mercoledì 24 dicembre 2014

Autonomi traditi. Davide Giacalone


Al celebrato “popolo delle partite Iva” arriva la polpetta avvelenata. Gli obiettivi annunciati erano: a. diminuzione della pressione fiscale; b. semplificazione; c. elasticità. La legge di stabilità impone gli opposti. Prima 30.000 euro era il limite massimo entro cui forfettizzare un prelievo del 5%, ora si scende alla metà (15.000), ma con aliquota al 15%. Il reddito, però, è tassabile al 78%, supponendo costi al 22. Supposizione frutto di esoterismo burocratico, basata sul nulla, il cui unico effetto sarà quello di mettere fuori mercato le iniziative coraggiose di chi si spende oggi per guadagni futuri. Dovendo mettere fra i costi un fisco che non tassa solo il profitto, ma anche quel che si spende per raggiungerlo, chiuderanno bottega. Impoverendoci tutti. Con il vecchio sistema forfettario un reddito autonomo di 30.000 euro ne pagava 1.500 di Irpef, con il nuovo ne pagherà 7.000. Queste stesse partite Iva, inoltre scopriranno che non conviene più il regime forfettario, talché sarà saggio tornare a quello ordinario. Il tutto mettendo nel conto anche la crescita della pressione previdenziale, generata dalla gestione separata Inps: 2 punti in più nel 2015, poi uno in più all’anno, fino a toccare il 33,72%. Morale: la promessa diminuzione della pressione fiscale ha generato il suo incremento e l’annunciata semplificazione ha partorito le complicazioni. Veniamo all’elasticità.

Che, per quanto sembri strano, è la guancia su cui è stato assestato il più bruciante ceffone. Il governo aveva annunciato di volere puntare sull’elasticizzazione del mercato del lavoro, venendo incontro a chi ha meno protezioni, premiandolo con meno oneri e meno vincoli. Ricordate la storia di Marta? La giovane precaria sui si voleva assicurare una maternità serena, evitando che sia un privilegio delle sole lavoratrici dipendenti a tempo pieno e indeterminato? Ebbene, la Marta che ha una partita Iva non solo non ha alcuna protezione, non solo avrà una maternità interamente a proprio carico, e non solo contabilizzerà come minor reddito il tempo in cui non lavorerà, ma ora dovrà anche pagare più tasse e non potrà più scalare dal reddito tutte le spese sostenute per mantenere in piedi l’attività, ma solo il 22%. Volevano festeggiare Marta, ma l’hanno conciata per le feste.

I lavoratori autonomi sono la parte più elastica del mercato produttivo e di quello del lavoro. Con il job act si vuol portare maggiore flessibilità e adattabilità nel mercato del lavoro, ma intanto si bastona chi ne è l’incarnazione. Il lavoratore autonomo porta sulle proprie spalle l’intero carico del rischio e modula il proprio lavoro in rapporto alle esigenze del cliente. Per questo non esiste un suo orario di lavoro, dato che (se è bravo e fortunato) potrebbe semplicemente non avere mai sosta. In questo modo si scaricano le spalle dei clienti, a cominciare dalle aziende, dagli oneri fissi, pagando a consumo. Questo esercito di lavoratori (circa 6 milioni e mezzo) rende ancora fluido il sangue che circola nel corpo produttivo. L’ultima delle cose di cui abbiamo bisogno è quella che si è fatta: punirlo.

Conosco a memoria (se non altro per esperienza diretta) il copione della polemica inutile: tutti i lavoratori dipendenti pagano le tasse, mentre tutti gli autonomi le evadono. Nessuna delle due cose è vera. I lavoratori dipendenti possono ben evadere le tasse, ad esempio i docenti facendo ripetizioni private in nero. Mentre i controlli sugli autonomi sono severi. Certo che c’è l’evasione fiscale, ma il conto reso intollerabilmente salato dalla legge di stabilità non lo pagheranno mica gli evasori, bensì le persone per bene. Fino a rompere l’elastico.

La ciliegina sulla torta, la beffa dopo il danno, è il sentire i governanti continuare a pavoneggiarsi: abbiamo diminuito la pressione fiscale. E’ falso per tutti. Per i lavoratori autonomi è vero il contrario: è cresciuta e crescerà. Tutto per finanziare la spesa pubblica corrente, che continua intonsa la sua corsa verso l’abisso.

Pubblicato da Libero

mercoledì 17 dicembre 2014

Maria Cannata: prossima Presidente della Repubblica?




• Torino 2 gennaio 1954. Matematica. Manager pubblico. Direttore del dipartimento del debito pubblico del Tesoro (dal dicembre 2000). Si deve a lei, tra le altre cose, la creazione nel 2012 del Btp Italia, il titolo del Tesoro legato all’inflazione che ha spopolato tra i piccoli risparmiatori.

• Venuta a Roma nel 1966 con tutta la famiglia, si laurea in Matematica alla Sapienza di Roma nel 1977 (tesi sui processi statistici), dopo due anni di insegnamento al liceo e un breve passaggio in Ferrovie, vince il concorso del ministero del Tesoro ed è assunta come statistico presso l’Osservatorio della Direzione generale. «Da qui – ed era il 1983 – sono iniziati i suoi approfondimenti sul debito pubblico che l’hanno portata in contatto con i maggiori esperti della materia italiani e internazionali. E l’hanno spinta a insistere affinché nel 1985 il ministero acquistasse il suo primo personal computer» (Stefania Tamburello) [Cds 16/4/2013]. • «Lega la sua svolta professionale al ’92, quando l’economista Francesco Giavazzi, chiamato al Tesoro dall’allora direttore generale Mario Draghi, decise di valorizzarne la squadra. Dal ’96 al ’98 cura per il ministero la transizione all’euro, nel 2000 è nominata dirigente generale e capo della direzione del debito pubblico, dal 2005 è nel gruppo di governance del network Ocse-Tesoro sulla gestione del debito pubblico» (Alessandra Puato) [Cds 28/11/2011].

• «Sulla sua scrivania transitano ogni anno le centinaia di miliardi di titoli in asta e la gestione complessiva dei circa 2.000 miliardi del debito pubblico italiano. A inizio 2013 ha annunciato che il Tesoro è pronto a lanciare un nuovo Btp a 30 anni, alla luce del rinnovato interesse del mercato» (Andrea Gagliardi) [S24 8/3/2013].

• «Piglio sicuro e tranquillo, modi spicci, diretti e semplici; persino dimessi. Con l’approccio chiaro e sintetico della professoressa. Quando si è trattato di prendere posizioni dure, l’ha fatto, anche pubblicamente, con grande determinazione. Per esempio con (contro) le agenzie di rating, accusate apertamente di aver avuto una parte nella crisi. “Ha la capacità di capire cosa vuole la gente comune, quali sono i bisogni e sa tradurre queste esigenze in azioni”, dice chi la conosce bene. Del suo lavoro lei dice che le piace perché le dà la possibilità di avere una visione globale, perché è vario e interessante. Del resto e questa è una competenza che alla Cannata viene riconosciuta praticamente in tutti gli ambiti, non solo quelli degli economisti e non solo in Italia, anzi in modo particolare all’estero la gestione del debito pubblico italiano dal punto di vista tecnico è tra le più brillanti al mondo» (Vittoria Puledda) [Affari & Finanza 19/3/2012].

• Sposata Bonfrate, un ingegnare conosciuto all’università. Una figlia, Silvia. Ha fama di essere tirchia: «In verità sono solo accorta nelle spese» (Stefano Righi) [Cds 9/7/2007].


Giorgio Dell’Arti
Catalogo dei viventi 2015 (in preparazione)
scheda aggiornata al 22 marzo 2014

martedì 16 dicembre 2014

Sconfitti i taglialingue Magdi Allam è prosciolto: "Non è islamofobo". Magdi Cristiano Allam


«Prosciolto». Vittoria! Per il Consiglio di disciplina dell'Ordine nazionale dei giornalisti non sono colpevole di «islamofobia». È una vittoria della libertà d'espressione promossa coraggiosamente dal Giornale .

È una vittoria di tutti gli italiani a cui i taglialingue nostrani ed islamici avrebbero voluto vietare la critica all'islam come religione.

Per ora ho ricevuto ieri, per il tramite del mio avvocato Gabriele Gatti, solo due righe in stile telegramma: «Comunicasi che il Consiglio disciplina nazionale nella seduta del 10 dicembre 2014 lo ha prosciolto. Segue notifica del provvedimento».

È innanzitutto una cocente sconfitta dell'Ordine dei giornalisti e del suo presidente Enzo Iacopino che sono stati costretti ad auto-sconfessarsi, dopo aver fatto propria l'accusa di «islamofobia», aggiungendoci altre accuse ridicole come l'aver «violato l'obbligo di esercitare la professione con dignità e decoro», «non aver rispettato la propria reputazione», «aver compromesso la dignità dell'Ordine professionale», «non aver rafforzato il rapporto di fiducia tra la stampa e i lettori».

In questa vicenda, che rappresenta un gravissimo attentato alla libertà d'espressione, Iacopino farebbe bene a dimettersi. E la smetta di pararsi dietro ai formalismi cercando di far apparire il «Consiglio di disciplina» come un organo autonomo rispetto all'Ordine dei giornalisti. Com'è possibile che sul profilo Facebook dell'avvocato che ha presentato l'esposto e poi il ricorso all'Ordine nazionale presieduto da Iacopino, tra gli ultimi 16 post ben 5 sono di Iacopino evidenziati da commenti elogiativi: «Il bellissimo post del presidente dell'Ordine dei giornalisti», «Ancora una lezione dal presidente dell'Ordine dei giornalisti», «Leggete questo bello e coraggioso post del presidente dell'Ordine dei giornalisti»? È solo una coincidenza che nel 2010 Iacopino scrisse la prefazione al libro di Angela Lano, «Verso Gaza, in diretta dalla Flottilla», e sempre lo stesso avvocato dei militanti islamici difese l'autrice in tribunale da chi l'aveva duramente criticata?

Il mio proscioglimento è ovviamente una sconfitta per la strategia dei militanti che vorrebbero imporci il divieto assoluto di criticare l'islam, Allah, il Corano, Maometto, la sharia, il jihad, la poligamia, le bambine ridotte a schiave sessuali, la lapidazione degli adulteri, l'impiccagione degli omosessuali, la decapitazione degli infedeli e l'uccisione degli apostati, così come vorrebbero che accettassimo acriticamente le moschee, le scuole coraniche, i tribunali sharaitici, le banche e gli enti assistenziali islamici.

Lo straordinario risultato dell'Ordine dei giornalisti che si auto-sconfessa si è avuto innanzitutto grazie alla condivisione e solidarietà del direttore Alessandro Sallusti e delle prestigiose firme del Giornale che hanno anche concorso alla scrittura del libro Non perdiamo la testa. Il dovere di difenderci dalla violenza dell'islam . Importante è stata la solidarietà espressa da giornalisti di diverse testate tra cui Libero , Corriere della Sera e Repubblica . Fondamentale è stata la disapprovazione nei confronti di Iacopino espressa da Bruno Tucci, ex presidente dell'Ordine dei giornalisti del Lazio, da Franco Abruzzo, ex presidente dell'Ordine dei giornalisti della Lombardia, e dal magistrato Guido Salvini. Determinante è stata la memoria difensiva stesa magistralmente dall'avvocato Gabriele Gatti che ha confutato il fondamento legale del reato di islamofobia, ha sostenuto la legittimità della critica alla religione sottolineando che il vilipendio non è assoluto ma in riferimento alle persone, che l'articolo 19 della Costituzione non tutela la religione ma la libertà dei singoli di professarla, infine ha sottolineato il fatto che l'Ordine dei giornalisti confonde tra il diritto di critica, che è assolutamente lecito, e il diritto di cronaca che io non ho mai violato. In parallelo Gatti, facendo riferimento ai comportamenti dell'avvocato degli islamici che mi ha denunciato, ha evidenziato che «sorge il dubbio che la sua battaglia non sia per la legalità ma per eliminare - in senso figurativo - Magdi Cristiano Allam considerato non un avversario bensì un nemico, un nemico che non deve parlare».

Dal canto mio, che si dimetta o meno Iacopino, proseguirò la mia battaglia di civiltà per l'abolizione dell'Ordine dei giornalisti, un residuato del fascismo. Così come proseguirò, costi quel che costi, la mia missione contro i nostri aspiranti carnefici, i taglialingua islamici che vorrebbero ridurre a schiavi di Allah l'intera umanità. Almeno per ora possiamo gridarlo forte: l'islamofobia non passerà!

www.magdicristianoallam.it

martedì 9 dicembre 2014

Parla Berlusconi


Caro Mauro,
ecco per te il testo della mia intervista all'Huffington Post. Buona lettura.

Silvio Berlusconi scherza, appena ci salutiamo: “Oh, ecco il compagno... Voi dell’Huffington siete critici su Renzi... ”. Palazzo Grazioli, mi riceve nel suo studio. Un bicchiere di “falso amaro” sulla scrivania e un blocco su cui annota appunti, è assai poco appassionato al conflitto interno al centrodestra: “Teatrino”. E ancor meno alla questione delle primarie, su cui si dice contrario. È sul Great Game del Quirinale che però sfoggia il sorriso del Grande Seduttore. Sul punto cruciale della conversazione, la zampata: “Da Renzi mi aspetto un percorso di condivisione che consenta al paese di avere un capo dello Stato che non sia espressione solo della sinistra, come è stato con gli ultimi presidenti, ma sia una figura di garanzia per tutti gli italiani”. Non espressione della sinistra significa che dall’elenco va depennato non solo Prodi, ma tutti i segretari del Pd: Veltroni, Franceschini, Bersani.
In cambio, sulla legge elettorale il Cavaliere non alza le barricate. Anzi, taglia corto sulla proposta di Renzi sui tempi e sulla cosiddetta clausola di salvaguardia, ovvero che la nuova legge elettorale entri in vigore nel 2016: “Non mi sembra francamente una questione rilevante. Prima o dopo l’importante è che si realizzi una buona legge che non penalizzi nessuna delle parti in causa”.
Suona come un richiamo al Patto del Nazareno che Renzi deve rispettare tutto il ragionamento di Berlusconi. Il premier, nel corso della trasmissione di Enrico Mentana, ha detto: “Il Quirinale non è nel Nazareno”. E non ha escluso, per il Quirinale, nessun nome neanche quelli già bocciati la volta scorsa. Per Berlusconi la successione al Colle “condivisa” è invece l’esito di un percorso che il Cavaliere definisce “naturale” nel Patto del Nazareno. E della disponibilità a fare le riforme: “È evidente – dice - che i due temi (Colle e riforme, ndr), poiché fanno entrambi parte delle regole e delle garanzie, non possono che andare di pari passo”. Già, "evidente".
Nel corso dell’oretta passata nel suo studio, lo trovo assai poco innamorato di Renzi. Anzi, lo punzecchia proprio sul rapporto col popolo, con la gente: “L’astensionismo non è secondario. È un segnale per il governo”. Si percepisce che ha voglia di sfidarlo. Un’ultima battaglia, per dimostrare che è, ancora, Silvio Berlusconi. Pesa l’anno di restrizioni, di limitazione nella libertà di movimento. Proprio solleticato su questo esce il vecchio leone. Smette di prendere appunti: “Quando sarà, sarò in campo contro Renzi”. Il ruolo, da candidato o da leader, dipende dalla questione dell’agibilità politica: “Sono certo – dice - che riavrò l’onore perduto”. Ma, parlando del suo “popolo”, quasi commosso lascia capire che non ha alcuna intenzione di dismettere i panni da leader del centrodestra.
Presidente Berlusconi, partiamo dal futuro del centrodestra, da quella che appare una “frantumazione” dello schieramento per come l’abbiamo conosciuto negli ultimi vent’anni.
(Berlusconi è alla sua scrivania, a Palazzo Grazioli. Mentre risponde, ha una penna in mano, e davanti un blocco di fogli. Ogni tanto, mentre parla, annota qualcosa, come se raccogliesse in uno schema i suoi stessi ragionamenti).
Dobbiamo fare ancora un passo indietro: il centrodestra in Italia, come realtà politica, non è mai esistito, almeno dall’epoca pre-fascista. Solo con la mia discesa in campo nel 1994 è diventato un soggetto maggioritario nel paese. Questo non perché prima non esistesse un “sentire comune” moderato, ma perché i partiti chiamati a interpretarlo avevano progetti diversi o erano ininfluenti. I moderati, da maggioranza nel paese, sono diventati per la prima volta con noi anche una maggioranza politica. Molti si attendevano che questo consentisse una trasformazione radicale dell’Italia. Anch’io lo avrei voluto, ma non è stato possibile per diverse ragioni: perché negli ultimi vent’anni noi abbiamo governato per meno della metà, e perché quando abbiamo governato le regole istituzionali, gli egoismi di alcuni alleati minori, le forti resistenze della burocrazia e del sindacato lo hanno reso impossibile. Di conseguenza noi abbiamo fatto grandi riforme liberali, ma “la grande rivoluzione liberale” a cui io puntavo è rimasta incompiuta.
E questo è il passato. Ora però il centrodestra pare frantumato...
Di fronte a quello che le ho illustrato, è successo che una parte dei nostri elettori, delusa, si è rifugiata nell’astensione, mentre alcuni protagonisti politici, da Alfano a Salvini, hanno pensato che potesse essere venuto il loro turno. Ne sarei lieto, come ne sarei stato contento nel 1994 se Segni e Bossi, Martinazzoli e Fini si fossero messi d’accordo senza bisogno del mio intervento. Io non ho mai sofferto di ambizioni politiche né allora né oggi. Ma ancora oggi come allora non vedo nessun altro che possa esercitare una leadership in grado di unificare il mondo del centro-destra.

Lei dice che riunire il centrodestra da Alfano a Salvini, ma ormai è chiaro, a leggere le dichiarazioni, che i due sono incompatibili. Uno è al governo, uno all’opposizione, uno mette il veto sull’altro. Lei che nel ’94 chiamò a raccolta tutti gli italiani alternativi alla sinistra in nome del suo carisma inventandosi una coalizione, che schema ha in mente e con chi?
(Sorride e scuote il capo). Purtroppo i politici italiani non riescono a fare a meno dei tatticismi. Pensano, sollevando barricate, di alzare il prezzo in una trattativa che, prima o poi, è inevitabile, se non vogliono condannare se stessi e tutta l’Italia di centro-destra ad essere minoritaria per sempre. È il teatrino della politica, proprio quello di cui gli italiani, i moderati in particolare, sono sempre più disgustati e indotti a rifugiarsi nell’astensione.
E quindi?
E quindi occorre la pazienza e la volontà di non perdere mai di vista l’obiettivo che si ha davanti. Nonostante i veti reciproci, Lega ed Ncd governano insieme regioni importanti come la Lombardia e il Veneto, che tra l’altro è prossimo alle elezioni, e tante amministrazioni locali. Vuol dire che questa presunta incompatibilità non è poi così definitiva. D’altronde fra pochi mesi in Veneto si vota: non mi risulta che Lega e Ncd abbiano deciso di perdere.
Ma davvero pensa che il calo di consensi sia solo dovuto alla litigiosità o si è rotto qualcosa col paese?
I moderati, tutti i sondaggi e le ricerche lo confermano, sono e restano la maggioranza degli italiani. A tenerli lontani dalle urne sono diversi motivi. Sono delusi da questa politica e da questi politici che profittano dei soldi pubblici, che non trovano soluzioni concrete ai loro problemi, che si perdono in litigi e liturgie incomprensibili. Poi c’è una forte preoccupazione per il proprio futuro, c’è la paura di dover perdere il proprio benessere, il proprio lavoro, la paura di non trovare un lavoro per i propri figli. E poi…
E poi?
(Ora Berlusconi pare rabbuiarsi, fin qui è stato sorridente e cordiale. Diventa cupo. E cambia il tono di voce). Poi c’è la questione che tutti voi dei media avete messo da parte come se non esistesse, come se in Italia fosse tutto normale. Noi siamo in una condizione pericolosa e inaccettabile di democrazia sospesa. Una condizione nella quale il leader di uno dei due schieramenti in campo non può fare campagna elettorale, non può muoversi sul territorio nazionale, non può stare in mezzo alla gente, non può neppure dire quello che pensa, è privato del suo diritto di voto, del diritto ad essere votato, è privato della sua libertà. Una situazione che non ha precedenti nella storia della nostra democrazia.

Ci arriviamo. Prima però un’ultima domanda sul tema. Dentro e fuori il suo partito, da Salvini a Fitto, le dicono: per rifondare il centrodestra “agonizzante” servono le primarie, una sorta di rianimazione, di ossigeno democratico. In fondo a sinistra hanno funzionato, Renzi da quel meccanismo è uscito...
Non è il meccanismo elettorale a far nascere i leaders. I leaders o ci sono o non ci sono. Renzi sarebbe emerso anche senza primarie. È stato abile nell’utilizzarle, certamente, ma non è un prodotto delle primarie. Dalle primarie sono usciti i peggiori esempi di amministratori della sinistra, come Pisapia, Marino, Doria, De Magistris… Una serie di pessimi sindaci che stanno portando allo sfascio le maggiori città italiane. Io sono convinto che le primarie siano un pessimo strumento per la scelta dei candidati leaders. Penso che ogni movimento politico debba proporsi ai cittadini presentando i suoi programmi e i suoi candidati. Se vi convincono, votateli. Questo è il linguaggio dell’onestà e della chiarezza in virtù del quale i moderati italiani da vent’anni hanno scelto e ancora scelgono, senza bisogno delle primarie, un leader del centro-destra che si chiama Berlusconi.
E lei a Fitto che dice: “falla finita, o dentro o fuori”...
Siete speciali: uno vi riferisce un pettegolezzo, oltretutto sbagliato, e tutti lo riprendete, lo commentate e lo rilanciate fino a farlo diventare una apparente verità. Lei mi conosce da tempo: crede davvero possibile che io tratti così qualcuno? La verità è che in trent’anni di imprese e in vent’anni di politica io non ho mai cacciato nessuno. Forse è stato un errore, in qualche caso avrei dovuto farlo, ma, francamente, non ne sono capace.
Diciamoci la verità, questo controcanto le ricorda un po’ Fini o Alfano.
(Ride). Visto l’esito, credo che nessuno abbia la tentazione di imitarli.
Non so lei, ma io sono rimasto molto colpito dall’astensionismo alle regionali. È un fenomeno secondario come dice Renzi?
No, quello uscito dalle urne dell’Emilia Romagna è un segnale molto grave.
È anche un segnale per Renzi e per il governo?
È un segnale per il governo, certamente, che dimostra che una parte importante del Pd, non solo fra i dirigenti, ma anche fra gli elettori, non è d’accordo con quel che è ora il partito che hanno sempre votato.
Sbaglio o è un po’ deluso dal premier?
Renzi ha molte qualità. È giovane, è dinamico, è un formidabile comunicatore. Ha anche il vantaggio di avere una discreta dose di cattiveria che a me, per esempio, manca del tutto. Vedremo cosa sarà capace di realizzare.
Presidente, la seguo da anni e se ho una certezza è che lei è un combattente. Sa cosa penso? Penso che nella sua testa frulla un ragionamento così: vabbè, Renzi è bravo, bravissimo, il migliore dei suoi, però ha pure incrociato il momento di mia massima difficoltà, politica, giudiziaria, pure di libertà dei movimenti. Se avessi la possibilità di fare il Berlusconi vero, di andare in giro per l’Italia, di abbracciare le persone, di andare in televisione, glielo farei vedere io a questo baldo giovane che prima mi stringe la mano e poi cambia idea 8 volte sulle riforme chi è Silvio Berlusconi. Dica la verità, l’idea di una campagna elettorale contro Renzi, quando sarà, le piace assai.
Si è già dato la risposta da solo. Aggiungo solo una cosa.
Prego.
Io sono certo, certissimo (scandisce, guardandomi fisso negli occhi, ndr), che presto sarà l’Europa a restituirmi quell’onore e quei diritti politici che mi sono stati incredibilmente e inaccettabilmente sottratti. E allora sarò in campo, a tempo pieno, per vincere. Ma già da oggi il silenzio è finito. Ho taciuto fin troppo per senso di responsabilità verso il paese in un momento difficile. Ma oggi, se tacessi ancora, sarebbe, al contrario, un gesto di irresponsabilità, verso di me, verso la mia storia, verso chi mi ha sempre dato fiducia, verso tutti gli italiani. (Berlusconi ha fatto ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’uomo contro la sentenza della Cassazione che lo ha condannato per frode fiscale. Si riferisce alla sentenza della corte europea quando parla di Europa, ndr).
Esclude, quando sarà, di essere lei colui che guida la sfida a Renzi come leader del centrodestra?
Non lo escludo. L’unica cosa che invece escludo è di non essere in campo. Se poi ci sarò come attaccante o come regista, dipenderà da molti fattori oggi difficili da prevedere.
Se fosse premier, che farebbe nei primi cento giorni? L’Italia è il paese che amo. E quindi all’Italia dico...
…dico che senza una svolta radicale dalla crisi non si esce. Svolta radicale significa soprattutto una cosa: lasciare più soldi nelle tasche degli italiani, riducendo una volta per tutte i costi dello Stato e le tasse sulle famiglie e sulle imprese. Meno tasse significa più consumi e più investimenti, quindi più lavoro e più utili per le aziende, quindi più occupazione, a favore proprio delle categorie più deboli, come i giovani e le donne, ma anche delle persone di mezza età espulse dal mercato del lavoro e che oggi non riescono a ritrovare un’occupazione e sono ancora lontane dalla pensione. È uno dei nuovi drammi sociali, perché spesso sono padri e madri con figli a carico.
Dunque i provvedimenti che varerebbe?
Introdurremo la “flat tax”, quella che ormai funziona benissimo in trentotto Paesi e che mi convince dal 1994. Quella che i miei alleati non hanno mai condiviso, una rivoluzione totale del nostro sistema impositivo, basato sull’aliquota unica per tutti, un’aliquota del 20 per cento e dunque molto inferiore alle attuali, e una “no tax area” al di sotto di un certo reddito. I paesi dell’Europa dell’est, tra i tanti che hanno introdotto questo sistema di tassazione negli ultimi anni, hanno conosciuto spettacolari passi in avanti. L’altra cosa essenziale da fare subito è occuparsi degli anziani. Nessuno oggi può vivere dignitosamente con meno di 1000 euro al mese. Per questo aumenteremo immediatamente le pensioni minime, fino a quella cifra. E anche questo avrà un effetto positivo sui consumi, sul lavoro, sulle imprese.
Presidente, sta usando i verbi al futuro. Non sta raccontando quello che farebbe se tornasse al governo, ci racconta quella che farà.
(Sorride) Esatto.
E ciò che non rifarebbe? Qualche errore ci sarà nella passata esperienza...
Senza dubbio. Aver accettato una continua mediazione con chi remava contro all’azione del governo. Per carattere tendo a fidarmi delle persone, a credere che siano sempre in buona fede. Farò forza sul mio carattere, non ripeterò questi errori.
Ora però c’è la questione del successore di Napolitano. Non sono così ingenuo da chiederle un nome ora. Però vorrei provare a capire qualcosa. Quale metodo si aspetta da Renzi? Una “rosa” con nomi non ostili?
Mi aspetto un percorso di condivisione il quale, al di là delle procedure che si seguiranno, consenta a questo Paese di avere un Presidente della Repubblica che non sia solo espressione della sinistra, come è stato con gli ultimi presidenti, ma sia una figura di massima garanzia e di rappresentanza di tutti gli italiani.
Un nome condiviso, dunque.
Sono convinto che ci arriveremo, nel quadro di quella collaborazione istituzionale, che è diversa dalla convergenza politica, che si è avviata con il Pd sulle riforme. È evidente che i due temi, poiché fanno entrambi parte delle regole e delle garanzie, non possono che andare di pari passo.
È “evidente”, dice lei. E dal nuovo capo dello Stato si aspetta maggiore sensibilità di quella mostrata da Napolitano sulla sua “agibilità politica” così può tornare candidabile?
Non pongo condizioni, non tratto su quello che considero un mio, un nostro ineludibile diritto. Sono tuttavia convinto che l’Europa risolverà il problema prima del nuovo capo dello Stato.
A proposito di legge elettorale. Le chiederei una parola chiara. Lei aveva detto: prima il Quirinale, poi si vota la legge elettorale. Renzi le ha risposto: “Non dà le carte Berlusconi”. Vuole votarla prima del prossimo capo dello Stato, però offre come clausola di salvaguardia che entrerà in vigore nel 2016.
Non mi sembra francamente una questione rilevante. Prima o dopo l’importante è che si realizzi una buona legge che non penalizzi nessuna delle parti in causa.
Sempre sul Nazareno. Ma perché è così importante per le sue aziende? A leggere le interviste di Ennio Doris viene il sospetto che ci sia un nesso tra tutela delle aziende e Nazareno.
(Sbuffa, evidentemente infastidito) Rovesciamo per un attimo le parti e mi spieghi lei una cosa. Che vantaggio potrebbero mai avere quelle che lei chiama le mie aziende, da Renzi? Mediaset è una grande azienda culturale e di informazione, è quotata in borsa con decine di migliaia di azionisti che ne detengono il 60 per cento, dà lavoro a migliaia di persone e ha operato sotto i governi più diversi. Si rende conto che questa domanda presupporrebbe l’esistenza di una sorta di possibile ricatto da parte del presidente del Consiglio ai danni di una delle principali aziende italiane? Le pare accettabile una cosa del genere? Comunque, non arrivo davvero ad individuare cosa potrebbe fare il governo per le aziende che ho fondato. Forse dovrebbe fare una sola cosa: far ripartire l’economia e quindi anche il mercato pubblicitario, del quale tutti i media vivono. Questo sarebbe il bene del paese, non solo di Mediaset.
Presidente, concludiamo con una nota personale. Rispetto all’ultima volta che ci siamo visti, un anno fa, è stato un anno difficile. Posso chiederle quale è stato il giorno più brutto, da politico, che ha vissuto, la cosa che le ha fatto più male?
Il giorno nel quale il Senato italiano, per la prima volta nella sua storia, ha votato l’espulsione di un leader politico capo dell’opposizione e del centro-destra dal Parlamento della Repubblica e l’ha fatto, violando la Costituzione italiana, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, la prassi e le sue stesse procedure. L’ha fatto a seguito non solo di una sentenza inverosimile, ma anche di un’applicazione incostituzionale dei suoi effetti. Una pagina vergognosa della politica italiana, decisa dalla sinistra, avallata dalle più alte istituzioni e subita senza reazione da chi, eletto con i miei voti, ha deciso, nonostante tutto questo, di continuare a collaborare con i responsabili di questa infamia.
Lei più volte ha usato in questo anno la parola “delusione” e “tradimento”. Ora “infamia”. Si sente cambiato, umanamente?
Questa volta sono stati delusi e traditi milioni di italiani che oggi non credono più nella politica e che si rifugiano nell’astensionismo, perché chi avevano votato in nome di un programma e di un’alleanza, col chiaro mandato di contrastare la sinistra, si è comportato esattamente al contrario. Sono loro che devono perdonare. Loro, ogni volta che compaio in pubblico, in strada, si affollano intorno a me, mi abbracciano, mi dicono di non mollare, quasi mi soffocano con il loro affetto e il loro entusiasmo.
Dunque, il leader è sempre lei.
(Adesso appare quasi commosso, mentre parla della sua gente) A volte faccio fatica a sottrarmi a questo abbraccio così affettuoso e intenso. Negli occhi di tutta questa gente, gente di tutte le età e di tutte le condizioni sociali, vedo la speranza di un’Italia diversa, quel sogno in nome del quale vent’anni fa sono sceso in campo per difendere la nostra democrazia e la nostra libertà. Posso deluderli?
Insomma, diceva Nietzsche: “Ciò che non mi uccide, mi rafforza”.
Nietzsche aveva ragione.

Silvio Berlusconi

martedì 2 dicembre 2014

Epidemia di panico. Davide Giacalone


E’ in corso un’epidemia. E scarseggiano i vaccini. L’epidemia è di panico e il vaccino dovrebbe consistere nella credibilità delle autorità sanitarie. Meglio: delle autorità in generale. Invece si mette in dubbio tutto e l’epidemia dilaga, passando dall’allarme per i vaccini antinfluenzali a quelli che si praticano ai bambini, che hanno salvato centinaia di milioni di vite e infinite sofferenze. Ma non fai a tempo a finire la frase che già ti danno del servo delle multinazionali farmaceutiche. O, nel migliore dei casi, dell’ignorante. Un plotone di googolanti, oramai, crede di sapere tutto, intontito da uno scientismo che è sciamanesimo. Sicché è utile non lasciar correre, soffermandoci su tre aspetti della faccenda: 1. la credibilità di chi parla; 2. la nocività dei farmaci; 3. la logica del profitto.

1. Se il ministero della sanità e le regioni hanno deciso di demolire quel che resta della loro credibilità, continuino pure a rimpallarsi le colpe. Prima si scucuzzano per stabilire chi è responsabile del mancato allarme, poi aggiungono che non c’è ragione d’allarme. Ma chi volete che creda, a quel punto, alla seconda cosa?

A parte loro, che meritano ogni biasimo, c’è da considerare l’allarmismo stridulo che oramai il mercato dell’informazione usa per ogni cosa. E se oggi vale per il vaccino, ieri valeva per l’influenza, che ogni anno s’annuncia monotonamente devastante e con preludi di morte. Nel 2009 non ne potemmo più e ci mettemmo qui a fare i conti (carta canta), scoprendo che in Messico, da dove si dipartiva una mortale influenza suina, era trapassato le stesso numero di persone di ogni anno. Non c’erano picchi. Sopraggiunse la notizia era agghiacciante: un morto in Spagna. L’epidemia correva, eravamo spacciati. E si moriva in fretta. Però, cribbio, quanta gente nuore, in Spagna, ogni giorno? Presi coraggio è azzardai: questa è una bufala. Meglio: una maialata. Morale: fortunatamente l’allarme era infondato e ci salvammo, ma ci costò assai caro, perché il governo comprò vagonate di vaccini, che restarono nei magazzini, giacché i medici di famiglia (brava gente) li sconsigliavano. Quindi, scusate, ma l’accusa di servaggio farmaceutico la si rivolga altrove.

2. Ma è possibile che quei vaccini siano nocivi? Certo che lo è. Tutti i farmaci sono nocivi. Anche gli esami clinici lo sono, e taluni assai pericolosi. Tutto sta a capire se il rischio che corro me ne evita uno peggiore e potenzialmente mortale. E’ per questo che la gente ragionevole si rivolge ai medici e non ai cartomanti.

Inoltre non si deve fare confusione fra i vaccini volontari, che si dovrebbero fare se il medico lo consiglia, rientrando in una categoria a rischio, e i vaccini obbligatori, che tutelano la persona vaccinata, ma anche la collettività che la circonda. Basta abbassare la guardia e malattie un tempo mortali, oggi addomesticate, riprendono a falciare vite. Sono e devono restare obbligatori proprio perché si tutela la salute collettiva, non solo quella individuale. Del resto: avete provato a chiedere di studiare o lavorare laddove la civiltà sanitaria esiste? Vi domandano subito se avete fatto i vaccini.

Quello che non è tollerabile è il rischio aggiuntivo, dato da cattive pratiche o uso di sostanze improprie. Per questo esistono organismi di controllo, nazionali e internazionali. Se c’è dolo ci sia anche condanna.

3. Le case farmaceutiche lavorano per il profitto. Evviva. Lavorando per il profitto sono spinte a non uccidere i clienti. Essendo in concorrenza finanziano la ricerca per trovare prodotti più efficaci. Mi piace. Non mi piacciono, invece, quanti chiamano i disperati a credere nel nulla, travestendosi da giustizieri, ma restando ciarlatani.

La logica del profitto genera mostri in tre casi: a. quando ostacola la ricerca di farmaci contro le malattie rare, che proprio in quanto tali non sono remunerative; b. quando sperimenta i prodotti su cavie umane, in zone lontano dalla sensibilità dell’informazione; c. quando spinge sui pubblici amministratori affinché comprino roba inutile. Nel primo caso deve sopperire la ricerca universitaria (conosciamo Ebola da tempo, e oggi se ne parla in un convegno romano della Fondazione Balsano, ma solo ora si grida al pericolo). Negli altri due deve dischiudersi la galera.

Se politici e giornalisti si mettono a far concorrenza ai miti della rete, inseguendo le paure collettive e soffiando su un fuoco millenarista fuori tempo massimo, otterranno un solo risultato: verranno portati al rogo dal mostro che oggi sperano d’accarezzare. E se lo saranno anche meritato.

Pubblicato da Libero