giovedì 29 maggio 2014

Quanti lecchini di Renzi. Stenio Solinas


È solo l'inizio, ma prepariamoci alla melassa. Ha vinto Calandrino, al secolo Matteo Renzi, e il conformismo italiano va già di corsa. È così boyscout (come no), così simpatico (come no), così statista (come no).
Come indossa il chiodo lui, non lo indossa nessuno, come ha fatto fuori Enrico Letta lui, non l'ha fatto nessuno. È un genio, ha asfaltato Beppe Grillo, è un supergenio, ha rottamato l'ex Cavaliere nero. È moderno, usa Twitter, è ganzo (siamo tutti toscani), usa le slide, va in bicicletta (è trendy), va sempre di fretta (era ora), ha persino la pancetta (simpatica, mica è il grasso sfatto della destra)... È già nel Pantheon, con Quintino Sella e il conte di Cavour, ha riconciliato la sinistra con la sinistra (giù le mani da Berlinguer), è il figlio, intelligente, di Veltroni, il nipote, preferito di D'Alema, il fidanzato ideale del ministro Boschi... Così giovani, così carini, così occupati.
Nel Decamerone, Calandrino si era convinto di aver trovato, «giù per lo Mugnone», la pietra che rendendo invisibili lo avrebbe fatto ricco. Così, riempì di botte la moglie Tessa che si ostinava invece a vederlo... Noi italiani rischiamo di fare la fine della sua consorte, ma ci piace credere alle favole: adesso andremo a Bruxelles, batteremo i pugni sul tavolo, torneremo a prosperare. L'elitropia di Renzi-Caladrino è l'alchimia perfetta: 80 euro in busta paga, che la festa cominci...
La Confindustria lo ha già abbracciato. Gli industriali, si sa, corrono sempre in aiuto del vincitore, se poi sta a sinistra corrono ancora più in fretta. E un riflesso pavloviano: sono familisti, ma ci tengono ad apparire progressisti, si fingono liberisti, ma vogliono che lo Stato gli ripiani i debiti. Dalla Fiat a De Benedetti, è una lunga tradizione.
Poi ci sono gli intellettuali, scrittori e registi, giornalisti tutti. Essere andati alla Leopolda è un po' come aver fatto la Marcia su Roma. Uno, dieci, cento, mille Baricco... Nei prossimi mesi vedremo la crescita esponenziale degli «antemarcia», non ci sarà un straccio di poeta, artista, polemista, che non dichiarerà di aver puntato su di lui sin da subito, che sin da subito non ne aveva colto le qualità salvifiche: un leader, una guida, un capo spirituale e in più «uno di noi». Non per nulla ha messo un romanziere (Dario Franceschini un romanziere? Certo, ha scritto dei romanzi...) alla Cultura.
È il nuovo che avanza, e nessuno vuole restare indietro. Lo abbiamo già visto, è già successo, eppure dà sempre un leggero senso di vertigine. Si dirà, guarda il fascismo: tutti col duce sino al 25 luglio, tutti fieramente contro il giorno dopo. Ma lì almeno c'era stato un ventennio vero, un partito unico, una dittatura, una guerra, una sconfitta. È dopo che l'aiuto al vincitore ha assunto toni surreali: tutti democristiani, poi tutti comunisti: in sonno i primi, perché non era elegante, sbandierati i secondi, perché era à la page... Non c'erano la prigionia o il confino per i dissidenti, c'era soltanto la voglia matta di stare comunque con chi garantiva una rendita di potere.
Ha vinto il riformismo, dice estasiato tutto un mondo che sino a ieri lo aveva relegato fra i ferri vecchi dell'odiata socialdemocrazia. Come si vede, il materialismo dialettico continua ad avere una sua forza e a produrre sintesi mirabili. Un riformista rivoluzionario, ecco pronto il nuovo kit di Renzi, re taumaturgo. Tra un po' gli basterà l'imposizione delle mani per guarire un popolo di scrofolosi.
Siamo un Paese strano, ma ancora più strani sono i nostri opinion leader, cortigiani per indole e non per necessità. Gli piace stare con lo Zeitgeist, lo Spirito del Tempo, soffrono se non sono nel vento, si avviliscono... Prepariamoci a nuove biografie immaginifiche, trionfali passerelle televisive, rilucidature di vecchie speranze: il Blair italiano del terzo millennio, l'Obama che gli Stati Uniti non hanno saputo avere, il Mitterrand in salsa toscana (del resto quello d'oltralpe non era soprannominato Le florentin, «il fiorentino», per la sua abilità politica?).
Dategli tempo, tanto non ne occorrerà molto: è già pronta la fanfara, si stanno già accordando i tromboni, i maestri del coro sono già sul podio. Più che un Vincerò, è un Abbiamo vinto. Siamo noi che abbiamo creduto in lui, da sempre, naturalmente. Criticato prima? Un corpo estraneo alla sinistra? Un infiltrato della destra? Ma no, ma non siamo stati capiti, ma era tutto un equivoco. Matteo über alles, in tedesco, va da sé.

(il Giornale)

 

Europee, analisi dei flussi elettorali.


 


L’analisi dei flussi elettorali fotografa l’esodo di elettori da un partito all’altro. Dunque, è indispensabile per capire appieno l’esito di una consultazione elettorale; e per tentare di decifrare il perché ed il percome un movimento politico abbia vinto ed un altro perso.

Il Pd, come noto, alle Europee è arrivato alla stratosferica cifra del 40%. A chi ha sottratto consensi? Una risposta la fornisce l’istituto di rilevazione demoscopica SWG.

Su 11milioni e 170 mila voti complessivamente raccolti, 4 milioni e passa provengono da altri soggetti politici: 1 milione e 270 mila da Scelta Civica, 1 milione e 90 mila dal Movimento 5 Stelle, 430 mila dal Pdl, 110 mila dall’Udc e da Fli, 420 mila da altri partiti di centrosinistra. Mentre dall’astensione giungono 1 milione e 140 mila consensi. Val la pensa sottolineare, poi, che, secondo la sondaggista di fiducia di Berlusconi, Alessandra Ghisleri, da Forza Italia al Pd sarebbero transitati anche più voti: 500-600.000.

Veniamo a Forza Italia. La formazione berlusconiana, che ha perso 2 milioni e 730 mila voti rispetto alle Politiche del 2013 (quando ne aveva già visti evaporare 6.297.330), ne ha regalati un po’ a tutti: 470.000 al Nuovo Centro Destra, 430.000 al Pd, 410.00 al Movimento 5 Stelle (cui, però, ne ha sottratti 130.000), 340.000 alla Lega Nord, 220.000 a Fratelli d’Italia. Rilevante è constatare, poi, quanti elettori l’abbiano abbandonata rifugiandosi nell’astensione: ben 1 milione e 750 mila.

Il movimento fasciocomunista 5 Stelle, invece, ha perso 2.900.000 suffragi (rispetto alle Politiche del 2013): 1 milione e 90 mila a favore del Pd (si chiama: nemesi), 240.000 a beneficio della Lega, 130.000 a favore di Forza Italia, altrettanti a favore di Fratelli d’Italia, 120.000 a beneficio dei comunisti della lista Tsipras, 100.000 a favore del cosiddetto N(nuovo)C(centro)D(democristiano).

La Lega, che pure ha perso 1 milione e 439 mila e passa voti rispetto alle precedenti Europee del 2009 (e, infatti, ha confermato solo 5 dei 9 seggi che aveva precedentemente conquistato), ne ha ottenuti 300.000 in più rispetto alle Politiche.

Terminiamo con Scelta Civica. Il movimento fondato da Monti, che pure aveva sottratto alle Politiche suffragi a Berlusconi, presentatosi a queste Europee con altre formazioni (che definire minori è essere fin troppi generosi) sotto le insegne di Scelta Europea, ne ha persi 2 milioni e 650 mila.

A tal proposito, e concludo, è interessante notare come dei 196.157 voti racimolati da Scelta Europea, ben 170.000 siano giunti da Scelta Civica; e, se la matematica non è un’opinione, solo 26.157 da tutte le altre formazioni lillipuziane: Centro Democratico (di Paolo Cirino Pomicino e Bruno Tabacci), Movimento Federalista Europeo e Fermare il Cretino.

(Camelotdestraideale.it)

Nazareno europeo. Davide Giacalone


Nei risultati delle europee c’è di più, e c’è di meglio, di quel che sembra. Il Partito democratico ha vinto, ma in modo tale da chiudere per sempre la storia del fu Pci (evviva) e da dovere ridefinire la propria identità. Forza Italia ha perso, ma in modo tale da escludere che il problema sia organizzativo o comunicativo, bensì di sostanza e rappresentazione. L’Italia centra una quaterna fatale: a. il governo più votato in Ue; b. il Paese che manda al Parlamento europeo il più alto numero di anti-euro; c. il Pd primo gruppo nazionale nel Pse (come il Pdl lo era nel Ppe); d. FI con un gruppo europeo molto indebolito, ma pur sempre rilevante per la maggioranza Ppe. Da qui si riparte, con l’occhio rivolto all’Europa e alla pancia del Paese (non alla propria).

Dal punto di vista continentale il dato decisivo è quello francese, con il Fronte National, primo partito. Nella catena europea, e specialmente in quella dell’euro, la Francia è l’anello debole. L’idea di mettersi al riparo del governo tedesco, e a disposizione del loro cancelliere, già adottata da Nicolas Sarkozy e seguita da François Hollande, non ha protetto la Francia, ma l’ha sfasciata. L’ha infranta sulle paure e ha creato una reazione d’insensato nazionalismo (nelle condizioni in cui sono se si sganciassero, come chiede Le Pen, andrebbero alla rovina). Di questo non si potrà non tenere conto, per il futuro dell’Ue.

Se l’anello francese s’è dimostrato debole, quello italiano ne è uscito inaspettatamente rafforzato. Escluso che il risultato si debba ai successi (semmai alle promesse) del governo, come è potuto succedere? Ha giocato un ruolo decisivo la paura. Renzi ringrazi Grillo. Tutti hanno scritto che gli ortotteri hanno perso clamorosamente, in realtà hanno preso un quinto dei voti, che non è poco, ma hanno fallito l’assalto alla maggioranza. Anzi l’hanno fortificata: spaventando molti elettori li hanno spinti verso un voto di difesa e di conservazione, di continuità e avversità contro ogni avventura, e quel voto è stato raccolto non tanto dal Pd, quanto da Matteo Renzi. Attenti a non cadere nelle illusioni ottiche: non è il Pd che ha sfondato al centro, è il centro elettorale che ha sfondato il Pd, è l’elettorato ragionevole e posato che lo ha adottato come scudo.

Il centro destra, inoltre, ha favorito Renzi regalandogli la rappresentanza in esclusiva dell’europeismo ragionevole. Regalo assai generoso, considerato che l’Italia è il Paese più europeista d’Europa. Sta di fatto che alcuni pezzi del centro destra si erano esplicitamente schierati contro la moneta unica, mentre il partito più consistente, Forza Italia, aveva cincischiato sul tema, supponendo fosse impopolare difenderla. Ma gli elettori non sono poi così sprovveduti: un pensionato o un impiegato avvertono come un pericolo l’instabilità monetaria e l’inflazione, capace di spolpargli il reddito; rotture e uscite non sono vissute come liberazioni, ma come avventure; i vincoli europei possono essere fastidiosi, ma la dilapidazione nazionale è allegra solo per chi la incassa. Temi rilevanti, come l’immigrazione, sono stati agitati come spauracchi, ma del tutto privi di proposte risolutive (qui illustrate). Insomma, hanno concorso in molti a far paura ai moderati, che hanno visto in Renzi non il capo della sinistra, ma un giovane moderato dietro il quale ripararsi.

All’indomani delle elezioni si riparte dal Nazareno, inteso più come metodo che come contenuto (scarso). La quaterna, inoltre, propizia un Nazareno europeo: uniti si rende l’Italia decisiva, ponendola alla testa di forze che raccolgono anche la scassata Francia. Non si tratta di imporre lo sfondamento del 3% (deficit/pil), ma di ricominciare da dove i tedeschi, nel 2011, misero i bastoni fra le ruote europee: federalizzazione di una parte del debito; Banca centrale con pienezza di funzioni; fondi per investimenti produttivi. Più di questo l’Ue di oggi non è in grado di pensare. Meno di questo e va tutto in pezzi. Per l’Italia è l’occasione di chiudere un capitolo e di far valere i propri punti di forza, sui quali ossessivamente abbiamo insistito (avanzo primario, rapporto debito/patrimonio, crescita del debito dal 2009, aiuti a chi era in difficoltà, esportazioni, etc.). Sarebbe sciocco sprecarla solo per continuare a fare il gradasso, o solo per invidia della prestazione. Conviene a tutti i soggetti seri. Ed è anche l’unico modo per parlare a quegli elettori che hanno dimostrato (con saggezza) di saper fare la differenza.

Pubblicato da Libero

venerdì 23 maggio 2014

Al voto!


Caro Mauro,
come ha scritto ieri in un commento Vincenzo: "È la campagna elettorale più surreale della nostra vita repubblicana. Da una parte il pensiero logico, razionale, consequenziale del nostro Presidente. Troppo capace per essere compreso dai disperati grillini e da chi segue la povera demagogia renziana. Questa è la volta in cui votare è penoso, ma davvero indispensabile.".

Questa è la campagna elettorale più difficile della nostra storia. Berlusconi, anche se pesantemente limitato dagli effetti della sentenza politica che sta scontando, ce la sta mettendo tutta, come al solito. La pressione di Renzi e Grillo è molto forte, anche su quanti in passato hanno votato per noi. Renzi copre gli aumenti certi delle tasse sulla casa e sui risparmi con una sequenza di annunci mirabolanti. Grillo, specula sulla disperazione di molti italiani.

Per questo votare Forza Italia è più che mai indispensabile, così come indispensabile è il tuo apporto in questi ultimi, decisivi giorni, nei quali molte persone decideranno se votare e per chi. Per questo abbiamo predisposto per te una serie di strumenti per fare il "porta a porta digitale". Li puoi trovare in questo minisito dedicato.

Noi di Forzasilvio siamo più di 269.000. Se ciascuno di noi riporta al voto per Forza Italia tre amici, otterremo quel risultato utile per l'Italia in Europa e importante per dare ancora più forza al rinnovamento che Berlusconi ha intrapreso in Forza Italia.

Grazie per quello che farai. Forza!

on. Antonio Palmieri
responsabile internet Forza Italia


giovedì 22 maggio 2014

In difesa dei diritti politici dei cittadini. Arturo Diaconale



Il Tribunale Dreyfus inizia la propria attività presentando alla Procura della Repubblica di Roma una denuncia-querela volta a chiedere alla magistratura italiana di accertare se nelle vicende che portarono alle dimissioni del Governo guidato da Silvio Berlusconi nell’autunno del 2011 vennero commessi reati previsti dal nostro codice penale. L’iniziativa non nasce da una qualche ossessione per le teorie complottiste o da un qualche cedimento alla tendenza giustizialista tesa a trasportare la dialettica politica sul terreno della giustizia penale.

Il Tribunale Dreyfus ha come motivazione di fondo proprio l’esigenza opposta: difendere i cittadini dalle ossessioni e dalle distorsioni della cultura giustizialista. L’iniziativa nasce, al contrario, dalla considerazione che da settimane e mesi si susseguono ricostruzioni e rivelazioni sugli avvenimenti che produssero la fine del governo Berlusconi e la nascita del governo Monti senza che questo incalzante flusso di informazioni abbia fatto chiarezza su un interrogativo di fondo per il futuro del Paese. In quei mesi drammatici del 2011 la sovranità italiana venne rispettata o violata da istituzioni, organismi o soggetti stranieri?

La domanda non riguarda una questione di semplice orgoglio nazionale. La sovranità di uno Stato democratico riguarda i diritti politici dei cittadini. Quelli che si esercitano attraverso libere elezioni che danno vita ad organi costituzionali, i quali svolgono le loro funzioni sulla base del mandato ricevuto dal corpo elettorale. Nel tormentato periodo che va dalla primavera all’autunno del 2011 i diritti politici dei cittadini italiani sono stati rispettati e gli organi costituzionali dell’epoca hanno svolto le loro funzioni senza interferenze di sorta? Il Governo dell’epoca guidato da Silvio Berlusconi venne coartato o meno da insostenibili pressioni esterne? Le ricostruzioni degli avvenimenti fornite da personaggi autorevoli lasciano intendere che la sovranità venne violata, i diritti politici dei cittadini conculcati, le funzioni degli organi costituzionali pesantemente condizionate. Un libro dell’ex Premier spagnolo, il socialista Luis Zapatero racconta che al vertice G20 di Cannes dei primi di novembre, quello dei risolini di scherno tra il presidente francese Sarkozy e la cancelliera tedesca Merkel, ci furono pressioni fortissime sui rappresentanti del Governo italiano (il Presidente del Consiglio Berlusconi ed il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti) per far loro accettare un prestito del Fondo Monetario Internazionale che avrebbe dovuto salvare l’euro al prezzo di condizioni capestro per il nostro Paese.

Nel libro Zapatero ricorda che “nei corridoi si parlava di Mario Monti come di prossimo successore di Berlusconi a Palazzo Chigi. A sua volta Alan Friedman, nel suo libro “Ammazziamo il gattopardo”, rileva che già nel giugno precedente, cioè prima della crisi dello spread, negli ambienti di Bruxelles circolava il nome di Monti come futuro Primo Ministro italiano. E infine, la testimonianza più inquietante contenuta nel libro dell’ex ministro del Tesoro Usa, Timothy Geithner, riporta che in autunno “alcuni funzionari europei ci contattarono con una trama per cercare di costringere il Premier italiano Berlusconi a cedere il potere” e aggiunge che la richiesta venne respinta dal presidente Barack Obama con la frase “non possiamo avere il suo sangue nelle nostro mani”. Chi sono questi funzionari europei? Ed in nome e per conto di quali governi agivano?

Chiedere alla magistratura di fare chiarezza non vuole essere un modo strumentale di alimentare una polemica politica inevitabile. È la sola strada per sperare di raggiungere una verità che serve a fare chiarezza nel passato, ma che è assolutamente indispensabile per evitare che il futuro riservi nuove e drammatiche violazioni di sovranità nazionale, di diritti politici dei cittadini, di funzionamento degli organi costituzionali.

(l'Opinione)

 

mercoledì 14 maggio 2014

"Ha visto che non dico bugie?"


Silvio Berlusconi ha una specie di umiltà incorporata, va a Cesano Boscone col sorriso sulle labbra, poi si occupa di pensioni (da elevare a mille euro), di dentiere (gratuità per tutti i vecchi in difficoltà) e di pet o animali da compagnia domestica ("tutelarli per ragioni animaliste e sociali"), sa che la società è fatta di popolo, il popolo di individui e nuclei famigliari in difficoltà, ha sempre avuto un rapporto speciale con l' immenso elettorato femminile e anziano, oltre che con i ragazzi stregati dai tempi di Drive In, e non vuole mollare. Ma non si è fatto sorprendere né dal libro di Tim Geithner, l'ex segretario americano al Tesoro, il pupillo di Wall Street e della Casa Bianca di Obama primo mandato, e neppure dall'inchiesta monstre del Financial Times di Peter Spiegel sulla crisi dell'euro e i rapporti tra i grandi d'Europa e d'America.

Berlusconi aveva parlato prima. "Avevo detto che nelle mie dimissioni del novembre del 2011 c' era un elemento di coazione, che le cose si erano sviluppate e non per caso a ridosso del G20 di Cannes subito precedente la nomina di Monti senatore a vita eccetera, che un conto è il mio senso di responsabilità nazionale e un conto furono le manovre, esterne e interne, per eliminare un uomo di stato che in Europa contraddiceva il pensiero unico delle burocrazie e dell' establishment tedesco, capeggiato da Angela Merkel. Ecco qui le più rilevanti conferme da Washington e da Londra.
Puntuali. I magistrati che mi hanno perseguitato una vita senza prove li chiamerebbero 'riscontri' del colpo di stato".

Gongola, il Cav., perché Tim Geithner ha messo nero su bianco nel suo libro autobiografico appena uscito, papale papale, che gli eurocrati di Bruxelles, "i quali - osserva Berlusconi - agiscono sempre su mandato di alcuni governi", a un certo punto chiesero agli americani di aiutarli a cacciare da Palazzo Chigi il presidente eletto, ricevendo un rifiuto dall' Amministrazione americana, ma intestardendosi nel progetto di interferenza abusiva e di violazione delle regole democratiche.

E per sovrammercato c'è quella "stupenda" dichiarazione di Barack Obama, riportata dal Financial Times, davanti a una Merkel incapace di trattenere calde lacrime: "I think Silvio is right", penso che Berlusconi abbia ragione quando rifiuta di sottoporre l'Italia, "che non ne aveva alcun bisogno" aggiunge il Cav., al drammatico stress di un salvataggio mediante il Fondo monetario e l'Ue: "Dicono di aver evitato all'Italia di finire come la Grecia, i nostri sapientoni, in realtà avevano tentato di cacciare il nostro paese, con la strategia dello spread, in una condizione alla greca. Io l'ho impedito, ma quando ho visto che si apriva un fronte interno di desolidarizzazione, al quale non era estraneo perfino il capo dello stato, quando ho capito che l'interferenza era arrivata al suo culmine, ho preferito mettere l'interesse del paese alla stabilità nell'emergenza davanti allo scandalo di una cacciata dalla guida dell'esecutivo dell'ultimo presidente italiano scelto dal popolo. Cioè chi le parla. Ma lo scandalo resta, e se l'informazione fosse una cosa più seria e più libera di quella che effettivamente è, se ne parlerebbe e si indagherebbe anche in Italia, non solo a Washington e a Londra".

Berlusconi ride delle pretese di un Grillo, e anche dei pugni sul tavolo un po' infantili di un Renzi: "Non ne sanno nulla" - dice al Foglio - "conoscono solo le chiacchiere, ma non la realtà politica del confronto in Europa, e della battaglia, poi parzialmente vinta, per una Bce e per istituzioni sovranazionali capaci di una politica espansiva, non solo finanziaria, in difesa delle economie reali d' Europa".

"E quella battaglia continua adesso, anche con queste elezioni: da un lato i chiacchieroni, che chiedono il voto in premio alla demagogia o all'attivismo senza una direzione chiara, dall'altro il sottoscritto, cioè chi ha cercato con successo di fermare il treno crisaiolo della Bundesbank e delle eurocrazie, e per questo ha pagato il prezzo che ormai sappiamo alle sue scelte lineari".
Se aveva ragione nel braccio di ferro con la Merkel, come gli riconosce Obama (e nessuna smentita è arrivata al Financial Times), non avrebbe dovuto resistere? "Era forse nel mio interesse personale, oltre che nelle regole della democrazia italiana e di quella europea, ma la serie di manovre convergenti del fronte esterno e di quello interno avevano reso l'aria irrespirabile, e ora che le cose vengono in chiaro si capisce il perché, anche il perché della mia scelta ispirata al senso dello stato.
Una scelta che è arrivata solo dopo che l'Italia aveva ottenuto, anche a Cannes, la garanzia di essere lasciata in pace alle sulle riforme, da me tutte avviate o realizzate nei miei anni di governo".

Comunque, dice Berlusconi, "ora il problema è il futuro, visto che Mario Draghi ha fatto parte di quanto era dovuto e la situazione è ritornata parzialmente sotto controllo, su una linea che era la nostra linea: espansione monetaria, credito capace di trasmettersi a tutto il sistema e liquidità in difesa non del sistema bancario ma della salvezza finanziaria del risparmio e degli investimenti di imprese e famiglie".
"Ora - aggiunge - bisogna compiere l'opera.
Grillo in Europa è affetto da impotentia coeundi, non può muovere uno stecchino nella fitta trama dei populismi di serie B in cui si è cacciato per sua colpa: il suo voto serve a niente, è puro sberleffo, è nichilismo.
Renzi deve ancora imparare molte cose, per certi versi è un buon emulo del meglio dei nostri governi, ma per altri versi è prigioniero delle forze di sistema che assorbono e spengono lo slancio di qualunque riformismo a sinistra.

E allora per combattere in Europa, per una moneta che non sacrifichi con la sua forza apparente la ripresa e la crescita delle nazioni, per un vero rilancio è voto utile solo il voto a chi, parola di Obama e parola di Berlusconi, in quella circostanza decisiva was right, aveva ragione".
"Sono esterrefatto - conclude Berlusconi - dall'inchiesta del New York Times sull'impossibilità per le piccole imprese anche solo di discutere con le banche le linee di credito necessarie all'economia della produzione, dell'innovazione e del rilancio. E' pazzesco. Le banche sono state inondate di liquidità ma la sua trasmissione alla rete dell'industria, dell'artigianato e del commercio è ancora sostanzialmente bloccata.
Ora faccio una Lega per il credito giusto, e vediamo alla fine chi la vince, questa battaglia in nome dei veri interessi dei popoli europei, contro i formalismi della burocrazia più incapace del mondo".

Il Foglio, 14 maggio 2014






mercoledì 7 maggio 2014

Il piano cultura di Forza Italia. "Finito lo strapotere di sinistra". Pier Francesco Borgia


«Date un luogo comune a un fanatico e ne farà un dogma». Così, sommessamente, Roberto Gervaso salmodiava per esorcizzare la malattia culturale del nostro tempo.
Un virus che si è annidato per decenni in anfratti ben protetti, da dove ciclicamente esce per «evangelizzare» le nuove leve. Una malattia culturale che ha nella monopolizzazione della sinistra il suo sintomo più evidente. Quasi un gigantesco drago contro il quale faticano non poco gli sparuti san Giorgio indipendenti che tentano di difendere i principi della cultura liberale. Tra questi paladini spicca Edoardo Sylos Labini, attore e regista teatrale. Da tempo porta avanti una sua «politica culturale» che con Gramsci c'entra ben poco e che ha come punti cardinali il pensiero di Benedetto Croce, il genio di Gabriele D'Annunzio e la lucidità di Leo Longanesi.
«È sempre più difficile - spiega l'attore, reduce da una lunga tournée lungo tutta la penisola dove ha portato il fortunato spettacolo Gabriele d'Annunzio, tra amori e battaglie - difendere l'originalità e l'indipendenza di giudizio. Quasi che il paradosso fosse più raro e costoso di un diamante. Aveva ragione Longanesi a dire che il paradosso è il lusso delle persone di spirito, mentre la verità è il luogo comune dei mediocri». Le invettive, i paradossi, la libertà e l'indipendenza di un artista di razza non possono che scontrarsi con il muro di gomma tirato su da chi ha fatto della verità culturale prima un monopolio e poi un dogma. «Si può parlare di tutto, beninteso. Però la chiave di lettura dominante su ogni argomento la dettano i giornali di sinistra - aggiunge Sylos Labini -, forti di una tradizione che ha origini lontane. E contro questo monopolio è giusto sempre scendere in guerra e combattere. Ancor di più oggi che la sinistra appare divisa, annacquata e disorientata».
Al suo impegno di attore, regista e promotore culturale (a Sylos Labini si deve, tra l'altro, la nascita del foglio Il Giornale Off, che dà conto come poche altre testate del fervore di una culturale e di un'arte d'avanguardia e non allineata) l'attore ha affiancato recentemente l'impegno più propriamente politico. Dallo scorso marzo fa parte del comitato di presidenza di Forza Italia e onora il suo ruolo con battaglie sempre più cogenti sul futuro culturale e sulla valorizzazione artistica del nostro Paese. «Tra i luoghi comuni più odiosi - ricorda l'attore, che oggi sarà al fianco di Silvio Berlusconi nella presentazione del nuovo dipartimento Cultura del partito - c'è quello che da decenni identifica l'artista di valore come naturalmente schierato a sinistra. Una sciocchezza che è sempre stata venduta come oro colato. Mai come oggi, però, questa falsità mostra la sua pietosa debolezza dal momento che sono in molti a uscire allo scoperto. Insomma siamo all'outing collettivo di tanti artisti che finalmente possono mostrare tutto l'orgoglio del loro non essere allineati. Oggi è possibile rivendicare questa autonomia. Ed è proprio da qui che, secondo me, bisogna ripartire. Non solo per sdoganare i grandi maestri e i valori immortali della cultura liberale, ma anche per dare vita a una politica del fare che punti sul nostro patrimonio artistico e culturale come volano per la crescita». Di idee Sylos Labini ne ha molte e azzarda: «A me, come a tanti altri, non basta più smascherare il vizietto del doppiopesismo e del miope allineamento ai dogmi. Vogliamo un rilancio che sia incubatrice di nuove idee. Bisogna tornare, insomma, a essere originali, inventivi, lucidi e liberi come ai tempi di Marinetti (altro nume tutelare e cavallo di battaglia della carriera teatrale dell'attore, ndr)».

(il Giornale)