martedì 17 novembre 2015

La zona grigia. Davide Giacalone


E’ necessario illuminare la zona grigia, come lo fu aprire l’album di famiglia. L’espressione “islam moderato” è fuorviante, a sua volta priva di moderazione. Contano le persone. Quando si raggruppano, le comunità. E di mussulmani conducenti una vita normale ce ne sono tanti, in Italia. Tantissimi nel mondo. Mussulmano è il Marocco che in passato ospitò gli ebrei in fuga, da cristiani bastardi, e che oggi organizza scuole per guide religiose, iman, interessate alla fede e non alle armi. Però, non dobbiamo essere ipocriti: c’è una zona grigia, che comporta un problema. Siccome è evidente che camminiamo su un terreno minato, da sensibilità religiose ed etniche, siccome non sfugge a nessuno che buonisti e cattivisti hanno messo su una sceneggiata insensata, ma nella quale trovano il solo senso alla loro vita, partiamo dalla zona grigia che fu tra noi.
Per troppo tempo si tentò di negare che il terrorismo di sinistra fosse comunista. Affermarlo era considerato offensivo, a dispetto del fatto che i vari dispacci, analfabeti e deliranti, provenienti da quel mondo non facevano che inneggiare al comunismo. Nel diffondersi di quella allucinazione contò anche il consenso tacito. Cominciarono con i sequestri lampo dei capo reparto, talché era possibile sentire: quello è una carogna, se l’è meritato. Poi arrivarono le gambizzazioni: è una brutta cosa, ma anche quello cui hanno sparato non è mica una bella persona. Dietro c’era tutta la retorica basata sul falso storico della “resistenza tradita”. E chi glielo poteva far capire, a quelle zucche vuote, che il mito gemello del “risorgimento tradito” aveva portato alla guerra e al fascismo. In quella brodaglia, allungata con miti e ignoranza, sobbolliva la zona grigia: non era parte del terrorismo, ma neanche le andava d’essere dall’altra parte (lasciate perdere Leonardo Sciascia, che è tutt’altra faccenda).
Erano comunisti quelli delle Brigate rosse, quelli di Prima linea. Erano comunisti i cattolici allucinati alla Renato Curcio, lo era un contadino alla Prospero Gallinari, un borghesuccio alla Valerio Morucci, una scappata di casa alla Adriana Faranda, una spia dell’est alla Mario Moretti. Ma erano comunisti anche Giorgio Napolitano e Massimo D’Alema, per citare solo due illustri contemporanei. Ovvio che non fossero la stessa cosa, ma Rossana Rossanda scrisse che nell’album di famiglia si trovavano tracce comuni. Aveva ragione. Nel mentre la repressione faceva il suo giusto corso, quello fu il viatico verso la consapevolezza: erano comunisti, in quanto tali doppiamente nemici di quanti, da comunisti, erano dentro le istituzioni. Questo portò a una rottura sul fronte più esposto, le fabbriche. Cominciarono le denunce, l’indicazione dei potenziali terroristi, considerate un dovere, non una spiata. Un sindacalista, Guido Rossa, per questo fu ammazzato. Lo scontro era aperto, la zona grigia non più possibile, la sconfitta del terrorismo era solo questione di tempo. E così andò, anche se ci costò molto. In sangue e in diritto.
Quella è tutta roba nostra. Oggi va benissimo che le comunità islamiche condannino il terrorismo, e si dovrebbe dare loro più spazio, nei mezzi di comunicazione. Va benissimo che parlino della loro fede come tesa alla vita e non alla morte. Ma prosciugare la zona grigia comporta il passare dalla distanza alla denuncia. Tocca a loro guardare nell’album di famiglia e cogliere i segni di qualche degenere. Anche dei sospetti, delle sensazioni, senza timore di esagerare. Tanto più che il nostro sistema in tutti i modi si può definire, ma non certo come ferocemente repressivo (per l’attentato al Bardo, Tunisi, ci fu segnalato il nome di un presunto terrorista, marocchino, che fu subito arrestato, ma non estradato e riconosciuto estraneo).
E senza scuse. Certo che esiste il disagio sociale. Certo che c’è disoccupazione e delusione. Ma in un contesto di ricchezza, assistenza e garanzie. Chi non lo sopporta, italiano o straniero che sia, di prima, seconda o terza generazione, può imboccare la porta e andare via. Saluti. Chi resta, da mio concittadino, ha tutto il diritto di prosperare o protestare, se del caso, ma non ha alcun diritto di coprire i terroristi, o anche solo la brodaglia nella quale galleggiano. La situazione nella quale ci troviamo comporta la necessità di guardare dentro i raduni islamici. Va fatto con rispetto, ma va fatto. La accolgano come un’occasione positiva, pur se frutto di tragedie.
Nella nostra storia recente, di italiani, spazzammo via la zona grigia, senza per questo diventare tutti uguali o rinunciare alle nostre preziose differenze. I nostri concittadini islamici devono ora fare la stessa cosa. Lo si farà comunque, ma fatto da loro sarà fatto meglio.
Davide Giacalone


venerdì 13 novembre 2015

Il linguaggio della sinistra


Cos'è la coesione sociale? Tra virgolette potremmo dire un percorso condiviso. Detto questo penso che la cultura della cooperazione necessiti di regole condivise.
A monte della questione c'è un modello da portare avanti mentre a valle penso ad un modello di relazioni.
Ciò non toglie che un'alleanza larga con la società civile sia del tutto evidente.
Rimane sul tappeto il problema delle risorse: in questo caso vedo l'opportunità di aprire tavoli di verifica e discussione.
Qualora non ci fossero le condizioni la risposta è molto semplice: il modello di relazioni sarà bipartisan e gli interlocutori saranno accompagnati in un percorso condiviso.
Credo assolutamente che stiamo andando nella giusta direzione perché il governo ha fatto le scelte opportune seguendo regole condivise.
Poiché siamo sulla strada giusta, non possiamo fare un passo indietro: nella fase costituente è necessario orientare il sistema politico verso un modello fortemente radicato sul territorio.
La stagione referendaria consentirà di prendere le giuste posizioni e di imprimere alla lotta sindacale il riconoscimento che le spetta.


Carezze moleste. Davide Giacalone


Se è una coincidenza non si sarebbe potuto immaginarla più sfortunata. Un improvvido ringraziamento del presidente del Consiglio, cui sfuggono i confini dei diversi ruoli istituzionali, ha lasciato intendere che alla procura (“i magistrati” comprendono anche i giudici, il che peggiora le cose) di Milano occorre essere grati, per non avere disturbato lo svolgimento dell’Expo e il “sistema istituzionale” (“voglio ringraziare i magistrati di Milano per il rispetto rigoroso della legge ma anche del sistema istituzionale”). Siccome la procura non gestisce lavori stradali e non emette rumori molesti, s’intende che la gratitudine sia relativa al ruolo che la legge le assegna: svolgere le indagini e formulare le accuse. Piovono le smentite, si ribadisce che nessun accordo, patto o trattativa ci sarebbe mai stato. Già, ci mancherebbe altro! Poi, la mattina appresso, s’eseguono mandati di cattura, in Italia e in Grecia, diretti a quanti avrebbero messo a soqquadro Milano, il primo maggio, al grido (delirante) di “No-Expo”. Se è una coincidenza è diabolicamente maliziosa.
Posto quel che vale sempre e per tutti, ovvero che gli arrestati sono da considerarsi innocenti fino a condanna definitiva, gliecché l’accusa loro rivolta li caratterizza come soggetti pericolosi. Quanto meno a giudizio della procura che ne ha chiesto la custodia cautelare. Se sono tali, non andavano arrestati subito? I reati per i quali sono indagati sono proprio quelli descritti dalla legge, con violenza e pericolosità sociale, per giustificare una detenzione prima della condanna. Che senso ha la custodia cautelare sette mesi dopo? Dicono in procura: abbiamo indagato per mesi. Anzi, questo smentisce sospensioni o congelamenti. Hanno indagato su cosa? Sulle immagini. Nel frattempo i sospetti si sono dileguati. E se le indagini sono già state fatte, di grazia, perché non ne depositano i risultati, chiedendo il rinvio a giudizio di quelli che, in quel momento, diventerebbero imputati? Siccome i contorni della faccenda sono piuttosto confusi, va a finire che la coincidenza temporale (chiude l’Expo, il governo ringrazia la procura per essersi astenuta, quindi partono gli arresti) fanno da conferma a un pessimo sospetto.
Aggiungo che non mi scandalizzerei affatto, se una procura, quella di Milano per Expo o altre, per altri eventi di rilievo generale, ritenesse di dovere evitare atti che, pur consentiti dalla legge, arrechino un danno al Paese. Che so, ad esempio, non mandare al capo del governo un avviso di garanzia nel mentre è in corso un vertice internazionale. Ribadito che la legge non prevede e nessuna persona seria avverte il bisogno che i procuratori si producano in conferenze stampa, che precedono di lustri gli esiti processuali, non mi scandalizzerebbe se ci si astenesse anche da atti formali rinviabili. Ma questo non può che avvenire nel più assoluto silenzio e nel più rigoroso isolamento, dovendosi escludere ogni pur minimo contatto con le autorità di governo. In caso contrario si esce dalla prudenza e si entra nell’impudenza. Se non direttamente nel reato. Ecco perché, a essere seri, dopo le parole di Matteo Renzi sarebbe stato saggio emettere un comunicato, dalla procura, che prendesse rispettosamente le distanze dallo strafalcione istituzionale. Del tipo: nessuno deve ringraziarci per avere rispettato la legge e siccome altro non facciamo che rispettarla, nessuno di ringrazi mai. Invece s’è vista qualche penna di pavone, prima che l’intervento de Il Giornale suggerisse l’opportunità di rimpiattarle in fretta. Del resto, mi pare ovvio: se accetti gli elogi devi accettare anche le critiche. Cosa che non mi pare solita, in quei palazzi. Ragione di più per cui ci sarebbe stato bene anche un comunicato della solitamente loquace Associazione nazionale magistrati: il governante non s’azzardi a interferire nella totale indipendenza del magistrato, né con carezze né con avverse facezie. Ma nulla di ciò leggemmo.
La cosa paradossale è che tutti pensano alle inchieste sulla corruzione, quindi agli arresti dei colletti bianchi (che, ove colpevoli, sono dei delinquenti, ma non dei violenti e non pericolosi per l’umanità che li circonda), invece l’arresto successivo alle lodi riguarda maneschi e teppisti. Anche questo potrebbe avere una logica: farlo prima avrebbe significato sollecitare una risposta della pizza, nel mentre su piazza si trovava l’Expo. Ma, oltre a essere conferma di uno scambio illecito, questa sarebbe anche una posticipazione che ha esposto altri a pericoli reali, mentre ha consentito a taluni fughe all’estero.
Coincidenze. Può darsi. Ma sarebbe più facile crederlo se le parole di Renzi avessero destato ripulsa fra quanti venivano lisciati, se si fossero discostati dalle carezze moleste. Invece s’udirono le fusa.
Pubblicato da Libero