalla prima guerra mondiale. Abbiamo scelto l'incoscienza e ci siamo rifiutati di cogliere tutti quei segnali che - se letti per ciò che veramente significavano - ci avrebbero portati alle Torri prima dei terroristi che le hanno buttate giù.
Ma il dramma peggiore, quello che, a cinque anni di distanza, è demoralizzante, è che una vera presa di coscienza occidentale riguardo al terrorismo islamico ancora non c'è, ed anzi, oltre alle divisioni politiche ed alla incrinatura dei rapporti euro-americani, ora sono arrivate anche le tesi complottistiche, roba in cui - per quanto impegno ci si può mettere - non si riesce a trovare uno straccio d'appiglio credibile. Eppure ci si vuole credere. Ancora una volta, come negli anni della guerra fredda, il fascino della dietrologia demoniaca è più forte della verità nuda e cruda. Non bastano gli attentati e le stragi in tutto il mondo, non bastano i proclami di Bin Laden e dei suoi accoliti, non basta aver visto con i nostri occhi, aver udito con le nostre orecchie, la realtà non ci basta, ed è questo il motivo principale per cui questa guerra rischiamo di perderla.
Del nostro nemico non abbiamo capito nulla, mentre lui sa tutto di noi e, quando non usa le armi, sfrutta le nostre debolezze, i nostri buchi legislativi, i nostri scrupoli, la nostra stessa concezione della vita. E tesse la ragnatela degli anni a venire. Mentre noi, alla faccia dell'evidenza, troviamo mille scuse e giustificazioni al terrorismo islamico (tra cui una guerra scoppiata due anni dopo l'11 settembre), loro pianificano le proprie mosse in termini generazionali, con una concezione del tempo che ci ostiniamo a non capire perché, a differenza della nostra, è teleologica, si basa cioè sull'idea che la vittoria finale, prima o poi, arriverà. Mentre noi rintracciamo nella povertà (anche dove questa, oggettivamente, non c'è) la causa eterna del risentimento anti-occidentale, loro alimentano e propagandano un odio che è ideologico, arcaico e conquistatore.
L'Occidente è talmente secolarizzato da non credere più che la religione possa spingere ad atti estremi, ma dimentica che i fondamentalisti non conoscono la differenza tra potere laico e potere religioso; il Corano è la loro Bibbia, la loro Costituzione ed il loro paradigma morale, ed è chiaro perché tale concezione arcaica non possa che prefiggersi la conquista dell'Occidente: i due sistemi sono del tutto impossibilitati a convivere. Se a questo poi si aggiunge il desiderio di rivalsa storica, l'ostilità nei confronti della modernità e l'uso politico del risentimento anti-occidentale che le oligarchie, le teocrazie e le monarchie arabe fanno presso l'opinione pubblica dei propri Paesi per garantirsi la permanenza al potere, non ci si può stupire di quanto accade in tutto il mondo.
Io non credo (non ancora almeno), che il fondamentalismo goda dell'approvazione della maggioranza delle masse musulmane, ma certo i segnali che provengono dalle comunità islamiche europee sono preoccupanti e meriterebbero un ripensamento serissimo delle politiche di integrazione adottate in Europa sino ad oggi, tutto il contrario, purtroppo, di quanto ci si appresta a fare in Italia, dove il significato degli attentati di cinque anni fa ancora non è chiaro.
L'11 settembre 2001, che lo si voglia o no, non è scoppiata una guerra, ma ci siamo piuttosto accorti che qualcuno la guerra ce la sta facendo da decenni, con una determinazione e una preparazione decisamente superiori alla volontà occidentale di entrare nel conflitto.
L'America, che questo ritardo l'ha pagato sulla propria pelle, bene o male ha scelto di combattere, e nonostante gli errori commessi (tra cui lasciare incompiute le guerre intraprese, e non c'è nulla di più indecente che rendere inutili le morti provocate), esprime una determinazione a non arrendersi che è il segno di una presa di coscienza che in Europa continua a mancare. Con il rischio che questo comporta di dimenticare il significato - che rimarrà attuale ancora a lungo - dell'11 settembre.

L' Unione a Canossa. Paolo Guzzanti

http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=117954

Se la sinistra fa autocritica, si può votare a favore della missione in Libano.

giovedì 7 settembre 2006

A ciascuno il proprio mestiere. Arturo Diaconale

http://www.opinione.it/pages.php?dir=naz&act=art&edi=188&id_art=3688&aa=2006

La critica di Sergio Romano al Cavaliere diventa riconoscimento di insostituibilità.

Berlusconi risalirà in campo

E' finito il primo tempo della partita.
La squadra è negli spogliatoi in attesa del secondo.
Il capitano, allenatore, presidente e centravanti sta preparando la rimonta dopo la delusione dei primi 45 minuti.
Cambierà in parte la formazione, senza dubbio il modulo e alcuni giocatori faranno il loro esordio sul campo.
Chi pensa ad una partita di contenimento, giocata tutta in difesa si sbaglia di grosso: sarà battaglia vera ( come dicono i telecronisti) senza sconti e con la determinazione di chi vuole vincere.
Ci sono molti elettori che non hanno capito niente di Berlusconi e ci sono , purtroppo, anche politici che dimostrano di non avere la statura e le capacità di fare politica. L'impolitico per eccellenza dimostrerà che le idee, quando sono buone e valide, hanno il sopravvento sugli interessi e la corsa alle poltrone.
Siamo convinti che Berlusconi porterà la sua formazione alla vittoria e ci fidiamo delle sue scelte: giusto dare consigli, ma non dimentichiamo che è lui l'allenatore.

venerdì 1 settembre 2006

Ungheria, pentimenti tardivi. Giordano Bruno Guerri

http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=115306

Un po' di storia per capire cosa avvenne nel '56 e che ruolo ebbero "il Migliore" e l'attuale Presidente della Repubblica.