giovedì 30 aprile 2009

Condannato, ma innocente. Davide Giacalone

Marco Travaglio, il fustigatore degli indagati, il castigatore dei sospettati, ha superato le sue vittime: è stato condannato. Ma è innocente. Lui, che confonde le accuse, rivolte ad altri, con le sentenze inappellabili, ha definito “terribile” l’ipotesi che la condanna subita possa essere confermata. Effettivamente, sarebbe sgradevole, anche perché si riferisce all’ipotesi (noi garantisti diciamo “ipotesi”) che abbia diffamato un dirigente della Rai, laddove, come tutti sanno, egli continua a percepire, dalla medesima e lottizzata Rai, moneta sonante. Da quegli schermi sostiene che i “condannati” non devono né candidarsi né comparire, sicché sarà intrigante vederlo esibirsi. Lui chiederebbe l’allontanamento di chi si trovasse nella sua condizione. A me basterà cambiare canale.
Travaglio, ripetiamolo, è innocente. So che è già stato condannato un’altra volta (ad otto mesi di carcere, se non ricordo male), ma, anche allora era innocente, perché colpevole, in uno Stato di diritto, è solo chi arriva tale in fondo ad un processo, non chi inciampa in primo grado. Ho letto che il nostro paladino del giustizialismo, il nostro portavoce di procura, l’eroico ripetitore di carte altrui, prive d’affidabilità, intende far ricorso contro la sentenza. Fa benissimo. Lo avverto, però, del problema che ha davanti: si chiama Giuseppe Benedetto. E’ l’avvocato del querelante, un legale con i fiocchi, un signore che conosce il potere devastante del giustizialismo. Essendo uomo di diritto, egli sa bene, come me, che Travaglio è innocente, perché lo vuole la Costituzione, pertanto, così considerandolo, ne chiederà la condanna anche in appello e cassazione. Senza astio personale, ma per amore di legge e verità. Non solo farà il suo dovere, ma, passo dopo passo, si sentirà orgoglioso di aver fatto capire, anche ai travagliati, quanto è importante il diritto, delicato il processo ed infame la diffamazione.
Auguro a Travaglio non solo d’essere innocente, ma anche d’essere assolto. A quel punto potrà capitargli che qualche pisciainchiostro lo descriva come “già condannato”, o “coinvolto in inchieste giudiziarie”, oppure “accusato dalla procura”. Se capita, conti su di noi, ma controlli bene, prima d’arrabbiarsi, la firma in fondo ad articoli similmente compitati, perché potrebbe essere la sua.

mercoledì 29 aprile 2009

Aspettiamo che cali la polvere...

Aspettiamo che cali la polvere, come si suole dire dopo un crollo e non precipitiamoci a commentare una non notizia.
Facciamo le nostre considerazioni quando saranno definitivi i nomi delle candidate e dei candidati del Pdl alle elezioni europee.
Forse l'uscita di Veronica si rivelerà troppo precipitosa.
I commenti al vetriolo dell'opposizione diventeranno probabilmente un boomerang.
E intanto avremo fatto teatrino come dice il Cav.
In politica dovrebbe vigere una legge che imponga il commento dopo la notizia e la verifica della fonte.

martedì 28 aprile 2009

Gli uccelli, la vacca ed il maiale. Davide Giacalone

Un’epidemia s’aggira per il mondo: la moda delle epidemie. Ogni volta che un allarme si diffonde, su scala planetaria, l’attenzione di tutti si volge verso le organizzazioni sanitarie, le quali tranquillizzano il pubblico confermando la disponibilità di grandi scorte di farmaci, opportunamente rinfoltite per far fronte ad ogni peggiore evenienza. Ciò significa che le epidemie sono anche occasione per grandi affari. Passata qualche settimana, consumate le comparsate televisive dei presunti esperti, si vive e si muore esattamente come prima.Non essendo medico, ed essendo io stesso felice del fatto che, in caso di bisogno, potrò comprare quel che serve, spero che, anche questa volta, le cose vadano secondo il noto copione. La cosa migliore di una disgrazia, insomma, è che non capiti. L’impressione che qualcuno ci marci, però, è sgradevole. Il fastidio cresce, inoltre, quando si sentono dire cose poco sensate, oltre che ripetitive.
Capita, insomma, che ci si sieda davanti al telegiornale, prima di cena, e si senta dire che l’epidemia si diffonde, il numero dei morti cresce, ed i casi non sono più limitati alla zona d’origine, ma dei contagi ci sono già stati a New York. Primo avviso: non andate in Messico, e neanche negli Stati Uniti, “se non è indispensabile”. Facile. Ma mica tanto, visto che il mondo s’è fatto piccolo e capita d’incontrare persone appena sbarcate. Poi ti dicono che un caso c’è già a Madrid, e dato che sono passate poche ore dall’inizio, ne deduci che l’epidemia viaggia a velocità inquietante. Secondo avviso cautelare: non frequentate luoghi affollati. In che senso? A parte il bagno di casa propria, la gran parte dei posti dove si passa la giornata sono affollati. Posso non andare al cinema, ma come faccio a non prendere l’autobus? Siccome lo spettacolo ha le sue regole, ecco che cominciano a girare immagini suggestive, come quei due che si baciano indossando la mascherina. Non oso immaginare come s’è poi evoluta la loro serata.
Non viaggiare, non frequentarsi, non baciarsi. Accidenti, siamo proprio nei guai. Ed è il momento delle dichiarazioni ufficiali. Il presidente Obama segue personalmente la situazione, e, forse, vorrà dire che misura la febbre alle figlie. L’influenza dei maiali è “causa di preoccupazione” per l’America, ma “non c’è ragione d’allarme”. Decidetevi: ci dobbiamo preoccupare o no? In Italia le autorità rispondono: no. Bene, grazie, ma, allora, di che stiamo parlando?Il giorno successivo, fortunatamente sopravvissuti ed ancora dotati d’appetito, prima della cena ci si rimette davanti allo stesso telegiornale. Apertura dedicata all’epidemia, sempre più micidiale. Mentre scrivo i morti sono 150. Tantissimi. Allora ci stanno raccontando balle, provano ad acquietarci e, invece stiamo viaggiando verso la catastrofe? Calma, i numeri sono belli perché precisi, ma non significano niente se non paragonati ad altri numeri. Occorrerebbe sapere quante persone muoiono, mediamente, e senza il contributo dei maiali, in quelle stesse zone, ogni giorno, e sarebbe bene dire quante ne muoiono quando arriva l’influenza. Il dato interessante non è il numero assoluto, ma lo scostamento dalla media. Se questo non è significativo, allora s’è solo scoperto che alcuni di quelli che s’ammalano passano poi al regno dei cieli. Roba sofisticata, insomma, nota fin dalla notte dei tempi.
La paura, però, è difficile da contenere, quindi cerchiamo altre informazioni. Così scopriamo che, nelle nostre farmacie, ci sono almeno un paio di antivirali perfettamente in grado di non farti fare la fine del suino. Ciò significa che se quando ti viene la febbre vai da un medico, anziché a ballare, anche questa volta salverai la pellaccia. Non solo, ma potrai anche baciare senza usare precauzioni, sempre che altro non t’induca a desistere. Cribbio, ma detta così sembra la cosa più normale del mondo, ragion per la quale ci si fa sospettosi e l’occhio cade su una delle ultime notizie in circolazione: per ora bastano gli antivirali, ma potrà prepararsi il vaccino, benché il processo sia lungo e costoso. Alt, e no, questo è troppo. Mia nonna diceva: non approfittate di noi, che siam povera gente.
Negli ultimi mesi abbiamo superato l’influenza degli uccelli e la pazzia della vacca. Ora ce la vediamo con i maiali. Mi fermo qui, questa sera rinuncio al telegiornale e riprendo in mano Boccaccio. La zuppa è, più o meno, quella, ma assai più divertente.

venerdì 24 aprile 2009

Il premier? Sempre un passo più avanti. Peppino Caldarola

Il G8 si farà all’Aquila. L’annuncio clamoroso di Berlusconi ha stordito amici, avversari, le cancellerie di tutto il mondo e la stampa estera. Epifani, non è mai successo prima, si è detto d’accordo. Bersani, pur con le cautele sulla fattibilità, ha approvato, come ha fatto Franceschini. Bonanni è entusiasta. Sui siti dei maggiori giornali stranieri la notizia è rimbalzata immediatamente trovando consensi pressoché unanimi.

È un’impresa difficile, al limite dell’impossibilità, ma indubbiamente di grande valore. Immaginiamo solo l’effetto di rassicurazione che avrà sugli abruzzesi vedere i potenti della Terra riunirsi, e dibattere, nell’epicentro del terremoto. Dopo le lacrime e il dolore, una platea mondiale parlerà dell’Abruzzo apprezzandone il coraggio e valutando le ferite. È un colpo di teatro? Si potrebbe dire: «diavolo di un Berlusconi!». Forse nessuno al mondo è capace come lui di creare eventi. L’annuncio-shock sul G8 all’Aquila non sarebbe venuto in mente ad altri. La prudenza avrebbe spinto molti a lasciar correre. Forse qualche capo di Stato coraggioso avrebbe fatto una capatina in Abruzzo per solidarietà. Parole amichevoli, promesse di aiuti. Invece no, saranno tutti lì, con la gente nelle tende e negli alberghi, con tutta questa umanità sofferente a tifare perché i grandi della Terra raggiungano accordi utili per l’umanità. È del tutto evidente che bisognerà vedere come risolvere i problemi connessi con un impegno internazionale di questa portata.

Indubbiamente Berlusconi, attirando l’attenzione sull’Abruzzo, si è disincagliato anche dai rischi dello svolgimento del G8 in Sardegna. È difficile immaginare una calata dei no global, con il loro carico di protesta e di aggressività, mentre la gente d’Abruzzo sentirà scaldarsi l’anima per questa prova mondiale di solidarietà. Dal cilindro di Berlusconi ancora una volta è uscito il coniglio bianco lasciando a bocca aperta il pubblico. Berlusconiani e no, tutti riconoscono al Cavaliere una enorme capacità di comunicazione. Spesso per lui l’effetto-annuncio è più forte dell’evento che evoca. Spesso nella sua vita politica all’annuncio non sono seguite le realizzazioni.

La carriera di Berlusconi è ricca di promesse. Il tratto fondamentale del suo messaggio è sempre stato quello dell’«ottimismo del fare» fino alla semplificazione estrema dei problemi. Quando vinse le elezioni la prima volta, siamo nel lontano ’94, e poi ancora nel 2001, il programma berlusconiano prevedeva liberalizzazioni che poi non si sono viste. Tuttora il poliziotto di quartiere non si vede quasi da nessuna parte e pochi sono i militari per strada che dovrebbero vigilare per noi. Il famoso piano casa si è via via ridotto all’ampliamento delle seconde case.

L’annuncio di ieri, tuttavia, è un’altra cosa e consente un diverso ragionamento. Ci sono momenti nella vita pubblica, e nella vita di un Paese, in cui è necessario creare una sintonia fra quello che sei, quello che vuoi e quello che fai. Dopo il terremoto l’esigenza primaria è stata quella di soccorrere i terremotati, avviare un piano per la ricostruzione ma, soprattutto, ridare fiducia creando solidarietà. Le parole si sono sprecate, ma il premier scegliendo di andare quasi ogni giorno all’Aquila, convocando lì dapprima il Consiglio dei ministri poi addirittura il G8 ha scavalcato ogni strategia di solidarietà e di rassicurazione. Ha messo l’Abruzzo al centro della scena politica mondiale. Ha inoltre esposto anche il suo governo al giudizio internazionale. Capi di Stato e giornalisti (a centinaia) controlleranno come si vive nelle tendopoli e negli alberghi. L’opinione pubblica mondiale saprà di più sui disagi e sui soccorsi. È un bel rischio quello che si prende Berlusconi, assai più che una trasmissione di Santoro. Eppure ha deciso di correrlo. La scelta dell’Aquila consente anche di ragionare sul personaggio Berlusconi. Non sono un suo elettore, ma questa successione di colpi di scena (ricordate il Pdl fondato con l’annuncio sul predellino di una autovettura?) sconvolge positivamente non solo la comunicazione politica ma la politica in quanto tale.

L’immediatezza e la forza del messaggio sono, se così posso dire, una forma di democrazia. Poi la stampa controllerà, l’opposizione farà il suo lavoro, gli elettori valuteranno, ma afferrare il problema dal lato suo più complicato è una modernizzazione rilevante dell’agire politico. Si procede «per acta» e non per parole d’occasione. Sosteneva Eraclito che il destino dell’uomo è il suo carattere. Nel caso di Berlusconi, il suo carattere è ottimista e fantasioso. Anche un non berlusconiano deve ammetterlo. (il Giornale)

mercoledì 22 aprile 2009

Referendum balletti e trappole. Stefano Passigli

La disputa sulle date, oltre a sollevare delicati problemi giuridici, ha sino ad oggi oscurato la sostanza del referendum e i negativi effetti della sua eventuale approvazione sul nostro sistema politico.

Gli aspetti giuridici del problema sono chiari. L’attuale normativa impone per la validità dei referendum abrogativi che vi partecipi almeno la metà più uno degli elettori, e vieta il loro accorpamento con le elezioni politiche - cui sono assimilabili le consultazioni europee in quanto anch’esse elezioni generali - proprio per evitare che il quorum non venga raggiunto spontaneamente ma grazie al «traino» di un voto che ha luogo sull’intero territorio nazionale. Per votare il 7 giugno come chiesto dai referendari (sulla base di un’opinabile calcolo dei costi, ma in realtà per beneficiare del traino) sarebbe stato perciò necessario modificare l’attuale normativa ricorrendo, per ovvi motivi di tempo, a un Decreto Legge. Ma quali motivi di «necessità e urgenza» possono essere invocati, la necessità di fissare una data per il referendum essendo nota da oltre un anno? Le date residue del 14 e 21 sono entrambe praticabili, dato che i ballottaggi del 21, tenendosi solo in alcuni comuni, non investono - al contrario delle europee - l’intero territorio. Più problematico invece un rinvio al 2010, quando è presumibile che si assisterebbe nuovamente al tentativo del Comitato promotore di accorpare il referendum alle elezioni regionali, sollevando così gli stessi problemi oggi sul tappeto.

Il balletto delle date ha però sinora nascosto la vera sostanza del problema. Il referendum non porta rimedio ai mali dell’attuale pessima legge elettorale, aggravandone anzi i difetti. Infatti: 1) non eliminando le liste bloccate, non restituisce ai cittadini il diritto di scegliere i propri rappresentanti, lasciando alle segreterie di partito il potere di «nominare» il Parlamento; 2) non riduce il numero dei parlamentari; 3) lasciando immutate le eguali competenze di Camera e Senato non elimina il bicameralismo perfetto; e 4) non garantisce dal rischio che le elezioni producano una diversa maggioranza politica nelle due Camere, con conseguente paralisi dell’azione di governo.

La sola vera innovazione introdotta dal referendum consisterebbe dunque nello spostare il premio di maggioranza dalla coalizione vincente alla lista più votata. Presentata come positiva dai referendari, questa innovazione avrebbe in realtà un effetto devastante: nell’attuale assetto politico, con un probabile 30% dei voti destinato a partiti intermedi come IdV, UdC, Lega, e partiti minori al di sotto del 4%, è possibile che una lista con poco più del 35% del suffragio ottenga grazie al premio di maggioranza il 55% dei seggi, potendo così non solo eleggere i Presidenti della Repubblica e delle Camere, e tutte le cariche di garanzie (Corte Costituzionale, Autorità indipendenti), ma anche modificare l’ordinamento giudiziario, i Codici e le leggi che regolano il sistema dell’informazione o che dovrebbero disciplinare il conflitto d’interessi. Si aggiunga che con qualche alleanza la lista vincente potrebbe raggiungere in Parlamento i 2/3 dei voti e modificare a proprio piacimento la Costituzione evitando il referendum confermativo.

Il successo del referendum rappresenta, dunque, un rischio che la nostra ancora fragile democrazia non può permettersi di correre. Né si deve cadere nella trappola di ritenere che una vittoria del «sì» possa servire ad accelerare una riforma della legge Calderoli. Mario Segni lo sa bene: solo dopo la vittoria del maggioritario nel 1993 accettò di firmare il mio emendamento per il doppio turno, ma gli altri referendari pretesero che il risultato del referendum non venisse modificato in alcun modo e il doppio turno non vide mai la luce. Una modifica della «porcata» è dunque possibile solo con la sconfitta del referendum Segni-Guzzetta: quale che sia la data del voto, sarà perciò opportuno por mano sin da ora a una nuova legge elettorale dando vita nel frattempo a un comitato a favore di una «Astensione per la riforma». (la Stampa)

Stefano Passigli, docente universitario, è stato parlamentare dei Ds, sottosegretario del governo Amato e attualmente vicino all'Italia dei valori di Di Pietro...

martedì 21 aprile 2009

Sembra una pagina di Guareschi...

Alghero, 21 apr. - (Adnkronos) - Il circolo territoriale del Pd 'Idea Democratica' esprime ''netta contrarieta''' in merito alla ''discutibile'' decisione del sindaco di Alghero (Sassari), Marco Tedde, e della sua giunta di centro-destra, di vietare, anche quest'anno, l'esecuzione di 'Bella Ciao' nella scaletta eseguita dalla Banda Dalerci durante i festeggiamenti municipali per la ricorrenza del 25 Aprile. ''Una scelta, quella del Sindaco - si legge in una nota del Pd - irrispettosa e anti democratica, che nega il sacrificio perpetuato da tutti quei valorosi cittadini che hanno combattuto contro il nazi fascismo per la liberta' e i diritti di ognuno di noi e che la maggioranza al governo della citta', in preda ad uno strisciante quanto subdolo tentativo di revisionismo storico, tenta di far dimenticare a suon di divieti''.

Opposizione cercasi. Filippo Facci

La sinistra è veramente nei guai. Lo è perché questo Paese è di destra: moderata e post-democristiana, ma destra; poco liberale e pochissimo libertaria, ma destra. Negli ultimi tre lustri tutto era sembrato possibile: ma adesso che questo Paese si è infine identificato in Silvio Berlusconi, superando resistenze e dubbi anche comprensibili, fargli cambiare idea sarà difficilissimo. Anche perché questo Paese, di converso, non è di sinistra: e la sinistra italiana, di fronte a questo, resta divisa tra chi pensa che la sinistra debba perciò cambiare il Paese e chi pensa invece che il Paese, per com’è, debba cambiare la sinistra: rendendola più simile e consonante a ciò che gli italiani semplicemente sono.
Beninteso, sarebbe anche normale una sinistra che fosse divisa tra una parte più realista e governativa e una parte più utopica e di opposizione: il problema è che a spaccarla, a cannibalizzare ogni riflessione ed evoluzione di sinistra, c’è un partito di destra: l’Italia dei Valori, la peggiore destra possibile. A dilaniare la sinistra c’è un omone che non pensa che a sinistra ci sia troppo antiberlusconismo, ma che non ce ne sia abbastanza. Francesco Piccolo, su l’Unità di ieri, ha scritto: «Quindici anni di berlusconismo hanno prodotto un pensiero pericoloso e piatto... ognuno di noi ha imparato a solidarizzare con un sacco di persone che non gli piacciono». L’hanno imparato anche a destra, ma almeno sono al governo. (il Giornale)

sabato 18 aprile 2009

Poveretti e poverini

Se Santoro batte "Amici". Fabrizio Rondolino

Se l’Auditel servisse a valutare gli anchormen, Enrico Mentana sarebbe ancora al suo posto: dunque il trionfo di Michele Santoro, l’altra sera, non gli garantirà il posto nella nuova Rai che si va profilando nella residenza privata del presidente del Consiglio, a palazzo Grazioli. E tuttavia quel trionfo - 5,3 milioni di spettatori, 20,8% di share medio con punte del 35% - dovrebbe perlomeno suggerirci una riflessione ovvia: non siamo tutti uguali, non guardiamo tutti la stessa televisione. E dunque abbiamo bisogno di televisioni diverse fra loro.

Santoro ha vinto la serata, staccando di tre punti gli Amici di Maria De Filippi su Canale5: il che dimostra che la buona informazione può diventare un evento mediatico come e più di un reality di successo. Non è la polemica sui giornali (che nessuno legge) a far crescere Santoro: è la mancanza di concorrenza. Santoro è tra i pochissimi a essere «contro», punto. Gli amanti dell’ordine e delle buone maniere lo accusano per questo di faziosità, mentre è vero il contrario: non c’è informazione libera se non dalla somma di punti di vista diversi e contrastanti. Santoro irrita i governi (non solo questo: l’Ulivo vittorioso nel ‘96 lo cacciò dalla Rai) perché sceglie, ogni volta, un punto di vista contrario, e su questo costruisce un racconto televisivo di tanto maggior successo quanto più stagnante è il resto dell’universo mediatico. E per una volta persino Maria, la regina della televisione, deve fare un passo indietro.


Questo l'articolo pubblicato dalla Stampa di oggi.
Rondolino che è stato comunista, e forse lo è ancora, prende le difese di Santoro, ma non è convincente.

Andiamo con ordine: che importa dove si decide l'organigramma Rai, visto che le decisioni sono sempre state faccenda politica della maggioranza?

Certo abbiamo bisogno di televisioni diverse, di pluralità, ma diverso non è sinonimo di buono, corretto e imparziale.
Pure la salvaguardia delle minoranze, qualora volessimo fare appello ad un principio sacrosanto, incontra giusti limiti: nessuno darebbe spazio a pedofili che rivendicano un diritto di tribuna.

Lasciamo stare l'Auditel: l'ascolto dell'altra sera era condizionato dalla curiosità dell'evento.

Non manca la concorrenza: due terzi degli italiani stanno con Berlusconi, gli altri sono TUTTI contro.

Ben vengano i punti di vista diversi e contrastanti, ma quando la realtà viene piegata e distorta e quando si nega all'avversario il diritto di esprimersi, non ci si può lamentare di essere biasimati.

Santoro, così come il suo sodale Travaglio e il compagno di merende Di Pietro, non esprime un punto di vista contrario: è contrario per definizione.
Loro sono i massimi esponenti della politica parassita che si nutre di tutto quello che dice e fa Berlusconi, per respingerlo, avversarlo e rovesciarlo.
Non brillano di luce propria, non hanno tesi, sono solo antitesi.
Non praticano il contraddittorio, ma l'avversione.
Non sono solo contrari, ma anche feroci contestatori.
Se non ci fosse Berlusconi, non esisterebbero.
E anche Franceschini, assieme a tutta la sinistra priva di idee, si è fatto prendere da questa pratica "sportiva".

Poveretti e poverini! Loro sì.

Rimpianti. Jena


E’ indecente che le nomine Rai si facciano a casa Berlusconi. Uno rimpiange i bei tempi, quando le facevamo a casa di Walter. (la Stampa)

venerdì 17 aprile 2009

Zero satira

Non sarei voluto entrare nelle polemiche di questi giorni relativamente al caso Annozero, diritto di satira, referendum elettorale e terremoto, ma i commenti dei miei lettori mi obbligano a scrivere qualche considerazione.

Non discuto la libertà di opinione e di espressione di Santoro e Vauro, metto in dubbio l'equilibrio dell'informazione e la mancanza di buon gusto.

Santoro e Vauro sono faziosi e militanti: è un loro diritto fino a quando non lede il diritto alla pluralità e alla replica. E' anche un mio diritto, visto che pago il canone e la televisione dovrebbe essere pubblico servizio, criticare il loro comportamento e chiedere che i responsabili della messa in onda riequilibrino il contraddittorio e redarguiscano i trasgressori.

Altro comportamento riprovevole è l'attacco smaccato a tutto quello che in qualsiasi modo è riconducibile a Berlusconi: sembra che prevenzione, controlli, previsione, infiltrazioni mafiose, crolli, violazioni di legge e ritardi nei soccorsi e persino la mancanza di acqua calda nelle tendopoli porti tutto a precise colpe di questo governo, dimenticando le eventuali responsabilità locali e persino sessant'anni di consociativismo.

Quanto al referendum c'è tanta ipocrisia nei partiti che solo chi non vuole vedere può pensare alla bufala del risparmio.
Innanzitutto per accorpare il referendum alle amministrative è necessaria una legge apposita: siccome il quorum ha la sua importanza, andare al seggio per altre elezioni condizionerebbe la scelta astensionista. Poi il referendum non piace a nessuno e farebbe comodo solo al Pdl che è il partito di maggioranza relativa: quindi Berlusconi ha preferito cedere alle pressioni della Lega, e non solo, per evitare crisi di governo.

L'opposizione, a cominciare da Di Pietro che avrebbe tutto da guadagnare dal rinvio, strepita contro Berlusconi e sventola la falsa bandiera del mancato risparmio solo per portare a casa facili consensi speculando sui terremotati.

Signori commentatori di questo blog siete pregati di documentarvi e di togliervi il paraocchi lasciando perdere lo scontro verbale e i troppi pregiudizi che vi condizionano.

martedì 14 aprile 2009

Terremoto: l'epica irrompe nella storia. Angelo Crespi

Il destino di un singolo uomo non fa notizia. Se non fosse per certa buona letteratura, non avremmo neppure idea di cosa possa essere il destino di un singolo uomo. Poi accade la catastrofe: il terremoto distrugge un’intera comunità e allora i destini di tutti quanti, pur nella tragedia, risplendono. Solo con la catastrofe comune i singoli destini trovano orizzonte più ampio. Se un bambino muore, e ne muoiono ogni giorno in tutti i modi più stravaganti e dolorosi, nessuno si sogna di scrivere un epicedio. Eppure per i genitori, per i familiari, per i parenti, quel lutto sarà determinante per tutta la vita e arrecherà dolore per sempre. Ciò nonostante nessuno di noi, lontani, prova pietà. Anzi resta indifferente. Poi, come dicevo, la catastrofe. E allora ti accorgi che dentro una comunità ci sono destini diversi benché accomunati e ognuno di questi destini è incredibile. Una donna è morta proteggendo col corpo il figlio, una famiglia intera appena riunitasi è scomparsa, un medico ha perso la moglie e il figlio che aveva appena lasciato, una donna incinta che stava partorendo è morta e con lei non solo il bimbo in grembo, ma sono morti anche l’altro figlio piccolo e il marito che aveva già pronto il necessario per recarsi in ospedale qualora si fossero rotte le acque, e poi i due giovani innamorati fuggiti nel piccolo paese per stare vicini, morti, la bimba appena giunta dalla nonna per le vacanze pasquali, morta, lo studente che non è riuscito a uscire dall’ostello, morto, i due amici, morti.

Ma ci sono anche gli scampati: la donna che ha appena partorito e fugge dall’ospedale con la bimba in braccio, il vicino di casa che s’arrampica sul cornicione per salvare la bambina rimasta nella casa pericolante, il ragazzo che salta dalla finestra mentre tutto crolla e sopravvive, quello rimasto sotto le macerie in un anfratto e poi tirato fuori vivo dai soccorritori. Ecco, quando succede una catastrofe così vasta il Destino supremo sembra più vicino, più visibile, sebbene comunque incomprensibile. Sembra che in questi momenti giochi con gli umani: uno si salva perché arrivato in ritardo di un secondo, l’altro muore per lo stesso motivo; uno si salva perché quella sera ha cambiato strada, l’altro muore per lo stesso motivo; uno si salva perché ha mantenuto le proprie abitudini e orari, l’altro muore per quello.

Davanti a questo surplus di destino ci viene da piangere. Non ci commuoviamo, noi lettori, quando apprendiamo che la sera prima un ragazzo è morto sull’autostrada, al massimo leggiamo distratti il trafiletto in cronaca. Non presagiamo che con quel ragazzo scompare un mondo, intero il mondo intorno a lui. Invece quando la catastrofe ci colpisce allora proviamo commozione: ci accorgiamo che qualcosa di più grande del singolo uomo si è messo in moto. E allora non possiamo che rivolgerci all’epica, che è il racconto non più del singolo destino di ogni uomo, ma dei destini di una comunità, di un popolo. Così i quotidiani, inconsapevolmente, passano dalla cronaca all’epica. I giornalisti refrattari e cinici per dovere scoprono che dietro la notizia, dentro la notizia, ci sono gli uomini e il loro singoli destini. E se vengono considerati tutti insieme fanno la storia di un popolo. Chiediamoci: cosa è l’epica? Serve? Perché è un genere così in disuso? L’epica è il racconto dei destini dei singoli uomini alle prese con un destino più grande. Serve perché solo iscrivendo i nostri singoli destini dentro un destino più grande, possiamo comprendere pur in traluce i meccanismi che governano la nostra vita. E' in disuso perché nel Novecento, dopo l’abbuffata dei grandi totalitarismi, irrompe sulla scena l’individuo come unico protagonista. E di conseguenza la letteratura che narra di questo singolo individuo è diventata, negli ultimi cinquant’anni, soliloquio, onanismo, nichilismo.

Si tenta di ridurre la storia all’individuo, di ricondurre tutto alle pulsioni, alla volontà, alle decisioni, alle malattie del singolo individuo. Ma quando sul palcoscenico si rimette in moto la grande macchina del destino comune, quando la catastrofe generale fa cadere le piccole certezze del singolo individuo, quando fa crollare il piccolo mondo che si è costruito intorno, allora comprendiamo la nostra fragilità. E capiamo che solo all’interno di un destino comune, anche il nostro destino trova soluzione.
Purtroppo solo la catastrofe genera questo sguardo nuovo sulle cose che sarebbe bene mantenessimo sempre. Ed è unico conforto nella catastrofe comprendere che non tutto accade a fin di male. Sapendo che anche noi siamo partecipi di un destino più grande, in quell’incredibile intreccio di contingenze e necessità, di arrivi in tempo e in ritardo, di coincidenze ma anche di divine meccaniche, solo percependo questo anche la catastrofe ci appare meno irragionevole. (il Domenicale)

Cambogia. La confessione del "compagno Duch". Vincenzo Merlo

Ha confessato al Tribunale Internazionale (costituito ad hoc nel maggio 2006 e frutto di un accordo tra le Nazioni Unite e il governo cambogiano) tutti i crimini commessi e ha chiesto «perdono di cuore» al popolo cambogiano per le proprie colpe: il gesto compiuto da Kaing Guek Eay, meglio conosciuto come il «compagno Duch», uno dei cinque leader del vecchio regime terroristico cambogiano, rappresenta certo una svolta epocale per un paese in cui vi sono ancora oggi divisioni e reticenze nell'analisi dei massacri compiuti dai maoisti khmer rossi. Khmer che uccisero, tra il 1975 e il 1979, un milione e settecentomila persone su una popolazione che non raggiungeva i sei milioni di abitanti.

Il «compagno Duch», primo imputato nel processo iniziato il 17 febbraio scorso contro i crimini di guerra e i crimini contro l'umanità, era il comandante della famigerata prigione S-21, all'interno della quale si compì ogni genere di crimini, dalle torture agli stupri per finire agli omicidi, più di cento al giorno. In totale, in quel terribile carcere, trovarono la morte circa diciassettemila cambogiani. Sopravvissero a quegli eccidi solo in sette, di cui tre sono ancora vivi. Tra questi Vann Nath, la cui vita ha ispirato un film sui massacri perpetrati dai khmer rossi; Nath, nato nel 1946 a Battambang, nel nord-ovest della Cambogia, ricorda con nitidezza quel giorno dell'aprile 1977, in cui venne arrestato da una squadra di khmer, legato e spintonato su un carro per buoi, senza la possibilità di salutare i propri familiari, anch'essi successivamente vittime della follia omicida dei rivoluzionari comunisti. Nath, ancora oggi uno dei più importanti artisti del paese, riuscì a sopravvivere all'inferno di S-21, solo perché fu scelto dal «compagno Duch» come artista per dipingere ritratti e realizzare sculture di Pol Pot, il fanatico ideologo maoista capo degli khmer, «formatosi» intellettualmente alla Sorbona. Nel 1979, all'indomani dell'invasione dell'esercito vietnamita e della successiva caduta del regime, il prigioniero riuscì a fuggire dal carcere; quando la prigione segreta è stata riconvertita in un museo della memoria, ne ha varcato di nuovo la soglia per lavorare alla sua ricostruzione e per testimoniare in prima persona i massacri e le torture. Attraverso i suoi quadri, l'artista ha descritto le scene di cui è stato testimone.

La storia di Vann Nath è legata, dunque, a quella del «compagno Duch», a tutt'oggi unico leader del movimento maoista ad aver ammesso le torture e le uccisioni ai danni della popolazione civile, per i quali crimini ha chiesto perdono. Nessun altro appartenente a quel regime terroristico lo ha fatto, a partire dagli altri quattro imputati in attesa del processo (Khieu Samphan, Ieng Sary, Ieng Thirith e Nuon Chea); per non parlare dello stesso Pol Pot, morto impunito. Va detto che il riconoscimento dei crimini commessi e la contestuale richiesta di perdono al popolo cambogiano rappresentano una assoluta novità nel contesto di quel paese e sono il frutto della conversione al cristianesimo che il «compagno Duch» ha scelto fin dal 1966 grazie al rapporto di amicizia nato con un pastore protestante cambogiano. «E' cambiato totalmente dopo aver abbracciato Cristo - afferma il rev. Christopher intervistato dal Time - passando dall'odio profondo all'amore. Convertendosi a Cristo, l'amore ha riempito il suo cuore». Padre Alberto Caccaro, missionario del Pime, in Cambogia da oltre dieci anni, conferma all'agenzia Asia News (diretta da Padre Bernardo Cervellera) che la «confessione» del compagno Duch assume oggi un significato ancora più profondo: «Il riconoscimento della propria colpa è il modo in cui ciascuno si percepisce davanti a Dio. L'opinione pubblica è rimasta stupita in maniera positiva dalla sua confessione, che appare come una voce fuori dal coro». Purtroppo è così.

In Cambogia, infatti, non si è ancora avviato (a trent'anni dalla fine della tragedia) un serio percorso di revisione ideologica e di analisi di quanto successo nel periodo funesto della dittatura maoista. «Il processo ai khmer rossi - continua il missionario del Pime - forse non servirà a restituire un nuovo volto alla società cambogiana, ma gesti individuali come quello del "compagno Duch" possono comunque costituire un punto di partenza per un'analisi più profonda della storia. Non bisogna trasformare il compagno Duch in un santo, ma la sua storia personale, il momento della confessione e la presa di coscienza dei crimini commessi sono un elemento nuovo per la Cambogia». (Ragionpolitica)

mercoledì 8 aprile 2009

Scheda elettorale esposta al seggio

Oggi ho inviato la e-mail che segue ad un nutrito numero di Ministri e Parlamentari: chi condivide lo scritto è pregato di inoltrarlo ai Parlamentari che ritiene più sensibili al problema.
Gli indirizzi si trovano nei siti di Camera e Senato


Signori Presidenti di Senato e Camera,
Signore e Signori Ministro,
Signore e Signori Senatori e Deputati,

le elezioni sono vicine e vi sarei grato se approvaste una norma che permettesse l’esposizione della scheda di voto nelle sezioni elettorali o nei corridoi di accesso.
Le schede, prive di timbro ed annullate con la dicitura fac-simile, non sarebbero a rischio di uso fraudolento.
Sono certo che la possibilità di prendere visione delle stesse con tutta calma prima di entrare nella cabina, eviterebbe errori, voti nulli o schede bianche.
La stragrande maggioranza degli elettori si trova in mano una scheda che non ha visto nemmeno nei volantini distribuiti dai partiti, spesso tre o quattro schede con sistemi di voto differenti, a volte poco leggibili: sarebbe un modo per essere dalla parte degli elettori, soprattutto quelli più deboli e indifesi.

Certo della Vostra comprensione e sicuro della presa in considerazione della proposta, porgo i miei migliori auguri e saluti.

Mauro M.

martedì 7 aprile 2009

Italiani brava gente

Sono orgoglioso di essere italiano.
Il terremoto in Abruzzo ha dimostrato che siamo un grande popolo, pronto a soccorrere chi ha bisogno e disposto alla solidarietà vera che richiede sacrificio e impegno.
Mi sono commosso di fronte a volti impauriti, feriti, disperati, attoniti, increduli e sconvolti; ma sempre dignitosi, composti e orgogliosi.
Ho visto soccorritori gioire per le vite salvate dopo ore di duro lavoro e non smettere di cercare, non fermarsi, non sentire la stanchezza, la fame, la sete.
La terra ha tremato, ma l'Italia non si è fatta intimorire e gli italiani hanno dimostrato di essere un popolo che, nell'emergenza, sa ritrovare se stesso e la compattezza e compostezza che ci viene da una tradizione millenaria.
Sono felice che la "macchina" dello Stato abbia funzionato e che in questo frangente ci sia al governo il centrodestra, ma, credetemi, il fatto di cui sono più fiero, da italiano, è proprio il comportamento dei miei connazionali.
Non sciupiamo questo grande momento di unità e solidarietà che, purtroppo, ci viene dalla tragedia abruzzese, e non disperdiamo l'unità e la fratellanza che abbiamo dimostrato: ci serviranno per superare le nostre divergenti e combattive opinioni politiche.

Stavolta lo Stato c'è. Lucia Annunziata

Come sempre, i racconti dei sopravvissuti ci dicono che nelle difficoltà gli italiani danno il meglio di se stessi. Ma il terremoto che ha devastato l’Abruzzo sembra svelare qualcosa di diverso.

Svela qualcosa di diverso anche nell’operare della classe politica: una sorta di dignità e di assunzione di responsabilità, non scontate nel velenoso clima politico che avvolge il Paese. La macchina dello Stato ha ben operato. C’è certo la polemica che riguarda lo studioso che forse aveva previsto il terremoto. Ma questa è una discussione incerta, esposta com’è ad argomenti scientifici che avranno bisogno di tempo per essere dipanati. Quel che conta in queste ore è il tempismo, l’efficienza e il volume dell’intervento di soccorso: da questo punto di vista il primo bilancio è positivo. I soccorsi si sono messi in moto pochi minuti dopo la scossa più grave, stando alle testimonianze più importanti, quelle delle vittime. I vigili del fuoco sono stati velocissimi ad arrivare e a cominciare a scavare. Nel giro di poche ore hanno poi portato sui vari luoghi le unità cinofile e le grandi attrezzature, tipo gru, che servono nei casi di crolli di interi edifici.

La Protezione civile ha ben coordinato tutti i suoi bracci operativi: ad esempio, e non è un dettaglio secondario, il sito Internet è stato immediatamente attivato dopo la scossa, dando informazioni anche prima dei canali all news tv, che pure hanno ben lavorato. Altro esempio di organizzazione: le Ferrovie hanno fermato i treni per controlli e hanno riaperto le linee locali con il massimo della velocità. Così com’è stato fatto per le autostrade verso L’Aquila, già sbarrate all’alba per far passare i soccorsi. Ancora: la richiesta di sangue è scattata così immediatamente che a mezzogiorno ce n’era già a sufficienza. Le tendopoli sono state erette in mattinata e il trasporto feriti in ospedali anche lontani è stato efficiente.

Se ritorniamo a tutte le altre tragedie di questi ultimi anni, ci si ricorderà che le prime preziose ore sono sempre andate perse nella confusione - dal terremoto del Friuli, 6 maggio 1976 (all’epoca non c’era ancora la Protezione civile), a quello dell’Irpinia, 23 novembre 1980 (2735 morti), a quello in Umbria, 6 settembre 1997 (quando la Basilica di San Francesco ad Assisi venne danneggiata), e cito qui anche la frana tragica del maggio 1998 a Sarno, vicino a Napoli, in cui i soccorsi persero quasi un intero giorno. In tutte queste occasioni abbiamo sempre assistito alla generosità dei cittadini, ma non alla stessa prontezza dello Stato.

Lo Stato va dunque congratulato, oggi. In parte la macchina si è messa in moto grazie proprio alle esperienze passate. Ma in parte la prontezza va riconosciuta anche al clima instaurato dal governo, che è quello di un interventismo misurato sul fare. Efficace è stato soprattutto il fatto che il premier si sia recato di persona in Abruzzo, facendo una conferenza stampa con gli operativi dei settori. Anticipiamo critiche da sinistra che diranno, comunque, che Berlusconi come al solito riduce tutto al suo protagonismo. Ma questa volta anche nella maggioranza del centrosinistra sembra emergere un approccio diverso, che prende atto della nuova situazione: Dario Franceschini non ha dato la stura alle polemiche, anzi ha «messo a disposizione» gli uomini e le strutture del Pd. Il leader democratico ha anche telefonato al premier, e persino la spiegazione della sua assenza in Abruzzo in queste ore (spiegazione fornita informalmente dal suo portavoce) ha una nota di serio buonsenso: «Non siamo andati per non sembrare che eravamo lì a contendere le luci della ribalta», insomma per non «politicizzare» il dramma. Né abbiamo udito nessun fischio o grido «assassini», come di solito succede durante la commemorazione alla Camera.

Nel clima di lutto generale ieri l’Italia politica, governo e opposizione, si è comportata con dignità. In questa serietà ritrovata emerge anche un metodo che appare efficace agli occhi dei cittadini. Ha fatto bene Berlusconi a «metterci la faccia», andando a rassicurare gli italiani che lo Stato non è così lontano. È un metodo che nel passato - vedi Napoli - gli ha già portato un successo. E la decisione di Dario Franceschini di mettere prima a disposizione la forza locale del Pd e poi recarsi presto in Abruzzo, come dice ancora il suo portavoce, non appare un passo improvvisato: va ricordato che fu proprio lui a presentarsi a Lampedusa durante la rivolta degli immigrati un paio di mesi fa. Anche quella fu una mossa premiante per lui; nei fatti fu il primo passo che lo distinse dal grigiore dell’apparato, alcune settimane prima dell’imprevista elezione a segretario.

Piace immaginare, in queste ore di lutto, che tutto questo potrebbe davvero contenere una lezione sui nuovi tempi di crisi e di drammi: uscire dai Palazzi e confrontarsi con la concretezza della vita reale è ben più premiante che misurarsi fra schieramenti opposti nelle cupe aule di Camera e Senato. (la Stampa)

lunedì 6 aprile 2009

In tempi di crisi tutti dicono di essere poveri. Ma la realtà è un'altra. Giuliano Cazzola

Domenica 5 Aprile ad Omnibus (una trasmissione sempre più schierata apertamente a sinistra, purtroppo non solo col Pd) si è commentata la manifestazione della Cgil del giorno precedente. Di lì si è passati alla rassegna di tutti gli argomenti all’ordine del giorno nell’agenda politica e sociale, fino ad affrontare, negli ultimi minuti, il tema del bonus famiglia.

Quando un battagliero Daniele Capezzone, nell’elencare i principali provvedimenti del Governo, ha ricordato che otto milioni di famiglie ne beneficeranno, la conduttrice – col sorriso compiaciuto di un indiano Sioux che ha appena strappato lo scalpo al Generale Custer - ha citato una dichiarazione del responsabile del coordinamento dei Centri di assistenza fiscale (ex sindacalista Cisl), secondo il quale, tra le domande presentate, solo a tre milioni di famiglie sono state riconosciuti i requisiti necessari per ottenere la prestazione. Il dato è stato colto dal dibattito – nonostante gli argomenti di Capezzone e di Renata Polverini, la quale ha fatto notare, con buon senso, che tre milioni di famiglie sono comunque tante - come l’ennesimo fallimento delle politiche del "cattivo" Berlusconi.

La discussione si basava su di un assunto: le domande per ottenere il bonus dovevano essere presentate entro il 31 marzo; pertanto visto che siamo già in aprile è possibile decretare il fallimento del bonus. E’ singolare, invece, che nei primi giorni di aprile i Caaf siano già in grado di fornire dei dati conclusivi di un’operazione tanto complessa, anche perché il termine del 31 marzo ha carattere solo ordinatorio e non è una ghigliottina del diritto a percepire la prestazione, avendone i requisiti. Ma il divario con le previsioni è comunque evidente e, ad avviso di chi scrive, era anche atteso, perché in Italia non esistono, al di là dei dati dell’Agenzia delle Entrate e della composizione della platea dei contribuenti, otto milioni di famiglie con condizioni sociali e reddituali tanto modeste come quelle indicate dalla legge per individuare i soggetti aventi diritto al bonus. Probabilmente, nel caso in esame, anche i criteri adottati (le famiglie di pensionati e quelle con bambini piccoli in determinate condizioni di reddito) non sono stati particolarmente felici.

È bene tuttavia riflettere su di una circostanza: tutte le volte che hanno adottate misure riconducibili alla lotta alla povertà e all’emarginazione sociale i Governi non sono riusciti a spendere le risorse stanziate. Fu così anche nel 2001, quando Berlusconi volle elevare ad un milione di lire al mese le pensioni minime. Dal momento che agli sportelli dell’Inps si presentavano meno pensionati del previsto, si rese necessario persino nominare un commissario ad acta, ma alla fine furono risparmiati 600 miliardi di vecchie lire che vennero destinate alla copertura dei prepensionamenti da esposizione ad amianto. La verità è che, quando i requisiti sono un po’ più severi e circostanziati rispetto a quelli fiscali (per il bonus famiglia era richiesta la certificazione Isee), il numero dei poveri si dimezza.

Tutte le volte che si va a cercarli i poveri non si trovano o si trovano in misura minore del previsto. Sono sicuramente poco efficaci i criteri. Ma forse è gonfiato pure il calcolo degli indigenti. Anche secondo le statistiche ufficiali dell’Istat. Nel 2007, secondo il rapporto sulla povertà in Italia, erano poveri 7,5 milioni di italiani; più dell’11% delle famiglie con punte del 20-25% nelle regioni meridionali. Naturalmente, agli italiani non fu spiegato che ‘‘negli ultimi cinque anni l’incidenza di povertà relativa è rimasta sostanzialmente stabile e immutate sono le caratteristiche delle famiglie povere’’. E solitamente si sorvola sui parametri della c.d. povertà relativa (che è un indicatore delle differenze più che di una condizione di disagio economico e sociale, tanto che – paradossalmente – la povertà relativa aumenta nelle fasi di congiuntura favorevole proprio perché le società si in avanti). Vediamo, allora, di capire meglio. Innanzi tutto, da noi, diversamente dagli altri Paesi europei, il riferimento dell’Istat non è il reddito, ma la spesa per consumi, nel senso che la soglia di povertà relativa (l’indicatore preso a riferimento) per una famiglia di due componenti è pari alla spesa media pro capite nel Paese (nel 2007 tale ammontare era pari a 986,35 euro mensili). Nel caso di una famiglia di tre persone la soglia sale fino ad una spesa mensile di 1.311,85 euro. Per arrivare a 2.367,24 euro per un nucleo di sette e più componenti. Le famiglie che stanno al di sotto di tale linea (di spesa per consumi) sono considerate povere. Ma davvero una famiglia (due genitori e un figlio) che ogni mese può spendere più di 1.300 euro deve essere considerata indigente (soprattutto se vive, come la maggioranza della famiglie così definite, nel Mezzogiorno, dove sicuramente il costo della vita è più basso di quello delle aree del Centro Nord)? Tanto più che la spesa media familiare "è calcolata – scrive l’Istat – al netto delle spese per manutenzione straordinaria delle abitazioni, dei premi pagati per assicurazioni vita e rendite vitalizie, rate di mutui e restituzione di prestiti". Ecco perché bisognerebbe evitare di piangersi addosso.

L’Italia sta certamente attraversando un periodo molto critico. Ma dovremmo tutti compiere uno sforzo (come ha fatto, sia pure in modo imperfetto il Governo) per individuare e tutelare le c.d. povertà assolute ovvero le situazioni di più grave bisogno e di più intollerabile disagio. E’ questo un obiettivo prioritario indicato nel Libro verde predisposto dal Ministro Maurizio Sacconi, che tra poche settimane si tradurrà in proposte concrete quando sarà pubblicato il Libro bianco. (l'Occidentale)

sabato 4 aprile 2009

La Carta dei Valori del Popolo della Libertà

Noi, Popolo della Libertà, donne ed uomini d’Italia, siamo orgogliosi di essere cittadini di uno dei Paesi più avanzati del mondo. Siamo orgogliosi di appartenere ad una civiltà millenaria, una civiltà che ha dato all’umanità conquiste tra le più importanti.
Per questo vogliamo che l’Italia progredisca nel solco della sua tradizione, sempre più europea ed occidentale.
Le radici giudaico-cristiane dell’Europa e la sua comune eredità culturale classica ed umanistica, insieme con la parte migliore dell’illuminismo, sono le fondamenta della nostra visione della società.
I valori nei quali ci riconosciamo sono in specie quelli condivisi dalla grande famiglia politica del Partito Popolare Europeo: la dignità della persona, la libertà e la responsabilità, l’eguaglianza, la giustizia, la legalità, la solidarietà e la sussidiarietà.
Questi sono i valori comuni alle grandi democrazie occidentali, fondate sul pluralismo democratico, sullo Stato di diritto, sulla non discriminazione, sulla tolleranza, sulla proprietà privata, sull’economia sociale di mercato.
Noi pensiamo che la politica debba essere al servizio dei cittadini, non i cittadini al servizio della politica e che essa debba essere fondata più sui valori che sugli interessi.
Noi crediamo che la persona - con i suoi valori ed i suoi principi, con la sua morale e la sua ragione di esistere e di migliorarsi - sia il principio ed il fine di ogni comunità politica, la sola fonte della sua legittimità.
E che non possano esistere un’autentica giustizia ed una autentica solidarietà, se la libertà di ogni singola persona non viene riconosciuta come condizione essenziale dallo Stato.
La nostra concezione della persona ripudia tanto ogni forma di collettivismo, quanto l’individualismo egoistico.
Ogni persona appartiene ad una comunità e deve subordinare il proprio interesse all’autorità legittima della comunità stessa, accettando i vincoli che sono necessari per la protezione dei diritti fondamentali e della libertà degli altri.
Senza legge e ordine non ci può essere libertà.
Noi crediamo che la vera libertà significhi autonomia congiunta con la responsabilità, non irresponsabile indipendenza.
La vera libertà rende ogni persona responsabile delle proprie azioni in accordo con la propria coscienza di fronte alla comunità a cui appartiene ed alle generazioni future.
Noi pensiamo che le generazioni future debbano essere poste nelle condizioni di vivere in armonia con l’ambiente naturale. Ogni essere umano è chiamato ad amministrare i beni naturali con saggezza e non sulla base dei suoi specifici interessi.
Le persone, le famiglie, i gruppi sociali, le comunità, i popoli, le nazioni e gli Stati devono quindi rendere conto delle loro azioni davanti ad ogni singolo essere umano, di oggi e del futuro.
Noi crediamo che la società e lo Stato debbano servire la persona ed il bene comune.
Le persone e le comunità devono avere il diritto di realizzare ciò che possono grazie alla loro iniziativa.
Ciò che le organizzazioni di dimensioni più piccole non sono in grado di realizzare deve essere affidato ad organizzazioni di livello più alto: gli Enti locali, la Regione, lo Stato, le Organizzazioni sopranazionali.
La sussidiarietà è la formula base del decentramento,
del federalismo, e dell’integrazione europea. Ogni attività sociale è per sua natura sussidiaria.
Noi crediamo che la politica abbia il compito di sostenere la vita e l’attività delle persone, delle famiglie, e delle comunità intermedie, non di distruggerle o di assorbirle.
Noi crediamo che il tempo in cui viviamo imponga un cambiamento di rotta. Se non cambiamo, e in fretta, sarà infatti la realtà a cambiarci in peggio.
Noi ci richiamiamo alla più grande forza politica europea, il Partito dei Popoli europei (The European People’s Party), e con essa condividiamo un’idea spirituale dell’Europa: l’idea dei padri fondatori, che è all’origine stessa dell’Europa.
Abbiamo un lungo cammino davanti a noi. Un cammino di impegno civile, in cui diritti e doveri si ricongiungono come facce di una stessa medaglia.
Chiediamo il sostegno di tutti gli italiani, di tutte le donne e di tutti gli uomini che amano la libertà e che vogliono restare liberi, chiediamo il loro voto per garantire questi valori e per realizzare il nostro programma.
Noi vogliamo una società che si prenda veramente cura dei più poveri e dei più deboli. Noi non vogliamo una società divisa tra ricchi e poveri, tra forti e deboli.
Noi vogliamo una società nella quale tutti possano godere di un livello di vita adeguato.
Noi crediamo che le persone abbiano il dovere di provvedere a se stessi e secondo il principio morale della responsabilità, ma che in base a questa debbano anche
aiutare il prossimo in difficoltà.
Crediamo che sia dovere fondamentale, sia della società che dello Stato, aiutare coloro che non raggiungono questo obiettivo.
Noi pensiamo in particolare che siano necessarie forti azioni positive per assicurare l’effettiva parità tra uomo e donna, per accrescere l’accesso delle donne all’istruzione, al lavoro e ai posti di più alta responsabilità nel mondo pubblico e privato.
Una maggiore eguaglianza effettiva tra uomo e donna renderà il nostro Paese non solo più giusto ma anche più prospero.
Noi pensiamo che la famiglia sia il nucleo fondamentale della nostra società. Oggi le famiglie e la società sono sempre più frammentate.
Noi pensiamo che sia invece necessario riconoscere chiaramente il ruolo attivo della famiglia, nella consapevolezza che questa non può essere sostituita da altre figure sociali.
In una situazione difficile come quella attuale, le famiglie sono anche un prezioso elemento di stabilità sociale ed economica perché si affiancano alle strutture pubbliche compensandone i limiti nell’attuazione delle politiche sociali.
Non possiamo ignorare che molte famiglie non riescono più ad avere "una tranquilla e quieta vita, in piena dignità".
La famiglia va dunque difesa, anche perché è fonda-
mentale per le persone più deboli, per gli anziani, per i diversamente abili, per i giovani senza lavoro.
Non solo. Noi crediamo che la famiglia abbia il dovere ed il compito insostituibile di educare i bambini e gli adolescenti.
In questa prospettiva noi pensiamo che buoni risultati possano essere conseguiti riducendo il carico fiscale per le famiglie in rapporto al numero dei familiari, a partire dai bambini.
Noi sappiamo che i valori umanistici e cristiani si confrontano con i risultati del progresso scientifico, in particolare in ambito biomedico.
Tale progresso ha contribuito in maniera straordinaria alla salute ed al benessere di tutti i cittadini. Lo vogliamo affermare con forza.
Noi pensiamo che la libertà e il progresso della ricerca biomedica vadano quindi salvaguardati e per questo debbano essere coniugati con i principi della protezione e della promozione della dignità umana, con il diritto alla vita, l’unicità di ogni vita umana, l’eguaglianza di tutti gli esseri umani, la tutela della salute.
Riconoscersi nel principio della dignità della persona umana comporta infatti che la scienza debba sempre essere al servizio della persona, ed esclude che la persona possa essere al servizio della scienza.
Noi pensiamo che la politica internazionale debba basarsi sul valore della libertà, e sul fondamentale rapporto tra pace, libertà e diritti. È ciò che abbiamo fatto, ciò che abbiamo finora difeso e promosso, ed è ciò che riteniamo faccia parte delle aspirazioni e delle possibilità di tutti i popoli.
In un mondo sfidato dal terrorismo e attraversato dal rischio dello scontro tra le civiltà, noi poniamo la costruzione della pace e il dialogo tra i popoli come fondamentale dovere della nostra politica internazionale.
A questo dovere sono ancorate le nostre alleanze e relazioni, le nostre missioni all’estero e più in generale la strategia del nostro Paese sullo scacchiere mondiale.
In questo contesto restano fondamentali le scelte europeiste ed atlantiche.
È su questo confine, tra passato, presente e futuro, che si staglia la differenza tra due visioni della vita e del mondo. La visione della sinistra e la nostra visione.
Noi pensiamo che si debba aggiungere alla libertà un altro valore, ad essa complementare: la sicurezza della nostra identità davanti all’immigrazione.
Proprio per questo dobbiamo e possiamo aprire al nuovo, ma senza rinunciare a noi stessi, rafforzando insieme le nostre tradizioni, la nostra identità, la nostra libertà.
Perché solo conservando i valori oltre la crisi dei valori, si conservano l’identità e la sicurezza e si vive la libertà.
In questa strategia lo Stato nazionale e federale, somma dei nostri valori comuni e sede del nostro comune destino, ha un ruolo fondamentale. Un ruolo sussidiario e riequilibratore tra passato e futuro, tra interno ed esterno.
Questo è il cuore del nostro programma.
Questo è il centro del nostro disegno, tanto sul lato
politico quanto sul lato economico, tanto in Italia quanto in Europa: la difesa dei principi morali e dei valori, civili e religiosi, la difesa della famiglia e delle nostre radici,
l’impegno a rispettare la nostra civiltà da parte di chi entra, la difesa delle nostre imprese, del nostro lavoro.
Il "Popolo della Libertà" è nato dalla libertà, nella libertà e per la libertà, perché l’Italia sia sempre più moderna, libera, giusta, prospera, autenticamente solidale.
Noi sappiamo che i nostri valori sono radicati nella migliore tradizione politica del nostro Paese e della nostra società. Nel "Popolo della Libertà" si riconoscono infatti laici e cattolici, operai ed imprenditori, giovani e anziani. Si riconoscono donne ed uomini del nord, del centro e del sud.
Siamo orgogliosi di questo nostro carattere popolare, perché ci conferma nel nostro disegno, che è quello di unire la società italiana, e di condurla tutta insieme verso un futuro migliore.
Noi proponiamo agli italiani una società fatta di libertà, di sviluppo economico, di solidarietà. Proponiamo una società basata sui valori liberali e cristiani, sulla famiglia naturale fondata sul matrimonio, formata dall’unione di un uomo e di una donna, nella quale far nascere, crescere ed educare i figli.
Proponiamo un’Italia rispettata e forte nel mondo.
Proponiamo una Patria nella quale tutti gli italiani si riconoscono e che tutti amano, perché è la casa comune di tutti, senza distinzioni.
All’opposto la sinistra ha sempre dato all’Italia incertezza, divisioni, odio sociale, povertà. La sinistra fa politiche che distruggono la famiglia, e che non rispettano i valori morali del popolo italiano, i valori della nostra tradizione.
Per quello che è sempre stata ed è nel suo profondo, la sinistra vuole dividere i lavoratori dagli imprenditori, gli uomini dalle donne, i padri dai figli, i giovani dagli anziani, gli italiani del nord dagli italiani del sud.
La sinistra vede nemici ovunque. Noi vediamo ovunque dei simili, come noi.
Pur affrontando difficoltà enormi, ci siamo sempre preoccupati del benessere di tutti gli italiani, senza distinzioni tra destra e sinistra.
Perché il governo è il governo di tutti gli italiani, non soltanto di chi lo ha votato. Questa è la vera moralità della politica.
Noi vogliamo un’Italia di persone libere e responsabili, in grado di prendere in mano il loro futuro, di potersi scegliere un buon lavoro, di far crescere i figli secondo i propri valori e le proprie idee.
Noi vogliamo una società nella quale tutti i giovani, senza distinzione di ceto sociale, vadano a scuola per conseguire un diploma o una laurea di qualità. Vogliamo una società nella quale i giovani abbiano un lavoro, che permetta loro di essere subito indipendenti e di formarsi una famiglia.
Noi vogliamo una società nella quale nessuno rimanga indietro. Perché ogni persona ha un valore inestimabile, e perché il benessere di ogni cittadino significa il benessere di tutti i cittadini, il benessere di tutta la società.
Noi vogliamo una economia forte e vitale, fondata su imprese moderne ed efficienti, sulla creatività e sull’innovazione, perché senza crescita economica non si possono risolvere i problemi sociali e non si possono garantire a tutti i cittadini i servizi ai quali hanno diritto.
Noi crediamo che il tempo in cui viviamo imponga un cambiamento di rotta. Se non cambiamo, e in fretta, sarà infatti la realtà a cambiarci in peggio.
Noi ci richiamiamo alla più grande forza politica europea, il Partito dei Popoli europei (The European People’s Party), e con essa condividiamo un’idea spirituale dell’Europa: l’idea dei padri fondatori, che è all’origine stessa dell’Europa.
Abbiamo un lungo cammino davanti a noi. Un cammino di impegno civile, in cui diritti e doveri si ricongiungono come facce di una stessa medaglia.
Chiediamo il sostegno di tutti gli italiani, di tutte le donne e di tutti gli uomini che amano la libertà e che vogliono restare liberi, chiediamo il loro voto per garantire questi valori e per realizzare il nostro programma.

mercoledì 1 aprile 2009

Liberi di essere il popolo della libertà

Non lo hanno ancora capito: attaccare Berlusconi non paga più!

Mentre la sinistra cerca di demolirlo, il Cavaliere inanella un successo dietro l'altro.
Persino in questa congiuntura assolutamente straordinaria che cambierà le sorti del pianeta, mentre l'Italia per sua fortuna e anche per merito del Presidente del Consiglio, non subisce per il momento le conseguenze della crisi, persino in questi momenti - dicevo - la sinistra si scaglia contro una presunta inattività del governo e, a mio avviso, spera che la crisi si aggravi così da poterlo attaccare ancora di più.

Ha ragione Tremonti quando dice che l'opposizione lavora contro gli italiani e non contro la maggioranza di governo.
Il popolo della libertà ringrazia sentitamente: qualsiasi persona con un minimo di cervello si rende conto che il comportamento della sinistra porterà inevitabilmente verso una sconfitta certa, come si è verificato, per esempio, in Abruzzo e in Sardegna.

Finalmente e per "merito" della sinistra molti elettori cominciano a ragionare con la loro testa e a togliersi il paraocchi, molti cominciano ad abbandonare la nave che affonda e poi ci sono quegli intellettuali che, purtroppo, si ricicleranno come fecero molti fascisti dopo la guerra: spero solo, e me lo auguro con tutto il cuore, che certi personaggi vengano emarginati e respinti.
Non abbiamo bisogno di intellettuali riciclati e dobbiamo smettere di essere succubi del culturame della sinistra.

Noi popolo della libertà, per merito di Berlusconi, abbiamo acquistato una dignità che ci era sempre stata negata, ora possiamo camminare a testa alta perché siamo maggioranza, possiamo rivendicare orgogliosamente la nostra appartenenza e la nostra militanza e possiamo uscire dall'emarginazione nella certezza di non essere soli.

Liberi di essere il popolo della libertà!
LE PRIME ADESIONI (25 Marzo) ALL’APPELLO DELLA CGIL PER LA MANIFESTAZIONE DEL 4 APRILE, DI DONNE E UOMINI DELLA CULTURA, DELLO SPETTACOLO E DELL’INFORMAZIONE.

CESARE ACCETTA
CLAUDIO AMENDOLA
LAURA AGIULLI
LUCIA ANNUNZIATA
LUIS BACALOV
ANDREA BAJANI
SILVIA BALLESTRA
FRANCO BARBERO
DARIO FRANCESCO BARONE
OLIVIERO BEHA
BICE BIAGI
GIORGIO BOCCA
PAOLO BONACELLI
PATRIZIA BOVI
BENEDETTA BUCCELLATO
ENNIO CALABRIA
MIMMO CALOPRESTI
ANDREA CAMILLERI
ENRICO CAPUANO
MAURIZIO CARRASSI
ASCANIO CELESTINI
VINCENZO CERAMI
CARLO CERCIELLO
ROCCO CESAREO
UGO CHITI
FEDERICO COEN
ENNIO COLTORTI
TIZIANA COLUSSO
VINCENZO CONSOLO
STEFANO CORRADINO
LELLA COSTA
GIOBBE COVATTA
DIEGO CUGIA
SILVANA CUTULI
GIUSEPPE D’AGATA
NINO D’ANGELO
MASSIMO DAPPORTO
ISA DANIELI
WALTER DAVIDDI
SAL DA VINCI
LUCA DE FILIPPO
CONCITA DE GREGORIO
ANTONIETTA DE LILLO
NINA DI MAIO
SANTO DELLA VOLPE
PIPPO DI MARCA
MARCO DURAZZO
EDOARDO ERBA
PATRIZIA ESPOSITO
FRANCO FALASCA
RINO FALCONE
ENNIO FANTASTICHINI
PIERFRANCESCO FAVINO
SABRINA FERILLI
ANGELO FERRACUTI
ANNA FERRUZZO
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ALDO FLORIO
DARIO FO
ANDREA FREZZA
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LUCILLA GALEAZZI
UMBERTO GALIMBERTI
MAURO GASPERINI
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NELLO MASCIA
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VINCENZO VITA
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Diliberto: "Noi odiamo Berlusconi". TGCOM

''Come Berlusconi ha in odio il comunismo, così noi abbiamo in odio Berlusconi''. Lo dice il segretario del Pdci Oliviero Diliberto , intervistato da Maria Latella sulle reti Sky. ''Noi - sottolinea Diliberto - siamo gli unici che abbiamo il coraggio di dirlo in modo esplicito e di affrontare Berlusconi". Diliberto ha anche spiegato che l'alleanza elettorale del Pdci con Rifondazione Comunista per le europee è un progetto politico.

''La falce e martello - ha proseguito il segretario Pdci - non indica un'ideologia astratta: sono i simboli del lavoro, scelti oltre un secolo fa. Oggi forse sarebbe scelto un computer, ma resta il fatto che quei simboli rappresentano i lavoratori: quei lavoratori che sono invisibili per la politica e che diventano visibili solo quando muoiono, proprio come gli immigrati nel canale d'Otranto''.

Il ''sequestro'' di Francois Pinault da parte dei lavoratori licenziati delle sue aziende? ''Non c'e' ne' da condividere ne' da condannare, qui c'e' da comprendere'', risponde Diliberto alla domanda della conduttrice Maria Latella. ''Pinault - sottolinea il leader dei comunisti italiani - ha un patrimonio di 14 miliardi, e con questo patrimonio licenzia 1400- 1600 operai, che lui neanche conosce, che per lui sono numeri e non persone.

Questi licenziati diventano visibili solo quando sono costretti a produrre azioni eclatanti . Se non fossero stati licenziati non sarebbero stati costretti a quell'azione eclatante. Del resto, la crisi e' stata creata da coloro che licenziano, e le conseguenze le pagano i lavoratori''.

Meglio la chiromante. Davide Giacalone

Piuttosto che all’Ocse, per le previsioni, rivolgetevi alla chiromante. Vi prenderà in giro e basta, bontà sua, per poca pecunia. Nell’autunno scorso cominciammo a scrivere (carta canta) che gli effetti della crisi finanziaria si sarebbero sentiti, in termini reali e dalle nostre parti, nel tardo inverno-primavera successivi. Ora, quindi. Sarebbero stati dolori per molte aziende e per molti lavoratori. In quello stesso momento, esattamente nel novembre del 2008, l’Ocse prevedeva, per i Paesi che la compongono, un calo del prodotto interno pari allo 0,3% nel 2009, ed una sontuosa ripresa nel 2010, con un più 1,5. Noi eravamo gufi, insomma, loro allodole. Invece erano merli, perché oggi ritoccano un tantinello le loro preziose e professionali vedute del futuro: meno 4,3 nel 2009, e meno 0,1 l’anno appresso.
Si potrebbe invitarli al bar per una bicchierata, e dovrebbero offrire loro visto che noi, a naso, parlavamo di meno 3 quando loro sentivano il bisogno di metterci uno zero davanti. Il presidente del Consiglio, questa volta, ha preferito evitare le spiritosaggini e s’è dedicato ai saggi consigli: “Prima non sono stati capaci di prevedere la crisi e poi fanno previsioni negative. Ma state zitti!”. L’Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) nacque, nel secondo dopoguerra, per accompagnare l’attuazione dell’European Recovery Program, meglio noto come Piano Marshall: soldi statunitensi per aiutare l’Europa distrutta. Oggi raggruppa trenta Paesi, ma la funzione è meno chiara. Producono molta carta stampata, per diffondere previsioni che, come s’è visto, peccano di una certa imprecisione. Quando Roosevelt, presidente americano, varò il New Deal, evolvendo il concetto stesso di stato sociale, creò molti uffici statali nuovi. Ci sono quelli vecchi, gli dicevano. E lui: quelli vecchi fanno cose vecchie, li chiuderemo. Un programma ancora attuale, che negli uffici Ocse dovrebbe suonare da monito.
Berlusconi, ieri, ha detto parole severe anche per i commissari europei, “che continuano, invece di lavorare, a fare prediche ai governi”. In questo caso, però, la colpa non è tutta loro, perché la crisi mette a nudo il poderoso equivoco di istituzioni che pretendono di governare un non-Stato, per giunta senza mandato popolare. Sono guardiani di un bidone che è stato concepito nell’assunto che l’integrazione economica avrebbe portato a quella politica, ed in un’epoca in cui il nemico pubblico numero uno era l’inflazione. Ci ritroviamo, invece (e lo dico da europeista) in un’Europa in cui c’è l’area dell’euro, ove i governi hanno rinunciato ad amministrare la politica monetaria, fioriscono regolamentazioni come funghi, senza che i mercati nazionali cedano, e la Costituzione è bocciata a furor di popolo. Non possiamo continuare così, il gioco s’è inceppato.
Statunitensi ed inglesi stanno stampando moneta. Si può discutere se fanno bene o male (non hanno molta scelta), ed è facile prevedere, ma non ditelo a quelli dell’Ocse, che con la ripresa questo produrrà inflazione. Mentre si discute, però, dobbiamo sapere che noi non possiamo fare altrettanto, perché la Banca Centrale Europea, così come l’euro, sono stati concepiti per missioni diverse ed opposte. Abbiamo la piccozza e le mutande di lana, ma siamo ai tropici, sulla spiaggia. E non basta, perché c’è un club di burocrati che pretende di farci indossare gli scarponi chiodati. Sicché capita che taluno guardi la piccozza, con occhi sottili, sguardo febbricitante e cattive intenzioni.