martedì 31 luglio 2007

Al direttore - Arnaldo Forlani, l’ultimo segretario della Dc, ordinò ai parlamentari del suo partito di votare a favore dell’autorizzazione a far processare per mafia Giulio Andreotti, consenziente al suicidio l’interessato, e subito dopo a favore della soppressione dell’immunità parlamentare. Lo fece, così disse, per salvare la Dc dal lancio delle monetine, quelle che il segretario del Pci Achille Occhetto aveva lanciato e fatto lanciare contro Craxi. In effetti, del lancio delle monetine non ci fu più bisogno perché nel frattempo la Dc si disciolse e sparì. L’ultimo segretario dei Ds, appena discioltosi per fondare il Partito democratico, Piero Fassino, si accinge a votare e a far votare i parlamentari del suo partito a favore dell’utilizzazione giudiziaria contro se stesso e contro i suoi compagni Massimo D’Alema e Nicola Latorre delle intercettazioni telefoniche fatte a loro danno e contro la legge, rinunciando così all’ultima parvenza di guarantige di cui gode il Parlamento, dopo l’autorinuncia all’immunità e dopo che la Corte costituzionale ha dissolto nel ridicolo l’effimero istituto della insindacabilità. Ci sono serie ragioni per prevedere che finirà come l’altra volta e che il partito di Fassino, sotto l’urto della magistratura, si discioglierà e sparirà prima ancora di avere la possibilità di reincarnarsi nel Partito democratico. E con il partito di Fassino si dissolverà e sparirà la seconda Repubblica, come con la Dc si dissolse e sparì la prima. Il paradosso della situazione è questo, che l’unica possibilità che ciò non avvenga, che non si dissolvano i partiti della seconda Repubblica come si dissolsero quelli della prima, è affidata a Silvio Berlusconi, che è rimasto l’unico a dire no. Berlusconi, il trionfatore dell’antipolitica, è rimasto l’unico a difendere la politica. La difende contro l’urto della magistratura anche contro i suoi alleati, e persino contro le sue televisioni e i suoi giornali e una buona parte dei suoi parlamentari e dei suoi stessi elettori. Perché questo ha di singolare, e l’ha avuto dal primo momento, l’antipolitica di Berlusconi, questo nocciolo duro del garantismo che la contrappone inesorabilmente al giustizialismo, che è la vera madre di tutte le antipolitiche, ma non della sua. Ce la farà?
Lino Iannuzzi, senatore di Forza Italia

lunedì 30 luglio 2007

Devono morire

Ancora morti sulle strade italiane.
"Le stragi del sabato sera" puntualmente fanno notizia perché lasciano sull'asfalto una mezza dozzina di giovanissimi. Purtroppo sono vittime predestinate: devono morire perché hanno deciso di morire. Ubriachi, drogati, rincoglioniti dalla musica, stanchi e con scarsa esperienza di guida, non possono fare altro che ammazzarsi.
Non bastano controlli e posti di blocco, bisogna cambiare la testa di questi ragazzi. Hanno bisogno di essere formati ed educati, di avere dei genitori possibilmente non smidollati, di conoscere i limiti delle loro facoltà, di coetanei che ragionino con la testa, di ragazze al fianco che sappiano contenere gli eccessi dei loro comportamenti e soprattutto hanno bisogno di disciplina che è alla base del rispetto delle regole. Altrimenti dietro ogni curva c'è la morte o, quando va bene, la sedia a rotelle.
Si credono onnipotenti, si illudono che l'auto possa rimediare ai loro errori, hanno voglia di sensazioni forti perché sono abituati ad avere tutto da genitori imbelli, se ne infischiano della vita e non pensano alle conseguenze: si portano la morte appresso. Inutile piangere dopo, meglio prevenire con la formazione e l'informazione, in famiglia, a scuola, sui giornali e per televisione.
Più rigorosità nel rilascio della patente, limitazioni drastiche per i neo patentati, leggi più severe, ma soprattutto certezza della pena.
Il permessivismo è diventato il modello di vita da quando il '68 ha spazzato via tante regole e divieti. "Vietato vietare" era lo slogan di quegli anni: oggi ne subiamo le conseguenze.
Disciplina, rispetto, norme e rigore sono vocaboli sconosciuti anche a molti adulti, è naturale che i giovani non li conoscano.

giovedì 26 luglio 2007

Alitalia: che ci fa Toto (Air One) da Bertinotti? Giuseppe Pennisi

L’Alitalia sta per finire in salsa alla amatriciana. Se le autorità nazionali ed europee sulle gare d’appalto non fermano la stravagante procedura che pare essere in corso, l’Italia rischia di finire al di fuori dell’euro e della stessa Ue.
Andiamo con ordine.
Oggi 26 luglio, il flemmatico Ministro dell’Economia e delle Finanze Tomaso Padoa-Schioppa riferisce alle pertinenti Commissioni parlamentari sul presente e sul futuro della compagnia di bandiera. Un’audizione corretta, anzi doverosa, visto il pasticciaccio brutto del beauty contest inconcludente. Quasi a volere incidere sull’audizione e sui suoi risultati, un comunicato sui televideo di prima mattina informa il colto e l’inclito che il principale azionista di Air One ha avuto una riunione con il Presidente della Camera dei Deputati Fausto Bertinotti (il quale nulla a che fare con gare ed appalti di aviolinea – al più per quelli relativi agli affitti ed alla cancelleria dell’organo costituzionale che presiede) per informarlo che è pronto a formulare un'offerta vincolante se il capitolato viene modificato sotto alcuni aspetti (i livelli occupazionali, il vincolo a non rivendere entro un certo numero di anni). Un passo del tutto improprio in quanto solo nei Paesi del quarto mondo (neanche in quelli del terzo) si è visto un partecipante ad una gara rivolgersi ad un’autorità istituzionale e politica al fine di fare cambiare il capitolato, entrando così in una trattativa privata. Quando un episodio del genere avvenne in Costa d’Avorio, la Banca Mondiale bloccò tutte le operazioni nel Paese ed il Capo dello Stato ritornò sui suoi passi.
Non è solo una questione di garbo ma di leggi scritti e di lex mercatoria per le transazioni finanziarie e commerciali internazionali. Ove il tête-à-tête avesse un seguito, non solo la gara dovrebbe essere riaperta a tutti gli eventuali concorrenti ma il Governo Prodi dovrebbe chiudere, per decreto legge, tanto l’antitrust quanto la commissione di vigilanza sugli appalti e chiedere all’Ue una sospensione “sine die” dalle regole europee.Nel frattempo, ci stiamo coprendo di ridicolo sulla stampa di tutto il mondo.

L'economia mondiale corre, anche l'Europa va bene; quella che resta indietro è l'Italia. Gaetano Saglimbeni

Perché il compagno presidente del Consiglio ed il ministro Padoa Schioppa non spiegano queste cose agli italiani?
Il Fondo monetario internazionale conferma le sue durissime critiche al nostro Paese. Secondo le sue stime, la crescita media sul pianeta Terra sarà nel 2008 del 5,2 per cento, con previsioni dell’11,2 per cento per la Cina, del 9 per l’India e del 2,6 per l’Unione europea. Solo che, mentre la Spagna crescerà del 3,8, la Germania del 2,6 e la Francia del 2,2, l’Italia farà un notevole passo indietro, scendendo dal 2 per cento del 2007 all’1,7.
E tutto questo, per gli irresponsabili cedimenti del governo ai diktat-ricatti dell’estrema sinistra che hanno impedito ed impediscono di destinare alla riduzione del debito pubblico il famoso“tesoretto” di entrate fiscali non previste lasciato nel 2006 dal governo Berlusconi.

I furbetti e i furboni del crack Parmalat. il Riformista

Parmalat, una storia italiana. O meglio, da Totò truffa, se non fosse che i gabbati questa volta non sono attori e comparse di un film bensì migliaia di piccoli risparmiatori svuotati dei risparmi di una vita. 23 rinvii a giudizio nel procedimento principale sul crack Parmalat, 32 rinvii in quello relativo al turismo, 8 nel filone processuale che riguarda le mitiche Acque Ciappazzi. A deciderlo, ieri mattina, nell’ambito dell’atto conclusivo dell’udienza preliminare per il crac del colosso di Collecchio, il gup di Parma, Domenico Truppa. Oltre ai 23 imputati del filone principale (rinviati a vario titolo per associazione a delinquere e concorso in bancarotta fraudolenta), tra i quali l’ex patron Calisto Tanzi, Fausto Tonna, e diversi amministratori e sindaci Parmalat, sono stati rinviati a giudizio anche i membri del board di Capitalia, tra cui Cesare Geronzi (secondo quanto ritenuto dal gup, dietro la controversa vendita dell’azienda di acque minerali da Ciarrapico a Tanzi, c’era Geronzi che “obbligò” il patron Parmalat a comprarla, nonostante avesse seri problemi) e l’ex ad, Matteo Arpe, il cui ruolo sarebbe però secondario, sempre secondo il gup. A questo si aggiungono poi i 16 patteggiamenti e, nell’ambito Parmatour, le due condanne di Alfredo Poldy Allay e Luca Baraldi.
Morale: dopo un biennio in cui si è spesso preferito almanaccare e infierire su furbetti del quartierino e Ricucci vari semplicemente indagati, eccoci squadernato dalla procura di Parma il più grave scandalo finanziario del Belpaese (in plastica coincidenza con la vicenda Italease e derivati). Certamente molto di più della scalata Antonveneta, per cui, sempre ieri mattina, la procura di Milano ha chiesto il rinvio a giudizio per l’ex ad di Bpi Giampiero Fiorani, l’ex governatore di Bankitalia Antonio Fazio, l’ex numero uno di Unipol Giovanni Consorte, il finanziere Emilio Gnutti e un’altra settantina di indagati. Spiace solo che i grandi giornaloni, nei mesi scorsi, si siano spesso dimenticati di dare conto, insieme alle fusioni, dei frutti velenosi dell’italico bancocentrismo. Mescolando tutto senza colpo ferire: furbetti & furboni. Anche se, volendo, c’è sempre tempo per rimediare.

Gli affari milionari del volpone del deserto. Alberto Pasolini Zanelli

I fari della pubblicità, per qualche ora, hanno esaltato scene in Europa: Cécilia Sarkozy in jeans e maglietta sulla scaletta dell’Airbus con la scritta «Républic Française» sulla fiancata, le infermiere bulgare che, a terra, abbracciano i familiari e all’Eliseo Nicolas Sarkozy che si crogiola nella gloria di un trionfo del coraggio e dell’immaginazione, che sigilla il ritorno della Francia alla guida morale dell’Europa e la riconciliazione matrimoniale.Adesso i fari, però, dovrebbero «cercare» un altro protagonista e un’altra scena: Muammar Gheddafi, magari nella sua mitica tenda nel deserto, che in certi casi gli fa da ombra anche metaforica. E il dittatore libico, infatti, non si mostra troppo. L’assoluzione di una crisi assurda ha prodotto una serie di accordi, quasi tutti benefici, ma altrettanto surreali, in un intrico di prestazioni e controprestazioni, riconoscimenti e scambio di favori in cui farebbe fatica a raccapezzarsi, c’è chi teme, perfino la mente astuta di un Talleyrand redivivo. Difficile perfino da riassumere: delle infermiere bulgare che, accanto a un medico palestinese, vanno a cercar di curare l’Aids in Libia, in un ospedale per bambini. I vaccini si contaminano, centinaia di bambini si infettano. La spiegazione più ovvia è che dei materiali fossero già contaminati, ma un tribunale libico decide invece che è tutta colpa dei sanitari, biechi assassini che avrebbero fatto degli esperimenti alla Mengele. Condanna a morte per tutti, come minimo, sempre confermata in anni e anni di vani ricorsi.
Poi improvvisa la commutazione all’ergastolo, che si traduce in scarcerazione immediata. Contropartita un milione di dollari a ciascuna delle 460 famiglie colpite: soldi che vengono dalla Libia ma anche dalla Bulgaria, dalla Slovacchia, dalla Croazia e dalla Repubblica Ceca in forma di rinuncia a dei crediti. Si comporta così, naturalmente, anche la Francia, che ci mette dentro diverse decine di milioni. Che sono poi solo l’inizio di una girandola di accordi commerciali e politici: rilancio degli investimenti petroliferi francesi in Libia, intensificazione delle forniture militari già riprese due anni fa, opportunità per le industrie francesi di partecipare alla costruzione di autostrade, treni, sistemi satellitari. Dietro Parigi, naturalmente, il resto dell’Europa. Un’occasione d’oro per rilanciare quel dialogo euro-africano che Sarkozy ha promesso fin dalla sera della sua elezione, in un denso ed emotivo saluto alle moltitudini convenute in place de la Concorde.
Ma se torniamo al suo interlocutore, Gheddafi, vediamo che per lui un festoso e fastoso accordo del genere non è una primizia. Il «colonnello» ne è, anzi, un esperto. Di recente ha concluso un affare del genere con gli Stati Uniti e con un presidente come George W. Bush assai più «duro» e sospettoso, continuatore via padre della «dinastia» di quel Reagan che nell’86 fece bombardare Tripoli e l’abitazione di Gheddafi per vendicare un atto terroristico. A una controvendetta fu attribuita, due anni dopo, la strage a bordo di un aereo di linea Pan Am precipitato sulla Scozia con 259 vittime. Il mondo ne accusò Gheddafi, che non smentì ma si rifiutò di collaborare. Lo stallo durò quasi vent’anni e poi improvvisamente l’uomo di Tripoli disse sì: era stato uno dei suoi, un certo Megrahi, ma non per ordine del dittatore ma, essendo un funzionario dello Stato, lo implicava come responsabile. Risultato un risarcimento di quasi tre miliardi alle famiglie delle vittime.
Una «capitolazione»? Neanche per sogno, perché contestualmente la Libia rinunciò a certi suoi progetti di costruzione di «armi di distruzione di massa», quelle che Bush era andato a cercare invano in Irak. Per la Casa Bianca fu una consolazione ben remunerata: fine delle sanzioni a Tripoli e un bel messaggio personale di Bush che chiamava Gheddafi «fratello mio». Questa volta tocca all’Europa, via Francia. Ancora un risarcimento, ancora delle concessioni politiche ed economiche. Business à la Gheddafi. Nello stile dell’uomo che, avendo fatto esattamente il contrario di Saddam Hussein, lo ha esaltato poi come «un martire e un santo». Che ha fatto causa alla Coca-Cola chiedendo un gigantesco risarcimento perché «la materia prima usata è africana». E che in patria ha lanciato un programma di risarcimento alle famiglie dei sottopagati. Il primo assegno, di 23mila dollari, è stato consegnato al titolare di una famiglia di nove persone. Nome Muammar Gheddafi, professione: leader della Repubblica socialista araba della Libia.

mercoledì 25 luglio 2007

L'Italia capovolta. il Foglio

Il circuito mediatico-giudiziario si è rimesso in moto ma ora gira al contrario.

Dopo la richiesta avanzata, in forme che fanno tanto discutere, dal giudice Clementina Forleo al Parlamento perché ammetta l’utilizzo delle intercettazioni subite da alcuni deputati e senatori, il circuito mediatico-giudiziario si è rimesso rapidamente in moto, però gira al contrario. L’associazione nazionale dei magistrati, per la prima volta a memoria d’uomo, invece di esprimere la solita solidarietà al giudice, la cui autonomia è minacciata dai politici ecc. ecc., comincia a sindacare sulla sua attività. Non si fa sentire neanche il Csm, costituzionalmente garante di quell’autonomia. Contro il ministro della Giustizia che chiede gli atti per verificare se inviare un’ispezione a Milano non arriva la solita gragnuola di proteste, anche perché analoga richiesta è partita dal procuratore generale della Cassazione. Da ultimo, ma primo fra tutti per l’autorità, Giorgio Napolitano ammonisce che negli atti non bisogna scrivere pregiudizi, e (quasi) tutti i giornali applaudono. L’eccezione è rappresentata dalla Stampa, che nelle parole pronunciate dal presidente vede se non l’esistenza, almeno una parvenza di parzialità a favore del suo partito di origine.
Ognuno di questi inusitati comportamenti può avere una spiegazione diversa. L’atteggiamento della magistratura associata potrebbe essere il segnale che la campagna contro “i politici”, ripresa in grande stile per condizionare l’iter della legge sull’ordinamento giudiziario, adesso che questa è passata al Senato secondo i desideri della corporazione, può cessare, anche se la Forleo forse non se n’è accorta. Certo, nel comportamento del procuratore generale della Cassazione si potrebbe anche intravedere il riflesso di una rivincita generale degli alti magistrati: da un lato hanno vinto la battaglia per la nomina del presidente, dall’altro hanno sconfitto Magistratura democratica che si opponeva a Vincenzo Carbone. Anche l’atteggiamento balbettante delle grandi testate che, dopo aver contribuito a lanciare la campagna su Unipol-Bnl, avevano forse pensato di aver già ottenuto l’esclusione di D’Alema e Fassino dalla corsa nel Pd, si spiegherebbe con l’opportunità di non infierire su avversari sconfitti. Tuttavia è lecito sperare, a chi ha sempre creduto nel garantismo, che non ci sia solo una serie di coincidenze, e di convenienze, alla base del capovolgimento di posizioni del circuito mediatico-giudiziario, ma anche un pizzico di vera riflessione autocritica, seppure un po’ a senso unico.
Al direttore - Oggi salutiamo il proscioglimento dell’anestesista Mario Riccio. Ma se Piergiorgio Welby avesse perduto coscienza poche ore prima che il medico cremonese interrompesse, su sua richiesta, le terapie che lo mantenevano in vita, oggi, con molta probabilità, il militante radicale languirebbe ancora nel suo letto di tortura (così la considerava). Il testamento biologico, in fondo, è “solo” questo: consentire ai futuri Welby di poter impartire anticipatamente le proprie volontà, quando la loro consapevolezza non è stata ancora compromessa dalla malattia. Testamento biologico ed eutanasia sono due questioni distinte che possono e debbono essere affrontate separatamente, perché implicano diritti e responsabilità diverse sia a carico dei malati sia dei medici. Il diritto di rifiutare le cure (e di disporre in modo valido questo rifiuto per il futuro) e quello di morire attraverso un atto medico non sono, a tutta evidenza, la stessa cosa. Sarebbe, per me, una grave sottovalutazione della portata politica dei temi in gioco affrontare, come in molti nel centrodestra vorrebbero fare, le questioni bioetiche sul “fine-vita” in modo ideologicamente indistinto, dichiarando una “guerra totale” al principio del consenso informato che è già oggi la base deontologica e giuridica del rapporto tra medici e pazienti. Non credo proprio che il cento per cento degli italiani che hanno votato per la coalizione berlusconiana pensino, come un sol uomo, che il dottor Riccio sia un assassino, che la morte di Welby andasse impedita con la forza e che Nuvoli sia stato salvato da un “omicidio di stato”. Non è neppure vero, probabilmente, che la maggioranza di quegli italiani che hanno scelto il centrodestra – e che lo sceglieranno nel futuro – ritenga che sulle questioni eticamente sensibili tocchi allo stato e alla legge provvedere a risolvere i “dilemmi morali” che la vita porta con sé e impone alla coscienza degli individui. L’eutanasia di stato (che codifichi quando non vale più la pena di assistere un malato) e la “cura di stato” (che imponga comunque di curare un paziente, anche contro la sua volontà) sono i due estremi, uguali e contrari, a cui può portare la pretesa dello stato di surrogare, in virtù di una superiore saggezza e di un più alto sapere, la fragile volontà delle persone che soffrono.
Benedetto Della Vedova presidente Riformatori liberali e deputato FI

martedì 24 luglio 2007

Tutti uniti con Magdi Allam, tutti uniti con Israele, tutti uniti contro il negazionismo, gli amici del terrorismo e gli amici del Kgb. Paolo Guzzanti

Stiamo andando verso una nuova forma di illiberalismo gravissima che somiglia a una dittatura strisciante, ma sempre più sfrontata e galoppante.
Magdi Allam è stato attaccato a sinistra dalla rivista “chic” Reset, ed è indicato come bersaglio a tutti i tagliagole.
Intanto apprendiamo che gente di centro destra e persino, se confermato, di Forza Italia, si schiera contro Israele e pratica il negazionismo come i nuovi antisemiti di Teheran.
Leggiamo di un segreto consesso di giornalisti che dentro la Rai praticherebbero la censura per conto di Prodi. E’ vero o è falso? I servizi segreti sono schierati ogni giorno di più con gli stessi russi contro i quali insorgono inglesi, americani e la nuova Francia di Sarkozy.
In Italia le notizie sono oscurate e relegate nei telegiornali in coda ai notiziari. Una maggioranza che si regge sui voti politicamente non legittimati (anche se legali) dei senatori a vita, traballa e i suoi stessi esponenti si vomitano reciprocamente insulti e odio.
Il caso Litvinenko-Mitrokhin è un caso mondiale e si assiste a una straordinaria gara per oscurare il fatto che Sasha veniva segretamente in Italia a portare notizie e che oggi è lecito supporre che sia stato assassinato per questo motivo, e non perché fosse un “dissidente”.
Dissidente non significa niente e non si prepara un omicidio per un anno usando un materiale che può essere prodotto soltanto da uno Stato, per far tacere un dissidente. I dissidenti vivono ben protetti, ma in tranquillità.
Perché hanno ammazzato Sasha?
Allam è una delle poche voci libere che vengono dal mondo arabo e sialmico, l’unico che conosce e riconosce la bontà di Israele.
Israele è nel cuore di tutti coloro che amano il genere umano, la vita e la civiltà. Non dirò che Israele è il baluardo dell’occidente perché non è vero: Israele è il baluardo del popolo ebraico sterminato e calpestato e vilipeso e offeso. Israele è la frontiera che divide chi ama la vita da chi ama la morte.
C’è qualcosa di molto grave e molto losco che sta accadendo intorno a noi.
Facciamo quadrato intorno a Magdi, chiamiamo tutti ad esprimere solidarietà a Magdi e a portare la solidarietà sui giornali, sui blog, nelle mailing list, ovunque.
Impediamo che il nazismo ritorni travestito da terrorista.
Tutti noi che cerchiamo e difendiamo la verità siamo attaccati e duffamati.Uniamoci e diamoci forza.
Vegliamo sulla democrazia italiana perché tira una bruttissima aria.
E’ estate, ma non abbassiamo la guardia soltanto perché è tempo di vacanze.
Magdi, sappi che noi ti siamo vicini e sappiamo che tu sei vicino a noi. Come siamo vicini a Israele per la cui sorte vegliamo e tremiamo, mentre altri tramano e preparano nuove oscene aggressioni.

Il governo deve regalare Alitalia mentre i dipendenti scioperano. Milton

Mercoledì 18 Luglio. Fiumicino. Mezza Italia sta partendo per le vacanze e140 voli Alitalia sono stati cancellati. Motivo dello sciopero: lotta alla precarietà e allo “scalone”.

Lo riscrivo per chi avesse il timore di non aver letto bene. Mentre l’ultimo potenziale acquirente di Alitalia ha appena dichiarato di ritirarsi dalla gara, il titolo sta a poco più di mezzo euro, il libri contabili sono sulla porta del tribunale, il personale di terra e gli assistenti di volo Alitalia che fanno? Scioperano contro il precariato e contro lo “scalone”. Sarebbe più o meno come se un condannato a morte chiedesse di spostare al giorno dopo la sua esecuzione, per andare in piazza a manifestare contro le aliquote fiscali troppo basse dei servizi di pompe funebri.

Questa è la tragica (nel senso greco), per niente inattesa conclusione della procedura di vendita di Alitalia, intentata dal Governo Prodi poco più di sei mesi fa. Un maldestro tentativo di consegnare al solito gruppo di amici i miseri resti della compagnia di bandiera a prezzo scontato. Soltanto che questa volta i resti sono davvero miseri e gli amici l’Alitalia la vogliono gratis, senza nessun impegno sul piano industriale.

E’ stato un susseguirsi di rinvii e regole di gara a geometria variabile, con le cordate estere che piano piano si sfilavano, non appena apparivano più chiari gli obiettivi del Governo sull’operazione: Alitalia a prezzo di saldo, nessun piano di rilancio, ma pre-accordo di ferro con i sindacati teso a mantenere l’occupazione e i privilegi. In cambio, lo sfruttamento del monopolio di fatto delle maggiori tratte domestiche con buona pace dei viaggiatori che si sarebbero (ma il rischio esiste ancora) visti chiedere 800 euro per un volo andata e ritorno Roma-Milano. E fra qualche anno? Si vedrà!

Il ministro dei Trasporti Bianchi, degno compare del ministro Padoa Schioppa, nella scellerata gestione di questo tentativo di vendita, dice che il Governo si è preso il week end appena passato per definire una decisione su come, a questo punto, procedere; come se fossero un tuffo in piscina o la calura estiva a dover ispirare le strategie di privatizzazione dell’attuale esecutivo.

Come andrà a finire? Nel solito modo già tentato da Prodi con la Sme. Fonti ben informate dicono che Alitalia verrà ceduta entro dodici mesi tramite trattativa privata (più o meno come si fa con un campo di patate), dove le condizioni verranno poste direttamente da chi compra e non da chi vende. Più o meno come doveva avvenire per la Sme ormai vent’anni fà, già promessa da Prodi a De Benedetti per quattro soldi. E si pensi che chi quella svendita ha evitato, ha dovuto subire dieci anni di processi, prima di essere completamente scagionato (da che cosa poi, non si è mai saputo).

L’attuale Presidente del Consiglio infatti gioca con gli asset dello Stato ormai da quasi trent’anni. Boiardo della prima generazione, ha passato la sua vita pre-politica saltellando dalla Presidenza dell'IRI alla consulenza per le Banche d’Affari che con l’IRI lavoravano, occupandosi in entrambi i casi di rilevanti privatizzazioni. Il caso Siemens pare sia lì a dimostrarlo, nel più totale silenzio degli organi di stampa amici.

Ma proviamo con l’Alitalia, signor Presidente del Consiglio, a fare un’eccezione. Che i sindacati ammettano le loro pesantissime responsabilità, che i partiti confessino i decenni di clientele proliferate soprattutto ai tempi di Alitalia-IRI, che il mercato faccia la sua parte. Si portino i libri in tribunale (gli americani lo chiamerebbero chapter 11) e si dia vita ad una nuova entità che possa operare secondo logiche di mercato, sulla base di piani industriali seri e di soldi veri, con sindacati e politici tenuti rigorosamente lontani e possibilmente imbavagliati. E poi, fare i tagli necessari, eliminare i privilegi vergognosi, concentrarsi su un solo hub senza campanilismi, ritagliarsi uno spazio nel segmento low cost e aumentare le frequenze, ed ancora, specializzarsi nelle tratte potenzialmente più remunerative, per esempio il lontano Oriente. E se chi è in grado di fare ciò non è una cordata italiana, pazienza, basta che non sia un amico.

Da forcaioli che erano. Mario Cervi

L’uragano Clementina scuote i palazzi della politica. Li scuote a tal punto che nel palazzo più autorevole, il Quirinale, s'è ravvisata la necessità d'un intervento. Pur non avendo riferimenti specifici e nominativi al caso Forleo, esso era facilmente collegabile a quel caso. E infatti da tutti è stato collegato. Il gip milanese Clementina Forleo - questo l'antefatto - ha chiesto al Parlamento di poter utilizzare le intercettazioni telefoniche sulle scalate bancarie riguardanti tre deputati - tra loro Fassino e D'Alema - e tre senatori. Nella sua ordinanza la signora ha avanzato l'ipotesi che i parlamentari fossero consapevolmente «complici di un disegno criminoso». Donde l'ira Di Fassino e D'Alema, nonché degli altri onorevoli coinvolti: e un susseguirsi di prese di posizione - pro o contro la Forleo - in cui sono tornati gli argomenti d'obbligo nelle polemiche sulla giustizia.Questo era scontato. Meno scontato era che dicesse la sua anche il capo dello Stato. Il quale, trovandosi nella sede del Csm - il «palazzo dei marescialli» - per la nomina di Vincenzo Carbone a primo presidente della Cassazione, ha voluto «lanciare un richiamo alla massima responsabilità e riservatezza nello svolgimento di tutte le funzioni proprie dell'autorità giudiziaria»; e in particolare un richiamo «a non inserire in atti processuali valutazioni e riferimenti non pertinenti e chiaramente eccedenti rispetto alle finalità dei provvedimenti».

Nulla da eccepire. Se non fosse che abbiamo assistito al massacro di questi principi e al trionfo dei processi mediatici, con i magistrati divi e i pool posti sugli altari: e inoltre alla sfacciata e mirata propalazione degli avvisi di garanzia e d'altre notizie, se infangavano personaggi «eccellenti». A chi criticava la magistratura per questi sconfinamenti dall'ambito dei suoi poteri e per l'arroganza con cui erano perpetrati si rispondeva che era bene così, che il cittadino doveva essere informato sulle malefatte della classe dirigente. Addebitate, le malefatte, o ai partiti governativi o al centrodestra di Berlusconi.
Ma adesso uomini il cui schieramento si distinse in quegli anni per furia forcaiola sono messi nei guai, e allora i Violante, i D'Ambrosio e compagnia lamentano la spregiudicatezza con cui gli sfoghi telefonici sono stati messi in piazza (solo Antonio Di Pietro e Furio Colombo, cui va riconosciuta coerenza, non rinnegano le loro passate pulsioni giustizialiste). Può darsi che Clementina Forleo - imprevedibile e ingovernabile, come s'è visto - abbia usato termini impropri, nella motivazione della sua ordinanza. Prima di lei l'hanno fatto - mossi, loro, da faziosità politica, e senza attirarsi rampogne - innumerevoli suoi colleghi. Con tutto il rispetto e la stima per Gorgio Napolitano, oso definire non pertinente, o almeno eccedente, la sua bacchettata: non ad ignoti ma a una nota, Clementina Forleo.

lunedì 23 luglio 2007

La fine della sinistra. Stefano Doroni

Le ultime vicende della politica, sia estera che nazionale, mostrano un centrosinistra allo sbando: una coalizione politica in fase terminale avanzata, che cerca di vivacchiare in uno scenario di fine incombente, come un viandante assetato nel deserto, instupidito dalla sete, che muove passi pesanti, consapevole che ogni orma che lascia sulla sabbia potrebbe essere l'ultima. Ma non si tratta solo della fine di un governo, di una maggioranza messa in piedi come cartello elettorale e del tutto incapace di governare, di prendere qualsiasi decisione in modo veramente unitario; si tratta della fine della sinistra.

Dopo questa strampalata stagione di potere la sinistra italiana non ha futuro perché la sua cultura politica non è adatta al mondo attuale, alle sue dinamiche e alle trasformazioni determinate dalla storia: non è adatta alla realtà. Lo dimostrano gli ultimi atteggiamenti e scelte fallimentari, sia in casa che all'estero. Sulle pensioni l'abolizione dello scalone e l'abbassamento dell'età pensionabile sono un omaggio alle pretese di comunisti e sindacati: una scelta anacronistica ispirata a vecchi criteri di gestione assistenzialistica dello Stato che produrrà un vero e proprio dissesto dei conti pubblici. La politica economica è tutta sbagliata, e l'Europa ce lo ricorda con impietosi giudizi sui nostri bilanci. Perfino il Governatore della Banca d'Italia e la massima autorità della Corte dei Conti sottolineano quanto sia grave perdere l'occasione di un autentico rilancio in un periodo di fortunata congiuntura economica. Ma niente da fare: tassa e spendi sembra essere l'unica legge a cui si ispira l'operato del governo in questo settore. Inutile poi far passare leggi, leggine e decreti a suon di richieste di fiducia: non è altro che la dimostrazione dell'estremo stato di debolezza del governo, che come un dittatorello stretto alle corde cerca di imporre con stizza le proprie ultime bizzose volontà.

Le politiche sull'immigrazione e sul contrasto alla piaga della droga fanno acqua da tutte le parti, esponendo l'Italia e gli italiani ad ogni sorta di rischio e di incertezza. In politica estera non abbiamo più una faccia. Prodi a Gerusalemme recita la parte di chi ha finalmente capito il diritto di Israele all'esistenza e ad una vita pacifica, che ha capito che si tratta di un Paese attaccato, assediato e colpito da tutte le parti, che merita la solidarietà non solo a parole di tutto l'Occidente minacciato dalla guerra islamista. E qualche giorno dopo D'Alema - nientemeno che Ministro degli Esteri - in mezzo alla festa degli irriducibili rossi toscani di San Miniato legittima politicamente le formazioni terroristiche di Hamas ed Hezbollah: in sostanza ci invita a considerare come validi interlocutori alcune parti di quell'esercito jihadista che vuole la distruzione di Israele e l'annientamento dell'Occidente come realtà fisica, politica e culturale.

Il problema che sta alla base di tutto questo disastro è che la sinistra non ha più identità; o meglio l'unica che le è rimasta è quella comunista, che resiste, ottusa e bigotta, ad onta del verdetto di condanna con cui la storia l'ha bollata. La sinistra italiana ha una storia comunista e una socialista. Ma il socialismo è stato portato al suo definitivo approdo occidentale e laburista da Bettino Craxi. E l'identità riformista, moderata e democratica della politica italiana oggi trova spazio nella Casa delle Libertà, fra la tradizione sturziana e l'ispirazione liberale e atlantica di Forza Italia. La sinistra che voglia accreditarsi come una genuina forza riformista moderna non può dunque stare con i comunisti, cioè con chi tira la storia all'indietro afferrandola per il lembo della veste. Le insofferenze di Mastella, gli scatti d'ira dei radicali, perfino l'irritazione di esponenti politici generalmente misurati come Lamberto Dini, dimostrano che l'Unione così com'è non può stare in piedi.

Ma il problema è che la sinistra italiana appare condannata a impelagarsi in coalizioni politiche così impresentabili per colpa della sua natura. Per la maggior parte essa è infatti costituita da ex comunisti che poi spesso non sono nemmeno tanto ex, e da cattocomunisti la cui impostazione social-cristiana resta inevitabilmente antiliberale. Il tentativo di riproporsi in chiave moderna e democratica è quindi frustrato da due condizioni contrarie. La prima è la permanenza dell'impronta ideologica marxista, che alla prova dei fatti risulta tuttora operante ed efficace nelle azioni e nelle scelte concrete, impedendo ai cosiddetti «progressisti» di essere veramente tali, al di là dei buoni propositi; e la seconda è l'oggettiva mancanza di uno spazio da occupare, dato che l'area del riformismo democratico occidentale è già occupata dal centrodestra.

Per Rutelli e compagni, per il buonismo parolaio di Veltroni, non c'è dunque spazio. E non esiste una terza via praticabile fra il massimalismo ottuso e la cultura dell'odio sociale dei comunisti, dei Verdi e dei movimenti eversivi, e la democrazia liberale, lo spazio aperto del moderatismo. Tutte le chiacchiere della sinistra cosiddetta moderata sono perciò destinate a non potersi tradurre in pratica. Inoltre, dopo aver fatto dell'antiberlusconismo una vera e propria bandiera, non possono che continuare - da Veltroni a Rutelli a Fassino a Boselli - a dichiararsi alternativi a Berlusconi: ma così facendo si dimostrano anche alternativi a loro stessi, perché rinunciando alla retorica comunista non possono che utilizzare linguaggio e progettualità che sono della CdL. Si affannano dunque a trovare un'identità che non c'è, che non è disponibile; la conseguenza è galleggiare ad oltranza in una specie di limbo, piegandosi ora alle ragioni del massimalismo ideologico ora riconoscendo l'opportunità e l'urgenza di un approccio non pregiudiziale e politicamente maturo alla realtà. Proprio l'antiberlusconismo esasperato ha contribuito a rendere chiaro agli italiani qual è la vera alternativa politica oggi in Italia: o stai con la sinistra radicale e con i suoi pregiudizi sindacali, parteggi per chi ci ammazza e sgozza le donne adultere, desideri uno Stato burocratico, un Fisco rapinatore, un'economia arretrata, una scuola ideologizzata, ti auguri la fine dell'America e dell'Occidente; oppure stai con i moderati veri, con la CdL, e speri che tutte le brutture appena elencate vengano spazzate via.

Lo spazio per chi vuole essere moderato e progressista è quello occupato dal centrodestra, mentre il vicolo in cui cercano di infilarsi Veltroni e compagni per uscire dalle secche della prigionia ideologica è un vicolo cieco. Ecco perché la fine della stagione prodiana, la fine dell'esperienza dell'Unione, segna nei fatti anche la fine della sinistra postcomunista: essa è morta in partenza perché si è svegliata troppo tardi. Orfana di un'ideologia da cui ancora in parte dipende, ci ha messo troppo a capire che non erano né la nostalgia né il travestimento le strade da seguire per costruire un vero futuro politico. Ma questo lo sanno anche nelle stanze della maggioranza, perciò tentennano e nessuno trova il coraggio di dare la spallata finale a questo governo ormai ridotto a caricatura di se stesso; tutti prendono tempo perché sanno che dopo Prodi si spengono definitivamente le luci sull'esperienza politica della sinistra italiana nata dalle macerie del Muro di Berlino e mai diventata maggiorenne.

giovedì 19 luglio 2007

Non si stava meglio quando si stava peggio. il Foglio

Quella dell’Unicef sui bambini sotto Saddam si chiama cinica propaganda.

Si chiama cinica propaganda ed è la specialità dell’Unicef. Per il suo vicedirettore, Dan Toole, i bambini iracheni stavano meglio con Saddam Hussein. Quando i figli del satrapo appendevano la gioventù ai ganci della tortura, quando i bambini sciiti venivano costretti a bere urina e a guardare i genitori scomparire dentro le fosse comuni, quando gli studenti dovevano imparare i racconti del caro leader, quando le Nazioni Unite i bambini li affamavano con “Oil for food”, quando nel paese vigeva un detto: esci di casa col piede sbagliato e sei morto. Sotto Saddam i bambini erano condannati a un futuro di morte e desolazione, primigeniti di una storia riscritta per il dominio sunnita sui figliastri curdi e sciiti. Il loro futuro non è roseo, ma i loro padri stanno morendo per dargliene uno, nuovi nati della prima democrazia costituzionale del medio oriente. Dov’era l’Unicef quando l’ospite di Saddam Al Zarqawi si vantava di dilaniarne una quarantina? Il Comando centrale americano rende noto che il 98 per cento dei bambini sono stati vaccinati contro la polio, migliaia di scuole sono state costruite, a milioni vanno a scuola, tre milioni in più accedono all’acqua. Un tempo sui manuali scolastici si osannavano le gesta di uno psicopatico, oggi vi sono ricordate le imprese sanguinarie. Ieri il Baath ordinava di “liquidare” i bambini handicappati, oggi gli americani forniscono loro protesi e cibo. Solo la più cupa propaganda può assimilare incubo e libertà, una dittatura che spargeva gas sulle teste e un governo eletto che le conta dentro le urne.

Il ritorno dei no-global. Dimitri Buffa

Il sito Piazzacarlogiuliani.org prepara a Genova un fine settimana di polemiche.
I poliziotti del sindacato Coisp rispondono alla provocazione con una tavola rotonda dal titolo "L’estintore come strumento di pace".

Per gli amanti del genere, si annuncia un imperdibile fine settimana di demonizzazione della Polizia di Stato e in generale di tutte le forze dell’ordine in una non stop organizzata a Genova dal sito “piazzacarlogiuliani.org”. Il tutto per ricordare il martire dell’idea, pacifista con estintore, Carlo Giuliani, la cui mamma siede in Parlamento. Dibattiti, contro informazione, filmati, teorie cospirative: i no global non si faranno e non ci faranno mancare niente. Sembra di rivedere quell’atmosfera che portò alla criminalizzazione del commissario Luigi Calabresi all’indomani della morte dell’anarchico Pinelli volato inspiegabilmente per quattro piani dalla questura di Milano giù sull’asfalto il 15 dicembre 1969, tre giorni dopo la strage di piazza Fontana, quando era sotto interrogatorio.Stavolta però i poliziotti del sindacato Coisp, coordinamento per l’indipendenza delle forze sindacali di polizia, ha deciso di giocare d’anticipo promuovendo, in risposta al tema del dibattito promosso per sabato 21 luglio, “Premiata macelleria italiana, chi controlla le forze di polizia, chi garantisce i diritti costituzionali?”, una tavola rotonda dal titolo se possibile ancora più provocatorio: “L’estintore come strumento di pace”.

Ieri “Repubblica” e “L’Unità”, glissando abilmente e in perfetta malafede sulle tematiche para brigatiste che saranno trattate a Genova per tre giorni dagli amici di Carlo Giuliani e dagli ammiratori del suo stile di vita, hanno invece posto l’accento sulla presunta gratuita provocatorietà del dibattito promosso dal segretario del Coisp Franco Maccari. Che per la verità non si è limitato a indire contro convegni ma ha anche preso carta e penna per denunciare in un esposto alla magistratura di Genova le tematiche vagamente insultanti e criminalizzatrici contro la polizia scelte dagli organizzatori della tre giorni di Genova. Non contento, Maccari ha anche mandato una richiesta formale scritta a Trenitalia perché vengano messi a disposizione treni gratuiti o molto scontati “per quelle centinaia di uomini delle forze dell’ordine” che si recheranno a Genova da tutta Italia per assistere al convegno sull’estintore come strumento di pace. E nell’esposto alla procura di Genova invece che spunti si trovano? I seguenti: “accerti l’autorità giudiziaria… se accostare esplicitamente una “premiata macelleria italiana” mediante trattino alla proposizione interrogativa “Chi controlla le forze di polizia?” non sia un modo di porre esplicitamente una equivalenza di significati, per cui si fa intendere al lettore per certo un’identità semantica tra “macelleria italiana” e Forze di Polizia, offendendo in tal modo la reputazione di un Corpo amministrativo, come la Polizia di Stato che, nel comune senso, è in via principale la Polizia italiana, o comunque certamente ricompresa tra le Forze di Polizia”.

Naturalmente il titolo del convegno non è stato scelto a caso ma preso in prestito da espressioni usate dagli imputati poliziotti per le violenze nella caserma Diaz, proferite al telefono e riportate da tutti i media. Tuttavia per Maccari, la cosa non basta per dare un titolo simile a un convegno cui parteciperanno i soliti noti: Vittorio Agnoletto, Alessandro dal Lago, Giuliano Giuliani, Patrizio Gonnella, Gigi Malabarba, Salvatore Palidda, Mauro Palma. “Non può sfuggire, ad avviso di questo sindacato - si legge infatti nell’esposto - che la conseguenza immediatamente percepibile, ad ogni lettore, dell’accostamento di “macelleria italiana” (in maiuscolo nel comunicato dei no global, ndr) alle Forze di Polizia, anche se per l’effetto del controllo di qualcuno, possa essere, eventualmente, un modo per assegnare un giudizio di valore, a tutti i poliziotti italiani, di macellai, che con tutto il rispetto per coloro che esercitano questo mestiere del commercio, riferito a dei tutori della legge chiamati a garantire la sicurezza e la giustizia, non può che avere un significato dispregiativo ed altamente offensivo”.

“L’avere inoltre affermato tale giudizio negativo addirittura nel titolo della tavola rotonda - prosegue l’esposto - potrebbe, molto probabilmente, sortire l’effetto di apparire o comunque di essere forzatamente introdotto nella percezione dei lettori, eludendo il personale senso critico, come un dato di partenza acquisito e quindi come giudizio già ampiamente acclarato e quindi indiscutibile che dà per assolutamente posto che i poliziotti italiani siano dei macellai”. Che senza ipocrisie è esattamente ciò che pensa la maggior parte di coloro che andranno a Genova insieme con gli amici di Carlo Giuliani e famiglia allargata.

mercoledì 18 luglio 2007

La generazione "1000 euro" è figlia di padri "fannulloni". Bruno Costi

Una ghiotta polemica sulla prima pagina dell’Unità ha svelato il nuovo probabile terreno di scontro tra la sinistra riformista alla Walter Veltroni e quella massimalista di verdi e post comunisti: i fannulloni si possono licenziare sempre, mai, o solo se sono dipendenti privati e non Statali?
La questione, a sinistra, è assai spinosa soprattutto perché a porla è stato Pietro Ichino, insigne giuslavorista, fresco Premio Tarantelli 2007 del Club dell’Economia proprio per aver lanciato l’idea e la soluzione: licenziamoli. Sicché Ichino non è un “bieco reazionario servo dei padroni”, bensì un uomo nato a sinistra, cresciuto nella Cgil e maturato nei milieu trasversali che hanno prodotto le migliori intelligenze del riformismo del lavoro ed alle quali, da Ezio Tarantelli a Massimo D’Antona fino a Marco Biagi, dobbiamo tutti inchinarci per ciò che fatto per il Paese, compreso morire sotto i colpi vigliacchi del terrorismo brigatista.
Furio Colombo invece, intellettualmente e soavemente transitato dalle ovattate sale dei vertici Fiat alle rumorose catene di montaggio dell’operaismo duro e puro, ha preso cappello e, tuonando giustamente contro vallettopoli ed i suoi eroi da strapazzo, ha additato sfrontate veline, ambigui impresari e fotografi tatuati e smutandati come i veri fannulloni da licenziare, questi sì, non i poveri lavoratori, qualunque cosa non dicano non facciano nel luogo di lavoro.Le polemiche sono il sale della politica e nel mesi estivi anche dei giornali. Ma abbiamo la sensazione che questa sia una questione tutt’altro che effimera, perché centra il tema della produttività del lavoro, della meritocrazia, della parità di trattamento dei lavoratori dipendenti dallo Stato e dalle aziende private; in una parola di tutto ciò che, se manca, - e manca - determina il declino dell’economia; se c’è – e non c’è - costituisce la precondizione per la crescita dell’economia, dell’occupazione, e dei salari.
In Italia sembra che gli anni trascorrano inutilmente. Dieci anni fa nel dibattito politico ed economico del Paese tirava un’aria assai simile a quella di oggi. L’economia usciva dalla crudele ma efficace cura del cambio forte dell’allora Ciampi Governatore, che costrinse le aziende italiane esportatrici a ristrutturarsi, pena la perdita dei mercati esteri. Gli industriali lo fecero e visto che la componente lavoro era rigida (ovvero non si poteva né spostare né licenziare nessuno, neanche i fannulloni) reagì sostituendo i lavoratori con i robot e le tecnologie, la produttività salì, l’occupazione crollò. Con la costosissima svalutazione del 1992 il cambio cedette drammaticamente, ma l’impresa ne uscì più forte. Nel Paese tuttavia la cultura prevalente interpretava la caduta dell’occupazione non come reazione alle rigidità del mercato del lavoro, bensì come l’incapacità del capitalismo post industriale di creare posti di lavoro, la profetica fine del capitale teorizzata da Carlo Marx. Qualche spericolato sociologo preconizzò perfino la fine del lavoro. Balle ovviamente, ma quella cultura allora partorì la suggestione della riduzione dell’orario di lavoro e della settimana di 35 ore. Si sosteneva, soprattutto Bertinotti e Rifondazione Comunista, che se il lavoro non era sufficiente per tutti, bastava suddividere quello che c’era e redistribuirlo fra i lavoratori per far si che si lavorasse meno e si lavorasse tutti; una rassegnata divisione della povertà, anziché una coraggiosa moltiplicazione della ricchezza.
Lo slogan ebbe successo, la proposta no. La settimana di 35 ore non è mai diventata legge, anche se non servì ad evitare la caduta del Governo Prodi, ma in compenso il guaio lo abbiamo pagato ugualmente. Da allora ad oggi, ci conferma l’Istat , sono stati creati 1.800.000 posti di lavoro, la disoccupazione è scesa ai minimi del decennio ma la produttività è crollata. Nel 1995 la produttività oraria del lavoro era in Italia del 4% superiore alla media europea, nel 2005 del 3% inferiore. In dieci anni abbiamo cioè aumentato i posti di lavoro ma perso 7 punti di produttività. Abbiamo, in sintesi, “lavorato meno ma lavorato tutti”, proprio che Rifondazione reclamava, ma senza che il Parlamento sovrano lo abbia mai deciso. Può un Paese vivere così? Mentre in Calabria, svela il giudice Salvi, si ricorre alla magistratura del lavoro per contenziosi, soprattutto previdenziali, diretti non a cercare giustizia ma ad alimentare ricorsi, interessi, opposizioni e, alla fine, sussidi surrettizi?
Oggi il paese si trova di fronte ad un’altra grande sfida. Non si tratta di dividere il lavoro ma di moltiplicare la crescita dell’economia con un guizzo geniale dell’intelligenza ed il tenace realismo della buona politica. Vent’anni fa il guizzo di Tarantelli fu di inventare il tasso di inflazione programmata e, per quella via, sconfiggere l’inflazione e preparare la politica dei redditi. Poi intervennero le leggi Treu e Biagi sul mercato del lavoro che furono la buona politica. Oggi si tratta di trovare guizzo e buona politica analoghi a quelli di allora. Occorre far diventare centrali, bipartisan e coagulanti gli sforzi per il recupero della produttività del lavoro, per il riconoscimento del diritto di chi lavora ad essere premiato e guadagnare di più e di chi si sfila o si nasconde di vedersi invece penalizzato, anche con il licenziamento se dipende da lui. Una virtuosa scala mobile della produttività? Aumenti contrattuali futuri legati tutti al merito ed ai risultati? La sfida è aperta ed il tempo di gioco è poco. Quel che è certo è che occorre produrre di più anche per ridistribuire più redditi. La generazione dei figli a mille euro al mese è figlia della generazione di padri inamovibili. Il patto generazionale, più che per le pensioni, serve per il merito nel lavoro. Chi, fra Prodi o Veltroni, nel partito democratico ha un’idea in merito?

Due toghe e due misure. Davide Giacalone

E' bastato che i magistrati abbiano minacciato uno sciopero perché il governo sia corso, braghe appena trattenute, ad assicurare ogni possibile cedimento. Gli avvocati lo sciopero lo stanno facendo, ma la notizia neanche arriva sui giornali. I magistrati trovano consensi a destra ed a sinistra, quando si oppongono a quella separazione delle carriere che è considerata normale ed ovvia in ogni parte del mondo civile. Chi, invece, vuol sostenere che la giustizia italiana fa schifo, costituisce un costo enorme per la collettività, ci rende incivili e ci degrada al fondo di qualsiasi classifica, viene considerato con sufficienza, neanche ascoltato. Tanto dice cose che si sanno di già, trite e ritrite.
La scorsa legislatura, a maggioranza di centro destra, varò diverse leggi ma una sola riforma relativa alla giustizia: l'ordinamento giudiziario. Questa legislatura fa esattamente la stessa cosa. Il problema della giustizia, per i politici italiani, consiste in come fanno carriera i magistrati. Che, poi, quotidianamente si macelli il diritto nelle aule giudiziarie e nelle procure, è considerato fatto secondario, forse ineluttabile. Le toghe dei magistrati pesano, perché da ordine si sono trasformati in potere e costituiscono una minaccia diretta per la stabilità del governo. Le toghe degli avvocati non contano nulla, perché non possono bloccare una giustizia già bloccata e possono arrecare danni solo ai propri clienti, non a chi governa. La situazione è in stallo, e non cambierà nulla perché mancano forze politiche, professionali, morali capaci d'imporsi. I cittadini riprendano l'iniziativa e denuncino lo Stato.Non ai magistrati italiani, sarebbe inutile, ma a quelli europei. Possiamo farlo, dobbiamo. Un Paese non vive senza giustizia, e quella italiana non è tale. La settimana prossima pubblicheremo le istruzioni per la denuncia, tentando così di smuovere una politica cieca ed insensibile, succube dei corporativismi e timorosa dei ricatti. A Strasburgo l'Italia dovrà essere seppellita dalle condanne, in modo da interrare per sempre il mostro della malagiustizia. I magistrati ottengono quel che vogliono annunciando la serrata della giustizia, ci si occupa solo di loro, è ora che siano i cittadini, altrimenti soggetti inesistenti, a mettere mano alle armi del diritto.

L'isteria nucleare in prima pagina. Franco Battaglia

A sentirla raccontare non ci si crederebbe. Ieri Repubblica titolava in prima pagina: «Terremoto in Giappone, fuga radioattiva», ove si annunciava che 1 litro e mezzo di acqua radioattiva fuoriuscita da una centrale si era riversata in mare. Titolo di seconda pagina: «Paura nucleare». Titolo di terza pagina: «Incubo per un’altra Chernobyl». Non so voi, ma io trovo raccapricciante questo uso strumentale delle disgrazie. Oltre che offensivo nei confronti delle vere vittime della vera causa: una decina di morti, centinaia di case distrutte e migliaia di evacuati a causa del terremoto. E invece no: la prima pagina, e poi la seconda e anche la terza sono costruite attorno a quel litro e mezzo d’acqua radioattiva «finita in mare». Peccato che se la controllaste prima di mangiarla, trovereste radioattiva anche l’insalata del vostro prossimo pasto, per via del potassio-40.
Col tempo si scoprirà che l’acqua «radioattiva» versatasi in mare è poco più di un metro cubo. Ma fa lo stesso: in un Giappone che ospita 53 reattori nucleari attivi, che danno al Paese quasi 1/3 dell’energia elettrica, uno dei più forti terremoti mai subiti, con epicentro a pochi chilometri dal reattore ha, come conseguenza, il riversamento in mare di un metro cubo d’acqua contaminata. Il che è, in verità, una prova ulteriore della sicurezza del nucleare.
Ma per qualche misteriosa ragione le prime pagine di alcuni giornali tendono a diffondere il messaggio opposto. Ecco cosa riportava sabato scorso, sempre in prima pagina, il Corriere della Sera: «In Piemonte le scorie d’Italia, col 75% dei rifiuti radioattivi nazionali». Non si capisce se intendono dire «solo il 75%» o «ben il 75%»: nel secondo (e più probabile) caso, la notizia rassicurante è che il resto dell’Italia sarebbe, radioattivamente parlando, incontaminata, cosa che il cronista del Corsera si guarda bene dal notare. Ci tiene invece a far notare i camini della centrale di Trino «che fan paura a sol vederli» (ma il vapore che fuoriesce dai «camini» di un reattore nucleare in esercizio è acqua purissima) e che vi sarebbero 8 lavoratori contaminati e le falde acquifere inquinate dallo stronzio-90. Mi sono informato: in entrambi i casi sono stati registrati valori di poco superiori allo zero strumentale. Il che è vero per tutti noi e probabilmente vero per tutte le acque del mondo, contaminate dello Sr-90 dalle centinaia di test nucleari occorsi negli anni Sessanta.
Un altro «incidente nucleare» riportato dai media è avvenuto pochi giorni fa nella centrale di Garigliano: due donne delle pulizie accusano un improvviso malore. Trasportate d’urgenza in ospedale raccontano che lavorano in un locale che ospita rifiuti radioattivi. I medici dispongono accertamenti per verificare il livello di contaminazione radioattiva delle due donne e avvertono immediatamente i carabinieri, i quali dispongono le verifiche. Siccome la sola apparecchiatura esistente nella regione si trova proprio presso la centrale di Garigliano, le due donne, ricaricate in ambulanza, vengono trasportate alla centrale, stavolta accompagnate dai carabinieri. Qui sono sottoposte al «total body scanning», in grado di rivelare anche minime tracce di contaminazione. Risultato: sulle donne non esiste alcuna traccia di contaminazione né i locali da esse frequentati presentano traccia di radioattività.
Dopo alcune ore i carabinieri tornano alla centrale e chiesto di parlare ancora con il responsabile gli riferiscono che alla foce del Garigliano è stata rinvenuta una mucca morta, «si ritiene a causa delle esalazioni radioattive» provenienti dall’impianto. L’esterrefatto tecnico non può che dichiarare che dall’impianto, spento definitivamente nel 1978, non può essere uscito niente. I carabinieri lo stesso trascinano il poveretto sino al luogo della mucca, ove si scopre che il povero animale non è affatto morto, ma si è rotto una zampa scivolando in un fosso.
Questo è il clima, signori. Dagli tsunami ai terremoti, dai capogiri da caldo alle vacche cadute nel fosso, ogni scusa è buona per indottrinare che il nostro problema è un giorno il riscaldamento globale e un altro il nucleare: fateci l’abitudine, vi aiuterà a dimenticare i veri problemi.

martedì 17 luglio 2007

Noi che non beviamo. Filippo Facci

Ma che ne sapete voi di strade e di circolazione, voi che vivete asserragliati nei vostri palazzi e che accendete le sirene dell’auto blu anche per andare al ristorante? Ora vi agitate perché avete appreso di gente investita da ubriachi, ma il fermo senza sequestro delle auto l’avevate disposto voi, sicché ora farete magari una leggina, ma poi tutto come prima, continuerete a ignorare che un terzo degli incidenti è dovuto alla cattiva manutenzione delle strade (altro che alcol) e a ignorare che in Italia non c’è un’autostrada che non sia intasata da lavori tipicamente estivi e tipicamente a singhiozzo, ignorare che le infrazioni per eccesso di velocità sono in aumento anche perché nessuno ormai ci crede più: migliaia di cartelli segnalano autovelox che non ci sono laddove servirebbero, mentre altre migliaia sono invece imboscati in comuni dove il limite è di 50 all’ora e dove non servono se non ad arricchire le amministrazioni. Accade in un Paese dove a circa 29 milioni di automobilisti sobri, noi, è sufficiente un tasso alcolemico appena superiore a 0,5 grammi per litro (praticamente una birra) per finire sanzionati esattamente come un ubriaco marcio. Forza, fate la vostra leggina, poi chiedetevi perché all’estero bevono di più, vanno più veloci e muoiono di meno.

lunedì 16 luglio 2007

Libertà religiosa a rischio in tutta l'Asia. Asia News

Medio Oriente
ARABIA SAUDITA(Abitanti: 24.293.844 – Cristiani: 840.000)
Portata più volte ad esempio, negativo, da Giovanni Paolo II come Paese che nega la libertà religiosa, l’Arabia Saudita vieta qualsiasi attività non islamica, anche individuale, ed il semplice possesso di libri e oggetti religiosi. Pur in mancanza di dati ufficiali, sono centinaia i cristiani in prigione, soprattutto per aver guidato riunioni di preghiera.
IRAN(Abitanti:: 65 milioni - Cristiani: 340.000)
I cristiani in Iran sono tollerati come cittadini di seconda classe, come una “minoranza etnica” separata, soggetta a molte limitazioni. Tutte le chiese sono “protette” dalla polizia, ma anche controllate. È proibita la missione. La mancanza di prospettive economiche e di libertà religiosa spinge i cristiani all’emigrazione. Le conversioni dall’Islam avvengono, ma in segreto e fuori dell’Iran. Fra i protestanti si registrano arresti, sequestro di materiale religioso e condanne a morte per musulmani convertiti. Talvolta tali condanne sono trasformate poi in ergastolo. Controlli, violenze, distruzioni, esecuzioni caratterizzano anche la setta dei Baha’i.
IRAQ(Abitanti:: 28 milioni - Cristiani: 1,5 milioni)
Due sacerdoti, uno caldeo, uno ortodosso, sono stati uccisi dopo essere stati fermati e rapiti da gruppi islamici. L’attuale situazione di anarchia e mancanza di sicurezza e di aumento del fondamentalismo, ha generato una totale insicurezza per la vita dei cristiani. In certe zone del Paese essi soffrono per stupri, rapimenti, pagamenti di riscatti, minacce, uccisioni sequestri, tutti perpetrati con moventi religiosi. Decine di chiese hanno subito attentati e distruzioni. Centinaia di migliaia di cristiani stanno fuggendo all’estero. Secondo alcune stime ufficiose, più del 50% dei cristiani ha lasciato il Paese.La mancanza di ordine, sicurezza e le crescenti violenze spingono all’emigrazione anche molte famiglie musulmane. Per tutti i profughi irakeni è emergenza umanitaria; la stragrande maggioranza dei profughi è cristiana.
PALESTINA(Abitanti: circa 2.900.000 – Cristiani: circa 200.000)
Formalmente liberi, i cristiani subiscono vessazioni ed anche attacchi violenti, come quello di metà giugno alle suore del Rosario a Gaza, di fronte ai quali le autorità non reagiscono. La situazione si è aggravata con la crescita dei fondamentalisti, da Hamas alla Jihad. A centinaia di migliaia hanno lasciato il Paese. A Betlemme venti anni fa erano l’80% della popolazione, ora sono il 10%. A Nazareth erano la maggioranza, oggi sono il 15%.
SIRIA(Abitanti: 17.585.540 - Cristiani: 920.000)
Più che di mancanza di libertà religiosa, si può parlare di mancanza di libertà, che accomuna tutti i siriani. La minoranza cristiana è comunque in diminuzione: nel 1973, i cattolici costituivano il 2,8% della popolazione, nel 2005 essi sono scesi all'1,9%.
TURCHIA(Abitanti: 68.109.469 – Cristiani: circa 100.000)
Paese formalmente “laico”, continua a non riconoscere personalità alle Chiese, che non possono neppure essere proprietarie dei loro edifici di culto. La Corte suprema ha di recente negato la qualifica di “ecumenico” al patriarcato di Costantinopoli, che tale è definito da 17 secoli da tutti gli ortodossi. E’ in forte crescita il fondamentalismo, manifestatosi nelle uccisioni di don Andrea Santoro, dei tre cristiani impiegati in una casa editrice protestante, degli attacchi ad altri religiosi.
Asia del Nord
RUSSIA(Abitanti: 141.377.752 - Cristiani: 33.223.771 )
Si può parlare per lo più di discriminazione: l’atteggiamento verso i musulmani è negativo in molte regioni della Federazione, per la facile associazione con il terrorismo ceceno. In aumento gli episodi di anti-semitismo. Un sondaggio del 2006 indicava la Russia come il Paese più antisemita tra quelli a maggioranza cristiana, con aggressioni e minacce alla comunità ebrea. Molti cittadini credono che l’adesione almeno nominale alla Chiesa russo-ortodossa sia il cuore dell’identità nazionale.
Asia del Sud
AFGHANISTAN(Abitanti: 31.889.923 - Cristiani e altri: 605.908)
La Costituzione nazionale si impegna a garantire la libertà di religione salvo poi porre la sharia a fondamento legale. La legge islamica prevede fino alla pena di morte per chi si converte dall’islam. Come ha rischiato Abdul Rahman nel 2006, convertitola cristianesimo, costretto a rifugiarsi in Italia per non essere giustiziato. Non esistono chiese pubbliche, l’unica ammessa è la cappella interna all’ambasciata italiana a Kabul.
BANGLADESH(Abitanti: 150.448.339 - Cristiani: 1.053.138)
Fondamentalismo e terrorismo islamico sono in crescita: sarebbero 50mila gli estremisti pronti ad attaccare anche obbiettivi religiosi, moschee, chiese, templi indù e buddisti. L’ultimo governo del BNP, per mantenere l’appoggio dei gruppi radicali, ha promosso la diffusione di un islam ortodosso, permettendo di fatto la persecuzione di comunità musulmane ritenute eretiche, come gli ahmadi. Sono attive 64mila scuole coraniche, la maggior parte fuori dal controllo statale.
INDIA(Abitanti: 1.075.784.000 - Cristiani: 66.698.608)
Sono almeno 215 gli attacchi subiti dai cristiani in India nel corso del 2006. Gli incidenti vanno dalla profanazione dei luoghi religiosi fino all'omicidio di esponenti della comunità di minoranza. Intense le violazioni alla libertà religiosa negli Stati governati dai nazionalisti indù, in crescita in quelli che si definiscono laici. Sotto tiro anche la comunità musulmana, che ha dovuto affrontare non meno di 70 attacchi violenti nello stesso periodo. Il tutto rientra nel quadro della “zafferanizzazione” dell’India, ovvero il “ritorno alle origini” predicato dai fondamentalisti indù, che usano la violenza per “riconvertire” gli aderenti alle minoranze religiose dell’Unione.
NEPAL(Abitanti: 28 milioni - Cristiani e altri: 600mila)
Dal maggio 2006 è uno Stato laico, dopo 238 anni di teocrazia indù. Ma non sono finite le frequenti persecuzioni contro i cristiani da parte di estremisti indù, con accuse di proselitismo Nell’aprile 2005 un coppia cristiana che dal 1995 gestisce un orfanotrofio è stata arrestata con l’accusa di battezzare bambini indù. Sono esplose bombe nell’aprile 2007 contro un orfanotrofio cristiano e nel luglio 2005 in una scuola gestita da suore.
PAKISTAN(Abitanti: 149.723.000 - Cristiani: 3.743.075)
Il Paese si dichiara sulla carta “di ispirazione musulmana” e garantisce nella Costituzione la libertà religiosa dei singoli. In realtà, è in vigore una legislazione ferocemente contraria ai non musulmani ed alle sette non riconosciute dell’islam. Brilla in negativo la legge sulla blasfemia, introdotta nel 1986, che fino ad ora ha prodotto circa 5.000 denunce. Di queste, 560 sono poi divenute condanne (da un minimo di cinque anni all’impiccagione) mentre altre 30 sono in attesa di giudizio. Inoltre, si sono registrati negli ultimi anni almeno 24 casi di omicidi extragiudiziari di “blasfemi”, per la maggior parte di fede ahmadi. Diversi testimoni parlano di un uso strumentale della legge, usato per eliminare oppositori politici e rivali economici.
Asia Centrale
KAZAKISTANAbitanti: 15 milioni – Cristiani: 1,6 milioni)
C’è una crescente intolleranza verso le minoranze religiose, come protestanti, musulmani Ahmadi, Hare Krisna e Testimoni di Geova, anche con una diffusa propaganda contraria sui media statali. Permane una mentalità “stile sovietico”: lo Stato ha ampi poteri per “combattere l’estremismo” e garantire “l’ordine pubblico”, concetti che la legge lascia indefiniti. Ai gruppi non registrati è proibita qualsiasi attività, anche riunirsi in case private per pregare. Chi lo fa è punito con pesanti multe, arresti e carcere. A molti gruppi l’autorizzazione non è data sebbene richiesta.
KIRGHIZISTAN(Abitanti: 5 milioni – Cristiani: 300mila)
Negli ultimi anni l’estremismo islamico ha operato contro i cristiani, soprattutto protestanti, con aggressioni e percosse, minacce e chiedendo la chiusura delle chiese. Nei villaggi la folla ha aggredito cristiani, intimando loro di andar via. Le autorità non intervengono e invitano i cristiani a essere “meno attivi” e operano uno stretto controllo sui finanziamenti dei gruppi religiosi. Nel dicembre 2005 nel meridione è stato ucciso un islamico convertito al cristianesimo.
TAGIKISTAN(Abitanti: 6,5 milioni - Cristiani e altri: 130mila)
C’è finora stata ampia tolleranza verso ogni fede. Ma desta preoccupazione nelle minoranze religiose una proposta di legge all’esame dei parlamento, che prevede che siano riconosciuti solo i gruppi religiosi con almeno 400 iscritti maggiorenni nel distretto e 800 nelle città (oggi ne bastano 10), proibisce l’insegnamento religioso nelle case e ai bambini fino a 7 anni, prevede il controllo statale su tutti i finanziamenti e le spese dei gruppi, inibisce ai leader religiosi uffici pubblici elettivi.
TURKMENISTAN(Abitanti: 5,5 milioni - Cristiani ortodossi: 129mila)
A dicembre è morto il dittatore Niyazov, autore del Ruhnama, testo “sacro” esposto in tutte le moschee e insegnato a scuola. Ma non ci sono stati miglioramenti e lo Stato pretende il completo controllo su tutte le religioni. I cristiani sono colpiti con multe, carcere, espulsioni, alla comunità cattolica armena è negato il riconoscimento e possono celebrare messa solo in territorio diplomatico. Pesanti gli interventi sugli islamici, con il mufti capo condannato a 22 anni di carcere e lo Stato che vuole scegliere i predicatori delle moschee e limita i visti per partecipare all’haji.
UZBEKISTAN(Abitanti: 26 milioni - Cristiani ortodossi 195mila)
Lo Stato vuole un pieno controllo su tutte le religioni e le loro attività, anche gli islamici e opera una sistematica persecuzione contro cristiani e altre minoranze religiose, puniti con multe e gravi condanne anche se si incontrano in casa per pregare. Chi è in carcere subisce violenze fisiche e mentali affinché abiuri. La polizia segreta istiga i funzionari amministrativi locali a vere campagne di intolleranza contro i cristiani. Colpiti anche i gruppi e i predicatori islamici che vogliano essere autonomi.
Asia dell’Est
CINA(Abitanti:: 1,3 miliardi - Cattolici: 12-15 milioni; protestanti: 35-50 milioni; ortodossi: 13 mila)
Due vescovi non ufficiali dell’Hebei sono scomparsi nelle mani della polizia: mons. Han Dingxian, 67 anni, scomparso da un anno; mons. Giacomo Su Zhimin, 74 anni, da più di 10 anni. Decine di vescovi sono in isolamento o sotto controllo, come anche i sacerdoti. Alcuni preti scontano la pena ai lavori forzati.Distruzione di chiese, arresti, battiture, condanne sono subiti anche da molti gruppi protestanti. Il piccolo gruppo ortodosso non è riconosciuto come religione ufficiale. Una persecuzione molto pesante – con condanne a morte e rischio di genocidio – è vissuta da uighuri del Xinjiang e dai buddisti tibetani.
COREA DEL NORD(Abitanti: 22.776.000 - Cristiani: 159.432)
La situazione della libertà religiosa è drammatica. Dalla fine della guerra civile (1953), l’unica fede ammessa è il culto del Presidente eterno Kim Il-sung e del Caro Leader Kim Jong-il. Si stimano in oltre 300mila i cristiani “scomparsi” durante i primi anni del regime comunista, mentre quasi 80mila buddisti sono stati costretti a fuggire nel Sud. I fedeli di ogni religione, se colti in preghiera, vengono condannati al lager. Ad oggi non vi sono spiragli di nessun genere per la libertà religiosa, se si esclude l’ortodossia russa “beneficiata” dalle pressioni di Mosca su Pyongyang.
Asia Sud Est
FILIPPINE (Abitanti: 84.538.000 - Cristiani: 75.830.586)
Il Paese, a maggioranza cattolica, è teatro di una guerriglia indipendentista musulmana che dura da oltre 30 anni. Nel sud, dove si verificano con più frequenza gli scontri, si sono verificati diversi attacchi ai cristiani locali da parte di milizie islamiche. Tuttavia, spiegano gli esperti, si tratta per lo più di guerriglieri infiltrati dall’estero, che cercano di mantenere aspro lo scontro con il governo.
INDONESIA(Abitanti: 234.693.997 - Cristiani: 22.530.623)
Terrorismo ed estremismo islamico, innestati su locali conflitti politici e interessi personalistici, rappresentano un reale ostacolo per la garanzia della libertà religiosa nel Paese musulmano più popoloso del mondo. Numerosi attentati sono avvenuti in festività religiose e contro obiettivi sacri. Nel 2006 sono stati condannati a morte, dopo un processo sommario, 3 cattolici in merito a scontri interreligiosi per cui nessun musulmano ha ricevuto pena così alta. Nel 2005 un gruppo di terroristi decapita 3 ragazze cristiane a Poso. Costruire un luogo di culto per le religioni di minoranze richiede anni di attesa per i permessi e le chiese domestiche vengono chiuse con la forza dagli estremisti. Solo dal 2004 si registrano 70 casi.
LAOS(Abitanti: 6.068.117 - Cristiani: circa 100.000)
Alla conquista del potere da parte dei comunisti, nel 1975, il governo dichiarò di voler eliminare il cristianesimo, in quanto “religione straniera imperialista”, furono espulsi tutti i missionari e ancora non è possibile entrare e operare per nessun istituto religioso internazionale con membri stranieri. Negli ultimi anni varie decine di cristiani protestanti sono stati arrestati, due ancora nell’agosto dell’anno scorso. Anche la Chiesa cattolica subisce pesanti controlli.
MALAYSIA(Abitanti: 24.821.286 - Cristiani: 2.060.166)
Da anni il governo promuove un’islamizzazione volta a favorire l’etnia maggioritaria dei malay. La libertà religiosa delle minoranze, ma anche dei musulmani, è fortemente limitata dall’ambiguità del sistema giuridico che verte su due legislazioni: quella costituzionale, che garantisce la libertà di religione e la legge islamica, che invece proibisce la conversione dall’islam. Gli “apostati” vengono puniti con la "riabilitazione" forzata, con il carcere e multe salate.
MYANMAR(Abitanti: 47.373.958 - Cristiani: 2.321.323)
La violazione della libertà religiosa è sistematica e legata alla persecuzione delle minoranze etniche. Colpisce indistintamente cristiani, musulmani e in alcuni casi anche i buddisti. La giunta militare usa il buddismo per mera propaganda imbavagliando la libertà d’espressione della comunità. Non sono ammessi missionari stranieri che risiedano stabilmente nel Paese. Il governo limita l’evangelizzazione, la costruzione e la manutenzione di chiese.
TAILANDIA(Abitanti: 62 milioni – Cristiani: 440mila, musulmani 2.850.000)
C’è una generale tolleranza verso tutte le religioni, ma un acceso conflitto nel meridione, zona a maggioranza islamica in un Paese buddista. Gli estremisti musulmani vogliono la secessione e ci sono continui attentanti e uccisioni da entrambe le parti, con più di 2.200 morti e oltre 3mila feriti dal 2003. Molto colpite le scuole statali, dove gli insegnanti buddisti vanno con la scorta dell’esercito. Ad aprile una bomba è esplosa davanti a una moschea.
VIETNAM(Abitanti: 82.689.518 – Cattolici: 6.180.000)
Fortemente perseguitati fin dal 1975, i cristiani, minoranza forte di oltre sei milioni di persone, hanno potuto resistere, malgrado arresti e deportazioni. Nel 2006, il desiderio del governo di entrare nel Wto ha favorito qualche concessione, ma ottenuto l’ingresso nell’Organizzazione, sembra ci sia qualche passo indietro, con nuovi episodi di vessazioni ed arresti, specialmente tra i montagnard. Perseguitati sono anche gli aderenti alla Chiesa unificata buddista del Vietnam.

giovedì 12 luglio 2007

Il vizietto filo-arabo. Fiamma Nirenstein

Quale invincibile cecità, quale peccato originale obnubila la sinistra quando si parla di questione mediorientale, per cui ogni apparente progresso viene subito vanificato da errori? Si tratta di perversione concettuale, o di cecità morale? Era sembrato sperabile, una volta ancora, che la visita di Prodi in Medio Oriente contenesse, sia pure in maniera limitata, una revisione degli errori storici della sinistra verso Israele e, insieme, di quelli sul terrorismo islamico. Non è così: e la delusione è tanto più cocente in quanto a causarla sono due personaggi in genere molto distanti fra loro quando si parla di politica estera, Massimo D’Alema e Piero Fassino, ambedue rappresentanti onorati della maggioranza.
Ci tocca a trovarceli uniti uno, Massimo D’Alema, che chiede di alleggerire le sanzioni all’Iran e che in una lettera aperta a Tony Blair insiste con altri nove ministri della Comunità Europea di aprire a Hamas, e l’altro, al contrario di D’Alema, uno dei leader di sinistra più moderati in politica estera, che chiede di “sedersi a un tavolo con Hamas” anche se non riconosce Israele. In più D’Alema, siccome Prodi ha tenuta bassa la polemica togliendo ufficialità al gesto del suo ministro, lo ha ribadito polemicamente anche ieri.
Si tratta di uno scandalo politico e concettuale. Politico, perché la cosa (col seguito piccato di D’Alema e Fassino immerso in una guerra di leadership) sa di ricerca di chiasso e di caccia al consenso verso i terreni dell’odio antisraeliano propri della sinistra estrema che decenza vorrebbe fosse abbandonato quanto prima e invece rifiorisce sempre: è da quando la Guerra Fredda dichiarò lo Stato degli Ebrei nemico pubblico, colonialista, imperialista, amico degli americani, che la sinistra ha abbracciato l’odio antisraeliano, ha sollecitato con la sua compiacenza il terrorismo, ha assolto il mondo arabo da ogni responsabilità facendo il suo fatale danno, ha bruciato in piazza le bandiere israeliane con quelle americane e aggredito Israele con accuse di criminalità internazionale mentre si costruiva, dall’Iran alla Siria agli Hezbollah a Hamas fino ad Al Qaida un vero esercito conquistatore, negazionista, antisemita, anticristiano. L’esortazione di Fassino e di D’Alema a parlare con Hamas indebolisce il già fragilissimo tentativo di creare un fronte moderato e delegittima Abu Mazen che rifiuta il contatto. Sul fronte interno, crea una imperdonabile lesione morale nel rapporto fra classe dirigente e il cittadino di un Paese democratico che faccia della libertà e dei diritti umani la propria bandiera.
Che cosa insegna una simile esortazione se non tolleranza verso la violenza più inaudita? Se non negazione del rilievo strategico e soprattutto morale del terrorismo? Che cosa deve arrivare a fare un’entità politica per risultare infrequentabile all’Italia? Assediare case private e ucciderne gli abitanti sul posto? Uccidere col colpo in testa tre donne selezionate fra una massa di profughe di Gaza, scegliendole una sedicenne, una ventottenne e una settantatreenne dal mucchio? Gettare cittadini dal 16° piano? Assalire un ospedale a colpi di bazooka? Trascinare per strada il nemico e giustiziarlo sul posto alla presenza della propria famiglia? Giustiziare con un colpo alla testa bambini che vanno a scuola in macchina col proprio padre? Tagliare teste col coltello? Rapire innocenti? Hamas ha fatto tutto questo.
Che cosa deve dire una forza politica per essere dichiarato incapace di intendere il linguaggio della mediazione? Dichiarare guerra totale all’Occidente? Promettere nella propria carta costitutiva lo sterminio degli ebrei? Negare la Shoah? Dichiarare reo tutto l’Occidente di empietà? Deve mandare in onda alla tv Topolino per ordinare ai bambini di farsi “shahid”, martiri per la gloria di Allah? Deve mandare madri incinte a farsi saltare per aria? Distruggere denaro e serre e investire milioni di dollari in violenza e odio, reclutare dentro le moschee nei campi estivi bambini per insegnare loro a usare cariche esplosive? Questo Hamas lo fa. Ed è onesto: il suo messaggio ripete chiara la determinazione a distruggere Israele, a conquistare all’Islam il mondo.
Parlare con Hamas, cosa significa? Già ci si parla per arrivare a uno scambio di prigionieri che liberi Gilad Shalit a caro prezzo; ci si parla per consentire il passaggio di cibo, medicine, malati, beni necessari. Israele seguita a fornirgli elettricità, benzina, medicine, gas, altri beni, anche se ne riceve in cambio solo missili kassam. Che questo sia. Ma invitare all’accettazione di Hamas come interlocutore è inammissibile perché aumenta i rischi di guerra e terrore: Ahmadinejad, Hanje, Nasrallah, Assad, Bin Laden si sentiranno vieppiù sulla strada della vittoria. E questa nostra società a rischio di crescente violenza incrementerà la sua deriva, legittimerà qualsiasi cosa. Non lamentiamoci in futuro delle scelte di un giovane italiano che viene invitato a sedersi con chiunque.

I tre giorni del Pio Condor. Christian Rocca

Avete un parente all’estero o un conoscente che da mesi non legge i giornali e non guarda la tv? Bene. E’ la persona adatta al seguente esperimento: provate a spiegargli di che cosa parlano le nostre cronache quando si accalorano sul caso Sismi, sui servizi segreti di Niccolò Pollari e sulle mirabolanti avventure dell’agente Pio Pompa. Non sapete da dove cominciare, vero? Le uniche cose chiare, in effetti, sono che il Sismi è il nostro servizio segreto militare con un passato non proprio limpidissimo, che Niccolò Pollari è il generale della Finanza chiamato alla fine del 2001 da Silvio Berlusconi, e poi confermato dal governo Prodi, a guidare la nostra intelligence e, infine, che Pio Pompa è stato uno dei suoi collaboratori più stretti. Il resto è misterioso, ma solo in apparenza. Al succo la vicenda è questa: ci sono due procure della repubblica, una con sede a Milano e una a Largo Fochetti, convinte da tempo che i nostri servizi di intelligence abbiano commesso le più svariate infamie per conto del governo Berlusconi, a cominciare dall’aver costruito le prove false per aiutare George Bush e Tony Blair a dichiarare guerra all’Iraq (Nigergate), continuando col sostegno alle azioni coperte della Cia (cattura dell’imam fondamentalista Abu Omar a Milano), fino a una pianificata strategia della paura per aiutare il governo di centrodestra (con i risultati noti) e alle attività di “dossieraggio” compiute nell’ufficio coperto di Via Nazionale gestito da Pompa.
A questo punto è previsto che il parente all’estero e il conoscente ignaro sgranino gli occhi ad apprendere che esiste qualcuno convinto che la politica di sicurezza e di difesa nazionale debba essere affidata a un magistrato e non ai servizi e al governo. Il parente o il conoscente comincia anche a preoccuparsi e a chiedersi se davvero ci siano settori politici e giornalistici che considerano il terrorismo islamista una carta fasulla e non una minaccia reale. Arriva anche il momento delle risate di gusto, quando gli si racconta che Bush e Blair avrebbero avuto bisogno dell’apporto di Pollari e Pompa per dichiarare guerra a Saddam. Ma, finite le barzellette, il parente e il conoscente vorrano sapere qualcosa di più dei dossier segreti contro magistrati e oppositori del governo preparati, secondo l’accusa, da Pio Pompa nelle segrete stanze di via Nazionale.
Le attività di Pompa possono essere giudicate sospette e le azioni di Pollari non piacere, ma dalle indagini non risultano dossier segreti, né pericoli per la democrazia, meno che mai tentativi di golpe. C’è soltanto un episodio di illegalità accertata giudiziariamente, come ha ammesso ieri Carlo Bonini su Repubblica: l’arruolamento contra legem di un giornalista, Renato Farina, per “sollecitare risposte sul caso Abu Omar” ai magistrati milanesi che indagavano sui vertici del Sismi. Secondo Repubblica queste risposte non erano destinate a “un articolo di cronaca o a un commento, ma a un appunto riservato che Nicolò Pollari e Pio Pompa attendono a Roma per anticipare le verosimili mosse istruttorie della Procura”. In realtà quelle risposte sono comparse l’indomani, una dietro l’altra, in un’intervista firmata da Farina e pubblicata su Libero. In Via Nazionale, Pompa scriveva appunti e analisi con notizie tratte da internet e dai giornali, dalle cosiddette fonti aperte, cioè quelle pubbliche e disponibili a tutti. Memorabile, ma poco segreto, l’appunto in cui Pompa avverte il governo Berlusconi che una parte della sua stessa maggioranza avrebbe voluto fargli le scarpe.
Tutta la vicenda, a guardarla bene, sembra un remake dei “Tre giorni del Condor” con Franco Franchi al posto di Robert Redford, più che la nuova P2. Ora il teatrino s’è spostato su Pollari e sulla sua offerta di svelare i misteri dei suoi anni alla guida del Sismi. Di nuovo: potranno non piacere i toni minacciosi e i modi irrituali di Pollari, e soprattutto i personaggi di cui si circonda, ma consentirgli di dire la sua verità sui misteri di questi anni rientra nel più elementare diritto di difesa. Il direttore della Cia George Tenet, per dire di un protagonista non meno importante di Pollari o Pompa, ha preso 5 milioni di dollari per scrivere il libro in cui racconta la sua verità.

mercoledì 11 luglio 2007

Comitato Scassa Magistratura. Davide Giacalone

Vorrei sapere: adesso chi li processa gli agenti del Sismi eventualmente criminali? La magistratura inquirente ha raccolto elementi che sembrano indicare un'attività spionistica illegittima, riguardante alcuni magistrati. Gli interessati negano, ex capo dei servizi segreti, Pollari, in testa, ma se fosse vero sarebbe gravissimo ed in sede giudiziaria gli accusati dovrebbero chiarire per quale ragione svolgevano quell'attività. Se esiste una copertura politica od istituzionale, anche quella dovrebbe essere chiamata a rispondere della propria condotta. Tutto nell'ipotesi che ci sia un reato. Come si fa a saperlo? Nell'unico modo previsto dalle nostre leggi: prima le indagini, poi eventualmente il processo, quindi la sentenza. Il Consiglio Superiore della Magistratura ha, però, minato alla base l'edificio del diritto, deragliando dai binari costituzionali.Riunendo il plenum, quindi tutti i suoi componenti, il Csm ha approvato un documento nel quale non solo afferma che i magistrati sono stati spiati, ma aggiunge che a farlo non erano settori deviati dei servizi, ma il Sismi nel suo insieme. Hanno fatto indagini, processo e condanna. Mettetevi ora nei panni di quei magistrati che queste cose dovranno farle sul serio, e ricordatevi che la loro carriera, la loro sede ed il loro stipendio dipendono da quei signori che hanno già stabilito come sono andate le cose e ne hanno tratto delle gravi conseguenze. Che faranno? Se condanneranno si dirà che lo hanno fatto in ossequio al loro organo di autogoverno, se proscioglieranno od assolveranno lo screditeranno. La causa di questa orrenda condizione è la continua volontà del Csm di non fare quel che la Costituzione stabilisce, ma politica. E, del resto, non è un caso che alla vicepresidenza siano sempre nominati non illustri esponenti del diritto, ma professionisti della politica. Con quella scelta, dunque, il Csm ha assestato un durissimo colpo contro l'indipendenza della magistratura.Tralascio di commentare il fatto che il governo Prodi si sia sentito in dovere d'intervenire in sostegno dell'improvvida presa di posizione. “Siamo solidali con i magistrati”, dicono dallo stesso palazzo dove, sempre a proposito di Pollari, s'impose ai magistrati di non indagare. Proprio non riescono a non oscillare da un marciapiede all'altro.

Italia, liberalizzazioni bloccate a metà strada. Laura Verlicchi

Uno studio dell’Istituto Bruno Leoni: ancora troppi vincoli e monopoli frenano il mercato.

Italia, liberalizzata soltanto a metà. A un anno dal decreto Bersani, che prometteva novità a tutto campo, uno studio condotto dall’Istituto Bruno Leoni dimostra che in realtà il mercato è libero da vincoli e monopoli solo al 52 per cento. «E non c’è nulla di peggio che restare a metà del guado - commenta il direttore dell’Ibl, Alberto Mingardi. Il processo di liberalizzazione è in stallo, e questa analisi lo dimostra: siamo un Paese nel quale i guasti del monopolio pubblico non sono ancora stati superati da un passaggio netto ad un ordine autenticamente di mercato. Speriamo che questa ricerca serva anche ad intendersi su che cosa effettivamente è liberalizzare: rimuovere barriere e vincoli, non introdurne di nuovi».

Secondo l’Indice delle liberalizzazioni elaborato dall’Ibl - che sarà presentato domani in un dibattito a Milano a politici e imprenditori - su otto settori chiave dell’economia italiana solo due raggiungono la piena sufficienza: l’elettricità e il trasporto aereo, rispettivamente liberalizzati per il 72 e per il 66 per cento. Gli altri non riescono ad andare oltre un mediocre «cinque più»: il gas, liberalizzato al 58%, le tlc col 40%, le ferrovie con il 49%, le professioni intellettuali liberalizzate al 46% e il mercato del lavoro con il 50 per cento. Maglia nera ai servizi postali, fermi al 38%: in particolare, lo studio ricorda che, per quanto riguarda le stampe editoriali in abbonamento postale (giornali, riviste, pubblicazioni degli enti non profit), solo utilizzando Poste Italiane è possibile usufruire di un contributo statale che abbatte le tariffe mediamente del 60 per cento. Con tanti saluti alla concorrenza. Voto finale: gravemente insufficiente.

«Quella dell’Ibl è una radiografia davvero accurata - commenta Daniele Capezzone, presidente della commissione Attività produttive della Camera - delle liberalizzazioni realizzate e delle troppe ancora mancate e mancanti. Ora, all’Italia servirebbe una “cura Aznar”», continua, ricordando come, nel primo anno di governo, Josè Maria Aznar privatizzò le 29 maggiori aziende pubbliche spagnole. «Qui da noi, per invertire la rotta, sarebbe necessaria la privatizzazione (vera) di Rai, Ferrovie, Alitalia, Poste, servizi pubblici locali. Solo così si potrebbero aprire segmenti decisivi di mercato, dando aria ad un sistema asfittico», conclude Capezzone.

Una preoccupazione condivisa anche dalle associazioni dei consumatori: «Non abbiamo certo bisogno di liberalizzazioni a metà, buone sulla carta ma deludenti nella pratica» sostiene il Codacons, sottolineando come in troppi settori non è cambiato niente, nonostante le «lenzuolate» del ministro Bersani: «La concorrenza è ancora scarsa non solo nel settore delle banche, ma anche in quello delle assicurazioni, dei farmaci, dei taxi, del commercio, dell’ortofrutta e dell’energia elettrica, che non sarà veramente liberalizzata prima del 2009».

E a questo proposito, le modifiche approvate dalla decima Commissione del Senato al decreto sulle liberalizzazioni del mercato elettrico non piacciono a Federconsumatori. Sul banco degli imputati c’è soprattutto «la mancata attribuzione all’Autorità per l’energia del compito di definire i prezzi di riferimento obbligatori per le forniture di gas ed elettricità agli utenti domestici». Federconsumatori ha messo nero su bianco questi rilievi in una lettera spedita ai senatori della X Commissione «Industria, commercio e turismo», perché «l’esame del provvedimento da parte dell’assemblea di Palazzo Madama ripristini il testo originale del decreto legge».

Il Professore solitario. David Consiglio

La situazione nella quale versa il governo di centrosinistra è diventata davvero insostenibile. Ai tanti e più disparati fronti interni che quotidianamente creano grattacapi a Romano Prodi, negli ultimi giorni si è aggiunto anche uno esterno. Il premier e il suo fidato ministro dell'Economia, Tommaso Padoa Schioppa, hanno subìto una pesante doppia bocciatura: la Commissione europea e il Fondo monetario internazionale, infatti, hanno senza mezzi termini dichiarato la loro profonda insoddisfazione e preoccupazione rispetto alle ultime decisioni di politica economica e sociale che il governo italiano ha adottato attraverso il varo del Dpef.

Secondo i due autorevoli organismi internazionali, le scelte dell'Esecutivo italiano non sono in linea con gli impegni assunti dall'Italia in sede internazionale e, soprattutto, rischiano di mettere seriamente a rischio la già fragilissima tenuta dei conti pubblici. Questa sonora tirata d'orecchi non è la prima e non sarà l'ultima, rappresenta una vera e propria disfatta per il duo Prodi-Padoa Schioppa; i due, negli ultimi anni, hanno sempre posto l'accento sulla loro presunta maggiore credibilità internazionale, specie in sede europea, non mancando di presentarsi come i massimi tutori del rigore economico e del rispetto delle regole sopranazionali. Ora, alla luce di quanto detto sopra, anche questo falso mito è definitivamente caduto. Nel frattempo, tornando alla politica interna, il centrosinistra è sempre più spaccato e in balia delle onde: dalle pensioni alla riforma della giustizia, senza dimenticare la legge elettorale, l'allegra compagnia dell'Unione non perde occasione per mostrarsi in tutta la sua disastrosa situazione.

Di conseguenza, il Presidente del consiglio è sempre più isolato e messo nell'angolo. Dopo essere stato di fatto scaricato da suoi alleati per mezzo della discesa in campo di Walter Veltroni, e dopo essere stato abbandonato dai cosiddetti salotti buoni dell'industria e della finanza italiana, il Professore in futuro dovrà fare a meno anche dell'ultima ciambella di salvataggio incarnata dalla burocrazia europea. Sempre per restare in argomento, il leader bolognese, insieme al suo gabinetto e alla sua allegra e variegata maggioranza di governo, da qualche tempo è nel mirino anche della stampa progressista e confindustriale. A parte Eugenio Scalari, il Professore sempre più spesso è costretto a subire veri e propri processi a mezzo stampa al suo operato: Repubblica e Corriere della Sera, entrambi sponsor dell'Unione in occasione delle ultime elezioni politiche, non stanno facendo troppi sconti. Sembra strano, ma è così.
E' la politica economica del governo ad essere messa sul banco d'accusa. I due giornaloni, anche se con colpevole ritardo e non senza qualche responsabilità, stanno bombardando le scelte del centrosinistra in tema di pensioni: entrambi i quotidiani stanno soprattutto stigmatizzando l'arrendevolezza del premier e delle componenti riformiste dell'alleanza davanti alle richieste e alle pressioni provenienti da sindacati e sinistra radicale. Il vicedirettore di Repubblica, Massimo Giannini, ha parlato di debolezza della politica, riferendosi all'atteggiamento dell'Esecutivo, mentre dalle colonne del quotidiano di Via Solferino l'autorevole economista Francesco Giavazzi ha posto l'accento sulla totale incapacità da parte di questa maggioranza di portare avanti una politica riformista e liberale. Inoltre, sempre l'editorialista del Corsera, ha riconosciuto la maggiore affidabilità del centrodestra in tema di riforme specie perché non succube dei sindacati; inoltre Giavazzi ha rimarcato la bontà delle riforme previdenziali e del mercato del lavoro (legge Biagi) approvate dal centrodestra nella passata legislatura. Questi riconoscimenti al governo Berlusconi, anche questi tardivi, non fanno altro che confermare la bontà delle scelte, in alcuni casi anche impopolari, adottate dal centrodestra nei suoi cinque anni alla guida del Paese. Sempre dalle colonne del quotidiano milanese, due firme di punta come Sergio Romano e il vicedirettore Di Vico hanno duramente criticato il Professore e il suo gabinetto: mancazza di una linea politica chiara e condivisa da tutti i membri della coalizione, litigiosità e poca autorevolezza rispetto alla controparte sindacale sono le vere pecche del centrosinistra a detta dei due autorevoli osservatori.

Prodi e i suoi compagni, nei fatti, stanno mettendo fortemente a rischio il futuro delle giovani generazioni, dimostrandosi come i custodi dello status quo e delle rendite di posizione. Il centrosinistra, conscio della sua diffusa impopolarità, non trova di meglio che stare fermo, immobile, consegnando l'economia del Paese ad una morte lenta e sicura. Piuttosto che occuparsi delle cose davvero importanti, il Professore, Fassino, Veltroni e compagnia bella, pensano al loro personale futuro. Infine, la ciliegina sulla torta è rappresentata dal polverone che si sta montando intorno alla vicenda che ha come protagonista il Sismi: distrarre l'attenzione della pubblica opinione dallo stato di collasso e paralisi del governo è l'unico vero intento di coloro i quali soffiando su questo nuovo fronte. Gli italiani, però, non ci cascheranno. I cittadini che lavorano e pagano le tante tasse di Visco e soci, pensano alle cose più serie e che hanno riflessi concreti sulla vita quotidiana. Le chiacchere, a tutti questi italiani, non interessano.

martedì 10 luglio 2007

"Gramsciano liberale". il Domenicale

http://www.ildomenicale.it/approfondimento.asp?id_approfondimento=17

Perché il Centrodestra non ha vinto le elezioni?
Dagli Approfondimenti de il Domenicale per le elezioni dell'aprile 2006, una serie di articoli attualissimi che spiegano gli errori, i limiti e le difficoltà del governo Berlusconi e ne tracciano i possibili rimedi nell'ambito della cultura, informazione, formazione, televisione, cinema, arte, letteratura, musica e ambiente.

venerdì 6 luglio 2007

Servizi pigri, deviati...Se fosse esagerazione? Valerio Fioravanti

Il Csm protesta perché alcune decine di magistrati sarebbero stati spiati dal Sismi. Noi protestiamo assieme a loro perché l’indipendenza della magistratura è un bene importantissimo. Ma protestiamo anche perché il nostro Sismi proprio non è capace a fare le cose. Se le accuse mosse dal Csm sono vere, il fior fiore dei nostri servizi segreti altro non sarebbe riuscito a fare che non raccogliere una lunga, meticolosa, monotematica rassegna stampa. Non risultano ci siano intercettazioni telefoniche di conversazioni intime, non ci sono fotografie prese di nascosto di qualche magistrato con un’amante, non ci sono illazioni su relazioni omosessuali o pedofile, né relazioni su figli che fumerebbero spinelli o frequenterebbero associazioni estremistiche… insomma, questa attività di spionaggio sembra non aver raccolto un bel niente che avrebbe potuto essere utile a un qualche “mandante” per ricattare o “condizionare” i giudici in questione. E infatti, la mole di dati, ossia i ritagli di rassegna stampa, sembra abbiano iniziato ad essere raccolti dal 2001, e ad oggi nessuna delle vittime di questo spionaggio ha denunciato di essere stato ricattato. I costituzionalisti discuteranno delle questioni delicate legate all’equilibrio, mai molto stabile in Italia, dei poteri istituzionali, ad esempio sul perché i giudici possono spiare i servizi, ma non i servizi i giudici. Sono cose serie, importanti, e se ne occuperanno persone serie e importanti. Noi ci faremmo delle domande più semplici. Ad esempio, se davvero hanno raccolto solo una rassegna stampa, questo vuol dire che i nostri servizi sono deviati ma pigri? O deviati ma incapaci? O, invece, c’è qualche millimetro di esagerazione in chi dice che raccogliere una rassegna stampa sia un attentato all’indipendenza della magistratura?

Gli interessi particolari al potere. Aurora Franceschelli

Edmund Burke, uno dei padri della rappresentanza politica moderna, sosteneva che: «Il parlamento non è un congresso di ambasciatori di opposti e ostili interessi, interessi che ciascuno deve tutelare come agente o avvocato; il parlamento è assemblea deliberante di una nazione, con un solo interesse, quello dell'intero, dove non dovrebbero essere di guida interessi e pregiudizi locali, ma il bene generale». Mentre durante il Medio Evo sussisteva il principio del «mandato imperativo», in base al quale il rappresentante non poteva derogare alle istruzioni che i propri mandanti gli trasmettevano, dopo, con l'estendersi delle assemblee, nelle quali si moltiplicavano e diversificavano le categorie che aspiravano ad essere rappresentate, si impose la tendenza a contemperare i singoli interessi frazionali, rapportandoli ad un presupposto interesse o bene generale, quello a cui si riferisce Burke. Nell'800, infatti, si impose quella rappresentanza «moderna» che poteva avere quale referente tanto la Nazione (come nella costituzione francese del 1791), quanto il popolo (come era statuito dalla costituzione giacobina del 1793); il principio del «libero mandato» si impose così come irrinunciabile perchè necessario al processo rappresentativo, legato all'espressione della volontà comune.

Oggi questo principio costituzionale sembra essere stato svuotato dalla sinistra di Governo: il principio di rappresentanza moderno, fondato sul libero mandato, secondo il quale i rappresentanti di tutto il popolo non sono vincolati da mandati o istruzioni particolari, ha subìto inesorabilmente l'onda d'urto destabilizzante dell'attuale coalizione di governo. Ora, ad essere rappresentato in Parlamento, non è l'interesse generale del Paese, ma sono indubbiamente gli interessi particolaristici di alcune componenti sociali ristrette che si configurano come cerchi concentrici chiusi, piccoli sottoinsiemi della società italiana: essi si identificano, ad esempio, con quelle parti sociali come i sindacati, che si fanno carico di rappresentare non il mondo del lavoro nel suo complesso, ma un semplice spaccato di esso. I sindacati, che in passato si prefiggevano di tutelate le masse dei lavoratori, non sono stati capaci di andar dietro ad i cambiamenti che l'economia globale ha imposto all'emisfero della regolamentazione del lavoro, anzi, addirittura hanno rifiutato questi cambiamenti. Oltre ai sindacati, che, sino ad ora hanno giocato un ruolo chiave negli indirizzi del Governo - è di ieri la notizia dell'ennesima battuta d'arresto sul tema pensioni - ad esercitare un forte potere ricattatorio sull'Esecutivo sono quei partiti della sinistra radicale che, vivendo ancora lo sdoppiamento di un ruolo che è al medesimo tempo di lotta e di governo, si sentono ancora fortemente ancorati a quelle ideologie dell'800 che si fondavano sulla politica della spesa pubblica. Purtroppo questi partiti rappresentano a mala pena il 20% del Paese, eppure condizionano la politica dell'Italia intera.

Da quando la sinistra è al governo sembra di essere tornati nel Medio Evo, quando le istituzioni rappresentative si fondavano sul mandato imperativo, in base al quale i rappresentanti (i nuncii), che facevano da mediatori presso il monarca, non potevano derogare alle istruzioni che il proprio mandante (il suddito) gli trasmetteva. La realtà politica attuale sembra assomigliare, sotto questo aspetto, a quella dei parlamenti medioevali: ora la sinistra radicale più di lotta che di governo, con il suo rapporto simbiotico con il sindacato, vincola il Governo a rispettare le sue prescrizioni. Una piccola minoranza del Paese rappresentata in Parlamento da quella componente che ambisce a diventare la «Cosa rossa» condiziona l'intero Paese. Questa è la realtà, una realtà che persino lo stesso Dini, che non accetta più i ricatti di quest'ala della sua coalizione, ha apertamente denunciato sui giornali. Infatti, a proposito della riforma delle pensioni, l'ex primo ministro ha lamentato: «Come si può accettare che il governo difenda 120.000 persone a danno di tutti gli altri?». Ed è sul nodo pensioni che ora si gioca la vera partita. Una partita che, in questo momento, viene continuamente rimandata a data da destinarsi.

La previdenza rappresenta ora il vero spartiacque: da una parte i «riformisti» dell'Unione rifiutano l'abolizione dello «scalone» perché, così riferiscono, non vi sarebbero le risorse per farlo, dall'altra i massimalisti non ci sentono e alzano le barricate. Insomma: il solito film già visto più volte, un film che, prima o poi, potrebbe essere fatale. Speriamo che non lo sia per le sorti del nostro Paese, che, come denunciato dagli organismi internazionali, si trova in una pericolosa situazione economica.

giovedì 5 luglio 2007

Cobas in toga. Davide Giacalone

Lezione magistrale, quella impartita dai magistrati e dalla loro associazione politica, esempio di come si distrugge la giustizia, attentando alla Costituzione. E di come si confrontino due torti: quello dei magistrati e quello del governo. Nella scorsa legislatura, con una maggioranza di centro destra, si riformò l'ordinamento giudiziario (riforma Castelli). Non avendo né la forza, politica e culturale, né il coraggio, non si stabilì la separazione delle carriere, fra magistrati del pubblico ministero e giudici, fra chi rappresenta una parte e chi deve esserne al di sopra, com'è in ogni parte del mondo civile, ma si ripiegò sulla separazione delle funzioni. Gli accusatori, secondo quella riforma, potevano diventare giudici, e viceversa (di “vocazione” neanche a parlarne), ma a determinate condizioni. Contro quella riforma strillarono i magistrati associati e vociò la sinistra, promettendo di cancellarla dopo la vittoria. Ora governano, quindi cancellano.
E qui viene il bello.
Prima rinviano, con un decreto, la riforma, poi Mastella si mostra disponibile ad accogliere tutte le richieste dei magistrati. Solo che quelli vogliono cose che stanno fuori dal mondo, compreso il mettersi a fare i giudici dopo avere fatto gli accusatori nella stessa regione. Troppo scomodo trasferirsi. Il Parlamento comincia l'esame e, come chiede un ex magistrato comunista, rivolgendosi ai colleghi: “ma che vogliono di più?”. Vogliono che lo sbraco sia generale e totale, sono diventati cobas della toga, alla corporazione interessano carriera, trasferimenti, soldi e vacanze (tante, come i bimbi dell'asilo).
Il centro destra, suppongo, voterà contro la riforma proposta dal governo. Ma non perché condivide la protesta dei magistrati, e spero che nessuno abbia la pessima idea di cavalcarla, bensì per la ragione opposta. Ciò significa che i magistrati s'apprestano a proclamare uno sciopero contro un disegno di legge e contro la quasi totalità del Parlamento. Chi non vede lo squarcio nello Stato di diritto è moralmente cieco. Chi crede che assecondando il corporativismo se ne conquisti il consenso è politicamente folle. Finirà così: troveranno l'accordo ed accontenteranno i togati in rivolta, oppure se n'andrà Mastella. Non perché crede nella giustizia, ma perché non crede più nel governo Prodi.