mercoledì 29 ottobre 2008

Un discorso severo ai ragazzi. Valerio Fioravanti

Le proteste contro la povera ministra Gelmini sembrano sgonfiarsi rapidamente, e i tempi rapidi dei passaggi parlamentari stanno certamente aiutando in questo senso. Vedremo se l’ennesima riforma parziale funzionerà, o se tutto si impantanerà come al solito. Lo scossone sembra di rilievo, ma l’Italia ha una lunga tradizione di leggi varate e inganni subito dopo varati, e non è detto che il taglio di fondi porti automaticamente i migliori ad emergere. Vedremo. Intanto nella discussione un elemento è mancato: nessuno sembra aver avuto il coraggio di fare agli studenti un discorso severo ma ineluttabile. Ai ragazzi qualcuno avrebbe dovuto dire: “Nessuno vi vuole male, nessuno ce l’ha con voi, ma ci sono delle cose importanti che vanno aggiustate. Ad esempio non abbiamo bisogno di diverse decine di migliaia di laureati l’anno in Lettere, Scienze della Comunicazione, Sociologia o Scienze Politiche. Non perché questo governo sia cattivo o disinteressato. Ma perché è l’Europa a non aver bisogno di titoli del genere, è perché nel mondo intero queste qualifiche servono a molto poco. Nessuno vuole togliervi il diritto di laurearvi in Lettere e cose simili, ma se lo fate, poi non abbiate subito dopo la pretesa che lo Stato vi assegni un impiego a tempo indeterminato. Laureatevi in quello che volete, ma se poi sarete precari, sappiate che non abbiamo risorse per trovarvi il famoso posto fisso. Il paese, che deve competere con il resto del mondo, ha più bisogno di altre specializzazioni. Su quelle sposteremo le risorse, e nessuno consideri questo necessario aggiornamento una cattiveria o un complotto”. A dire il vero molti studenti questo discorso sembrano averlo capito da soli, ma un ripasso per i più ideologicamente illusi non farebbe male. (l'Opinione)

martedì 28 ottobre 2008

Per usare i pentiti fecero fuori Falcone. Davide Giacalone

La vittima non è Calogero Mannino, è l’Italia. Qui non finisce una storia giudiziaria, qui inizia il dovere della memoria. Dopo quattordici anni, di cui due passati in galera, un ex ministro è non colpevole d’avere favorito la mafia. Mannino vince la sua partita giudiziaria e umana. Noi abbiamo perso tutto, e tacendo ci giocheremmo anche l’onore.
Questo non è l’unico processo avventuroso ed infondato con cui s’è cambiato il corso della storia italiana. Sono tanti, e non solo palermitani. Questo non è l’unico sfregio che, con l’uso incontrollato e criminale dei pentiti, s’è fatto al volto della giustizia. Per accedere a quest’arma la sinistra giudiziaria dei Violante e delle Paciotti dovette far fuori Giovanni Falcone. Da allora, mai, nessun pentito ha pagato per le bugie dette. Sapete perché? Perché temono che questi infami assassini rivelino chi gliele ha suggerite. Ricordatevi di Balduccio Di Maggio, presunto pentito cui lo Stato diede i soldi per comperare le armi e continuare ad ammazzare, il quale di fesserie ne ha raccontate tante. Il padre gli telefonò, preoccupato, chiedendogli se non fosse impazzito. Lui rispose: padre mio, tengo i cani attaccati. In aula, durante il processo ad Andreotti, gli chiesero: chi sono i cani? Lui indicò i pubblici ministeri, a descriverne la dipendenza. E’ chiaro?
La classe dirigente siciliana meritava la sconfitta politica, invece la giustizia politicizzata ci ha sequestrato la democrazia. Gli oppositori di Mannino credettero di vincere, non s’accorsero d’essersi suicidati. Gli italiani hanno subito un danno irreparabile ed i palermitani anche la beffa di dover pagare le spese giudiziarie, essendosi il loro comune improvvidamente costituito parte civile. Cercarono di rendere mafiosa la storia d’Italia, l’altra faccia della medaglia è la santificazione di chi pure ha responsabilità politiche. Invece si devono far emergere le responsabilità personali di chi ha allestito la fetida stagione giustizialista. E’ vitale non inquinare la memoria.
Non è facile, credetemi, e parole come queste si pagano per anni, nelle aule di giustizia. Dove ti trovi da solo e con il rischio di schiantare senza che nessuno dica una parola, perché non c’è solidarietà per i liberi ed i disallineati. Mai, però, rassegnarsi alla corruzione della storia.

La fabbrica dei docenti. Francesco Giavazzi

La situazione nelle nostre università è paradossale. Studenti e professori protestano contro una riforma che non esiste; il ministro, preoccupato dalle proteste, non si decide a spiegare quel che intende fare per riformare l'università. L'unica certezza è che nei prossimi mesi si svolgeranno nuovi concorsi per 2.000 posti di ricercatore e 4.000 posti di professore ordinario e associato, ai quali seguiranno, entro breve, altri 1.000 posti di ricercatore. In tutto 7.000 posti, più del dieci per cento dei docenti oggi di ruolo.

I 4.000 posti di professore saranno semplicemente promozioni di persone che sono dentro l'università. Le promozioni avverranno secondo le vecchie regole, cioè con concorsi finti. E' assolutamente inutile che un giovane ricercatore che consegue il dottorato a Chicago o a Heidelberg faccia domanda: di ciascun concorso già si conosce il vincitore. I 3.000 concorsi per ricercatore assicureranno un posto a vita ad altrettanti dottorandi che lamentano la loro condizione di precari. In tutte le università del mondo ad un certo punto si ottiene un posto a vita, ma ciò avviene solo dopo aver dimostrato ripetutamente di saper conseguire risultati nella ricerca.

Qui invece si chiede la stabilizzazione per decreto senza neppure che sia necessario aver conseguito il dottorato. Il ministro ha ereditato questi concorsi dal suo predecessore e non pare aver la forza per cambiarli e assegnare i posti secondo criteri di merito piuttosto che di fedeltà. Gli studenti ignorano tutto ciò e sembrano non capire l'importanza di meccanismi di selezione rigorosi, in assenza dei quali le università che frequentano vendono favole. In quanto ai professori, buoni, buoni, zitti, zitti. Se questi concorsi andranno in porto ogni discussione sulla riforma dell'università sarà d'ora in poi vana: per dieci anni non ci sarà più posto per nessuno e ai nostri studenti migliori non rimarrà altra via che l'emigrazione.

La legge finanziaria dispone un taglio ai fondi all'università che è significativo, ma non drammatico: in media il 3% l'anno (1,4 miliardi in 5 anni su una spesa complessiva di circa 10 miliardi l'anno). Si parte da tagli quasi nulli nel 2009, mentre poi le riduzioni diverranno via via crescenti per raggiungere la media del 3% nell' arco di un quinquennio. Il taglio non è terribile, anche considerando che la stessa Conferenza dei rettori ammette che in Italia la spesa per studente è più alta che in Francia e in Gran Bretagna. Comunque reperire risorse è sempre possibile: ad esempio, si potrebbero cancellare le regole sull' età di pensionamento approvate dal governo Prodi, ritornare alla legge Maroni e investire i denari così risparmiati nella ricerca e nell'università. Né mi parrebbe osceno far pagare tasse universitarie più elevate alle famiglie ricche e usare il ricavo in parte per compensare i tagli, in parte per finanziare borse di studio per i più poveri.

Come spiega Roberto Perotti in un libro che chiunque si occupa dell'università dovrebbe leggere («L'università truccata», Einaudi, 2008) tasse uguali per tutti sono un modo per trasferire reddito dai poveri ai ricchi. I dati dell'indagine sulle famiglie della Banca d'Italia, citati da Perotti, mostrano che il 24% degli studenti universitari proviene dal 20% più ricco delle famiglie; solo l'8% proviene dal 20% più povero. Nel Sud la disparità è ancora più ampia: 28% contro 4%. Il ministro Gelmini afferma che il suo modello è Barack Obama: forse il ministro non sa quanto costa a una famiglia americana mandare il figlio in una buona università. In una delle migliori, il Massachusetts Institute of Technology, la frequenza costa 50.100 dollari l'anno (40.000 euro), ma il 64% degli studenti che frequentano il primo livello di laurea riceve una borsa di studio. (Corriere della Sera)

lunedì 27 ottobre 2008

L'Italia immobile. Ernesto Galli della Loggia

Un Paese fermo, consegnato all'immobilità: ecco come appare oggi l'Italia. Non già nella cronaca convulsa del giorno per giorno, nell'agitazione della lotta politica, nei movimenti sempre imprevedibili di una società composita, frammentata e priva di inquadramenti istituzionali forti. Ma un Paese fermo perché anche nelle sue élites prigioniero dei luoghi comuni, incapace di pensare e di fare cose nuove in modo nuovo, di sciogliere i nodi che da tanto tempo ostacolano il suo cammino.

Da trent'anni ci portiamo sulle spalle un debito pubblico smisurato che non riusciamo a diminuire neppure di tanto. Da decenni dobbiamo riformare la scuola, la Rai, la sanità, le pensioni, la magistratura, la legge sulla cittadinanza, e siamo sempre lì a discutere come farlo. Da decenni dobbiamo costruire la Pedemontana, le prigioni che mancano, il sistema degli acquedotti che fa acqua, il ponte sullo Stretto, le metropolitane nelle città, la Salerno- Reggio Calabria, la Tav del corridoio 5, e non so più cos'altro. Ma non lo facciamo o lo facciamo con una lentezza esasperante. Nel tempo che gli altri cambiano il volto di una città, costruiscono una biblioteca gigantesca, un museo straordinario, noi sì e no mettiamo a punto un progetto di massima sul quale avviare discussioni senza fine.

Perché in Italia le cose vanno così? I motivi sono mille ma alla fine sono tutti riconducibili a una sensazione precisa: siamo una società prigioniera del passato. Con lo sguardo perennemente rivolto all'indietro, che ama crogiolarsi sempre negli stessi discorsi, nelle stesse contrapposizioni, nelle stesse dispute, assistere sempre allo spettacolo degli stessi gesti e degli stessi attori. Da noi il passato non diviene mai inutile o inutilizzabile. Non si butta via mai niente. Ogni cosa è potenzialmente per sempre: ogni ruolo, ogni carica è a vita, e pure se siamo reduci da qualcosa lo siamo comunque in servizio permanente effettivo. In un'atmosfera di soffocante ripetitività siamo sempre spinti a conservare o a replicare tutto: idee, appuntamenti stagionali, parole d'ordine, comizi, titoli di giornali.
Ci domina una sorta di freudiana ritenzione anale infantile: paurosi di abbandonarci alla libertà creativa e innovativa dell'età adulta, a staccarci dalla comodità del già noto, solo noi, nella nostra vita pubblica, abbiamo inventato la figura oracolare e un po' ridicola del «padre della patria» con obbligo di universale reverenza. È, il nostro, l'immobilismo di un Paese abbarbicato a ciò che ha vissuto perché non riesce a credere più nel proprio futuro, di un Paese che sotto la vernice di un'eterna propensione alla rissa in realtà fugge come la peste ogni rottura e conflitto veri, e desidera solo continuità. Che come un vecchio Narciso incartapecorito anela solo a rispecchiarsi nel già visto.

Un Paese, come c'informa La Stampa di qualche giorno fa, dove Guido Viale, antico giovane di un remoto «anno dei portenti », si compiace — invece di averne orrore — che oggi «le occupazioni delle scuole si fanno assieme ai genitori», e che «questi ragazzi lottano accanto ai professori e ai presidi». Già, «accanto ai professori e ai presidi»: che lotte devono essere! E comunque è con queste, buono a sapersi, che l'Italia si allena ai duri cimenti dell'avvenire. (Corriere della Sera)

venerdì 24 ottobre 2008

Come siamo ridotti! Nel '68 c'erano i cattivi maestri, oggi le brave maestre. Marco Taradash

Che dire di un movimento che nel ’68 era guidato dai cattivi maestri e nello ’08 è trascinato nelle piazze dalle brave maestre elementari? Quanto meno che non farà danni epocali, certo, ma anche che si iscrive nel riflusso conservatore (nel senso italiano di anti-liberale) che pervade la cultura politica nazionale.

Ha fatto bene Berlusconi a precisare il suo pensiero e a smentire ciò che non aveva “né detto né pensato". Ossia “manderò la polizia nelle scuole e nelle università”, frase mai pronunciata come ciascuno può verificare sul sito di Repubblica che pretenderebbe di convincerci del contrario. La forzatura è tipica di un sistema dell’informazione che non riesce ancora a comprendere la strategia mediatica del premier. Il quale non procede per “stop and go” come scrive il pur acuto Minzolini, ma per “spot and go”: messaggi brevi e semplici che rassicurano la maggioranza silenziosa del suo elettorato e al tempo stesso lasciano ampio margine al pragmatismo.

La polizia nelle scuole sarebbe un anacronismo perché i bravi ragazzi dello Zerootto non vogliono né la rivoluzione né il potere e nemmeno la fantasia al potere. Gli basterebbe uno sconto sui tagli decisi dal ministro Tremonti. Certamente non è nel loro registro contestare il meccanismo ingiusto di tagli che pongono tutti gli atenei sul letto di Procuste e ne mozzano le risorse senza discriminare fra i pochi che investono sul futuro e i più che campano d’assistenzialismo. Tanto meno s’interrogano sull’opportunità che venga abolito il valore legale del titolo di studio, figuriamoci.

Con gran soddisfazione di rettori e famiglie a carico. “Lottano” invece contro una riforma Gelmini che non c’è, se non nel buon senso di introdurre un minimo di disciplina fra gli studenti e un po’ di sana amministrazione da buon padre di famiglia nella mangiatoia sindacale. A proposito: perché non imporre d’autorità la visione del film “La Classe” nelle scuole italiane? Ha vinto a Cannes e quindi ha un marchio doc di classe (v. Sotis, non Luxemburg) e di sinistra -i docenti non faranno obiezione- ma ci racconta dell’angoscia che ogni serio professore non può non provare di fronte al danno esistenziale che il permissivismo incide nella vita degli studenti nati nel quartiere sbagliato della società benestante.

Gli studenti oggi non vogliono neppure il diciotto per tutti, che d’altronde non fu un mito culturale esclusivo della sinistra sessantottina: Ennio Flaiano ricordava che durante gli anni del fascismo gli studenti manifestarono una sola volta, appunto per chiedere il diciotto agli esami..

No, il movimento di oggi sa solo cosa non vuole, come di fronte a ogni fremito riformista dei ministri dell’istruzione del passato, e non sa far altro che ripetere gli slogan stanchi dell’opposizione parlamentare, anche se poi ne fischia i rappresentanti ufficiali.

I paragoni col passato sono dunque impossibili. Il Sessantotto fu un fenomeno cataclismatico planetario, la fine della grande glaciazione seguita alla ripresa postbellica, nessuno poté sottrarsi alla ventata antiautoriatria e di autoaffermazione dei figli e delle figlie contro i padri, nelle famiglie come nelle istituzioni. In Italia rifluì presto in schermaglia ideologica fra bande marxiste degenerando via via nell’intolleranza politica e nel carrierismo individuale. Il Settantasette fu un fenomeno tutto italiano, la scintilla che scocca dalla collisione fra la paranoia anticapitalista alimentata dalla cultura egemone e la politica compromissoria di un Partito comunista che già allora sapeva tutto ma non aveva capito nulla. Fu la ginnastica maoista del primo mattino che preparava il viaggio nella clandestinità e preludeva alla notte del terrorismo.

Lo Zerootto è soltanto un bancone di prodotti surgelati a saldo nella Coop dei docenti nullafacenti. C’è la fila, e scomposta, sì, ma non vale la testa rotta di uno studente o di un carabiniere. (l'Occidentale)

Decreto Gelmini*: articoli 16 e 66 della legge 133. Quelli che gli studenti universitari vorrebbero abrogare

Art. 16.Facoltà di trasformazione in fondazioni delle università

1. In attuazione dell'articolo 33 della Costituzione, nel rispetto delle leggi vigenti e dell'autonomia didattica, scientifica, organizzativa e finanziaria, le Università pubbliche possono deliberare la propria trasformazione in fondazioni di diritto privato. La delibera di trasformazione e' adottata dal Senato accademico a maggioranza assoluta ed e' approvata con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. La trasformazione opera a decorrere dal 1° gennaio dell'anno successivo a quello di adozione della delibera.
2. Le fondazioni universitarie subentrano in tutti i rapporti attivi e passivi e nella titolarità del patrimonio dell'Università. Al fondo di dotazione delle fondazioni universitarie e' trasferita, con decreto dell'Agenzia del demanio, la proprietà dei beni immobili già in uso alle Università trasformate.
3. Gli atti di trasformazione e di trasferimento degli immobili e tutte le operazioni ad essi connesse sono esenti da imposte e tasse.
4. Le fondazioni universitarie sono enti non commerciali e perseguono i propri scopi secondo le modalità consentite dalla loro natura giuridica e operano nel rispetto dei principi di economicità della gestione. Non e' ammessa in ogni caso la distribuzione di utili, in qualsiasi forma. Eventuali proventi, rendite o altri utili derivanti dallo svolgimento delle attività previste dagli statuti delle fondazioni universitarie sono destinati interamente al perseguimento degli scopi delle medesime.
5. I trasferimenti a titolo di contributo o di liberalità a favore delle fondazioni universitarie sono esenti da tasse e imposte indirette e da diritti dovuti a qualunque altro titolo e sono interamente deducibili dal reddito del soggetto erogante. Gli onorari notarili relativi agli atti di donazione a favore delle fondazioni universitarie sono ridotti del 90 per cento.
6. Contestualmente alla delibera di trasformazione vengono adottati lo statuto e i regolamenti di amministrazione e di contabilità delle fondazioni universitarie, i quali devono essere approvati con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. Lo statuto può prevedere l'ingresso nella fondazione universitaria di nuovi soggetti, pubblici o privati.
7. Le fondazioni universitarie adottano un regolamento di Ateneo per l'amministrazione, la finanza e la contabilità, anche in deroga alle norme dell'ordinamento contabile dello Stato e degli enti pubblici, fermo restando il rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario.
8. Le fondazioni universitarie hanno autonomia gestionale, organizzativa e contabile, nel rispetto dei principi stabiliti dal presente articolo.
9. La gestione economico-finanziaria delle fondazioni universitarie assicura l'equilibrio di bilancio. Il bilancio viene redatto con periodicità annuale. Resta fermo il sistema di finanziamento pubblico; a tal fine, costituisce elemento di valutazione, a fini perequativi, l'entità dei finanziamenti privati di ciascuna fondazione.
10. La vigilanza sulle fondazioni universitarie e' esercitata dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. Nei collegi dei sindaci delle fondazioni universitarie e' assicurata la presenza dei rappresentanti delle Amministrazioni vigilanti.
11. La Corte dei conti esercita il controllo sulle fondazioni universitarie secondo le modalità previste dalla legge 21 marzo 1958, n. 259 e riferisce annualmente al Parlamento.
12. In caso di gravi violazioni di legge afferenti alla corretta gestione della fondazione universitaria da parte degli organi di amministrazione o di rappresentanza, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca nomina un Commissario straordinario, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, con il compito di salvaguardare la corretta gestione dell'ente ed entro sei mesi da tale nomina procede alla nomina dei nuovi amministratori dell'ente medesimo, secondo quanto previsto dallo statuto.
13. Fino alla stipulazione del primo contratto collettivo di lavoro, al personale amministrativo delle fondazioni universitarie si applica il trattamento economico e giuridico vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto.
14. Alle fondazioni universitarie continuano ad applicarsi tutte le disposizioni vigenti per le Università statali in quanto compatibili con il presente articolo e con la natura privatistica delle fondazioni medesime.

Art.66 Turn over
1. Le amministrazioni di cui al presente articolo provvedono, entro il 31 dicembre 2008 a rideterminare la programmazione triennale del fabbisogno di personale in relazione alle misure di razionalizzazione, di riduzione delle dotazioni organiche e di contenimento delle assunzioni previste dal presente decreto.
2. All'articolo 1, comma 523, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 le parole «per gli anni 2008 e 2009» sono sostituite dalle parole «per l'anno 2008» e le parole «per ciascun anno» sono sostituite dalle parole «per il medesimo anno».
3. Per l'anno 2009 le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 523, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 possono procedere, previo effettivo svolgimento delle procedure di mobilità, ad assunzioni di personale a tempo indeterminato nel limite di un contingente di personale complessivamente corrispondente ad una spesa pari al 10 per cento di quella relativa alle cessazioni avvenute nell'anno precedente. In ogni caso il numero delle unità di personale da assumere non può eccedere, per ciascuna amministrazione, il 10 per cento delle unità cessate nell'anno precedente.
4. All'articolo 1, comma 526, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 le parole «per gli anni 2008 e 2009» sono sostituite dalle seguenti: «per l'anno 2008».
5. Per l'anno 2009 le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 526, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 possono procedere alla stabilizzazione di personale in possesso dei requisiti ivi richiamati nel limite di un contingente di personale complessivamente corrispondente ad una spesa pari al 10 per cento di quella relativa alle cessazioni avvenute nell'anno precedente. In ogni caso il numero delle unità di personale da stabilizzare non può eccedere, per ciascuna amministrazione, il 10 per cento delle unità cessate nell'anno precedente.
6. L'articolo 1, comma 527, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 e' sostituito dal seguente: «Per l'anno 2008 le amministrazioni di cui al comma 523 possono procedere ad ulteriori assunzioni di personale a tempo indeterminato, previo effettivo svolgimento delle procedure di mobilità, nel limite di un contingente complessivo di personale corrispondente ad una spesa annua lorda pari a 75 milioni di euro a regime. A tal fine e' istituito un apposito fondo nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze pari a 25 milioni di euro per l'anno 2008 ed a 75 milioni di euro a decorrere dall'anno 2009. Le autorizzazioni ad assumere sono concesse secondo le modalità di cui all'articolo 39, comma 3-ter della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni.».
7. Il comma 102 dell'articolo 3 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, e' sostituito dal seguente: «Per gli anni 2010 e 2011, le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 523 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, possono procedere, per ciascun anno, previo effettivo svolgimento delle procedure di mobilità, ad assunzioni di personale a tempo indeterminato nel limite di un contingente di personale complessivamente corrispondente ad una spesa pari al 20 per cento di quella relativa al personale cessato nell'anno precedente. In ogni caso il numero delle unità di personale da assumere non può eccedere, per ciascun anno, il 20 per cento delle unità cessate nell'anno precedente.
8. Sono abrogati i commi 103 e 104 dell'articolo 3, della legge 24 dicembre 2007, n. 244.
9. Per l'anno 2012, le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 523 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, possono procedere, previo effettivo svolgimento delle procedure di mobilità, ad assunzioni di personale a tempo indeterminato nel limite di un contingente di personale complessivamente corrispondente ad una spesa pari al 50 per cento di quella relativa al personale cessato nell'anno precedente. In ogni caso il numero delle unità di personale da assumere non può eccedere il 50 per cento delle unità cessate nell'anno precedente.
10. Le assunzioni di cui ai commi 3, 5, 7 e 9 sono autorizzate secondo le modalità di cui all'articolo 35, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, previa richiesta delle amministrazioni interessate, corredata da analitica dimostrazione delle cessazioni avvenute nell'anno precedente e delle conseguenti economie e dall'individuazione delle unità da assumere e dei correlati oneri, asseverate dai relativi organi di controllo.
11. I limiti di cui ai commi 3, 7 e 9 si applicano anche alle assunzioni del personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni. Le limitazioni di cui ai commi 3, 7 e 9 non si applicano alle assunzioni di personale appartenente alle categorie protette e a quelle connesse con la professionalizzazione delle forze armate cui si applica la specifica disciplina di settore.
12. All'articolo 1, comma 103 della legge 30 dicembre 2004, n. 311, come modificato da ultimo dall'articolo 3, comma 105 della legge 24 dicembre 2007, n. 244 le parole «A decorrere dall'anno 2011» sono sostituite dalle parole «A decorrere dall'anno 2013».
13. Le disposizioni di cui al comma 7 trovano applicazione, per il triennio 2009-2011 fermi restando i limiti di cui all'articolo 1, comma 105 della legge 30 dicembre 2004, n. 311, nei confronti del personale delle università. Nei limiti previsti dal presente comma e' compreso, per l'anno 2009, anche il personale oggetto di procedure di stabilizzazione in possesso degli specifici requisiti previsti dalla normativa vigente. Nei confronti delle università per l'anno 2012 si applica quanto disposto dal comma 9. Le limitazioni di cui al presente comma non si applicano alle assunzioni di personale appartenente alle categorie protette. In relazione a quanto previsto dal presente comma, l'autorizzazione legislativa di cui all'articolo 5, comma 1, lettera a) della legge 24 dicembre 1993, n. 537, concernente il fondo per il finanziamento ordinario delle università, e' ridotta di 63,5 milioni di euro per l'anno 2009, di 190 milioni di euro per l'anno 2010, di 316 milioni di euro per l'anno 2011, di 417 milioni di euro per l'anno 2012 e di 455 milioni di euro a decorrere dall'anno 2013.
14. Per il triennio 2010-2012 gli enti di ricerca possono procedere, previo effettivo svolgimento delle procedure di mobilità, ad assunzioni di personale a tempo indeterminato nei limiti di cui all'articolo 1, comma 643, della legge 27 dicembre 2006, n. 296. In ogni caso il numero delle unità di personale da assumere in ciascuno dei predetti anni non può eccedere le unità cessate nell'anno precedente.

*Presunto decreto Gelmini: in realtà la 133 è legge Tremonti. Vedi i commenti.

giovedì 23 ottobre 2008

Mannino assolto dopo 14 anni alla gogna. Dimitri Buffa

A 14 anni dalla sua iscrizione nel registro indagati, dopo avere subito l’umiliazione dell’arresto, della gogna mediatica, dei verbali dei pentiti sui giornali, delle analisi sociologiche sulla propria presunta contiguità alla mafia, e dopo una condanna in secondo grado a ott'anni di reclusione poi annullata dalla Cassazione, mercoledì 22 ottobre 2008 per l’ex ministro Calogero Mannino è forse finito un incubo giudiziario che ha coinciso con un pezzo di storia d’Italia.

Mannino fu eletto per la prima volta in Parlamento nel 1976 nelle file della Dc. In diversi governi ha ricoperto incarichi ministeriali, da ultimo nel 1991 nel settimo governo Andreotti dove ricoprì la carica di ministro per gli interventi straordinari del Mezzogiorno.

Dopo la bufera giudiziaria che lo aveva ingiustamente coinvolto, Mannino era tornato sulla scena politica nel 2006 nelle fila dell'Udc. Alle ultime elezioni politiche era stato eletto senatore per il partito guidato da Pierferdinando Casini.

Al di là di una giustizia che arriva dopo quasi quindici anni però, con l’assoluzione di Mannino cade l’ultimo dei teoremi giudiziari della procura di Palermo dell’era di Giancarlo Caselli. Il terzo livello della mafia, quello poltico, non esiste più. Rimane in piedi solo l’assurda condanna detentiva per complicità con Cosa Nostra contro l’ex numero tre del Sisde Bruno Contrada ( e contro il funzionario di polizia Ignazio D’Antone) a puntellare il nulla in cui sono cadute tutte le altre accuse di mafiosità nei confronti del senatore a vita Giulio Andreotti, del giudice Corrado Carnevale e da ultimo dell’ex ministro dell’Agricoltura Calogero Mannino.

Nel 1995 l'ex ministro democristiano venne arrestato: rimase in carcere per 23 mesi. Nel 1997 viene rimesso in libertà per scadenza dei termini di custodia cautelare. Dall'apertura dell'inchiesta, avvenuta il 28 novembre 1995, si sono susseguite numerose sentenze. Nel 2001, dopo oltre 300 udienze e 400 testimoni citati, in primo grado l'ex ministro democristiano è stato assolto. La condanna arriva invece in appello nel 2004: cinque anni e quattro mesi di reclusione. La sentenza di condanna venne però annullata dalla Cassazione nel 2005 per “difetto di motivazione” e rinviata ad altra sezione della Corte di Appello.

Poi ci fu la sospensione dell’ulteriore dibattimento di secondo grado in seguito a una eccezione di illegittimità costituzionale sollevata dai magistrati di Palermo a proposito della norma sulla inappellabilità delle sentenze di proscioglimento in primo grado.

I giudici inviarono tutta la documentazione sul dibattimento alla Corte Costituzionale disponendo la sospensione del processo fino alla decisione della Consulta che poi, abrogando una legge che in mezzo mondo è pacificamente accettata (Stati Uniti compresi), ha dato il disco verde alla ripresa del processo. Alla fine del quale mercoledì 22 ottobre Mannino è stato nuovamente assolto. Teoricamente è ancora possibile un ulteriore ricorso della procura in Cassazione, ma a questo punto si tratterebbe di un caso di accanimento terapeutico per tenere in piedi un’inchiesta che, in quanto basata solo sulla parola dei soliti mafiosi criminali divenuti veri e propri professionisti del pentitismo, rischia comunque di naufragare nel nulla. Per la cronaca il Comune di Palermo che aveva insistito per tutti questi anni nel confermare la propria costituzione di parte civile, che risaliva all’epoca in cui era sindaco Leoluca Orlando, adesso dovrà pagare tutte le spese processuali dei sinora quattro gradi di giudizio effettuati.

L’assoluzione di Mannino è stata salutata da una sorta di commosso entusiasmo bipartisan.

Per il presidente dell’Udc Pier Ferdinando Casini, “l’assoluzione dell'onorevole Mannino ripaga il nostro collega, la sua famiglia e tutta l'Unione di centro di tanti anni di ingiuste umiliazioni e amarezze. Lo stato di diritto ha prevalso ma è il caso di dire: con troppo ritardo. Questa sentenza spazza via ombre e volgari attacchi che abbiamo subito nell'ultima campagna elettorale”. Per il senatore del Pd Marco Follini invece era scontato “che Mannino non avesse niente a che vedere con la mafia è sempre stata per me una certezza umana e politica. Ora è anche una certezza giudiziaria”. Contento per l’assoluzione anche il segretario della Dca Gianfranco Rotondi: “Persona per bene, uomo giusto, politico trasparente, che ha avuto sempre un comportamento lineare e corretto, Mannino ha potuto finalmente dimostrare la sua estraneità ai fatti. Finalmente giustizia è fatta”. Infine, le telefonate di felicitazioni sono arrivate anche dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e dal presidente del Senato Renato Schifani.

Quindici anni di soldi del contribuente italiano per cercare di dimostrare un teorema impossibile sono finiti in questa maniera. (l'Occidentale)

mercoledì 22 ottobre 2008

Avviso ai naviganti...

"Voglio dare un avviso ai naviganti: non permetteremo che vengano occupate scuole e università perché l'occupazione dei posti pubblici non è un fatto di democrazia ma di violenza nei confronti di altri studenti, delle famiglie e dello Stato", ha detto Berlusconi nel corso di una conferenza stampa a Palazzo Chigi, a fianco del ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini.

Imperdibile il discorso del Presidente del Consiglio di oggi.
Necessario ascoltarlo tutto perché segna una svolta epocale nella storia d'Italia.
Berlusconi ha elencato le bugie che la sinistra si è inventata nel contrastare il decreto Gelmini ed è stato categorico nel ribadire che non cederà di un millimetro sulle scelte fatte per la scuola.

Un Berlusconi sicuro, determinato, inflessibile: mai visto così.
Un Berlusconi che aspettavamo di sentire da anni, che fa e dice le cose che vorremmo facesse e dicesse, che parla senza remore la nostra lingua, che bacchetta i direttori dei media se non riporteranno correttamente il resoconto della conferenza stampa e che si lamenta per la massiccia presenza di esponenti della sinistra "che sgambettano" su tutte le televisioni.

Il discorso di oggi passerà alla storia come è stato per il famoso "editto bulgaro" e la sinistra lo adotterà come bandiera contro Berlusconi nei prossimi mesi: sarà l'ennesimo motivo per votare sempre meno la sinistra.

Mi raccomando non perdetevelo.

Scuola: Berlusconi, tutte le bugie della sinistra. Agi

Silvio Berlusconi difende a spada tratta il "sacrosanto" decreto legge sulla scuola e "l'ottimo" ministro Gelmini. Sulla scuola c'e' solo "l'opportunismo politico" della sinistra che dice "falsita'" e vuole creare "una opposizione di piazza al Governo su un terreno circoscritto, perche' gli altri provvedimenti del Governo sono inattaccabili". Berlusconi rifiuta anche l'accusa di voler favorire la scuola privata: "Noi vogliamo solo una scuola pubblica migliore". Ecco l'elenco delle "bugie della sinistra": "1) non e' vero - dice Berlusconi - che si ridurra' il tempo pieno. Con l'introduzione del maestro unico e l'eliminazione delle compresenze si libereranno piu' maestri ed in 5 anni ci saranno 3950 classi in piu' con il tempo pieno; 2) non e' vero che ci saranno 30 alunni per classe. Al massimo ci saranno 26 alunni per classe; 3) non e' vero che scomparira' l'inglese alle elementari. Non ci sara' il maestro unico, ma il maestro prevalente. Rimarranno gli insegnanti di inglese, religione, edicazione fisica ed informatica. Non ci saranno variazioni per le ore di inglese alle elementari; 4) non e' vero che verranno licenziati 87mila insegnanti. Ci sara' il blocco del turn over perche' in Italia c'e' un docente ogni 9 alunni, in Europa 1 ogni 13. Ci saranno meno insegnanti, ma meglio pagati. Il 40% degli insegnanti piu' meritevole avra' 7mila euro all'anno in piu'; 5) non e' vero che diminuiranno i 93mila insegnanti per i diversamente abili; 6) non e' vero che chiuderanno le scuole di montagna. Nessuna scuola sara' chiusa, sara' invece unificato il personale amministrativo con un unico preside ed un unico segretario per due scuole vicine; 7) non e' vero che si boccera' con il 7 in condotta. Verra' bocciato chi ha il 5 in condotta ma solo con il consenso del consiglio di istituto e di quello di classe".(AGI News)

martedì 21 ottobre 2008

Ha ragione il Wwf. Carlo Stagnaro

Sono d'accordo col Wwf. Cioè, fino a un certo punto. Sono d'accordo quando l'organizzazione ecologista sostiene che il pacchetto clima dell'Unione europea non dovrebbe essere "uno scontro tra schieramenti". Infatti, mi stupisco dell'assurda posizione assunta da Walter Veltroni e dal Partito democratico, mitigata solo dalle caute aperture di Pierluigi Bersani e pochi altri. Nel senso che due fatti, che sono ovvi, paiono restare sistematicamente in ombra. Primo: per ragioni che non sto a ricostruire, l'Italia è svantaggiata rispetto alla maggior parte degli altri Stati membri, nel senso che lo sforzo che le viene richiesto è proporzionalmente molto più sfidante. Secondo: se anche l'Europa raggiunge gli obiettivi, l'atmosfera se la ride perché nel frattempo le nostre riduzioni di emissioni sono state più che controbilanciate dalla crescita di quelle in altre aree del mondo. Ne segue, quindi, che a livello ambientale la politica europea è inutile, mentre dal punto di vista economico essa otterebbe la duplice conseguenza di attribuire uno svantaggio competitivo all'Europa verso il resto del mondo, e all'Italia verso l'Europa. Quindi, ha ragione il Wwf: non dovrebbe esserci uno scontro tra schieramenti. La battaglia per ripensare la politica europea dovrebbe essere una battaglia condivisa. (Realismo Energetico)

Una Voce poco fa. Filippo Facci

In omaggio alla trasparenza da lei spesso decantata, onorevole Di Pietro, le chiediamo ufficialmente di smentire o di confermare che suo figlio Cristiano, consigliere provinciale a Campobasso, sia indagato in un’inchiesta sulla ricostruzione post terremoto del Molise. La magistratura sarebbe in possesso di intercettazioni telefoniche dove Cristiano, appunto, chiederebbe l’assunzione di amici suoi (imprenditori e tecnici dell’Italia dei Valori) al molisano Mario Mautone, provveditore alle opere pubbliche di Molise e Campania e sua vecchia conoscenza. Fu lei, da ministro delle Infrastrutture, a nominarlo Direttore centrale del settore edilizia e poi presidente di una commissione tecnica sugli appalti autostradali.

Tutte queste cose, il 23 settembre scorso, le ha raccontate il suo ex senatore Sergio De Gregorio all’agenzia Il Velino, ma soprattutto le ha scritte il 10 ottobre La Voce della Campania, storico settimanale marcatamente di sinistra (nato nel1975,e diretto a suo tempo anche da Michele Santoro) il quale è stato chiaro e circostanziato: «La notizia è stata confermata da parlamentari dell’Italia dei Valori, la sola conferma di De Gregorio non ci sarebbe bastata ». Che c’è di vero, onorevole Di Pietro? Nel caso, può smentire le fonti citate e di conseguenza anche noi: riporteremo con la giusta evidenza. Sinora, però, non ha smentito. Gliene offriamo l’occasione. (il Giornale)

giovedì 16 ottobre 2008

Le classi ponte e il blitz della Lega. L'uovo di giornata

La questione delle cosiddette "classi di inserimento" sollevata con un emendamento della Lega dimostra, se mai ce ne fosse ancora bisogno, che in politica i modi e i tempi di una proposta sono altrettanto se non più importanti della sostanza. Qui non abbiamo dubbi sul fatto che quella misura sia sensata e anche necessaria, ci lascia però perplessi il modo con cui è stata introdotta.

Neppure per un momento ci siamo fatti incantare dalle grida di Fassino e Veltroni che anche in questo caso hanno cercato il piccolo e cinico lucro del richiamo al razzismo e al clima autoritario instaurato dal governo. Non si tratta di questo e lo sanno bene anche i leader del centro sinistra e giornalisti che gli fanno da trombettieri. Chiunque abbia figli in età scolare sa benissimo che l'andamento di una classe e la qualità dell'insegnamento che vi viene impartito sono dettati dalle capacità degli ultimi e non dei primi. Se ci sono alunni che non parlano neppure la lingua, tutta la classe sarà costretta ad adeguarsi all'esigenza di non lasciarli indietro.Non potrebbe essere altrimenti, ma con grande svantaggio per gli alunni che già parlano l'italiano e grande confusione e umiliazione per chi non lo parla.

L'integrazione degli immigrati è uno dei grandi temi della nostra epoca, molte nazioni occidentali hanno tentato vari modelli di comportamento, molti di questi hanno fallito, altri ancora sono stati messi duramente in discussione. In Italia abbiamo sempre navigato a vista, senza un indirizzo preciso, un'idea di fondo. Sappiamo però per certo che la scuola è uno dei punti cardine di qualsiasi tentativo di integrazione delle nuove generazioni di immigrati. Se vogliamo sperare in un futuro di convivenza e non di scontro, è alla scuola che dobbiamo guardare sin da subito.

La questione della convivenza in una stessa classe di bambini italiani e immigrati è dunque il primo vero laboratorio di questa possibilità di integrazione. Allora avremmo voluto che la misura sulle "classi di inserimento" non fosse stata approvata alla Camera grazie ad un "colpo di mano" della Lega, mal preparato e mal scritto. Ma fosse invece il frutto di un ripensamento generale, di un tentativo ben equilibrato di riforma, di una iniziativa presa consapevolmente da tutto il centro destra, maggioranza e governo assieme, senza mugugni e senza tentennamenti.

Lo abbiamo scritto tante volte su l'Occidentale: non si può lasciare alla sola iniziativa della Lega tutto il tema dell'immigrazione e dell'integrazione. Non può essere una sequela di misure episodiche e scoordinate, infilate qui e là con emendamenti a sorpresa, a rimettere in sesto la nostra legislazione in materia. Bisogna che i ministri competenti - Gelmini, Maroni, e tutti quelli che volete - in accordo con la maggioranza, si mettano al lavoro e trovino una soluzione complessiva e sostenibile alla convivenza tra italiani e immigrati regolari. Dai banchi di scuola in poi.

E' da pazzi invece aver ragione nel merito e farsi dare dei razzisti da un'opposizione per altri versi senza voce e senza idee, mettendosi per di più contro l'inevitabile sensibilità della Chiesa che su questi temi non può che essere in allarme. (l'Occidentale)

mercoledì 15 ottobre 2008

Cacio senza maccheroni. Davide Giacalone

Il governo prende un filotto d’errori con una decisione sola, quella di acquistare duecentomila forme di Parmigiano Reggiano e Grana Padano. Il fatto che ci sia il plauso delle autorità regionali emiliano-romagnole (rosse), ed il silenzio dell’opposizione, non fa che aumentare il forte odore che dall’iniziativa promana.
Tanto bel formaggio di lusso è acquistato per darlo in pasto ai poveri, talché sembra sia passata invano la buona Maria Antonietta, che ci rimise la testa. Il fatto è, purtroppo, che questo non è un aiuto ai poveri, bensì ai ricchi, vale a dire ai produttori di questi formaggi. E siccome tali aiuti sarebbero proibiti dalle normative europee, il governo, per aggirare il divieto, acquista a prezzi di mercato, vale a dire pagando uno sproposito. Siccome, però, i produttori sono comunque indotti a fare uno sconto, questo si concretizzerà in altre centinaia di forme, questa volta “regalate”, sempre agli stessi poveri.
L’effetto di tale operazioni sarà un sostegno al prezzo del parmigiano e della grana, ed una diminuzione delle scorte invendute, il che comporterà una non diminuzione del prezzo per i consumatori che quel formaggio mangiano o grattano, senza rientrare nella categoria degli indigenti. In altre parole: i produttori intascano i soldi, e con quelli tengono alti i prezzi per i consumatori normali. Un capolavoro.
Tutto questo nel mentre l’Istat segnala sì un calo dell’inflazione (dal 4,1 al 3,8%), ma confermando che il prezzo del pane è salito dell’8,6% in un anno, e quello della pasta del 24,9. I poveri, pertanto, avranno il cacio, ma non i maccheroni, il formaggio, ma non il pane. O, più concretamente, si suggerirà alla borghesia d’affrettarsi a divenire mendicante, in modo da potere riportare in tavola le fettuccine al pomodoro e la grattugia per insaporirle.
Il filotto d’errori non è un inedito, perché si tratta dell’antica pratica dell’economia assistita, con annesso corollario di favoritismo alle imprese amiche. E’ bene chiamare le cose con il loro nome, anche perché i caseifici della padania non si sentano distanti dai forestali calabresi.

Travaglio condannato a otto mesi. Corriere della Sera

Il tribunale di Roma ha condannato il giornalista Marco Travaglio (collaboratore tra l'altro della trasmissione di Rai2 «Anno Zero» condotta da Michele Santoro) a 8 mesi di reclusione e 100 euro di multa per diffamazione ai danni dell'ex ministro della Difesa e parlamentare di Forza Italia Cesare Previti in relazione ad un articolo pubblicato dal settimanale «L’Espresso» il 3 ottobre del 2002 dal titolo: «Patto scellerato tra mafia e Forza Italia».
Il giudice ha deciso anche un risarcimento di 20 mila euro per Previti. E’ stata condannata anche Daniela Hamaui, come direttore responsabile del settimanale, a 5 mesi e 75 euro di multa. Per entrambi gli imputati la pena è sospesa.

martedì 14 ottobre 2008

Petrella e Mambro. Davide Giacalone

Il governo italiano non ha scelta, dovrà rivolgere la più dura protesta formale contro quello francese. La decisione di non estradare una terrorista, Marina Petrella, è inaccettabile sotto il profilo della sostanza ed offensivo per quel che riguarda il metodo. Noi italiani, del resto, abbiamo di che riflettere sui pregiudizi ideologici, da noi stessi coltivati, e sulle cadute di civiltà, di cui il nostro vergognoso sistema giudiziario è la monumentale incarnazione.
La Petrella è una cittadina italiana condannata all’ergastolo. La sua ferocia è costata la vita ad altri, ed è giusto, è bene, è sano che paghi con la galera. Pare stia male. In questo caso la legge italiana prevede sospensioni della pena od altri benefici, amministrati con generosità piuttosto che con troppa severità. Non abbiamo nulla da imparare dai francesi. Sarkozy, del resto, spieghi lui alla moglie che ella non è una carica dello Stato, e meno ancora sua sorella. Cerchi di farle capire che portare personalmente la lieta novella del veto maritale, recando visita non ad una combattente per la libertà, ma ad un’assassina che fu ed è dalla parte del torto, descrive un quadretto da basso impero e decadenza morale. Il presidente francese è bravo e coraggioso, ma in questa faccenda s’è dimostrato deprimente.
Dopo avere protestato, con fermezza, guardiamo in casa nostra. Petrella fu arrestata nel 1978, per banda armata e detenzione d’armi. Per quest’ultimo reato poteva essere processata e condannata nel giro di qualche settimana, ma nel 1980 fu scarcerata per decorrenza dei termini. Doppia inciviltà, in un colpo solo: due anni di carcere da presunta innocente ed una colpevole che fa marameo. Inviata al soggiorno obbligato evade, e la riprendono nel 1982, costringendo i carabinieri ad uno scontro. Ancora una volta decorrono i tempi, e quando arriva la condanna, nel 1988, la signora fa la francese. E qui la colpa è tutta nostra.
Francesca Mambro, terrorista fascista, ha scontato più di venti anni di meritatissima detenzione (non per Bologna, dove lei ed il marito sono stati ingiustamente condannati). Ha raccontato e capito i propri errori. Dal 1998 è in semilibertà ed ora si mena scandalo perché ha ottenuto la libertà condizionale. Paragonate i due casi e misurate l’eredità della guerra civile ideologica.

lunedì 13 ottobre 2008

Ma non si portano i bambini in piazza. Paolo Granzotto

Ma il Telefono Azzurro, cosa ci sta a fare? Quando la finiranno di trattare i bambini come fenomeni da circo (mediatico), come braccio innocente ma attivo della demagogia? Ci sono le fotografie e i filmati televisivi: la folla che sabato manifestava contro il decreto sulla scuola pullulava di bambini. Qualcuno, come testimoniano le immagini da noi pubblicate, ancora col ciuccio in bocca, ancora in età prescolare. I più grandicelli, buoni al massimo per l'asilo, avevano appeso al collo o inalberavano cartelli che denunciavano «Gelmini ministro della di-struzione» o ironizzavano «Il futuro di Gelmini non fa rima coi bambini». Uno, brandito da una bambina che avrà avuto sì e no sei anni, recitava: «È una proposta classista ».

E il Telefono Azzurro, zitto. E nessuna «coscienza critica della nazione », nessun esponente della società civile, nessuna Alta Autorità Morale, nessuna Unicef, nessuna delle migliaia di Ong o Onlus che affermano d'aver in cima ai propri pensieri l'infanzia e i suoi diritti, apre bocca per denunciare la scandalosa, la ributtante strumentalizzazione di bambini ai quali non solo hanno scippato il girotondo, ma sono trascinati in piazza, a marciare e contestare concetti - la scuola classista! - dei quali giustamente ignorano il significato. Che razza di genitori hanno quelle disgraziate creature? Ma che cos'è questa insana fregola di mobilitare i fanciulli, incolonnarli e farli sfilare una volta per dire no alla mafia, l'altra per dire no alla guerra, l'altra ancora per dire no agli Ogm o alla «scuola classista»? Cos'è questa sconsiderata pulsione a imporre a intere scolaresche di tradurre in disegni - rigorosamente di taglio buonistico, bamboccescamente caramelloso e destinati alla pubblicazione sulla stampa progressista - la loro visione dello tsunami, della carestia nel Bangladesh, del disastro aereo o degli sbarchi dei clandestini?

Non possiamo escludere che qualche genitore col cervello anchilosato per overdose ideologica ritenga che ciò serva a far partecipi i bambini - ovviamente «a livello di presa di coscienza» - di problemi smisuratamente più grandi di loro. O che i loro scarabocchi e la presenza in piazza stia a significare la giustezza d'una causa sottoscritta fin dall' età dell'innocenza. Ma anche in presenza di quella che solo un cervello anchilosato può ritenere una giusta causa, la mobilitazione, la strumentalizzazione, in poche parole lo sfruttamento dell'infanzia resta un comportamento moralmente condannabile. Senza mettere in conto, poi, il ridicolo. «Stiamo dimostrando che la sinistra è viva» gongolava il rifondaiolo Paolo Ferrero riferendosi al corteo contro la Gelmini, «che sta nascendo una nuova soggettività politica». Quella coi Pampers? (il Giornale)

domenica 12 ottobre 2008

Boom di stranieri nel 2007. L'Opinione

In testa la comunità romena.
Cresce l’Italia, ma grazie agli stranieri. Nel 2007, gli immigrati residenti in Italia sono cresciuti rispetto all’anno precedente del 16,8% (493.729 unità in più), raggiungendo la quota, al primo gennaio 2008, di 3.432.651. Lo rileva l’Istat, secondo cui l’incremento è il “più elevato mai registrato nel corso della storia dell’immigrazione nel nostro Paese”. Un “forte aumento” che ha risentito in particolare del massiccio arrivo degli immigrati romeni che sono cresciuti in un anno di ben 283.078 unità (+82,7%) e la cui comunità diventa così, per numero, la più nutrita nel nostro paese. Gli stranieri rappresentano il 5,8% (un anno prima era il 5%) della popolazione totale. Un andamento del tutto in linea con i grandi paesi europei come Francia e Regno Unito. L’incremento registrato in Italia è analogo a quello spagnolo anche se in questo paese gli stranieri rappresentano l’11,3% della popolazione. Quasi la metà degli stranieri (47,1%) proviene dai paesi dell’Est europeo. Il 5,6% delle famiglie in Italia (1.366.835) ha per capo famiglia uno straniero. Si tratta di un cambiamento che inizia ad avere un peso specifico sempre maggiore: l’aumento della popolazione italiana che arriva a sfiorare i 60 milioni (da 59.131.287 a 59.619.290) è dovuto infatti proprio alla presenza di stranieri. Il saldo naturale della popolazione straniera (+60.379) compensa quasi per intero il saldo naturale negativo di quella italiana (-67.247). I nati da genitori stranieri sono stati 64.049 nel 2007 (+10,9%), pari all’11,4% del totale dei nati.

Ragazzi, che trappola quelle manifestazioni. Ezio Savino

Guardatevi dai pifferai magici.
Scimmiottano tutti il primo, l'originale, quello che ad Hamelin, Bassa Sassonia, nel 1284 avrebbe imbesuito un centinaio di bambini facendo loro danzare il ballo di San Vito al suono del suo strumento. Nessuno sa che fine abbiano fatto. Più tardi, è stato aggiunto al dramma un happy end. Il borgomastro pagò al pifferaio la somma dovuta, e i piccoli rincasarono. Già, perché il musicista girovago aveva lavorato per il comune, prima. L'aveva liberato dai topi, pestilenziali invasori. E il capoccia aveva fatto il furbo, rinnegando il patto.
La morale è questa. Quando un pifferaio vi chiede di accodarvi a lui per strade e piazze, domandategli prima, a muso duro: «Tu, da che ratti hai liberato il paese?». In soldoni, che cosa hai fatto di positivo, di costruttivo, insomma di buono e di pratico, per chiederci di seguirti alla ventura? Mi sto rivolgendo a chi sta nelle aule, agli studenti, non solo a quelli che - per loro diritto, intendiamoci - hanno accantonato ieri banchi e libri per protestare contro i cambiamenti decretati dal governo alla scuola, ma a tutti coloro che operano nel mondo dell’istruzione, per obbligo, per scelta o per vocazione lavorativa. Sembra un riflesso pavloviano. Ogni tentativo di far sterzare di un millimetro il carrozzone pachidermico, genera cori e manifestazioni di dissenso. A leggere alcuni striscioni che impavesavano i cortei, il malumore rifluisce all'indietro, fino a Moratti, via Fioroni, senza troppo riguardo alle tinte delle casacche politiche e ideologiche. Forse è il mutamento in sé che allarma e disturba? Non ricordo, però, sussulti quando il responsabile di turno cambiò le carte in tavola, introducendo i tarocchi dei debiti, che per strano paradosso burocratico, furono definiti «formativi».
Anche Napoleone predicava che ogni fantaccino aveva nello zaino il bastone (virtuale) di maresciallo. Ma bisognava guadagnarselo sul campo. Una scuola che, per legge, tentenna gravemente sulla responsabilità di bocciare, è un sistema educativo che abiura al suo compito nobile di promuovere, nel senso etimologico di spronare al miglioramento, alla maturazione di sé, in capacità e competenze. C'era Luigi Berlinguer al timone, quando si ipotizzò un «concorsone», un test qualitativo per premiare (con parsimonia) economicamente e con scatti di carriera i prof più preparati e impegnati a fornire un servizio migliore. Non se ne fece nulla. Per la scuola nel suo complesso fu un autogol clamoroso, un danno oggettivo. Ma anche allora non scattarono reclami. Purché niente si agitasse nella gora vischiosa del tran tran ripetitivo. Meglio salvare la facciata di mediocrità egualitaria, che arrischiarsi a premiare un merito. Il merito: un valore che in qualsiasi altra sfera è sempre di segno positivo, ma nella scuola pubblica, chissà perché, fa scattare, inesorabile, il cartellino rosso. Dobbiamo interrogarci su chi abbia interesse a mantenere marmorea la superficie della palude. Cambiare per il puro gusto di farlo è un salto nel vuoto irrazionale. Ma altrettanto immaturo appare stracciarsi le vesti (o bruciare grembiulini, quali emblemi di oscurantismo) al primo rintocco di riforma. Cari studenti, ve lo proponiamo, questo problema, come tema di riflessione in classe. Come compito. In più, un aiutino di traccia. Valutate che nello slogan degli scaltri pifferai «stiamo lavorando per voi» non ci sia una nota falsa, il voi della chiusa che è un occulto noi. Per essere chiari: occhio ai pacchi. (il Giornale)

giovedì 9 ottobre 2008

La Bonino: la vergogna è la sentenza sulla strage.

«Sento molti pronti a spargere a profusione parole come "legalità" e "valori costituzionali", pochi disposti a considerare in concreto lo spirito e la lettera della Costituzione che finalizza la pena al reinserimento nella società del condannato, a partire dal caso esemplare dì Francesca Mambro». Lo ha affermato Emma Bonino, vicepresidente del Senato, a proposito delle dichiarazioni di condanna da parte di esponenti politici alla concessione della libertà condizionale a Francesca Mambro. «La sentenza del Tribunale di Roma lo ha fatto, nel rispetto delle leggi in vigore nel nostro Paese oltre che della Costituzione. Ma i giustizialisti, quelli che "le sentenze vanno sempre rispettate", in realtà rispettano solo quelle che condannano, arrestano e detengono - ha aggiunto la Bonino - come quella per la strage di Bologna per la quale la vergogna, lo dico anche al sindaco Cofferati, non sta nella "liberazione" di una "colpevole", ma in una sentenza di condanna che è stata la pietra tombale sulla verità dei fatti per i quali i veri colpevoli sono ancora in circolazione. Segnalo infine - ha concluso la vicepresidente di Palazzo Madama - che, secondo le norme penali e penitenziarie vigenti, Francesca Mambro ha scontato quasi trent’anni in condizione di privazione della libertà, tra carcere speciale, lavoro esterno al carcere e detenzione domiciliare. Sono rari, se non inesistenti, i casi di condannati per terrorismo che abbiano espiato tanti anni di detenzione quanti ne ha espiati la Mambro, anche per fatti di cui si è assunta la responsabilità morale pur non avendoli materialmente commessi». (Secolo d'Italia)

Toghe militanti sotto esame. Gianluca Perricone

Il Csm ha aperto un nuovo fascicolo: Sansa e De Pasquale rischiano il trasferimento per le loro dichiarazioni politiche.

In base a quanto si è potuto apprendere dalla stampa (naturalmente non tutta…), il Csm ha accolto la richiesta dei due componenti laici Gianfranco Anedda e Michele Saponara (Pdl) ed ha aperto un fascicolo sul Pm milanese Fabio De Pasquale e sul presidente del Tribunale per i minorenni di Genova Adriano Sansa, che potrebbe portare al loro trasferimento. Sempre leggendo la carta stampata – e non nascondo una certa incredulità, ma questa è un’altra cosa – si viene a sapere che De Pasquale “nell’udienza del 27 settembre del processo sui presunti fondi neri Mediaset in cui è imputato Silvio Berlusconi, definì criminogeno il lodo Alfano, sollevando l’eccezione di costituzionalità”. Per non essere da meno, Sansa, in un’assemblea regionale dell’Anm, ha definito Berlusconi “primo ministro piduista circondato da persone che servono lui e non lo Stato”, il Governo “indegno di affrontare il tema della giustizia”, sostenendo anche che “l’unico titolo di merito” del ministro Alfano è “di essere un fedelissimo del premier”. Fin qui quanto riportato dalla stampa.

Qualche riflessione, a mio modestissimo parere, è quanto meno doverosa. Soprattutto per chi – come il sottoscritto e questa testata giornalista - crede in una Giustizia con la “G” non casualmente maiuscola, scevra da ogni altra tentazione che non risponda alla enunciata eguaglianza della stessa nei confronti di tutti. Quindi mi si consenta di puntare il dito contro chi, quasi mimetizzandosi dietro una toga, non riesce in alcun modo ad occultare la propria voglia di far politica: dovrebbero ritenerlo inamissibile il Presidente Napolitano ed il vice-presidente del Csm Mancino, dovrebbero ritenerlo lesivo della loro dignità i preposti organismi di categoria. In questa sede, i pareri dei vari Di Pietro, Travaglio e compagnia manettante non interessano, soprattutto perché (è quasi una certezza), sulle sopra citate gravissime affermazioni, il “clan giustizialista” non avrà mai il coraggio di esprimersi. Un dubbio però resta ed è, a mio parere, centrale: quanto potranno essere “super partes” nel loro giudizio soggetti che si abbandonano a siffatte tipologie di dichiarazioni? Non solo. Viene quasi da domandarsi se questa tipologia di magistrati è stata messa al corrente che in questo Paese il potere legislativo spetta al Parlamento della Repubblica e non al prima comitiva/casta che passa. Quesito finale. Non è che, per caso, sono già partite le ricerche (con le relative richieste di “prova fedeltà”) per candidati sinistri-centro per il collegio sicuro del Mugello? (l'Opinione)

Agli ambientalisti piace moscio (lo sviluppo economico). Carlo Stagnaro

Dice Paul Crutzen, premio Nobel per la chimica: "E' una cosa crudele da dire... ma se guardiamo al rallentamento dell'economia, si consumeranno meno combustibili fossili, quindi per il clima sarà un bene".(Realismo Energetico)

mercoledì 8 ottobre 2008

Game over

La crisi dei mercati è la fine di un azzardo che ha coinvolto Banche e Società finanziarie in un gioco sempre più rischioso.
Entrano in crisi miti e certezze.
Scompaiono "monumenti finanziari" fondati quando ancora si andava a cavallo e non esisteva il telefono, crolla la fiducia nel mercato e nella finanza "cartacea", si teme la catastrofe e la discesa agli inferi sembra non fermarsi mai: non c'è panico tra i risparmiatori, ma incertezza, dubbio e incredulità.
Saltano tutte le previsioni, i calcoli, i consigli e le analisi che economisti, banchieri, politici ed "esperti" hanno fatto; nessuno aveva previsto, nessuno se lo aspettava, nessuno è riuscito a giocare d'anticipo.
Da domani ci sarà in giro più scetticismo da una parte e, si spera, meno spocchia dall'altra.
Da domani ci saranno più opportunità per coloro che sapranno tenere i nervi saldi e coglieranno le occasioni di acquisto.
Da domani dovremo essere più parsimoniosi e più attenti nell'allocazione dei nostri risparmi e chiederci fino a che punto siamo disposti a rischiare, visto che siamo tutti favorevoli al rischio finché non subiamo delle perdite.
Il mercato non si è fermato nemmeno di fronte alle crisi più devastanti: anche questa volta farà la sua parte e saprà dare le giuste soddisfazioni.
Chi oggi è in perdita perché ha in portafoglio azioni, deve tenere duro e non farsi prendere dal panico: vendendo si rischia veramente di gettare via il bambino con l'acqua sporca del bagno.
Una partita che durava da decenni è finita: si stanno ridando le carte dopo aver mescolato il mazzo.
Assisteremo ad una nuova partita, forse un nuovo gioco e speriamo nuovi giocatori: se impariamo in fretta le regole potremmo giocare anche noi.

L'effetto mucca pazza. Nicola Porro

Adesso fermiamoci un attimo. E cerchiamo di ragionare, mentre là fuori c’è un gran trambusto. La fenomenologia di una crisi spesso assume dimensioni che travalicano la realtà, complici anche i nostri tam tam mediatici. Qualcuno si ricorda forse della mucca pazza? Del conseguente bando all’amata fiorentina sul presupposto, poi rivelatosi falso, di un contagio collettivo dalla bestia all’uomo? E l’aviaria? L’Organizzazione mondiale della sanità (in pratica il Fondo monetario della salute) annunciava 150mila morti solo in Italia. La pandemia. Neanche un caso. Le crisi, sanitarie come quelle finanziarie, hanno una caratteristica comune. Quando sorgono appaiono apocalittiche: la fine dei carnivori e dei capitalisti. Inoltre generano comportamenti isterici, irrazionali: al bando i polletti italiani, quattrini sotto al materasso.
Detto questo, la débâcle delle Borse fa male davvero ai risparmiatori. Non è una balla. Ma a differenza di un virus, il mercato è il prodotto dell’uomo: è l’interazione straordinaria e libera dei comportamenti e degli interessi istantanei di miliardi di individui. Friedrich von Hayek lo chiamava la «catallassi»: dal greco «scambiare», ma anche «ammettere nella comunità». A differenza delle altre crisi, sono dunque i nostri comportamenti, quelli della nostra comunità, che «fanno il mercato». Ecco perché il panico finanziario rischia di autoavverarsi, nonostante sia nato da un’esagerazione. Un esempio drammatico nella sua semplicità è quello dei depositi bancari. Se gli italiani dovessero in massa ritirare i propri quattrini dalle banche e metterli sotto il materasso, eccessivamente spaventati dalla situazione, metterebbero davvero in difficoltà le banche. Il comportamento dei risparmiatori sarebbe autolesionista e creerebbe per questa via una crisi vera su basi fragili.
C’è da ultimo un rischio più sottile. Drammatizzare una crisi finanziaria rischia di generare risposte altrettanto eccessive da parte della politica. Così come, solo sulla carta, era razionale bandire la fiorentina se essa fosse stata veicolo della mucca pazza, altrettanto ragionevole sarebbe, sulla carta, sospendere l’iniziativa privata nel settore bancario se questo dovesse procurare la morte del capitalismo. In entrambi i casi si commetterebbe un’enorme sciocchezza. (il Giornale)

martedì 7 ottobre 2008

Se Profumo gioca la schedina. L'uovo di giornata

Proviamo a condensare in poche frasi l’intervista che l’a.d. di Unicredito, Alessandro Profumo ha dato oggi a Repubblica. “Nell’ultimo mese il mercato si è deteriorato al di là delle nostre peggiori aspettative”; “Nessuno poteva immaginare che Lehman finisse in chapter 11”; “Abbiamo comprato banche in Ucraina e in Kazakistan, e minoranze in Germania, in Russia e in Austria e insieme abbiamo lanciato l’operazione su Capitalia. Col senno di poi abbiamo esagerato”; “nessuno di noi aveva la percezione che fossimo arrivati al picco del ciclo positivo e che di lì a poco avremmo imboccato con sorprendente rapidità la china discendente: questo è stato il nostro primo errore”; “il secondo errore è stato non prevedere che la crisi globale sarebbe stata così profonda e prolungata, altrimenti avremmo fatto allora quello che abbiamo fatto domenica (il piano da 6,5 mld di euro, ndr.) e sarebbe stato molto meglio”; “quello che non avevamo previsto, che nessuno di noi aveva previsto era che stese per arrivare una vera e propria recessione”; “c’è stato anche l’errore di una eccessiva finanziarizzazione della banca”; “è sempre facile giocare la schedina del totocalcio il lunedì mattina invece del sabato”.

Credete che il titolo dell’intervista sia: “Profumo: ecco perché mi dimetto”?
Nemmeno per idea. (l'Occidentale)

Serviva davvero un blitz stile Riina per trasferire Contrada? Dimitri Buffa

Gli agenti della polizia penitenziaria si sono presentati in cinque, all’alba di sabato mattina, in casa di Anna Contrada a Napoli per prelevare il fratello Bruno e portarlo a Palermo con un volo militare. L’ex dirigente del Sisde aveva ottenuto i domiciliari nel capoluogo siciliano tre giorni fa ma aveva anche chiesto che il provvedimento venisse differito di due settimane per potersi operare. Deve impiantarsi la protesi dentaria (in carcere ha perso tutti i denti) e sottoporsi a un delicato intervento al colon in anestesia totale. Per questo ha anche dovuto sospendere l’assunzione di anticoagulanti che invece servono a curarlo dall’ischemia e dall’ictus, patologie di cui è a rischio. L’ennesimo “malinteso” con la giustizia all’italiana stava per creare un dramma, tanto che la sorella di Contrada è stata costretta a chiamare il 118, la polizia e l’ avvocato Giuseppe Lipera, nel cuore della notte, per evitare che il trasferimento avvenisse senza le necessarie garanzie mediche. Venerdì scorso, il medico legale del carcere di Poggioreale, su richiesta del magistrato di sorveglianza Anna Pancaro, aveva visitato Contrada e preso atto dell’impossibilità di trasferirlo a Palermo prima dell’operazione al colon prevista per questa settimana. Sembrava tutto chiarito e invece è scattata il blitz, un’operazione che ha rischiato seriamente di far venire un infarto non solo a Contrada ma anche alla moglie Adriana svegliata all’alba dalla ferale notizia.

Alla fine ha prevalso la ragionevolezza e Contrada è rimasto a Napoli a casa della sorella. Possibile che si tratti soltanto della ordinaria burocrazia all’italiana in cui la mano destra non sa quel che fa la sinistra? Il sospetto, neanche tanto velato, adombrato dall’avvocato Lipera, è che “tutte queste strane coincidenze, questi disguidi”, capitino perché “a Contrada qualcuno lo vuole morto per consegnare un colpevole defunto sull’altare del professionismo dell’antimafia”. E ci sono tante maniere di uccidere un uomo, specie quando è debole, vecchio e malato. Una di queste può essere tenerlo sotto pressione neanche fosse un boss come Totò Riina. Un’altra tecnica è umiliarlo costantemente: con la suddetta tradotta del mattino, ammesso che ci fosse bisogno di una simile sceneggiata. Invece che usare dei militari di scorta, come esige il ruolo ricoperto da Contrada, sono andati a prenderlo con gli agenti di custodia neanche si trattasse di un boss della Magliana. Piccole cose, dirà qualcuno, ma che incidono pesantemente sulla volontà di vivere di un uomo già troppo provato.

Abbandonato da quello Stato che ha servito per 30 anni, ma che non ci ha pensato un minuto a condannarlo come un mafioso di mezza tacca, fidandosi di quei pentiti che lui stesso aveva assicurato alla giustizia. Svegliare all’alba un uomo che ogni notte deve ingoiare una dose da cavallo di tranquillanti per riuscire a dormire somiglia a una tortura psicologica in stile Guantanamo. La famiglia di Contrada, i suoi legali, i suoi amici, oggi come oggi si chiedono sgomenti: chi è che lo vuole morto prima che la verità sul suo caso venga finalmente a galla? (l'Occidentale)

sabato 4 ottobre 2008

Michele Serra e la superorità dell'arroganza. Paolo Granzotto

Dice Serra, Michele Serra, che questa non è democrazia. O, per esser precisi, che questa è un obbrobrio di democrazia. C’è tutto il dovuto, libere elezioni, maggioranza e minoranza espresse dall’elettorato, rispetto delle regole eccetera. Però avendo la maggioranza del popolo sovrano deciso che Berlusconi diventasse capo del governo, non è democrazia. Perché, dice in sostanza Serra, in una vera democrazia al governo non ci va un Berlusca, ci va Veltroni. Ci va uno che dice lui, lui Michele Serra. Cosa autorizzi poi il piccolo Pericle di Ozzano (Bologna) a tenere lezioni sulla democrazia permettendosi di stiracchiarla di qui e di là, di porle con sussiego limiti di carattere anagrafico per conformarla ai propri gusti, è presto detto. Serra, Michele Serra, si reputa - ne è intimamente convinto - un individuo superiore, più colto, più intelligente, più raffinato, più «giusto», insomma, del settanta per cento degli italiani. È la «diversità antropologica», la «superiorità morale» che Enrico Berlinguer decretò fossero gli attributi primari dell’uomo di sinistra e che l’uomo di sinistra ha finito per convincersi di detenere. Serra per primo. Il quale dice, ancora, che prova tenerezza nei confronti di chi non è di sinistra. Lo commuove «il complesso di inferiorità del ceto medio benestante, ma incolto, nei confronti di quella minoranza di italiani che invece vive la cultura come un bene quotidiano». Laddove la minoranza che va tutti i giorni che Dio manda in terra a pane e cultura è, ovviamente, la sinistra.
Si commuove, sempre il Serra, «alla goffa atmosfera di rivalsa culturale» di certi sprovveduti babbei (di destra) «che trattano un concerto di musica classica come uno show» - oddiomio che orrore, oddiomio che schifo! - «approdo alla cultura di un pubblico evidentemente non avvezzo». Roba da perle ai porci, in parole povere: chi non è avvezzo non s’avvezzi, ma se ne stia a casa e lasci quelle esperienze a chi è già bello che avvezzato. Cioè a Serra, per il quale gli smandrappati non avvezzi confermano «la poca dimestichezza che molti italiani di destra (non tutti, per fortuna) hanno con la cultura e con l’arte». Salvo poi brontolare, seguita a dire Michele Serra, ma mettiamolo bene fra virgolette, ché merita, «salvo, poi, brontolare contro l’“egemonia culturale della sinistra” che è invece uno dei pochi primati (meritati) che l’altra Italia, quella di minoranza, può rivendicare. Un genere di egemonia che si conquista sul campo, e non bastano i quattrini per comprarla».
Ma si può essere più tronfi, più pieni di sé e con più puzza sotto il naso di così? Serra è bravo e anche colto, ma non quanto Berlinguer lo ha illuso di essere. Decine di intellettuali appartenenti al «ceto medio benestante» - lo stesso, d’altronde, di Michele Serra, che non è né un sottoproletario né uno da 800 euri al mese - gli mangiano tranquillamente in testa. E lui lo sa, ma invece di prendere atto serenamente che non tutti nascono col cervello di Emanuele Kant, si barrica con arroganza dietro la consolatoria patacca del «chi non è di sinistra non è colto». Per questo non gli piace come funziona la democrazia: si trova più a suo agio con un regime, quello degli Zdanov, dove la patente di colto la dà e la toglie il partito. E dove «egemonia culturale» significa davvero qualcosa. Qualcosa di sinistro, come piace a lui. (il Giornale)

venerdì 3 ottobre 2008

Il primato del fare e il mito risorgente della superiorità morale. Stefano Folli

Piccole cronache dello strano bipolarismo italiano. Il presidente della Camera, Fini, ha posto un freno alla baldanza con cui il premier Berlusconi ha annunciato che il governo farà ricorso in modo sempre più massiccio ai decreti legge, così da aggirare le lungaggini parlamentari. Il presidente del Senato, Schifani, invece non vede il problema e ritiene, anzi, che il Parlamento stia facendo il suo dovere legislativo.

Il problema è antico. Tutti i governi, salvo eccezioni, hanno fatto uso e abuso dei decreti. Spesso vi erano costretti dalle circostanze, in presenza di autentiche sabbie mobili parlamentari. Più in generale, sfruttavano la scorciatoia. O tentavano di farlo: la storia repubblicana è piena di decreti non convertiti e lasciati decadere. La differenza è che i premier del passato, anche quando esageravano con i decreti, amavano rendere un omaggio magari lievemente ipocrita alla «centralità del Parlamento». Berlusconi, viceversa, è il primo che rivendica in maniera esplicita il ricorso al decreto legge. Con l’argomento che in tal modo si evita di perdere tempo fra Camera e Senato.

Per la nostra cultura parlamentare è quasi uno choc. Non solo a Palazzo Chigi siede un presidente del Consiglio che gode di un potere sconosciuto a tutti i suoi predecessori. Ma costui, l’«uomo del fare», non esita a trattare con qualche sufficienza i suoi stessi parlamentari, membri di una maggioranza ampia come non mai. Il fatto è che Berlusconi, esaltando il ricorso al decreto, sa di interpretare il sentimento di una larga opinione pubblica desiderosa di efficienza. Egli parla e agisce come se fosse stata già approvata la riforma della Costituzione: una riforma, va da sé, che fotografa il ruolo crescente dell’esecutivo a scapito del Parlamento.

Gianfranco Fini, pur essendo parte della maggioranza (come Schifani, del resto), ha avuto da obiettare. Con argomenti logici ha difeso la funzione delle Camere. Si può esser certi che così facendo ha voluto anche dar voce ai dubbi del Quirinale. È uno dei casi in cui è opportuno che il presidente di uno dei rami del Parlamento «copra la corona». Non si può chiedere a Napolitano, cui spetta di firmare i decreti, di esporsi in prima persona in una sorta di conflitto sotterraneo con il governo. Meglio concentrare gli sforzi verso una modifica dei regolamenti parlamentari: come sostiene Fini, con l’accordo su questo del premier.

L’episodio, da non trascurare, sembra portare acqua al mulino dell’opposizione. Ma Berlusconi non se ne cura ed è convinto - finora con qualche ragione - che gli italiani lo seguano. D’altra parte, le polemiche di Veltroni sulla «crisi della democrazia» avrebbero bisogno di essere sostenute con argomenti più incisivi. Ieri il leader del Pd ha negato al premier la possibilità di candidarsi al Quirinale «perché non ha fatto il bene dell’Italia». In tal modo Veltroni recupera il mito della «diversità morale» della sinistra. Solo chi è moralmente migliore può decidere se l’avversario «ha fatto il bene» del Paese. Invece di preoccuparsi della sua ascesa al Quirinale, sarebbe meglio chiedere a Berlusconi una riforma equilibrata della Costituzione, con i pesi e contrappesi necessari. Eppure, proprio su questo nodo, Veltroni (in un’intervista all’Espresso) è piuttosto ambiguo: tanto da lasciar intendere che, a certe condizioni, il presidenzialismo potrebbe piacergli. E sulla riduzione del numero dei parlamentari, il Pd voterebbe a favore. Ma se il problema è la crisi della democrazia, non sarebbe pericoloso? (Il Sole 24 Ore)

La cipria di Bruxelles. Mario Giordano

Aiuti di Stato? Davvero a Bruxelles si riuniranno per decidere sugli aiuti di Stato all’Alitalia? E staranno a cavillare su debiti e prestito ponte, lì a pochi passi da un altro palazzo, dove il governo del Belgio ha stanziato 8,4 miliardi, per soccorrere due colossi bancari? Davvero i burocrati dell’Ue non coglieranno il senso del ridicolo, o per lo meno dell’inadeguato?
Per salvare Fortis si sono mossi il Belgio, l’Olanda e il Lussemburgo: totale 10 miliardi di denaro pubblico. Per Dexia Belgio e Francia hanno versato quasi 7 miliardi. La Germania ha aiutato Hypo Re con 35 miliardi di euro, la Gran Bretagna ha nazionalizzato, dopo Northern Rock, anche Bradford&Bringley. La Danimarca ha nazionalizzato Roslkind Bank, l’Islanda la Glitrin. Il governo di Londra ha rilevato mutui a rischio per 91 miliardi di dollari. E noi stiamo qui a parlare di aiuti di Stato per Alitalia?
Se si prova ad alzare la testa, oltre lo tsunami e verso Bruxelles, non si può non avvertire quanto l’Ue sia anacronistica. Quei commissari chiusi nelle loro stanzette a formulare decreti da azzeccarbugli, con la stessa pignoleria con cui per anni si sono accaniti sul diametro dei piselli, la curvatura dei cetrioli e la circonferenza delle melanzane, ricordano gli ultimi giorni dell’Ancien Régime. Ricordano quei parrucconi che stavano ore a discutere su quale fosse la miglior cipria, senza accorgersi che oltre la parrucca c’era la rivoluzione. E quella cipria scelta con cura, al massimo, avrebbe reso la loro capoccia bellissima per la ghigliottina.
E allora: ha ancora senso discutere di aiuti di Stato mentre gli Usa approvano un piano da 700 miliardi di dollari di intervento pubblico nell’economia? O, per dirne un’altra, ha ancora senso discutere di deficit/Pil al 3 per cento? Non sono troppo piccini quei parametri per la grandiosità della crisi? La verità è che l’Europa sta pagando fino in fondo il vizio originario di essere nata senza anima. E adesso che si trova lì, sotto schiaffo e umiliata, indebolita dai suoi fallimenti in serie, non sa cosa fare, se non rifugiarsi nei soliti riti, da sempre inutili e ora pure obsoleti. Il presidente di turno Sarkozy chiama il G4 a Parigi e prova a costruire un pezzo di futuro. Ma in questo futuro c’è ancora spazio per l’Europa? Quale? E come? (il Giornale)

giovedì 2 ottobre 2008

L'unica opposizione. Filippo Facci

Berlusconi andava condannato sempre, tutte le volte, è l’emanazione della P2, il figlioccio di Bush, un guerrafondaio, un despota, il gemello di Putin, ha vinto le elezioni perché ha le tv, la gente è stata circuita, ipnotizzata, Rete4 è illegale, Forza Italia l’ha voluta la mafia, c’entra con le bombe del ’93, con le morti di Borsellino e Falcone, coi soldi di Cosa nostra, la gente non sa niente perché la stampa è asservita, tutti maggiordomi, la gente ignora che a Napoli c’è ancora la spazzatura, che Alitalia l’ha salvata Epifani, che la Forleo e De Magistris sono perle d’equilibrio, che il mondo ride di noi, che le leggi sono tutte incostituzionali e che il Colle è imbelle, imbranato, che stanno distruggendo la giustizia come voleva Gelli, che il governo ha impoverito il Paese, sono tutti precari, Tremonti ci schianterà, licenziano tutti gli statali, c’è uno Stato di polizia, i soldati in strada, un nuovo razzismo che picchia i neri e scheda i bambini, è un nuovo autoritarismo, torna il fascismo, vogliono cancellare la Resistenza, riabilitare Salò, trasformare le scuole in caserme, santificare i mafiosi, cancellare la satira, imporre il Bagaglino, vogliono nasconderci che Berlusconi è basso, Veltroni non capisce che l’unica opposizione è questa, e non lo capisce neppure la schiacciante maggioranza degli italiani. Si vede che sono scemi. (il Giornale)

mercoledì 1 ottobre 2008

Il coraggio di Spike Lee vendica Pansa. Peppino Caldarola

Spike Lee riabilita Giampaolo Pansa. Il film sulla strage di Sant’Anna di Stazzema ha sollevato polemiche e irritato i partigiani. Il regista afro-americano ha raccontato partigiani che facevano il doppio gioco e partigiani che sparavano e scappavano lasciando le popolazioni inermi alla rappresaglia dei nazisti. Pansa ha raccontato l’inutile bagno di sangue che ha caratterizzato la guerra civile e il dramma degli sconfitti. Fra pochi giorni vedremo il film tratto dal suo libro più noto, Il sangue dei vinti. Tutti e due sono stati accolti dal silenzio ostile o dall’ostracismo della sinistra. Entrambi hanno infranto la sacralità della “guerra giusta” dove i torti erano tutti da una parte, le ragioni dall’altra. In effetti è proprio così, i torti erano tutti da una parte. Ma siamo sicuri che anche le ragioni stavano dalla stessa parte? (il Riformista)

Contrada ai domiciliari

Catania, 1 ott. - (Adnkronos) - Bruno Contrada, l'ex funzionario del Sisde, condannato a 10 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, torna a Palermo. Contrada, infatti, detenuto per gravi motivi di salute in casa della sorella Anna, in provincia di Napoli, tornera', sempre ai domiciliari, nel capoluogo siciliano. Lo ha deciso il giudice di sorveglianza di Napoli che ha accolto la richiesta del suo legale, Giuseppe Lipera, che ne ha dato notizia. Il penalista, insieme alla collega Grazia Coco, oltre ad esprimere "soddisfazione pr la decisione del giudice" ha reso noto che sta raggiungendo a Napoli il suo assistito.