venerdì 27 aprile 2007

Sulla riva del fiume, aspettando...

Vi pare che Berlusconi abbia intenzione di mollare?
Siete convinti che rovescerà il tavolo e manderà tutti a quel paese? Errore.
Il Bel rusconi non molla.
Comincia ad intravvedere, a pelo d'acqua, il corpo di Prodi che galleggia a malapena: dalla riva del fiume può vedere altri corpi annaspare, ci sono anche (ex)alleati.
Il partito unico delle libertà? Forza Italia. Attorno al partito del Cavaliere si stanno muovendo gruppi che, inevitabilmente, convergeranno verso la "casa madre".
Se ognuno correrà da solo i piccoli rimarranno schiacciati e non ci sarà la gentile concessione di poltrone.
Non si può tirare troppo la corda senza fare i conti con gli elettori: il centrodestra è costituito da votanti che sanno quello che vogliono e preferiscono orientare i partiti piuttosto che farsi guidare.
Le astensioni delle precedenti elezioni ne sono la prova provata.
Allora, cari partiti minori, alle prossime amministrative mettetevi d'accordo e trovate candidati unici e graditi a tutti: altrimenti il popolo, che non è bue, voterà quello con le maggiori probabilità di battere la sinistra.
E non occorre essere sondaggisti per capire qual è il partito del centrodestra con le maggiori probabilità.

giovedì 26 aprile 2007

Elezioni francesi e anomalia italiana. dal blog dell'Anarca, Martin Venator

Il primo turno delle elezioni francesi ha svelato qual è la vera anomalia della politica italiana. Voi direte: cosa c’entra l’anomalia italiana con le presidenziali francesi? C’entra, c’entra. Per esempio, per molto tempo l'Anarca ha creduto che trovare in Europa una che dicesse più scemenze della Melandri non sarebbe stata cosa facile. La Francia l’ha trovata: Ségolène Royal batte Giovanna Melandri 3 a 0.
Ma l'Anarca pensava anche che trovare in Europa uno più figo e più di destra di Antonio Polito non sarebbe stato possibile. La Francia l’ha trovato: Sarkozy batte Polito 5 a 0 e infatti Polito, uomo intelligente, ha detto che se avesse votato in Francia avrebbe scelto Sarkozy.Ma è evidente che sto guadagnando tempo. Né la Melandri con le sue periodiche scemenze, né Polito così di destra da starsene a sinistra, rappresentano la vera anomalia italiana a cui la Francia ha dato risposta. E allora? Cosa ci stanno aiutando a capire i cugini francesi?
Prendiamola alla lontana: in questi 10 anni tutti i più importanti osservatori italici e europei ci hanno raccontato che l’unica anomalia della politica italiana si chiamava Silvio Berlusconi. Intellettuali, giornalisti, studiosi, insomma la crème di quella incivile “società civile” che cerca da sempre di dare lezioni di civiltà alla società incivile che alla fine è più civile di loro, ce l’ha menata con questa storia del Cavaliere anomalia del nostro sistema democratico: è stata un’anomalia la sua discesa in campo; è un’anomalia il suo impero economico; sono un’anomalia le inchieste giudiziarie che neanche Al Capone, Gengis Khan e Jack lo Squartatore insieme si sarebbero beccati; è un’anomalia il suo conflitto d’interesse; ma soprattutto, per quelli deboli di cuore e la puzza sotto il naso, sono un’anomalia il suo populismo, la sua bandana, lo sfoggio di ricchezza, il fatto che fa le corna nelle foto con i capi di stato europei, che racconta le barzellette sporche e che preferisce a 70 anni la compagnia di belle e formose figliole a quella dei trans (bontà sua). Tutto vero. Quindi in parte hanno ragione… ma per difetto: Berlusconi è molto di più di un’anomalia: è un gene impazzito, un pezzo di dna esposto ad una tempesta di raggi cosmici... è i Fantastici 4 tutti assieme con qualche declinazione verso l’incredibile Hulk. Perché uno che se ne sta una sera a cena con Murdoch e a un certo punto si alza (… è Murdoch stesso che lo ha raccontato) e dice ai presenti: “scusate ma ho un aereo che mi aspetta, devo andare a fondare un partito per salvare l’Italia dal comunismo” e (come non si capacita ancora Murdoch) la cosa incredibile è che lo fa veramente... beh, definirlo un’anomalia è offensivo.
Anche noi che non baratteremmo il Cavaliere, il suo dannunzianesimo post-moderno neanche per De Gaulle e Asterix, magari per l’impresa di Fiume si, di certo non per la Finocchiaro che è la brutta copia di Nilde Jotti, o per le lacrime di Fassino che sono la brutta copia delle lacrime di Occhetto, così come il Pd è la brutta copia di se stesso, non riusciamo a capire come la “società civile” abbia potuto prendere un abbaglio simile.
In passato abbiamo cercato di spiegare che i paranoici di professione, i registi che filmano caimani improbabili, gli epurati televisivi a suon di milioni di euro, insomma quel sottobosco di assistiti arricchiti e famosi proprio grazie all’antiberlusconismo militante, nella loro mediocrità non riuscivano a cogliere la follia del Cavaliere e quindi la sua genialità. E che se volevamo limitarci alla banalità di un’anomalia, ancor più che Belrusconi dovevamo pensare a quel signore che oggi fa il Presidente del Consiglio e che, sotto giuramento, ha dichiarato ad una Commissione parlamentare di aver parlato con un fantasma con tanto di piattino semovibile. Perché per quanto non riusciamo a intravedere in Europa uno come Berlusconi, ci rimane difficile anche immaginare Tony Blair attorno a un tavolino a tre zampe interrogare gli spiriti, o la Merkel con il pendolino in mano e la barba finta predire il futuro del quindicesimo Reich.

Eppure, nonostante tutto questo, le elezioni francesi ci hanno fatto capire che l’anomalia della politica italiana è un’altra. I francesi, anche se sono gente che sotto braccio porta lo sfilatino invece del giornale e si riempie il fegato di salsine indigeribili, non sono scemi del tutto… anzi. Da Carlo Magno a Napoleone, da Robespierre a Michel Platini hanno sempre avuto il gusto di anticipare i tempi della storia; e così, anche in questo caso, hanno deciso di prendere a calci nel culo il ‘900 e gettarlo definitivamente fuori dalla finestra. E per fare questo, prima ancora di scegliere tra il mitico Sarko e la divertente Ségo, hanno ripulito la piazza liquidando i partitini della sinistra radicale fatta da Comunisti, Trotzkisti, Verdi, No global, insomma quell’insieme di pattume politico e culturale che da noi colora la politica e la rende ancora più ridicola di quanto non sia. I francesi hanno deciso di chiudere finalmente nella soffitta della storia ciò che invece noi teniamo ancora in bella mostra nel salotto di casa. Davanti ai Diliberto, ai Bertinotti, ai Caruso ai Russo Spena, si svela la vera anomalia italiana. L’unica democrazia occidentale che consente a queste cianfrusaglie della politica, a questi rigurgiti mai digeriti della storia del ‘900, di stare al governo e di condizionare la politica sociale, economica, estera del Paese. Forse è questa la prima lezione delle presidenziali francesi.Vive la France!

martedì 24 aprile 2007

Manette, segreti e giornalisti. Davide Giacalone

Il Parlamento sta per approvare l'ennesima legge inutile sul segreto istruttorio. Nel mirino ci sono i giornalisti, dei quali ho già scritto il peggio possibile, così come ho sciupato una montagna di carta per difendere la presunzione d'innocenza.

A questo s'aggiunga che della barbarie sono stato ripetutamente vittima, così che sembrerà strana la mia contrarietà alla futura legge.
Si deve sapere che gli atti istruttori devono già restare segreti, ma nessuno ne tiene conto perché ci furono dei signori (Borrelli, Davigo e Colombo, coadiuvati dai Maddalena accorrenti alla facile popolarità) che hanno pubblicamente, ed in toga, teorizzato il contrario. Per tale ragione già non mi piace una legge che vuol punire chi pubblica e lascia eternamente impuniti quelli che forniscono il materiale, ovvero i magistrati. Inoltre, è evidente che ci sono indagini di pubblica rilevanza, delle quali i cittadini non possono non essere informati. Ma qui la nuova legge salva ancora i magistrati, garantendo quello che Mauro Mellini chiama il loro “jus sputtanandi”: si può scrivere che Tizio è accusato di pedofilia, ma non si possono trascrivere gli atti raccolti dai pubblici ministeri. Peccato che Tizio è già fregato così, senza bisogno d'aggiungere altro.Può la presunzione d'innocenza conciliarsi con la libertà dell'informazione? Certo, ma ad una condizione: che i processi si aprano e concludano in tempi ragionevoli. Se vengo accusato oggi ed assolto fra sei mesi subisco un danno, ma ci posso stare. Se, invece, mi assolvono fra dieci anni, quando nessuno neanche più pubblica la notizia, o mi piomba addosso la prescrizione del procedimento che l'ignoranza giustizialista scambierà per una condanna scampata, ed avverso la quale posso ricorrere autocondannandomi a pagare altri dieci anni di spese giudiziarie, allora il diritto va a farsi benedire. Non se ne esce: se la giustizia fa schifo i diritti non si salvano mai.
In quanto ai giornalisti, dovrebbero imparare che, per deontologia e non per legge, mai si dovrebbe scrivere qualche cosa di qualcuno senza avergli offerto la possibilità di aggiungere o replicare. Per troppi pennivendoli gli indagati sono solo carne cacciata di frodo e venduta al contrabbando giudiziario. Ma è laido punire il copista onorando l'autore (tutelato dai colleghi).

Seveso, basta la parola. Francesco Ramella

"Sulla Marca è calato lo spettro di una nuova Seveso". (Il Giornale)
"Il lungo giorno vissuto nell'incubo di una nuova Seveso". (La Stampa)"
"L'allarme ha fatto venire alla mente le terrificanti immagini del disastro Seveso, a trentuno anni da quel immane tragedia ambientale". (L'Unità)
"Lì stava scoppiando tutto: temevamo un’altra Seveso". (Corriere della Sera)

Come sempre accade quando si verifica un incidente "chimico", la notizia dell'incendio alla De Longhi di Treviso è andata sulle prime pagine e ha trovato ampio spazio nelle cronache di tutti i giornali.Questa volta, quasi all'unisono, è comparso il riferimento a Seveso, paradigma del danno ambientale tout-court. Ma chissà quanti fra i lettori sanno davvero cosa è successo 30 anni fa a Seveso. Quanti sanno che non vi fu nessun decesso e che, stando allo studio realizzato dalla Fondazione Lombardia per l'ambiente "Seveso vent'anni dopo: dall'incidente al bosco delle querce", nel decennio successivo all’incidente "in nessuna delle tre zone contaminate la mortalità per cancro risultò differire da quella della popolazione di riferimento" (p. 77) e che in due di esse il rischio relativo risultò inferiore ad 1 (se il rischio relativo è maggiore di 1 il fenomeno in esame è in aumento, se è minore di 1 il fenomeno è in diminuzione).Più della diossina, a Seveso potè l'allarmismo: vi furono a seguito dell'incidente trenta aborti giustificati dalla paura di possibili malformazioni, nonostante le informazioni scientifiche disponibili consentissero di escludere tale rischio come allora sostenuto dal professor Bompiani e come verificato a posteriori dall’analisi dei feti abortiti.
Già, ma chi lo sa?

domenica 15 aprile 2007

Un anno di fallimenti. Gianteo Bordero

Poco più di un anno fa l'Unione capitanata da Romano Prodi vinceva (si fa per dire) le elezioni e dava inizio ad un percorso che nelle intenzioni del Professore e dei leaders del centrosinistra avrebbe dovuto riportare l'Italia sulla strada dello sviluppo e della «felicità» dopo il lustro di governo berlusconiano, ma che in realtà, visto con gli occhi di oggi, si è rivelato una vera via crucis tanto per lo schieramento unionista quanto - purtroppo - per il Paese. Fare un elenco delle azioni sciagurate messe in atto dal centrosinistra da un anno a questa parte sarebbe oggettivamente defatigante, e risparmiamo a noi stessi e ai nostri lettori la pena di mettere in fila tutte le malefatte di Prodi e compagni dall'aprile scorso ad oggi - malefatte di cui Ragionpolitica ha dato puntualmente conto con articoli e analisi che potete trovare e consultare facilmente nel nostro archivio.
Soffermiamoci dunque su due fatti recenti, che documentano in maniera chiara il fallimento dell'armata anti-berlusconiana entrata a Palazzo con lo scopo di fare il «bene dell'Italia» e ridotta oggi a poltrire sugli scranni del potere col solo scopo di tirare a campare dopo 12 mesi di liti, debacle, una crisi di governo, proteste popolari di ogni genere e chi più ne ha ne metta... Restiamo allora all'attualità e segnaliamo due capitoli paradigmatici dello stile (anche qui, si fa per dire) di governo unionista alla guida del Paese.
Il primo fatto è la pessima gestione del caso Mastrogiacomo, che ha fatto colare a picco la credibilità dell'Italia nel consesso internazionale, già messa a dura prova dall'oscillante politica estera del ministro D'Alema, prigioniero dei diktat dell'estrema sinistra, e da episodi come quello riguardante l'allargamento della base Usa di Vicenza. Con la gestione del sequestro Mastrogiacomo, però, Prodi e i suoi hanno veramente toccato il fondo. Sono riusciti, nell'ordine, a ricattare il governo afghano minacciando il ritiro delle nostre truppe di stanza a Kabul e a Herat; a mettere in un angolo i nostri servizi segreti, che pure in passato avevano dato ottima prova di sé nei casi di rapimento di nostri connazionali; ad affidare tutta la pratica a Gino Strada, salvo poi scaricarlo nel momento in cui ha presentato il conto chiedendo di far scarcerare il suo emissario arrestato dai servizi di sicurezza di Kabul; a far rilasciare cinque (o forse più) comandanti talebani, che sicuramente torneranno al più presto ad organizzare agguati e attentati contro la popolazione locale e contro i soldati occidentali, tra cui anche i nostri; a creare imbarazzo e sconcerto nelle altre cancellerie occidentali, Usa in primis, poco propense a fare regali ai tagliagole; ancora, a fornire ai taliban un'ottima arma di lotta per ottenere il rilascio dei loro guerriglieri catturati; infine, a far imbestialire gli afghani per il disinteresse mostrato nei confronti della sorte dell'interprete di Mastrogiacomo, trattenuto dopo la liberazione del reporter di Repubblica e barbaramente sgozzato nel giorno di Pasqua.
Come si vede, ce n'è abbastanza per capire che un governo «serio», come Prodi ripete a ogni pie' sospinto essere il suo, avrebbe fatto il contrario di quanto messo in opera da quello capitanato dal Professore. Soprattutto, un esecutivo «serio» non avrebbe svenduto la dignità del Paese che guida solo per rimanere in sella a tutti i costi, cosa che non sarebbe avvenuta se Mastrogiacomo, giornalista di uno dei maggiori «azionisti» del governo, avesse fatto la stessa fine del suo autista e del suo interprete. Siamo tutti felici per il fatto che il reporter sia tornato a casa sano e salvo, ma l'immagine che l'esecutivo Prodi ha dato del nostro Paese e la brutta figura rimediata in campo internazionale si addicono più a una Repubblica delle banane che a una democrazia moderna e occidentale.
Secondo fatto di attualità che testimonia come l'Unione e il governo da essa sostenuto siano politicamente al capolinea è la lettera inviata ieri dal presidente del Consiglio al Corriere della Sera in merito al cosiddetto «tesoretto» (l'extra-gettito dovuto alla buona politica di Tremonti e ai calcoli sbagliati del suo successore, Tommaso Padoa-Schioppa) e ai modi in cui utilizzarlo. Qui il Professore raggiunge veramente il culmine dell'ipocrisia e promette, testualmente, di utilizzare due terzi del suddetto «tesoretto» per sostenere le famiglie disagiate, i pensionati e i disoccupati. Il 66% dell'extra-gettito andrà «a favore di chi - scrive Prodi - affronta con maggior difficoltà il cammino della propria esistenza. Troppe sono le persone che non riescono ad arrivare alla fine del mese e troppe sono le famiglie che non riescono a costruire un futuro per i propri figli. E a loro va il primo e più corposo pensiero».
Ma come? Non erano proprio il Professore e i suoi sostenitori, in campagna elettorale, a promettere che con l'Unione al governo le famiglie stremate - a detta loro - dalle politiche berlusconiane avrebbero trovato immediato sollievo e sarebbero arrivate più agevolmente alla fine delle quattro settimane mensili? Ora invece scopriamo, per implicita ammissione dello stesso Prodi, che in un anno le cose non sono cambiate, che le magnifiche sorti e progressive trionfalmente annunciate dal centrosinistra sono ancora di là da venire. Infatti, come candidamente afferma il presidente del Consiglio, «non abbiamo esitato a prendere misure impopolari, consapevoli che questo è il dovere di ogni buon governo». Il fatto è che, come documenta l'esistenza stessa del «tesoretto», di queste «misure impopolari» (quelle contenute nella Finanziaria 2007) non c'era alcun bisogno: i conti dello Stato non erano al collasso e i sacrifici richiesti a tutti gli italiani - meno abbienti compresi - erano giustificati solo da motivi ideologici che risiedevano in mente Unionis, non in rebus.
Per questo la lettera di Prodi al Corriere della Sera, vergata per promettere ancora una volta mari e monti agli italiani, sortisce invece l'effetto contrario e mostra che anche sul fronte della politica economica il naufragio dell'armata prodiana è totale. Ormai è chiaro che il presidente del Consiglio e i suoi alleati non sanno più dove sbattere la testa, e proprio loro che accusavano Berlusconi di essere un piazzista della politica si riducono a far pubblicare sul maggiore quotidiano nazionale una missiva di vuota e inconcludente propaganda elettorale in vista delle prossime consultazioni amministrative. Cercano di mettere una pezza al verticale crollo di consensi e di credibilità, ma ormai le falle della nave unionista sono tali e tante che solo un marziano - e forse neppure lui - potrebbe credere alle demagogiche promesse prodiane e trangugiare la fuffa propinata dal Professore al popolo italiano, che gli ha già voltato le spalle.

sabato 14 aprile 2007

I pasticci della demagogia. Lodovico Festa

La lettera di Romano Prodi al Corriere della Sera su come spendere il cosiddetto tesoretto, dà la misura della miseria politica del governo. Non colpisce tanto la manovretta elettorale che si annuncia, l'assegnare il 66% delle risorse aggiuntive alle famiglie che hanno meno e il 33% alle imprese. Si è visto nella finanziaria 2007 come i propositi dell'esecutivo si traducano sempre in pasticci: si era parlato di favorire i redditi minori e si è arrivati a tartassare tutti i cittadini che guadagnano più di 16mila euro lordi. E quanto alle imprese, molti dei provvedimenti annunciati sono da attuare. Quello che sconcerta è l'analisi e la filosofia di Prodi. Non vi è verità nella descrizione delle condizioni dell'Italia, nessun riconoscimento di come la linea fiscale di Giulio Tremonti sia quella che oggi paga. Come ha in parte riconosciuto lo stesso Padoa-Schioppa. Abbondano le fantasticherie sulla lotta alla evasione fiscale. Non si parla dell'aumento della pressione fiscale realizzato con un incremento tra i più alti d'Europa. Si parla dei salari bassi evitando di discutere, però, dell'alto costo del lavoro: l'idea di tagliare il cuneo fiscale non si è tradotta in seri provvedimenti. E i pasticci che si annunciano sulla riforma Maroni delle pensioni fanno pensare che poco si farà per ridurre il costo del lavoro. Non manca, poi, un attacco ai redditi dei manager troppo alti e cresciuti troppo negli ultimi anni: il solito refrain sui ricchi cattivi che come diceva Rifondazione «dovrebbero piangere anche loro».
L'ipocrisia, la reticenza, la demagogietta caratterizzano le parole di Prodi, le rendono poco credibili. Questo spiega perché la maggioranza dei manager super ricchi indicati da varie classifiche nei giornali finiscono poi per votare un centrosinistra che alla fine non li toccherà. E spiega anche perché la maggioranza dei lavoratori dipendenti produttivi del Nord voti per il centrodestra, l'unica speranza di sviluppo per l'Italia. D'altra parte che cosa aspettarsi da un governo che si vanta liberalizzatore perché interviene su aspirine e lunedì dei parrucchieri, mentre interferisce in modo sfacciato su qualsiasi impresa privata da Autostrade a Telecom, che non si conforma ai suoi piani di potere?

I pasticci su tesoretto, pensioni, contratto del pubblico impiego, Telecom marchiano lo stato di degrado di un governo che va mandato presto a casa. Il centrodestra, su questo terreno economico ancora più che sulla politica estera, dovrebbe prendere rapidamente iniziative coordinate tra le forze di opposizione, di consultazione delle forze sociali. Recentemente alcune proposte di Maurizio Sacconi e dell'associazione Giovane Italia, in parte analoghe a quelle della fondazione Fare futuro legata ad An, hanno avuto il plauso anche di Cisl e Uil. Tutto il mondo produttivo non ne può più dell'estenuato governo Prodi, va consultato e nelle forme opportune mobilitato.

venerdì 13 aprile 2007

Il falso, nella revisione comunista. Davide Giacalone

Ho il cuore tenero, e mi si spezza nel vedere quel pover'uomo di Fassino continuare a sputare sul passato suo, dei suoi compagni e del suo partito pur di stare a galla. Se lo risparmi, perché tanto è un falso, e gli spiego il perché in meno di 2300 battute.

Che il comunismo sia stato e sia fame, terrore e morte non c'è bisogno che lo dicano loro, lo sanno tutti quelli che non vivono nell'analfabetismo della fede ideologica. Questo giudizio, che non sarà mai smentito, non porta automaticamente all'inferno tutti quanti furono comunisti, perché in quel vasto popolo c'è un esercito di persone che fu in buona fede e credette di essere dalla parte della ragione. Militarono, invece, al fianco d'affamatori e carnefici, mancando loro la capacità ed il coraggio di accorgersene (e sì che alcuni lo gridarono!). Questo vale per il gregge, ma non per i pastori. Loro sapevano. Sapevano che Togliatti fu complice della carneficina, sapevano del Gulag, sapevano delle persecuzioni e della fame, sapevano di essere mantenuti con i soldi inviati dalla potenza militare che avrebbe voluto annientare la libertà. Lo sapevano Fassino, D'Alema, Veltroni, Mussi, ovviamente Berlinguer, Natta & C.. Lo sapevano tutti quelli che sono ancora lì, dato che mancano solo i morti, e sapevano di aver preso soldi sporchi di sangue fino al 1991. Ripeto: fino al 1991.
Contro la loro macchina propagandistica, contro l'enorme potere economico che derivava loro dal sommare i soldi sovietici a quelli della lottizzazione, si batté il mondo democratico, ed in particolar modo la sinistra democratica. Per battersi ebbe bisogno di soldi, e se li procurò chiedendoli in Italia. Dice Violante che si deve riabilitare Craxi. Fassino concorda, io no. Semmai è la sinistra democratica che dovrebbe stabilire se vuol riabilitare questi bugiardi, falsi, persecutori, sfuttatori d'amicizie giudiziarie, inquinatori della democrazia, traditori della sinistra. Manca ancora la verità su tangentopoli, e sulla bugia non si costruisce.
Gli effetti di quegli abominevoli errori li scontiamo ancora, e se fosse sincero il ripensamento dovrebbe riguardare la nostra storia ed i posti dove il Gulag è ancora aperto, come a Cuba. Ma non c'è morale, in quelle parole, solo convenienza e desiderio di conservare il posto avendo perso l'identità.

mercoledì 11 aprile 2007

L'olocausto sovietico: 60 milioni di morti. Giordano Bruno Guerri

Gulag è un acronimo che in russo sta per «Direzione principale dei campi di lavoro correttivi»: erano stati istituiti dagli zar, ma fu Lenin a annunciare - già nel 1917, subito dopo la presa del potere - che tutti i «nemici di classe», sarebbero stati trattati alla stregua dei peggiori criminali, anche in assenza di prove: ex nobili, imprenditori e grandi proprietari terrieri prigionieri, funzionari corrotti, ma soprattutto nemici politici; e tali venivano considerati anche i semplici dissidenti. Nel 1931-32 i Gulag, situati nel gelo siberiano, avevano circa 200mila prigionieri; nel 1935 erano saliti a circa un milione, e dopo la Grande Purga staliniana del 1937 erano quasi due milioni. Presunti corrotti e presunti sabotatori vennero trovati e incarcerati in massa per giustificare la cattiva pianificazione, la sottoproduzione, i cattivi raccolti e gli innumerevoli progetti falliti del sistema sovietico. Si era scoperto ben presto che i Gulag potevano fornire un’immensa forza lavoro a bassissimo costo per sostenere il faticoso sviluppo dell’economia sovietica.

Durante gli anni Trenta il terrore staliniano colpì anche le comunità straniere - per quanto comuniste - che vivevano in Unione Sovietica. Secondo le recenti ricerche del Centro Studi Memorial di Mosca, sospettati, nella maggior parte dei casi, di attività antisovietica e di spionaggio, alcune centinaia di italiani, per lo più emigrati politici e giunti in Urss negli anni Venti, per sfuggire al fascismo, incantati dal miraggio del paradiso comunista, «morirono fucilati dopo processi sommari e lunghe sofferenze nei campi di lavoro forzato». La popolazione dei Gulag calò molto durante la Seconda Guerra Mondiale, perché centinaia di migliaia di prigionieri furono mandati d’autorità a morire in prima linea. In compenso, nei campi la mortalità aumentò paurosamente nel 1942-43, per stenti, fame e malattie.

All’inizio degli anni Cinquanta i detenuti dei Gulag erano circa due milioni e mezzo, soltanto in minima parte disertori e criminali. Molti erano russi prigionieri di guerra, accusati di tradimento e di cooperazione con il nemico, perché costretti dai nazisti a lavorare per loro.Molti altri venivano da territori annessi all’Urss dopo la guerra. Una sorte particolarmente iniqua toccò ai discendenti degli italiani che vivevano a Kerc’, in Crimea: 150 famiglie deportate in Kazakistan del Nord e in Siberia, originari di famiglie pugliesi che si erano trasferite in Russia all’inizio dell’Ottocento. Anche i superstiti soldati italiani dell’Armir, accusati strumentalmente di reati comuni, passarono dalla giurisdizione militare a quella del Gulag. Il destino più crudele toccò a quei disgraziati che passarono direttamente dai lager nazisti ai Gulag sovietici. Il tasso di mortalità nei Gulag raggiungeva in molti campi anche l’80 per cento nei primi mesi, a causa delle assurde quote di produzione assegnate ai prigionieri - soprattutto in miniera e nei boschi - della fame, del freddo e della mancanza di cure. Basti pensare che il valore nutrizionale di una razione giornaliera (principalmente da pane di bassa qualità) era intorno alle 1.200 calorie, mentre la necessità minima per chi svolge un lavoro pesante è compresa tra le 3.100-3.900 calorie.

Dopo il XX Congresso del Pcus, nel 1956, in cui Krusciov denunciò i crimini di Stalin, anche le vittime italiane furono riabilitate, ma la maggior parte era ormai morta, e pochissimi riuscirono a tornare in patria. Secondo lo stesso Centro Studi Memorial, in Italia «la memoria delle vittime italiane del Gulag rimase a lungo dimenticata, complice l’ostinato silenzio del Partito comunista italiano che preferiva non ricordare le responsabilità dei propri dirigenti e di Togliatti, presenti a Mosca negli anni Trenta». I Gulag furono soppressi ufficialmente nel 1960. Soltanto fra il 1934 e il 1953 il totale documentabile di vittime del sistema di lavoro correttivo è di 1.054.000 individui, fra prigionieri politici e comuni. Vi si aggiungano circa 800.000 esecuzioni di «controrivoluzionari» eseguite fuori dal sistema dei campi. Ma secondo le denunce di Solgenicyn e di altri dissidenti sovietici, l’«Arcipelago Gulag», ovvero l’intero sistema sovietico, provocò in totale 60 milioni morti, compresi quelli uccisi dalle numerose carestie.

Faccia da salvare e faccia da buttare. Paolo Guzzanti

Silvio Berlusconi è uno statista. Noi no. O almeno io no. Ho visto troppa politica per credere ai buoni sentimenti. E quanto allo scandalo che vede Romano «our man» Prodi al centro del massacro dell’immagine dell’Italia penso che non si debba dare tregua al governo, sia pure con la nobile intenzione di salvare la faccia del Paese. La faccia del Paese starebbe benissimo. La faccia del governo è invece da buttare. L’Italia aveva risalito con Berlusconi la china della mala tradizione che ci aveva voluto inaffidabili, un po’ di qua e un po’ di là, ed eravamo diventati ormai una delle «meglio nazioni» dell’Occidente. Siamo stati noi, con il governo che ha retto questo Paese dal 2001 al 2006 a rimettere in piedi la credibilità dell’Italia e che non ci vengano a ricordare i coraggiosissimi bombardamenti dell’aviazione di D’Alema su Belgrado, né le missioni da crocerossine. Quanto agli ostaggi ricordo una verità sulla quale bisogna avere il coraggio di sfidare la maggioranza con la prova del fuoco di una Commissione parlamentare d’inchiesta su tutte le trattative, passate e presenti, dalle due Simone a Mastrogiacomo, dalla Sgrena con la morte di Calipari a Quattrocchi caduto ringhiando «Vi faccio vedere come muore un italiano». Sfidiamoli: vogliamo tutta la verità. Non c’è da avere paura perché una differenza abissale separa i due modelli, diciamo di destra e di sinistra: quando si trattava col nemico ai tempi di Berlusconi tutto avveniva in una speciale stanza di Palazzo Chigi, alla presenza attiva del direttore del Sismi (giustamente portato sugli allori, allora, dalle sinistre) e dei rappresentanti dei partiti dell’opposizione che partecipavano, decidevano, si assumevano le responsabilità per le decisioni prese e, all’occorrenza, le coprivano e ancora le coprono. Ricordo benissimo il clima di entusiasmo che aleggiava in Senato quando il governo veniva a render conto di ciò che aveva fatto insieme all’opposizione nel segreto di una stanza insonorizzata. Avrà pagato? Lo ha fatto con l’opposizione. Ci ha nascosto qualcosa? Ce l’ha nascosta d’accordo con l’opposizione per il bene superiore della vita umana. L’Italia non riceveva lettere di disprezzo da sei ambasciatori alleati e le nostre truppe erano quotate nella borsa dell’onore. Adesso il re è nudo. O, se volete, la mortadella è nuda. Lo scempio di legalità internazionale cui abbiamo assistito è stato un vero mattatoio di disonore e di sangue per i poveri afgani che hanno perso la testa per salvare quella del signorino italiano per cui la sinistra ha mosso manifestazioni di serie A che non ha organizzato per altre vite di serie B.
Ora, Berlusconi è un uomo di Stato e un uomo buono. E chiede che il buon nome del Paese non venga infangato ulteriormente. Nobile proposito, ma dissentiamo: è scaduto il tempo dell’abbraccio pietoso. È arrivata invece l’ora della trasparenza e della resa dei conti senza timori e senza sconti, il miglior cosmetico per l’immagine dell’Italia.

martedì 10 aprile 2007

Lettera aperta al Presidente della Repubblica. Associazione Galileo 2001

e p.c.
Presidente del Consiglio – On. Romano PRODI

Ministro dell’Economia e delle Finanze – Prof. Tommaso PADOA SCHIOPPA
Ministro dello Sviluppo Economico – On. Perluigi BERSANI
Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare – On. Alfonso PECORARO SCANIO
Ministro per le Politiche Europee – On. Emma BONINO
Presidente del Senato – Sen. Franco MARINI
Presidente della Camera dei Deputati – On. Fausto BERTINOTTI
Presidente V Commissione Bilancio Senato – Sen. Enrico MORANDO
Presidente VI Commissione Finanze Senato – Sen. Giorgio BENVENUTO
Presidente X Commissione Industria Senato – Sen. Aldo SCARABOSIO
Presidente XIII Commissione Ambiente Senato – Sen. Tommaso SODANO
Presidente XIV Commissione Politiche UE Senato – Sen. Andrea MANZELLA
Presidente V Commissione Bilancio Camera – On. Lino DUILIO
Presidente VI Commissione Finanze Camera – On. Paolo DEL MESE
Presidente X Commissione Attività Produttive Camera – On. Daniele CAPEZZONE
Presidente VIII Commissione Ambiente Camera – On. Ermete REALACCI
Presidente XIV Commissione UE Camera – On. Franca BIMBI
4 aprile 2007

Illustre Signor Presidente,
è da tempo che l’Associazione Galileo 2001 vede con preoccupazione le decisioni assunte dai Governi e dal Parlamento italiano di ratificare il Protocollo di Kyoto. Maggiore preoccupazione manifestiamo oggi per l’ipotesi di assunzione di impegni ancora più gravosi in sede europea e nazionale relativi alla politica ambientale ed energetica.
Come cittadini e uomini di scienza, avvertiamo il dovere di rilevare che la tesi sottesa al Protocollo, cioè che sia in atto un processo di variazione del clima globale causato quasi esclusivamente dalle emissioni antropiche, è a nostro avviso non dimostrata, essendo l’entità del contributo antropico una questione ancora oggetto di studio.
In ogni caso, anche ammettendo la validità dell’intera teoria dell’effetto serra antropogenico, gli obiettivi proposti dal Protocollo di Kyoto sono inadeguati, poiché inciderebbero solo in modo irrilevante sulla quantità totale di gas serra. Totalmente inadeguati rispetto al loro effetto sul clima ma potenzialmente disastrosi per l’economia del Paese. Dal punto di vista degli impegni assunti con la sottoscrizione del Protocollo rileviamo che:
l’Italia si è impegnata a ridurre entro il 2012 le proprie emissioni di gas-serra del 6.5% rispetto alle emissioni del 1990;
poiché da allora le emissioni italiane di gas-serra sono aumentate, per onorare l’impegno assunto dovremmo ridurre quelle odierne del 17%, cioè di circa 1/6;
in considerazione dell’attuale assetto e delle prospettive di evoluzione a breve-medio termine del sistema energetico italiano, il suddetto obiettivo è tecnicamente irraggiungibile nei tempi imposti.

All’impossibilità pratica di rispettare gli impegni assunti fanno riscontro le pesanti sanzioni previste dal Protocollo per i Paesi inadempienti, che rischiano di costare all’Italia oltre 40 miliardi di euro per ciò che avverrà nel solo periodo 2008-2012.
Al fine di indirizzare correttamente le azioni volte al conseguimento degli obiettivi di riduzione, occorre tenere presente che i settori dei trasporti e della produzione elettrica contribuiscono, ciascuno, per circa 1/3 alle emissioni di gas serra (il restante terzo è dovuto all’uso d’energia non elettrica del settore civile/industriale). Giova allora valutare cosa significherebbe tentare di conseguire gli obiettivi del Protocollo in uno dei seguenti modi:

sostituire il 50% del carburante per autotrazione con biocarburante;
sostituire il 50% della produzione elettrica da fonti fossili con tecnologie prive di emissioni.

1.Biocarburanti. Per sostituire il 50% del carburante per autotrazione con bioetanolo, tenendo conto dell’energia netta del suo processo di produzione, sarebbe necessario coltivare a mais 500.000 kmq di territorio, di cui ovviamente non disponiamo. Anche coltivando a mais tutta la superficie agricola attualmente non utilizzata (meno di 10.000 kmq), l’uso dei biocarburanti ci consentirebbe di raggiungere meno del 2% degli obiettivi del Protocollo di Kyoto.

2.Eolico. Sostituire con l’eolico il 50% della produzione elettrica nazionale da fonti fossili significherebbe installare 80 GW di turbine eoliche, ovvero 80.000 turbine (una ogni 4 kmq del territorio nazionale). Appare evidente il carattere utopico di questa soluzione (che, ad ogni modo, richiederebbe un investimento non inferiore a 80 miliardi di euro). In Germania, il paese che più di tutti al mondo ha scommesso nell’eolico, i 18 GW eolici – oltre il 15% della potenza elettrica installata – producono meno del 5% del fabbisogno elettrico tedesco.

3.Fotovoltaico. Per sostituire con il fotovoltaico il 50% della produzione elettrica nazionale da fonti fossili sarebbe necessario installare 120 GW fotovoltaici (con un impegno economico non inferiore a 700 miliardi di euro), a fronte di una potenza fotovoltaica attualmente installata nel mondo inferiore a 5 GW. Installando in Italia una potenza fotovoltaica pari a quella installata in tutto il mondo, non conseguiremmo neanche il 4% degli obiettivi del Protocollo di Kyoto.

4.Nucleare. Per sostituire il 50% della produzione elettrica nazionale da fonti fossili basterebbe installare 10 reattori del tipo di quelli attualmente in costruzione in Francia o in Finlandia, con un investimento complessivo inferiore a 35 miliardi di euro. Avere 10 reattori nucleari ci metterebbe in linea con gli altri Paesi in Europa (la Svizzera ne ha 5, la Spagna 9, la Svezia 11, la Germania 17, la Gran Bretagna 27, la Francia 58) e consentirebbe all’Italia di produrre da fonte nucleare una quota del proprio fabbisogno elettrico pari alla media europea (circa 30%).

Come si vede, nessuna realistica combinazione tra le prime tre opzioni (attualmente eccessivamente incentivate dallo Stato) può raggiungere neanche il 5% degli obiettivi del Protocollo di Kyoto. Agli impegni economici corrispondenti si dovrebbe poi sommare l’onere conseguente all’acquisto delle quote di emissioni o alle sanzioni per il restante 95% non soddisfatto.

Esprimiamo quindi viva preoccupazione per gli indirizzi che il Governo e il Parlamento stanno adottando in tema di politica energetica e ambientale, e chiediamo pertanto:

che si promuova la definizione di un piano energetico nazionale (PEN), anche con la partecipazione di esperti europei, che includa la fonte nucleare – che è sicura e rispettosa dell’ambiente e l’unica, come visto, in grado di affrontare responsabilmente gli obiettivi del Protocollo di Kyoto – e che dia alle fonti rinnovabili la dignità che esse meritano ma entro i limiti di ciò che possono realisticamente offrire;

che la comunità scientifica sia interpellata e coinvolta nella definizione del PEN e che si proceda alla costituzione di una task force qualificata per definire le azioni necessarie a rendere praticabile l’opzione nucleare;

che si interrompa la proliferazione di scoordinati piani energetici comunali, provinciali o regionali e che non siano disposte incentivazioni a favore dell’una o dell’altra tecnologia di produzione energetica al di fuori del quadro programmatico di un PEN trasparente e motivato sul piano scientifico e tecnico-economico.

Restiamo a Sua disposizione, Signor Presidente, per documentarLa puntualmente su quanto affermiamo.

Presidente:

Renato Angelo Ricci

Consiglio di Presidenza:

Franco Battaglia
Carlo Bernadini
Tullio Regge
Giorgio Salvini
Umberto Tirelli
Umberto Veronesi

Consiglio Direttivo:

Cinzia Caporale
Giovanni Carboni
Maurizio Di Paola
Guido Fano
Silvio Garattini
Roberto Habel
Corrado Kropp
Giovanni Vittorio Pallottino
Ernesto Pedrocchi
Francesco Sala
Gian Tommaso Scarascia Mugnozza
Paolo Sequi
Ugo Spezia
Giorgio Trenta
Giulio Valli
Paolo Vecchia

Altri firmatari:

Claudia Baldini
Argeo Benco
Ugo Bilardo
Giuseppe Blasi
Paolo Borrione
Cristiano Bucaioni
Luigi Chilin
Raffaele Conversano
Carlo Cosmelli
Riccardo DeSalvo
Silvano Fuso
Oliviero Fuzzi
Giorgio Giacomelli
Renato Giussani
Luciano Lepori
Carlo Lombardi
Alessandro Longo
Stefano Monti
Antonio Paoletti
Salvatore Raimondi
Marco Ricci
Roberto Rosa
Angela Rosati
Massimo Sepielli
Elena Soetje Baldini
Roberto Vacca
Giuseppe Zollino

Se la classe politica non è all'altezza. Egidio Sterpa

http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=169878&START=0&2col=

La vicenda Telecom mette in evidenza la piccineria e l'ingordigia della politica.

venerdì 6 aprile 2007

Il tesoretto della vergogna. Carlo Pelanda

Il governo ha orgogliosamente comunicato che ha già realizzato una trentina delle oltre 350 misure contenute nella Finanziaria. Non c'è vergogna per aver approvato una legge di bilancio surreale, depressiva e piena di opacità. Ricorderò qui i motivi per cui dovrebbe, invece, vergognarsi sperando che servano ad evitare analoga catastrofe per la Finanziaria 2008.

Proprio nell'anno, il 2006, in cui le entrate sono aumentate di circa 38 miliardi più del previsto, un'enormità equivalente a quasi 2,5 punti di Pil, il governo ha aumentato di quasi il 2% la pressione fiscale complessiva. È un evento da storia dell'economia. Ma non è finita. Proprio nel momento in cui la Banca centrale europea annunciava un sensibile aumento del costo del denaro, e quindi dei mutui a tasso variabile, in un Paese dove questi sono tantissimi, il governo non ha calcolato l'effetto di riduzione della capacità di spesa delle famiglie dovuto all'effetto combinato dei due drenaggi contemporanei. Non solo, ha anche aumentato le tariffe e parecchie tasse indirette. Esito: la gran massa del ceto medio ed operaio a stipendio fisso ha meno soldi da spendere. E ciò porta al fenomeno paradossale che stiamo osservando ad inizio 2007: recessione/stagnazione dei consumi pur in presenza di una crescita relativamente buona del Pil.

Governo e sindacati ora cercano di metterci una toppa dando soldi in più agli statali il cui potere d'acquisto è, in effetti, sceso a livelli paurosi. Ma l'adeguamento contrattuale risolverà poco oltre a pesare sulla spesa pubblica. Il modo sano per la ricapitalizzazione di massa e per rivitalizzare la crescita interna via aumento dei consumi è quello, semplicemente, di ridurre le tasse per liberare capitale. Ed è urgente farlo, appunto, per correggere l'effetto depressivo della Finanziaria. Non a caso la Banca centrale italiana ha fatto un appello nella stessa direzione. Bisogna aggiungere che la capacità di spesa media degli italiani era già sotto stress da tempo per i salari generalmente troppo compressi e per il tragico errore di aver accettato, nel 1997, un cambio lira/euro che scontava la crisi svalutativa del passato (1992-95) e non il miglioramento prevedibile nel futuro. Così, tradotti in euro, i salari degli italiani sono risultati inadeguati al costo della vita che, per giunta, intanto aumentava. In sintesi, in un'Italia con il problema strutturale di poca capacità di spesa delle famiglie a salario fisso, il governo, invece di ridurre le tasse in un periodo in cui il buon gettito lo permetterebbe, le alza (2007) e minaccia di non farle scendere nel 2008.

giovedì 5 aprile 2007

GRAZIE Emma

ERITREA: AL BANDO LE MUTILAZIONI GENITALI FEMMINILI.
MULTA O CARCERE PER CHI NON LE DENUNCERA' ALLE AUTORITA.'

Asmara, 5 apr. (Adnkronos/Dpa) - Il governo eritreo ha deciso di considerare fuorilegge le mutilazioni genitali femminili che rappresentano un rito di passaggio dall'infanzia all'eta' adulta di una significativa maggioranza di donne. Contro tali pratiche il governo del piccolo Paese del Corno d'Africa non aveva mai prima d'ora preso posizione con una legge che e' stata varata lo scorso 31 marzo, secondo quanto precisa una nota del ministero dell'Informazione di Asmara.

Rossi, occasione persa. Davide Giacalone

Guido Rossi è stato chiamato alla presidenza di Telecom Italia da Marco Tronchetti Provera, oramai al culmine dei suoi errori e quando le ruote non rispondevano più allo sterzo. Quel giorno ho previsto una futura rottura fra i due, ma mettendo nel conto le dimissioni di Rossi, non il suo licenziamento.
Insediato alla presidenza Rossi tenne con sé il gruppo dirigente ereditato da Tronchetti, limitandosi a chiedere a Buora di scegliere fra Telecom e Pirelli. La dottrina Tronchetti venne, però, ribaltata. Un esempio per tutti: Tim Brasile era in vendita, acquirente America Movil, e si decise invece di conservarla. I contrasti crebbero quando il socio di riferimento ha tentato e ritentato di vendere la baracca senza neanche consultarne gli amministratori, ed all'ultimo consiglio d'amministrazione fu la proprietà ad essere messa in minoranza. Ma poi accadde che gli stessi che avevano votato per la linea Rossi ci abbiano ripensato, inviandogli una lettera di sfiducia. A quel punto si era all'inedita situazione di una società quotata con in minoranza sia il presidente che il socio di maggioranza relativa.
Adesso che Tronchetti ha scaricato Rossi qualcuno dirà, con il solito cinismo artefatto, che “i quattrini contano” e la proprietà reclama i suoi diritti. Si dirà che questo è il mercato. Ma è qui che sta l'errore ed il trucco: Olimpia, quindi Pirelli e Benetton, non sono affatto i proprietari di Telecom, ma i depositari di una rendita di posizione resa possibile dall'inconsistenza delle autorità di controllo, Consob in testa, e dall'insipienza della politica. Tronchetti continua a trattare Telecom come se fosse roba sua, mentre Olimpia, stracarica di debiti, ne possiede meno del diciotto per cento. Ai diritti del rimanente ottantadue, in tutti questi anni, non ha provveduto nessuno. Con l'aggravante che tanta impunità rende oggi possibile un passaggio all'estero del controllo senza che neanche Telecom sia venduta. Non è allo straniero che ci si deve ribellare, ma agli italiani che hanno consentito questa roba.
Non è un mistero che Rossi, dalla presidenza, ha lavorato e lavora ad una cordata alternativa ad Olimpia. Il che, ancora una volta, non risponde alle regole del mercato, ma alle sue storture, agli sgorbi che si edificano quando le fondamenta sono sbilenche. Ora Rossi, che resterà al suo posto almeno fino all'assemblea, rifletta sul fatto che lui è cancellato dalla lista di Olimpia mentre Buora e Ruggero sono confermati, rifletta, come segnalavamo appena tre giorni fa, sul fatto che l'unico estraneo a quel vecchio gruppo dirigente, responsabile di non pochi guai e quanto meno incapace di vigilare sulle devianze interne, è accompagnato alla porta, e ci dica se non avevamo ragione a ripetere che, se le regole avessero ancora cittadinanza, sarebbe stato giusto e saggio promuovere un'azione di responsabilità nei confronti della passata (in gran parte presente e forse anche futura) dirigenza.
Leggo di diversi esponenti della sinistra, anche uomini di governo, che ricordano, adesso, che ci sono inchieste penali assai gravi che pendono sul capo di chi ha diretto Telecom, al punto da sconsigliare agli stranieri di comprare (sempre Olimpia) e da ipotizzare un improponibile ritiro della concessione (che neanche esiste più). Eccola, avvocato Rossi, la patologia penale di un Paese dove si vive, e si muore, d'inchieste senza processi. Ma è proprio l'incapacità delle società di mettere in circolazione gli anticorpi a far sì che l'infezione dilaghi. Lei lo ha scritto, in passato, ma ha perso una bella occasione per dar corpo a quelle pagine.

mercoledì 4 aprile 2007

La cultura di destra c'è. Angelo Crespi

http://www.ildomenicale.it/editoriale.asp

Le considerazioni del direttore del Domenicale a proposito dei giornalisti del Corriere della sera.

Telecom: Prodi e Bersani nel pallone, a sinistra c'è chi spera in Berlusconi. Carlo Panella

Andrà a finire che il centrosinistra unito chiederà a Berlusconi di salvare la patria e di comprare Telecom. Non è uno scherzo, ma neanche una previsione, è solo una sensazione ampiamente motivata dall’aria che spira nelle tormentate stanze del centrosinistra che da 9 anni si occupa –sempre peggio- di Telecom, che ha favorito irresponsabilmente con D’Alema a suo tempo le più avventate manovre speculative di Colanninno e Gnutti, che è inciampata nel “caso Rovati” e che oggi non sa bene a che santo votarsi. Mentre Di Pietro, Diliberto, Bertinotti e Pecoraro invocano l’interventismo dello Stato, magari “a tutela dell’occupazione”, con la solita confusione di testa tra sindacalisti e economisti, Prodi dà la netta impressione di non sapere bene che fare e di essere travolto, ancora una volta, dagli avvenimenti. La manovra bancaria è sfumata e ora il rilancio operato da Tronchetti rischia di trasformare la controfferta per superare la valutazione delle azioni degli americo-messicani, in una gara al rialzo.
Ma l’Unione non può permettere certo che –Prodi e Ulivo regnanti- gli “amerikani”, straodiati da buona parte della sua base elettorale, mettano le mani sulle nostre telecomunicazioni. Il problema però, è che né Prodi, né Bersani, hanno lavorato nei mesi scorsi all’unica opzione alternativa possibile, quella europea, per la semplice e sporchetta ragione che non hanno rapporti e legami –stile Unipol o Bazoli, per intenderci- con nessun gruppo continentale e quindi hanno puntato tutto sul pool di banche, con evidenti ritorni personali di potere per il loro sempre più urgente progetto di “Iri personale”. Ma le banche, oltre a avere problemi sulla valutazione delle azioni, hanno anche il drammatico problema di non sapere minimamente gestire industrialmente Telecom e una loro vittoria aggraverebbe straordinariamente la “patologia finanziaria” di cui telecom soffre dal 1999, a causa proprio della dissennata privatizzazione pilotata da D’Alema nelle mani di speculatori non industriali..
L’unica alternativa nazionale seria, dotata di capitali adeguati e di know how industriale è dunque Fininvest, magari con un qualche patto o raccordo col gruppo De Benedetti. Ma se così fosse, se i due avversari fossero chiamati a “salvare la patria”, sarebbero evidenti le ricadute politiche. L’uno e l’altro infatti hanno chiare e specifiche strategie di potere. E non è affatto detto che non siano componibili. Una Grosse Koalition tra Mediaset e Repubblica, in fondo, non sarebbe certo peggiore di questo governo sgangherato che un Gino Strada qualsiasi può permettersi il lusso di insultare a sangue (“Un governo di servi e di vigliacchi”, l’ha definito ieri), senza che nessuno gli risponda.

Lettera dal Lussemburgo. MatteoC

Ciao PT,
Saro’ civile stavolta. Ma anche tutt’altro che breve.

Che ne so io della scuola? Mia madre insegna filosofia e storia al liceo classico da 35 anni, la piu’ importante delle mie ex ragazze anche, e io pure ne sono uscito dopo aver fatto bella figura in tutti i concorsi possibili.
Stranamente mia madre è tutt’altro che di sinistra, ma non si presenta a scuola con l’Unità come molti altri.

Detto questo, mi accusi di buttare paroloni a caso. Forse hai ragione. La mia retorica si è un po’ arrugginita, perché poi ho studiato economia.

Ringrazio Dio ogni giorno di questa scelta, e non solo perché se avessi fatto lettere avrei passato quattro anni in un inferno di zecche strafatte di canne, straccione e aggressive.

Ma soprattutto perché adesso non sarei quadro nella banca svizzera piu’ importante del mondo, sede lussemburghese, non parlerei tre lingue (inglese e francese, non ci metto il tedesco, perché non riesco ancora a sostenere una discussione di lavoro), e non avrei comprato due case da dicembre 2006 ad oggi, una a Bratislava (perché, per tornare al discorso tuo, per le marchette preferisco le slovacche alle liceali che in genere sono imbranate, sboccate e truccate malissimo) e l’altra a Treviri, in Germania, perché non essendo stata bombardata in guerra, si trovano ancora delle belle case liberty in centro coi soffitti alti alti e i bei finestroni che facevano una volta.

Perché ti dico tutto questo? Perché forse hai ragione, per il lavoro che faccio dovrei davvero votare Prodi: lui è il nostro salvatore, il nostro socio di maggioranza.

Una parola sua, o meglio ancora di Bertinotti, ci porta milioni di euro. Da aprile ad oggi i miei colleghi dell’Italian Desk hanno sorrisoni che Berlusconi in confronto è Pierrot piangente. Con lo scudo fiscale di Silvio ce la siamo passata davvero male, e infatti il numero di banche in Lussemburgo è passato da 200 circa a 174 dal 2002 al 2006 (dati sul sito CSSF.lu, la Consob lussemburghese), ma da aprile i rubinetti si sono riaperti.

Tu davvero credi che tutte le bertinottate di redistribuzione del reddito, di tassa sui BOT, di imposizione sui capital gains, di accisa sugli interessi, di European Savings Directive faccia piangere i ricchi?

Andiamo! Per i piccoli risparmiatori, questo si’, è terribile, perché non possono permettersi di pagare le nostre commissioni di tenuta conto e servizi vari (fino all’1% annuo); ma i ricchi veri, quelli non piangono mai. Perché ci siamo NOI.

Ci sono i miei colleghi di Products & Services, pagatissimi per sfornare prodotti che scivolano dalle maglie delle vostre trovate, vere reti contro natura che stritolano la sardina e lasciano passare lo squalo.

E piu’ voi serrate le maglie con interventi liberticidi, piu’ impoverite i poveri e arricchite i ricchi. Ma del resto, non lo diceva anche Gesu’ Cristo “a chi ha sarà dato, a chi non ha sarà tolto anche quello che ha?” Bravi, ci siete riusciti. Solo che Cristo parlava di spirito, voi ammazzate panettieri e idraulici.

Siamo noi gli angeli custodi degli squali. Siamo noi ad avere paura di Berlusconi. Perché lui sa come ragioniamo, ha fatto affari con noi tutta la vita, e sa cosa ci fa male.Ma ho un cuore, una coscienza anch’io, e posso permettermi di fare il sepolcro imbiancato, votare Berlusconi e godermi i bonus di Prodi...Tanto, detto tra noi, prima che il mio datore di lavoro vada a puttane, deve suonare la settima tromba dell’Apocalisse.

Credi che i gruppi editoriali dei giornali con l’anima bella che leggi tu non abbiano le loro strutture complicatissime quassu’? AH AH AH AH – scusa, all’inizio quasi non ci credevo neanch’io.

Quindi: chi ha pochi soldi, diciamo fino a 100 000 euro (quindi pensaci bene, i tuoi genitori, i tuoi nonni), non puo’ venire quassu’ e si fa massacrare dalle tasse. Chi ha i milioni fa una bella holding qui, le intesta le obbligazioni, le obbligazioni pagano interessi alla holding, poi la holding paga i dividendi che NON sono assoggettati alle vostre tasse, e sono tutti contenti. Il socio della holding, i revisori dei conti che sono pagati ogni anno per fare la revisione delle holding (ero revisore fino a 9 mesi fa), e le banche che domiciliano la holding.

Detto questo, ci siamo insultati. Ci siamo azzuffati. Non me ne pento e non chiedo scusa, perché per entrambi è stato bello. Ma ogni bel gioco dura poco, e non voglio continuare su questo tasto, la scurrilità è divertente per 4 e-mail, dopo diventa di una nullità esasperante.

Dici che sono un deficiente che butta paroloni, e quindi, ad abundantiam, che sono un superficiale.

Ma la mia vita l’ho fatta anch’io. Ho 29 anni e 3 mesi, pochi lo riconosco, ma ho già lavorato a Roma, a Londra, a Bruxelles e in Lussemburgo. E’ dura. Ogni volta una lingua diversa, giornali diversi, colleghi diversi, mentalità diverse, giornali diversi, indirizzi diversi, pietanze diverse.

E’ dura vedere mamma 3 volte l’anno, e da dieci anni è cosi’; e’ dura scopare in un’altra lingua e lavarsi il culo nel lavandino perché il bidet non c’è. E’ dura ogni volta dover imparare come si dice “motorizzazione civile”, “ufficio immigrazione” (anche se, lo ammetto, l’immigrazione coi soldi ha i suoi lati positivi), “aspirapolvere”, “letto”, “armadio” eccetera…Specie per me che detesto l’IKEA, preferisco i legni duri (noce, ciliegio, castagno) alle schifezze di abetaccio impiallacciato scandinavo.

Tutto questo per dire che da parte mia, m’impegno ad abbassare il tono della discussione; ma sinceramente, che TU dia a me del DEFICIENTE, senza conoscermi e sulla base di una non meglio identificata superiorità morale, mi spiace ma e’ TROPPO FACILE.

Non so cos’è che anima la tua acredine, certamente il risentimento ha la sua bella responsabilità, ma il solo fatto che voialtri gridiate piu’ di noi non significa niente. NIENTE.

Noi non urliamo perché il nostro tempo preferiamo passarlo a costruire case, famiglie e ricchezze, bere e scopare, guidare belle macchine e ascoltare bella musica nell’amplificatore Marantz di ferro da otto chili, ma tutti i nostri hobby CE LI SIAMO PAGATI, STUDIANDO E LAVORANDO COME BESTIE, senza sabati in discoteca e domeniche di doposbronza, senza mesi di occupazione, senza comizi politici e senza vetrine rotte e senza tutte le belle cose che animano le adolescenze vuote e banali e senza Dio di molti.

E voi non ce lo prenderete. Vi piacerebbe, ma non lo avrete mai.

Perché se davvero pensi che qualunque politica redistributiva che non sia basata sulla meritocrazia e sulla libera impresa possa dare qualche frutto, allora davvero fai bene a passare il tuo tempo a rosicare sui siti di centrodestra, a insultare persone che non potrai mai ferire nel cuore, per quanto violento e bestiale l’attacco possa essere.

Perché - e qui ipotizzo, capo se mi sbaglio dillo - Maurom ha fatto si' questo sito, ma la sua vita ha anche ALTRO, e se non t'ha ancora cancellato e ti lascia sbraitare vuol dire che coi tuoi insulti beceri ci si fa un bello shampoo tonificante allo scroto (o almeno, è quello che mi farei)

Quanto a noi e alla nostra anima stai tranquillo, facciamo molto piu’ noi con la beneficenza in chiesa, o adottando bambini in India, di tutti i soldi che scucirete mai voi tra un festival dell’Unità e un sit-in di solidarietà.

Se poi volessi cambiare il tono degli interventi sul post, for the sake of kindness, politeness and humanity, ben venga, avrai in me un interlocutore attento e oggettivo come non sono mai stato finora.

Scusa, Mauro, per l’articolessa…Per uno che fa della sintesi il bene supremo, stavolta sono andato davvero fuori dal vaso.

Va là, PT, che nessuno m'aveva mai fatto perdere tanto tempo, quasi m'hai fatto affezionare, hai visto mai che ti offriro' da bere un giorno...Le vie del Signore sono infinite.

martedì 3 aprile 2007

Telecom e la debolezza morale. Davide Giacalone

Gattini ciechi, ed irresponsabili, al governo. Per la faccenda Telecom Italia sono “sconcertati” (Bersani), “preoccupatissimi” (Gentiloni), desiderosi di “reagire” (Di Pietro), ma si sono dimenticati che la colpa è del loro presidente del Consiglio, Romano Prodi, e del loro collega agli esteri, Massimo Dalema.
Il primo, nel 1997, garantì che nessuno, mai, avrebbe controllato più del 3% della società, che sarebbe stata un public company, il secondo, nel 1999, tirò lo sciacquone sulla garanzia, favorendo la vendita a società lussemburghesi. I signori oggi sconcertati, preoccupati o reagenti se ne stettero zitti, siedono oggi al governo con i responsabili, e non si vede dunque di cosa si lamentino. Ma il problema non sono i loro miagolii inutili, il problema è Telecom, l'opacità che la avvolge, le deviazioni che ne promanano.
Daniele Capezzone dice che la politica non deve intromettersi, si deve lasciar fare al mercato e non si deve avere paura dello straniero. Aggiungo che lo straniero potrebbe essere un bene, se sarà capace di segnare una rottura gestionale, avvierà le azioni di responsabilità che i connazionali s'impauriscono a promuovere, romperà i legami con l'editoria relazionale e non ricorrerà allo spionaggio ed alla diffamazione. Lo straniero sarebbe un bene se desse una lezione al capitalismo asfittico di finanzieri alla ricerca di rendite, se spiegasse che è scandaloso un mercato azionario nel quale il più pagato degli amministratori (Carlo Buora) è il responsabile di due società che vanno malissimo. Ma, mio caro Daniele, non è questo che Tronchetti Provera ha annunciato alla stampa presentando il suo ennesimo compratore estero e per l'ennesima volta influenzando il valore delle azioni. Americani (At&T) e messicani (America Movil), oggi di turno, non sono candidati ad acquistare Telecom Italia, che andrebbe benissimo, ma a divenire soci di Tronchetti Provera in Olimpia. Che è una porcheria.
Ciò è possibile, lo dicevo e lo ripeto, per colpa di Prodi e Dalema, ma anche perché nel nostro Paese non funzionano le autorità di garanzia e controllo. La Consob non ha fatto il suo dovere e chi oggi comprasse il 18% di Telecom in Borsa rischierebbe di essere costretto ad un'Opa cui non si costrinse Olimpia, il che crea una rendita di posizione nelle mani di Pirelli e Benetton, ma mette in evidenza un difetto strutturale del nostro mercato. L'Agcom osserva silente il mercato dell'operatore mobile virtuale, dove in opacità assoluta valgono solo gli accordi fra gruppi (con le Coop che si accordano con Tim, memori degli ottimi affari di Consorte) anziché le regole del mercato e della concorrenza. La magistratura penale procede, ma con infinita lentezza. In queste condizioni l'investimento estero non sarebbe su un mercato in sviluppo (che andrebbe bene), ma sull'arretratezza istituzionale e politica (che è un male).La politica che frigna sulla “rete” mostra di non sapere nulla delle moderne telecomunicazioni, giacché, semmai, sarebbe da cogliersi l'occasione per destrutturarla, aprendo il mercato alla larga banda senza fili ed a nuovi concorrenti. Quella politica sta difendendo le tlc di venti anni fa, ed è con la testa indietro di quaranta che tifa per le banche, secondo lo schema Iri che, del resto, ha dato alla vita Prodi. Il quale Prodi è più furbo e ha dato il via libera a Tronchetti Provera, senza neanche informare i suoi agitati e preoccupati ministri.
In tutto questo non mi stupisce o scandalizza l'abilità manovriera di questo o di quello, ma l'assenza di anticorpi, l'assenza di voci forti che indichino l'imbroglio e non tacciano le responsabilità. Mi preoccupa una stampa che ancora ammira le trovate del padrone che ha fallito. Questi sono i sintomi di un Paese impoverito moralmente, incapace di etica pubblica, dove passano per stravaganti le poche schiene dritte.

domenica 1 aprile 2007

L'Università azzoppata dalla sinistra. Gaetano Quagliariello

http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=168031&START=0&2col=

I docenti e gli studenti di sinistra hanno portato alla sclerosi dell'Università.