venerdì 31 ottobre 2014

la Malalingua 178. Dino Cofrancesco





Non c’è nefandezza di cui Matteo Renzi non venga accusato dalla minoranza PD, da molti giornali d’opinione – ad es., il quotidiano della buona borghesia genovese, in questo allineato sul ‘Fatto’, ‘Il Secolo XIX’ – dagli ex notabili DC, dai bravi del Cavaliere. E’ un nuovo Craxi, anzi è un nuovo Berlusconi o, peggio, è un nuovo Mussolini! C’è qualche ex opinion maker che si augura di non dover morire in un’Italia governata da un altro duce. Dico subito che non sono pochi gli errori fatti da Renzi e che condivido in toto le critiche che gli vengono rivolte da Angelo Panebianco, da Luca Ricolfi, da Antonio Polito etc. E, tuttavia, almeno un merito gli va riconosciuto: quando ha detto brutalmente alla Camusso che «le leggi non si fanno convocando le ‘parti sociali’ ma in Parlamento» ha richiamato un principio liberale che nessun altro politico della I della II Repubblica aveva osato ricordare alla Trimurti sindacale. Fine del consociativismo? Sarebbe la vera rivoluzione italiana!

(LSBlog)

 

lunedì 27 ottobre 2014

Il diluvio. Marco Cavallotti

 
 
Sugli eredi del Pci sembra essersi riversato il diluvio universale. Ormai da molti lustri essi erano stati affiancati da pattuglie sempre più vivaci di reduci della Dc e della sinistra cattolica, con i quali avevano dovuto condividere, un po' artatamente, la visione del mondo. Ma ora l'onda di piena costituita da una nuova generazione che è profondamente estranea ai rituali, ai vezzi ed ai luoghi comuni della vecchia “ditta” – per usare un'espressione infelice del buon Bersani – li supera tutti, ignorandone le differenze, scorrendo loro intorno rovinosa e inarrestabile, lasciandone i resti abbarbicati alla tradizione come i vecchi alberi che spuntano, sulla loro isoletta sempre più piccola, in mezzo al fiume in piena.
 
Postcomunisti e cattocomunisti frastornati e balbettanti faticano a comprendere l'improvvisa inattualità delle loro reazioni, la nonchalance dei loro interlocutori di fronte a considerazioni pensose e aggrottate – che solo qualche mese fa avrebbero provocato un arresto dell'attività del governo, la caduta di un ministro, la pubblicazione di preoccupati editoriali –; e si coprono quasi di ridicolo avvolgendosi in un dignitoso bozzolo di incomprensibilità e di incomunicabilità per il grosso pubblico. Le loro parole d'ordine, le reazioni a comando, le manipolazioni retoriche un tempo infallibili hanno perso tutta o quasi la loro efficacia.
 
Sic transit gloria mundi, e così politici che potevano, solo qualche mese fa, apparire alla platea delle pasionarie come desiderabili e quasi mitici modelli di “uomo di sinistra”, un po' intellettualmente estenuati, un po' intelligenti, un po' civili ma inflessibili nelle loro convinzioni sociali, si riducono a balbettare risposte abborracciate, a risfoderare un inventario di luoghi comuni obsoleti – spesso causa storica di tanti guai per il nostro paese –, a capitolare miseramente di fronte alla folla dei giornalisti fattisi audaci e certi di poter dire e chiedere tutto, finalmente. Magari anche aspirando alla medaglia della originalità.
 
Si potrebbe dire che una cultura che per decenni, costruita a pezzo a pezzo e giorno per giorno da mille intellettuali organici, che ha formato l'ossatura del pensare comune nelle scuole, negli uffici pubblici, nelle mille realtà costruite per incuneare “elementi di socialismo” in una società già di per sé storicamente propensa ad una visione del mondo non liberale, in poco tempo abbia mostrato con imbarazzante evidenza la sua fumosa inconsistenza, la sua inattualità rispetto ai problemi del mondo d'oggi, i guasti provocati, e soprattutto la sua incapacità di mantenere quelle promesse palingenetiche che tanto a lungo avevano riscaldato i cuori dei militanti.
 
Merito di Berlusconi, che – pagando anche di persona – ha aperto la via, e di Renzi, che sta tentando spericolatamente di trasformarla in una autostrada a quattro corsie. Le stesse grandi strutture economiche “parallele” – banche e imprese cooperative, un tempo salvadanaio e bancomat di tutte le amministrazioni “democratiche” – mostrano impudiche i loro piedi d'argilla, con paurosi crolli in borsa. E sono coinvolti perfino santuari un tempo intoccabili, che solo pochi mesi or sono nessuno immaginava che sarebbero stati abbandonati al loro destino dal partito. Nel quale – questa in fondo è la prova più “vera” e più certa – gli equilibri, le prospettive e i gruppi di riferimento con Renzi sembrano davvero cambiati.
 
Non è evidentemente insensato immaginare che sia l'intero sistema politico nazionale a dover fare i conti con se stesso e con il proprio passato, per immaginarsi un futuro più rispondente alla realtà ed ai tempi d'oggi, rivoluzionato dalla globalizzazione.
 
Destra e sinistra, come specchiandosi, sono entrate in una fase nuova, in cui si ripensano, o meglio, dovrebbero ripensarsi. E senza dubbio, in questa prospettive, si pongono i problemi delle “radici”, di ciò che è vitale del proprio passato e di ciò che costituisce solo una zavorra, o addirittura un elemento incompatibile di contrasto. Immaginare che le “radici” sane della sinistra italiana – anzi, le uniche veramente legittime – possano essere ancora una volta costituite dalla mitologia resistenziale, con le sue mezze verità, con i suoi silenzi, con le sue iperboli, con la sua divisività procrastinata nei decenni, ovvero – per dirla sinteticamente con Galli Della Loggia – pensare che a innervare il futuro possa essere «la memoria di papà Cervi», con tutto il rispetto dovuto a quella tragedia familiare, significa aver capito poco del passato, e nulla del futuro. Significa illudersi, con non poca spocchia, che passata la nottata si possano riprendere i modi usati, i soliti rapporti, gli schemi consolidati in decenni di egemonia consociativa. Tutto da capo, ignorando che i personaggi in scena da decenni, nel frattempo, sono diventati mummie. Serve certo “avere una storia”. Ma una “scelta” delle radici che prescinda da un serio esame critico sugli errori e sui guasti del passato – di una vicenda che ha finito per assegnare all'Italia un destino tristemente eccentrico ed eccezionale rispetto a gran parte del resto d'Europa – sarebbe un errore fatale, che finirebbe anche per determinare una analoga confusione fra passato e presente sul fronte opposto. Allora è molto meglio non averne – di storia –, o averne, come Berlusconi, una meno tragica – se non sul piano personale.
 
(LSBlog)
 
 

venerdì 24 ottobre 2014

Bondage tributario. Davide Giacalone


Dal governo dicono: aboliamo il canone Rai. Bravi. Bravissimi. Applausi. Poi leggi con attenzione: hanno in animo di abolire la tassa per il possesso del televisore, ma introducono un obbligo di finanziamento della Rai, proporzionale al reddito e ai consumi, che grava su tutti i contribuenti, anche quelli che non possiedono il televisore. Meno bravi. Molto meno. Vabbe’, non lo aboliscono, ma lo riducono, facendolo passare dagli attuali 113.50 euro a una somma variabile fra 35 e 80 euro. Bravini. Però poi ci ragioni e ti accorgi che no, alla fine il prelievo fiscale aumenterà. E non solo perché sarà più facile colpire l’evasione, ma anche perché sarà lecito colpire le persone oneste. Che non è una bella cosa.

Come al solito, ci tocca ragionare sugli annunci. Costantemente divisi dai testi di legge da un congruo lasso di tempo. Questa volta l’attesa dovrebbe essere breve, dato che siamo alla fine di ottobre e sono prossimi alla stampa i bollettini da inviare agli italiani, in partenza a gennaio. Quei bollettini dovrebbero sparire e il corrispettivo dovrebbe essere pagato con il modello F24. Qui comincia la nebbia, perché dal governo dicono che ciascuna “famiglia” pagherà in ragione del reddito e dei consumi. Ma le famiglie non compilano dichiarazioni dei redditi e non pagano modelli F24, quelli sono i singoli contribuenti. Chi e come calcola il reddito e i consumi familiari? Ancora prima: cos’è una famiglia? Domanda pertinente, perché oggi la Rai non considera “famiglia” neanche marito e moglie, ove risiedano in case diverse, arrogandosi, una televisione di Stato, il diritto di stabilire che non basta un canone, ma ne devono pagare due. Una famiglia, due canoni. Del resto, pensate a tutte le unioni di fatto, etero od omosessuali: in attesa che si concluda l’ozioso dibattito su matrimoni, equiparazioni e diversità, fin qui era chiaro che se sto a casa mia (proprietà o affitto, non cambia) e pago il canone, ove ospiti, a scopo di lussuria o conversazione, un altro individuo, del mio sesso o di sesso diverso, quell’altro non è tenuto al pagamento del canone. Con la novità, invece, paghiamo tutti: quattro conviventi, quattro canoni.

Con la novità, del resto, paga il canone anche la badante del nonno. E’ stata assunta per assisterlo e conviverci, già oggi la Rai le manda il bollettino, trattandola da evasore senza che minimamente lo sia, ma domani non riceverà la missiva, non avrà casa propria, non possiederà un televisore, ma dovrà pagare. Diciamo che le stiamo fornendo una ragione in più per sposare il nonno. Sperando che il vegliardo sia ancora nelle condizioni di accorgersene e usufruirne, ma mettendo in conto che, in quel modo, ella s’appropria di una parte dell’eredità.

Tirate le somme, si raggiunge una vetta d’illogicità ideologica: dopo avere sostenuto la bischerata che se pagassimo tutti pagheremmo meno, si realizza un sistema nel quale paghiamo tutti, paghiamo meno, ma ci costa di più. Segnalo la cosa perché, se riescono a farla, è degna dei manuali sulle perversioni fiscali. Una specie di bondage tributario.

Chiudo segnalando il reiterato imbroglio, dato che la Rai, nel succedersi di vertici politici, tecnici, professorali, al di sopra e al di sotto delle parti, continua a ripetere sempre la stessa solfa: il canone italiano è fra i più bassi d’Europa. E’ falso. Quel gettito copre il 50% del finanziamento Rai, ed essendo l’altra metà procurata da introiti pubblicitari, facilissimi da raggiungere perché con spazi illimitati, venduti anche a prezzi stracciati, in reti rette da soldi pubblici, ne deriva che ciò che lo Stato, con le sue leggi, garantisce alla Rai è il doppio del canone. Che, a quel punto, non è proprio per niente fra i più bassi d’Europa, ma il più alto.

Si obietta: molti lo evadono. Sono dei cattivoni, perché non si evade. Ma hanno ragione, perché è un prelievo iniquo e insensato. Apposta sostengo che va abolito, cancellato, incenerito. Non camuffato e illegittimamente travestito da imposta progressiva sui redditi, quale con questa riforma diviene. E la Rai, come fa a campare? Vende, si ridimensiona. Magari prova anche a fare il servizio pubblico, sempre che si trovi qualcuno in grado di stabilire cosa sia.

Pubblicato da Libero

martedì 14 ottobre 2014

Il vero problema di Matteo Renzi. Lorenzo Matteoli




Si comincia oggi a capire il vero problema di Matteo Renzi e del suo Governo. Non basta “rottamare” una ventina di dinosauri del veterocomunismo reazionario e di casta per far ripartire l’Italia, far rinascere il PD e riscoprire la vocazione di una vera “sinistra” di progresso e movimento. Il problema è molto più serio e la malattia molto più grave, forse letale e irreversibile. Non sono solo i pochi vertici PD sopravvissuti alla dissoluzione del PCI che vanno rottamati: è la cultura di una intera classe dirigente infarcita di sedicente sinistrismo reazionario e conservatore e solidamente insediata al potere che deve essere mandata al macero. Sono gli errori commessi in quaranta anni di ideologismo conforme che hanno spostato la vera sinistra su posizioni di gretta conservazione, che devono essere denunciati, superati e corretti.

Molti di questi errori, per essere corretti, richiederanno investimenti per migliaia di miliardi di Euro su strategie generazionali. La sinistra che per venti anni ha creduto di essere tale solo perché “contro Berlusconi” si è lasciata soffocare in una involuzione ideologica mortale, drogata al punto da non saper più riconoscere gli scopi, gli obbiettivi, le strategie, l’azione macroeconomica, l’azione sociale, il quadro culturale fondamentale che avrebbe dovuto informare una politica socialmente aperta e avanzata, moderna, attuale, laica e libera da viscosità ideologiche nuove e antiche. Questa pseudo sinistra così accecata, anzi proprio utilizzando il sonno della ragione, ha occupato gli spazi di potere consentiti dalla consociazione con la Democrazia Cristiana e anche quelli non consentiti, ma da quella abbandonati per insipienza e incapacità concettuale.

Il padre di tutti gli errori è stato l’appiattimento sulla magistratura politicizzata: il PCI fin dalla fondazione di Magistratura Democratica ha cessato di elaborare concettualmente la sua politica facendosi sostituire dalla interpretazione politica della Costituzione e della Legge imposta da MD. Nel giro di pochi anni MD è diventata di fatto un super-partito con poteri che andavano ben oltre il mandato istituzionale di applicazione delle leggi e amministrazione della Giustizia. La Magistratura, nei fatti subalterna all’attivismo prepotente di MD, è diventata un organo di controllo dell’azione dei partiti e del Governo acquisendo un potere così forte e consolidato al quale oggi non intende rinunciare che continua a provocare danni costosissimi e che costituisce una aggressione insopportabile alla libertà della nostra democrazia malata. Una aggressione che la politica debole e subalterna non riesce a controllare. Il secondo errore strategico è stata l’isterica concentrazione sulla demonizzazione di Berlusconi come se questa fosse l’unica responsabilità di una opposizione politica di sinistra: venti anni di accanimento antiberlusconiano e di assoluta colpevole inerzia politica.

Terzo errore l’appiattimento sull’ambientalismo cialtrone e fanatico. Per catturare il voto viscerale di protesta ambientale si sono commessi errori mostruosi: il referendum sull’acqua, la condanna assurda ingiustificata e costosissima dei termovalorizzatori (migliaia di tonnellate di rifiuti mandati settimanalmente in Olanda via nave a costi insostenibili), la condanna assurda, ingiustificata e basata su sistematiche falsificazioni degli OGM, la posizione ambigua e ondivaga sulla TAV e sulle altre grandi opere di infrastruttura aggredite dal verdismo fanatico che è diventato la “marca” della pseudo-sinistra ambientale. Esempio tragico: la incentivazione forzosa puramente ideologica del fotovoltaico e dell’eolico elettrico voluta da Bersani per ignoranza energetica e subalternità al verdismo grezzo e strumentale: il costo di questo errore è di circa 40 miliardi di Euro all’anno a carico dei piccoli consumatori e della piccola media industria.

Correggere questo errore richiederà strategie generazionali (20 anni?) e investimenti per migliaia di miliardi. Forse l’unica possibile soluzione l’auto privata elettrica (qualche milione di veicoli, 25 anni, il 50% del debito pubblico attuale) capace di assorbire in via prioritaria la produzione fotovoltaica che oggi sta massacrando la redditività delle centrali turbogas. Un progetto complesso e tutto da inventare, non certo da Bersani & C. Dietro a tutti questi errori o alla loro base sta una “finta cultura di sinistra”, stucchevole, mediatica, superficiale, modaiola, da talk show, ma prepotente, arrogante, demagogica e imbattibile. Un pesante mainstream conforme e autoreferenziale. Altro esempio emblematico: le reazioni a qualunque proposta di revisione della Costituzione. È un fatto noto, consolidato e riconosciuto che la nostra Costituzione, nata in circostanze storiche particolari, oggi prive di attuale sostanza, necessita di aggiornamenti e revisioni. Devono essere riscritti i poteri del Presidente della Repubblica e quelli del Governo e del Capo del Governo, devono essere ridefiniti gli equilibri tra i diversi poteri dello Stato, deve essere ridefinito il processo legislativo e gli organi preposti, vanno riveduti i poteri e le autonomie delle Regioni: non sono cose di poco conto e sono proprio quelle responsabili di inefficienza amministrativa e di governo oltre che degli enormi costi della macchina legislativa e di conduzione del paese.

La cultura della sedicente sinistra purtroppo dominante per l’assenza di una opposizione “liberal”, e per la pochezza della opposizione di centro destra, è riuscita a fare in modo che chiunque sostenga queste, che sono banali e urgenti necessità, venga marcato come nemico della democrazia e pericoloso liberticida. Il successo mediatico di battute sciocche come quella della “Costituzione più bella del mondo” (Benigni), le arroganti affermazioni e diktat come “La Costituzione non si tocca” (Bersani, Rodotà, Zagrebelski) degli immancabili firmatori di manifesti da salotto, sono state assunte e sono diventate il mantra di una “finta sinistra” che non si rende nemmeno conto di essere oramai dalla parte della conservazione più gretta e della tutela ad oltranza di uno status quo immobile e mortale. Ho ricordato solo pochi punti per descrivere il vero, immane, problema di Renzi: rifondare la cultura del Paese non solo quella politica. Denunciare i pregiudizi le posizioni di casta e di potere che hanno soffocato la cultura laica, “liberal”, progressista per fare spazio a un mostro culturale reazionario e conservatore che si qualifica abusivamente di “sinistra” e che ha occupato enormi spazi di potere nella Magistratura, nella Scuola, nella Università, e nell’informazione. Da solo è difficile che ce la faccia, è urgente e indispensabile una mobilitazione della piccola borghesia italiana: l’unica classe che ha fatto con tenacia, sacrificio e pazienza tutte le grandi rivoluzioni della storia. Quelle vere. Questa è la priorità più importante di quella economica: infatti si può con certezza escludere qualunque possibilità di rinascita e rilancio dell’economia Italiana se non viene sciolto il pesante bubbone culturale della finta sinistra di reazione e potere che ancora domina la nostra Società, i nostri giornali e gli insopportabili talk show della più vergognosa demagogia.

(LSBlog)

venerdì 10 ottobre 2014

Le Camere messe da parte. Antonio Polito




Corriere della Sera - Da molti punti di vista, quello di Renzi è un governo extra-parlamentare; forse il primo di una nuova era. Non solo perché il premier non siede in nessuna delle due Camere: c’era già il precedente di Ciampi, anche se gestito con altro stile. Ma per motivi più di merito.
Si moltiplicano infatti i luoghi di decisione politica esterna che il Parlamento non può rimettere in discussione: il Patto del Nazareno, un discorso nella Direzione del Pd, un incontro estivo con Draghi. La stessa ratifica parlamentare si fa al contempo obbligata (con la fiducia) e vaga (con la delega), trasferendo sempre più il potere legislativo all’esecutivo: come è avvenuto sulla riforma dell’articolo 18, di cui nei testi votati non c’è niente, e tutto resta affidato alla tradizione orale e agli impegni verbali.
 
Il parlamentare è ormai un’anima morta, legata al leader da un ferreo vincolo di mandato; il che, come in ogni servitù, lo induce alla rancorosa vendetta ogni volta che può agire in segreto, ad esempio col triste spettacolo della mancata elezione dei giudici della Consulta. In alternativa, se non è d’accordo, può solo disertare dal suo mandato (assentandosi o dimettendosi).
 
La stessa definizione di presidente del Consiglio non si addice più a Renzi, il quale pur essendo primus non è certamente più inter pares tra i suoi ministri, come testimoniato dalla performance di Giuliano Poletti sulla riforma del mercato del lavoro. Pur senza nostalgie per il regime parlamentare uscente, davvero impossibili, bisogna riconoscere che qui siamo oltre. È come se avessimo sostituito a vent’anni di mancate riforme istituzionali la biografia e la personalità di un leader di quarant’anni: una riforma costituzionale incarnata, in personam invece che ad personam.
 
Prima o poi doveva succedere: la democrazia parlamentare non può sopravvivere a periodi troppo lunghi di paralisi. A Bersani e D’Alema che protestano per l’andazzo odierno andrebbe risposto che ne sono in buona parte responsabili. Però non è detto che la nuova costituzione materiale che si sta delineando sia l’unica forma di post-democrazia possibile.
 
Non è vero che funziona così ovunque. Perfino in un regime presidenziale come quello statunitense i parlamentari hanno un incomparabile potere di condizionare le scelte dell’esecutivo. Perfino a Westminster le ribellioni in Aula sono all’ordine del giorno. Perfino in Germania la Merkel ha dovuto spesso ricorrere ai voti dell’opposizione per resistere alle defezioni interne della sua maggioranza. Istituti come la sfiducia costruttiva, sistemi elettorali basati sul collegio uninominale, o anche un presidenzialismo dotato di check and balances, consentono di avere insieme governi autorevoli e Parlamenti liberi.
 
Sarebbe il caso di pensarci per tempo. Perché democrazia è certamente decisione, ma è anche e soprattutto potere di controllare il potere. Ogni giorno, e non solo una volta ogni cinque anni.
 
(LSBlog)