giovedì 31 gennaio 2013

Corte incostituzionale. Davide Giacalone

La Corte costituzionale continua a schiaffeggiare la Costituzione. Quel che più colpisce non è la sfrontatezza di tale malcostume, ma il silenzio che lo circonda. Coscienze e cattedre tacciono, pur essendo evidente e perdurante lo sfregio. Adesso, però, c’è una coincidenza e s’approssima una novità, talché nel nostro piccolo club, dove la Costituzione la si legge, più che idolatrarla a vanvera, corre qualche sorriso e s’avvia qualche ammiccamento.

Franco Gallo, appena nominato presidente della Corte, non è il primo Gallo che si trova in quel posto. Il suo predecessore omonimo (Ettore Gallo), però, aveva un record che, successivamente, è stato polverizzato: fu il primo a scadere lo stesso anno della nomina, il 1991. Ora, non solo il professor Franco scadrà anch’egli nell’anno della nomina, ma ci sono state annate generose, nel frattempo, nel corso delle quali si ebbero anche quattro presidenti. Il che, sia detto con il dovuto rispetto, è totalmente incostituzionale.

Leggiamo l’articolo 135 della Costituzione, quinto comma: “La Corte elegge tra i suoi componenti (…) il presidente, che rimane in carica per un triennio, ed è rieleggibile (…)”. Non c’è scritto che rimane in carica “un massimo di” o “fino a” tre anni, ma che presiede per un triennio, rinnovabile. Quindi si deve eleggere chi ha quel tempo a disposizione. E così è stato, fino alla seconda metà degli anni ottanta. Poi s’avviò il disfacimento. In chiusura di secolo è partito il malcostume di mandare in pensione il più alto numero possibile di giudici costituzionali con il titolo di presidente emerito (30.000 euro al mese, macchina e autisti a vita, diritto d’insegnare dove vogliono, cui si aggiunge la macabra soddisfazione di una via intitolata alla memoria, nella capitale). Grazie al positivo prolungarsi della vita, c’è una gara di numerosità fra presidenti emeriti e giudici costituzionali in carica.

Il criterio dell’anzianità di servizio è incostituzionale (oltre tutto non si “eleggono”, ma nominano, violando spirito, lettera e tutto), ma è anche rivelatore di una misera decadenza. Da anni, ogni volta che tale scempio si ripete, mi son preso il solitario compito di denunciarlo. L’unico che ebbe l’ardire di rispondere fu Giovanni Maria Flick: è vero, scrisse, la Carta prevede tre anni, ma la prassi è diversa. La prassi? Ma allora smettiamola di pagare il costo del sinedrio, se anche quello si regola affidandosi alla prassi! Il che, poi, non è neanche vero. Questi signori credono che si sia tutti ignoranti, invece c’è anche qualche matto che studia. Si deve sapere che nel testo originario della Costituzione, entrato in vigore il primo gennaio 1948, c’era scritto solo: “La Corte elegge il presidente fra i suoi membri”. Quell’articolo fu modificato con una legge costituzionale del 22 novembre 1967, introducendo la durata di tre anni e la possibile rieleggibilità, salva la scadenza del mandato. Tradotto: il presidente dura tre anni, può essere rieletto, ma, in questo caso, non prolunga la durata del suo mandato di giudice (originariamente di dodici anni, poi portati a nove). Sfido chiunque a sostenere il contrario. Con o senza cattedra.

Di Gallo in Gallo, dunque, della Carta si fecero coriandoli. E proprio a cura di chi dovrebbe presidiarla. Ma ora si presenta un ostacolo. Francesco, già ministro del governo Ciampi e da questi nominato giudice costituzionale, scadrà fra sette mesi. Poi dovrebbe (orridamente) andare il più vicino alla pensione, solo che sono in due: Luigi Mazzella e Gaetano Silvestri, che giurarono entrambe il 28 giugno 2005. Come si fa? Si nominano due presidenti, in modo da avere due emeriti al posto di uno? Non ridete e non scherzate, perché li hanno appena nominati vicepresidenti, equiparando la funzione e senza che la Costituzione faccia cenno alcuno a tali cariche e alla loro inesistente funzione. Esattamente come i detersivi: due al posto di uno. A settembre tireranno a sorte, se non avrà già provveduto la sorte. Comunque saranno degli emeriti. Siamo estasiati. Anche un filino schifati.

Pubblicato da Il Tempo

mercoledì 30 gennaio 2013

Sud scimunito. Davide Giacalone

Ecco un nuovo concorso: “dateci idee per salvare il Sud”. Mi candido subito, e presento la mia idea: fermate il concorso. L’iniziativa parte dal ministero per la coesione territoriale (altra idea che fornisco gratis: chiudete il ministero e smettetela di usare il termine “territorio”, che tanto non si spappola) e da Invitalia, agenzia pubblica che agisce su mandato del governo per accrescere la competitività nazionale (da quando esiste è diminuita, con il che ho già detto cosa farne). Se avete stomaco e siete dotati di un vocabolario capace di tradurre dal burocratese e dal falso managerialese, senza per questo chiedere che usino l’italiano, andate a vedere quel che scrivono nell’apposito sito www.99ideas.it. Scorgerete il baratro nel quale il Sud è stato condannato a vivere, oltre che la voragine dove sono stati buttati i soldi pubblici.

Le idee per salvare il Sud devono essere esaminate da apposite commissioni, ove siedono i rappresentanti delle amministrazioni promotrici, coadiuvati da presunti esperti in non si sa cosa. Una volta selezionati i progetti finiscono in un “piano generale”, in attesa di essere finanziati con i quattrini del contribuente. Per avere sentore di quale sia il livello culturale dell’operazione mi limito a trascrivere le indicazioni relative all’area di Pompei: “per la valorizzazione degli attrattori presenti sul territorio, il potenziamento del sistema produttivo locale e della filiera turistico-culturale, con l’obiettivo di rendere il sistema cittadino più attrattivo, accogliente e vivibile”. Anche qui avrei un’idea attrattiva, destinata a rendere più vivibile l’attrattività locale, e consistente nell’attrarre verso una scuola il massacratore di tasti che è riuscito a compitare un simile obbrobrio. In quanto a Pompei, ecco idee originalissime: 1. mettere un cartello stradale che indichi il sito; 2. tenere aperta l’area archeologica anche la sera; 3. immaginare la presenza di un bar e, cosa che non guasta, anche di qualche cesso. Io privatizzerei. Ma mi rendo conto di essere fuori concorso.

Posto che gli “abstract” vanno pubblicati “online” per favorire la “contaminazione” (non c’è problema, questa è tutta roba altamente contaminata), ecco il chiaro indirizzo formulato dall’amministratore di Invitalia, Domenico Arcuri: “lavoreremo per trasformare le idee in progetti strategici trasformando (le?) in reali traiettorie per lo sviluppo”. Traiettorie per lo sviluppo. Trattorie per l’avviluppo. Trastullatorie per lo slurpo. Raymond Queneau sarebbe restato in estasi. Più terreno il ministro, Fabrizio Barca: “Non c’è un problema di fondi (…) queste idee potrebbero entrare a fare parte dei progetti finanziati con il nuovo programma comunitario 2014-2020”. E’ appena il caso di osservare che quando si scoprirà che il fumo non prelude all’arrosto i signori che parlano saranno proiettati altrove.

Adesso, da uomo del Sud, vi dico qualche cosuccia banale: a. lo Stato spenda i soldi non in patetici concorsi, ma in infrastrutture, a cominciare dai trasporti; b. si preoccupi che esistano le linee di comunicazione; c. usi la propria forza per far rispettare la legge, mediante la repressione del crimine e la liberazione da una giustizia che agisce con tempi intollerabilmente lunghi; d. se non ci sono problemi di fondi, paghi i propri debiti, così, almeno, le parole potrebbe anche sembrare che abbiano un senso; e. se vuole attrarre idee dal mondo non ha che da creare aree di favore fiscale, come in ogni altra parte del mondo si è fatto; f. le idee migliori non sono quelle come tali riconosciute da componenti prezzolati di una commissione ministeriale, ma da quella cosa diabolica che si chiama “mercato”; g. una volta scoperto che ci sono idee buone si tratta di far crescere le aziende, che è l’opposto di quel che si sta facendo con la pressione fiscale, con quella burocratica e con le trovate propagandistiche modello start-up; h. il Sud ha bisogno di essere salvato, è vero, ma proprio da questo modo dirigista e burocratico-clientelare d’interpretare l’innovazione e la crescita.

Di idee, al Sud, ce ne sono tante. Solo che vanno a prendere corpo in altre parti del mondo. In ultimo: è lecito sapere quali sono i tempi massimi, trascorsi i quali i soldi dei cittadini non verranno sprecati? Perché attualmente, nel campo della ricerca, la cosa funziona così: presento l’idea, che verrà finanziata quando la ricerca sarà divenuta inutile o sorpassata. Il Sud ha bisogno di meno iniziative scimunite. Come questa.
Pubblicato da Libero

domenica 27 gennaio 2013

Bersani e Montepaschi. Lorenzo Matteoli

Bersani dice il PD fa il PD e il Monte dei Paschi fa il Monte dei Paschi. Difficile credere a questa battuta offensiva del buon gusto e della intelligenza degli italiani, quando la sovrapposizione fra PD e Monte dei Paschi è pressoché totale. E che al PD piaccia giocare con le banche proprie e altrui è cosa nota. Ma la domanda da porre a Monti e a Bersani e molti giornalisti in servizio permanente e continuo è un’altra.
 
Se invece del Monte dei Paschi a essere nei guai per investimenti da turisti della finanza internazionale e da avidi e incompetenti arraffatori, fosse stata una banca di Berlusconi, il governo di Monti avrebbe fatto il prestito da 3,9 miliardi di Euro? E se l’avesse fatto, cosa che non darei per scontata, cosa avrebbero scritto i giornali di servizio, e strillato i compagni al tempo? E cosa scriverebbero e strillerebbero oggi?

Bersani non è autorizzato a ritenere tutti gli Italiani babbei e creduloni come i suoi sodali. Si giustifichi in modo serio e si assuma le precise responsabilità che gli competono come segretario di un partito di trafficanti della finanza a spese delle centinaia di migliaia di poveracci che mettono i risparmi di una vita nelle mani dei suoi compagni dorati e incapaci amministratori di banche di servizio.

Quo usque tandem…  (il Legno storto)

venerdì 25 gennaio 2013

Fermare il delirio. Davide Giacalone

Gli elettori che voteranno per “Fare – Fermare il declino” non appartengono alla categoria di quanti si svegliano la mattina con la voglia di vincere, a qualsiasi costo. Ma ci andrei piano nel considerare la loro scelta un voto inutile.

Gli elettori che credono la sinistra sia il luogo della giustizia e dell’equità sono stati presi in ostaggio prima dalla tradizione comunista, che è stata miseramente ingloriosa (il professor Monti non sa quel che dice, ma lo dice con sicumera pari solo all’abisso d’ignoranza che mette in luce) e foriera d’ogni negazione della libertà, poi dal gruppo dirigente che ne è residuato, sopravvissuto in un intreccio di affari e blocco sociale di cui le coop emiliane e il Monte dei Paschi di Siena sono solo due esempi. Gli elettori che credono la destra sia il luogo ove si coltiva l’attenzione al mercato e il contenimento dello Stato sono stati presi in ostaggio da maggioranze scombiccherate, con una capacità riformista pressoché inesistente e capaci di far crescere sia la spesa pubblica che la pressione fiscale. I due gruppi d’ostaggi sono ben consapevoli dell’inferno nel quale si trovano, ma ritengono che finire ostaggi della banda rivale sia peggio. Ecco, quegli elettori che usciranno di casa e voteranno per “Fare – Fermare il declino”, negano che si possa e si debba restare ostaggi.

L’Italia è un sistema produttivo assai forte. Un’economia che ha capacità di ripresa straordinarie. Ma il sistema Italia è fiaccato dall’immobilismo, svenato dal pagamento di montagne di spese inutili, incatenato alla conservazione dell’esistente, inchiodato da corporativismi che sono aggregazioni di debolezze estreme, ma anche di velenose arroganze. Una rottura ci vuole. Ma non basta.

Fra un mese ci saremo tolti dai piedi questa insulsa campagna elettorale. La sinistra dirà di avere vinto, sperando di portare a casa la maggioranza degli eletti alla Camera dei Deputati, ma avrà perso. Non tanto perché potrebbe non prendere la maggioranza al Senato, ma, anzi, all’opposto, perderà più seccamente se vincerà anche nella seconda Aula, perché misurerà la propria incapacità di governare un passaggio doloroso, finendo sotto tutela internazionale e interna. La destra dirà di avere vinto se riuscirà a restare la seconda forza, punendo la presunzione di chi fu sleale con le forze che lo sostennero e arginando la crescita del voto di protesta. Poi, però, resterà una formazione vuota di classe dirigente, che anche nel far “pulizia” cede ai pregiudizi altrui e perde tragicamente la battaglia per una giustizia giusta e una politica che non si faccia dominare dalle procure. La somma dei loro voti, il primo più il secondo, con ogni probabilità, non farà la metà dei voti degli italiani (considerando tali anche quelli di chi vorrà astenersi). Non credo sia necessario aggiungere altro.

Questi sono i detriti che il voto di febbraio lascerà. Da quel punto in poi c’è bisogno che qualcuno si prenda l’incarico di cambiare la sinistra, spazzando via non solo un personale inamovibile, ma anche idee impresentabili. E c’è bisogno che qualcuno si prenda la briga di cambiare la destra, creando una classe dirigente e dando concretezza a idee altrimenti destinate a diventar barzellette. Senza deliri personalistici e senza partitini ridotti a sette, ove decide quello che si autoproclama santone. Da una parte e dall’altra sarà possibile fare un buon lavoro solo se si partirà con il piede della condivisione circa le riforme costituzionali. Irrinunciabili. La parte che non avrà innovatori sparirà. Se non ve ne fossero del tutto l’Italia degraderà. Non ci credo e non ci voglio credere. Intanto facciamo la conta di quanti sono i nostri connazionali non più disposti a far la parte degli ostaggi.
Pubblicato da Libero

martedì 22 gennaio 2013

Orologi e Fiat, il falso mito dell'Avvocato. Vittorio Feltri

 Sono passati dieci anni dalla sua morte, ma di lui si parla ancora. Gianni Agnelli è stato un grande: un grandissimo bluff, ed è giusto non venga dimenticato



Sono passati dieci anni dalla sua morte, ma di lui si parla ancora, naturalmente bene, checché ne dica Ferruccio de Bortoli, che sul Corriere della Sera lo ha commemorato con una prosa stranamente accorata per uno che di cuore ne ha poco e, di solito, nasconde anche quello.

Gianni Agnelli comunque è stato un grande: un grandissimo bluff, ed è giusto non venga dimenticato. Difatti è passato alla storia come re d'Italia non tanto per ciò che ha dato al Paese, quanto per ciò che ha avuto.

Noi italiani siamo fatti così: cerchiamo di fottere il sovrano per tirare a campare, ma se è lui a fregarci gli riconosciamo volentieri una certa superiorità. Onore al merito, anzi ai meriti, dell'Avvocato che fu promosso tale coram populo senza mai esserlo stato; che cominciò a lavorare a 45 anni, età alla quale i suoi dipendenti andavano in prepensionamento; che presiedette Confindustria inciuciando con Luciano Lama, segretario generale della Cgil, e concordando con lui il punto esiziale di contingenza; che fu nominato senatore a vita grazie all'incosciente generosità di Francesco Cossiga; che prima fondò a Venezia il museo di Palazzo Grassi, poi lo affondò; che ricevette in eredità dal nonno (e da Vittorio Valletta) una stupenda fabbrica di automobili riducendola a rottame, successivamente rimessa in piedi dal fratello Umberto e da Sergio Marchionne.

Un uomo con un simile curriculum sarà ricordato per sempre e sempre sarà lodato. La gente come lui piace assai dalle nostre parti. Piaceva ieri e piace oggi, anche se non c'è più. Amava l'arte, compresa quella contemporanea, per cui era considerato colto; aveva un debole per i giornali e sopportava i giornalisti, per cui godeva (e gode) di buona stampa; non era anticomunista dichiarato, per cui era rispettato dai conformisti di sinistra.

Agnelli più che un imprenditore era un prenditore: lo Stato lo ha sempre aiutato, gli ha dato soldi senza mai pretenderne la restituzione; il popolo lo ha gratificato con la propria ammirazione; i politici davanti a lui erano in soggezione e facevano a botte per farsi fotografare al suo fianco; chi di loro riuscì a farsi invitare a cena a Villar Perosa o altrove lo ha raccontato a cani e porci per gloriarsi.

Già, l'Avvocato, nonostante abbia fallito in ogni campo, perfino in quello di padre (un figlio suicida dopo un'esistenza amara, una figlia che ha intentato causa alla famiglia per questioni di soldi), nonostante avesse fama di tombeur de femmes, e affermasse che l'amore è cosa da cameriere (servitù, insomma), fu elevato agli altari: l'unico santo laico che abbia ancora devoti dalle Alpi alla Sicilia e in ogni strato sociale, fra credenti e miscredenti, indifferentemente.

Quando morì, l'azienda era sul punto di consegnare i libri in tribunale. Il patrimonio personale del maggiore azionista fu cercato all'estero: si sospettava addirittura che una quota di capitali fosse stata sottratta al fisco; si ignora come si sia conclusa l'indagine. Probabilmente bene, cioè con un nulla di fatto, meno male.

La Fiat ha resistito alla burrasca. I nipoti se la sono cavata egregiamente. Gianluigi Gabetti, l'uomo della finanza, ha lavorato benissimo e ha salvato il salvabile, speriamo anche se stesso. Marchionne ha compiuto un miracolo. E Agnelli seguita a essere adorato da tutti. È quello che si dice un mito. Le sue opere memorabili però rimangono queste: l'orologio sopra, e non sotto, il polsino della camicia; la cravatta sopra, e non sotto, il pullover. (il Giornale)

venerdì 18 gennaio 2013

Mario Monti: la mediocrità dei falsi santi. Maria Giovanna Lanotte


Un anno fa gran parte degli italiani conveniva che un governo di tecnici fosse sicuramente migliore di un governo di politici. La casta, la credibilità all'estero, gli scandali dei finanziamenti pubblici ai partiti, il livello di corruzione pari solo all'Africa nera, tutto portava ad una sola conclusione: i partiti avevano fallito. Fu così che gli stessi italiani credettero di concepire da se' l'idea che affidarsi a degli esterni fosse meglio. L'imposizione di un governo di tecnici, convocato solo grazie a Giorgio Napolitano che ha nominato Monti senatore a vita, è sembrata come il miele che rende più dolce la medicina al fanciullo. Le regole della democrazia, la mancanza di accountability di questi personaggi, ovvero la responsabilità del rendere conto ai cittadini con un mandato revocabile, tutto è passato in secondo piano: “Francia o Spagna purchè se magna”.
Il governo Monti è formato da 17 ministri riconducibili a grandi banche, aziende, soci di concessionari pubblici, e la sua governance è improntata tutta sull'aumento dell'imposizione fiscale. Vediamo un sunto dei provvedimenti più importanti, comprensivi dell'inserimento del pareggio in bilancio in costituzione e della legge di stabilità, dovuti al Fiscal Compact dell'Unione Europea.
In tema immobiliare viene introdotta l'IMU, che sintetizza ICI ed IRPEF fondiaria. L'aliquota applicata è del 4 per mille sulle abitazioni principali, e del 7.6 per mille sugli altri immobili. I comuni sono responsabili dell'eventuale aumento dell'IMU per garantirsi gettito fiscale. Gli immobili all'estero verranno tassati con Ilvie, un'aliquota dello 0.76 al valore d'acquisto. La tassa sui rifiuti diventa Tares, con una quota di 0.30 euro a metro quadro.
Il bollo auto aumenta sia per le cilindrate basic sia per le super cilindrate. In base al riordino delle province, potranno aumentare anche le polizze RC auto.
In ambito bancario, l'orientamento è l'incremento dell'uso del danaro virtuale. Esso assicura anche la tracciabilità dei dati. Nasce Serpico: un computerone delle Agenzie delle Entrate che controlla tutti i movimenti bancari on line. Vengono scoraggiati i prelievi contanti tramite un limite ai 1000 euro. I bolli sui conti deposito subiscono un aumento dello 0.10% annuo. Sono introdotte commissioni sui prestiti in caso di sconfinamento.
Con la Legge di stabilità dell'ottobre 2012 l'Iva cresce di un punto percentuale. Sono così colpiti i beni di prima necessità. L'Irpef, dopo l'iniziale aumento dallo 0.9% all'1.23%, viene ridotta solo per gli ultimi due scaglioni più bassi. Aumenta l'accise sulla benzina. Il fabbisogno sanitario nazionale è tagliato di 1.5 miliardi. E'preventivata la chiusura di 250 ospedali. La Scuola pubblica è tagliata di 47.5 milioni di euro, l'Università di 300.
Per la pubblica amministrazione, le province sono ridotte da 86 a 51 e mutuate in enti di secondo livello. I contratti statali sono bloccati fino al 2014, ed è cancellata l'indennità di vacanza contrattuale. Scatta l'operazione cieli blu: illuminazione di notte è tagliata.
L'età pensionabile passa da 65 a 66 anni per gli uomini, da 60 a 62 anni per le donne. Gli anni di contributi passano da 40 a 42 per gli uomini, a 41 per le donne. Il ministro Elsa Fornero non assicura la copertura di 130mila esodati. Le pensioni di guerra e di invalidità saranno soggette a Irpef. La retribuizione dei giorni di permesso per l'assistenza ai disabili è tagliata del 50%.
Con la riforma del lavoro è ridotta la flessibilità in entrata e aumentata quella in uscita. I contratti a tempo determinato vengono scoraggiati con un'aliquota maggiorata. L'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori è modificato, e il licenziamento per motivi economici e disciplinari è facilitato. Il reintegro diviene infatti una remota possibilità. L'indennizzo di licenziamento passa a 12-24 mesi dai 15-27. L'apprendistato diviene il mezzo principale per inserirsi nel mondo del lavoro e per ottenere il contratto a tempo indeterminato.
Alla guida della RAI, società di televisione pubblica, Monti promuove presidente Anna Maria Tarantola, vice direttore della Banca d'Italia, e direttore generale Luigi Gubitosi, ex amministratore delegato di Wind. Una politica mediatica a dir poco unilaterale. Tali politiche sono state fatte passare come super partes poiché fiscaliste, ma ora che si è aperta la compagna elettorale gli orientamenti sono tracciabili dagli appoggi sostenuti. Chi supporta Mario Monti? Possiamo divederli in piccoli interessi italiani e grandi interessi stranieri. In Italia ritroviamo nella lista Monti l'Udc di Casini, gli ex ministri Corrado Passera e Andrea Riccardi (fondatore della comunità di Sant'Egidio), Gianfranco Fini e Futuro e Libertà, Luca Cordero di Montezemolo, il Vaticano, la CEI, l'Opus Dei (rappresentata già da un anno nel governo da Passera, suo azionario). E' quello che storicamente è chiamato il centro o eredità della Democrazia Cristiana. E'una benedizione che ha avuto un costo concreto, che si porta dietro l'associazionismo cattolico delle scuole paritarie, finanziate dal governo Monti a scapito delle pubbliche con 200 milioni di euro. Un retroterra che ha consentito l'esenzione dall'IMU per le proprietà del Vaticano, che priva lo Stato di 700 milioni di euro di entrate. La stessa rete di relazioni che ha permesso che, nel bel mezzo dei tagli alla sanità, ospedali in orbita Vaticano quali Il Bambin Gesu' e la Fondazione Gaslini di Genova, ricevessero finanziamenti statali rispettivamente per 12.5 e 5 milioni di euro. I grandi interessi stranieri che spingono per il professore fanno capo alla Commissione Trilaterale, di cui Monti è un ex presidente. E' un parlamento globale di personalità invitate, e non elette, fra banchieri, politici, industriali, accademici, editori. E'stato costituito negli anni settanta dal banchiere americano David Rockefeller. Le tre parti sono costituite da Europa, Stati Uniti e Giappone e si riuniscono in seduta plenaria almeno una volta l'anno attorno alle direttive di tecnocrazia e interdipendenza, ovvero togliere il potere ai politici e ai parlamenti per delegarlo ad un governo mondiale, modello G8. Essa si muove in simbiosi con il Bilderberg Group, piattaforma gemella che vanta anch'essa Monti fra le sue anime. L'Italia inaugurata un anno fa' è dunque indirizzata verso la cancellazione della sovranità nazionale, la formazione di governi non scelti che mettono al centro delle politiche il rigore dei bilanci al posto della dignità dell'individuo. Se l'accademia della linea Bocconi- Trilateral fosse producente, per lo meno nessuno eccepirebbe. Ma la disponibilità economica della popolazione è ridotta dalle tasse, la domanda diminuisce e il deficit pubblico non riesce a rientrare. Cifre di Bankitalia alla mano, nel 2012 il debito pubblico ha raggiunto il massimo storico di 2mila miliardi con il massimo aumento del 2.6% di pressione fiscale. Il tasso di inflazione ha toccato il suo picco degli ultimi 4 anni: il 3%, a dispetto del 2.8% del 2011. Il tasso di crescita dei prezzi dei prodotti ad alto consumo è salito dal 3.5% del 2011 al 4.3% del 2012. Le ore di cassa integrazione sono aumentate da un anno all'altro del + 12.1%. Il tasso di disoccupazione si aggira attorno all'11%. Il New York Times, il Daily Telegraph, tutti i massimi organi di economia internazionale hanno sconfessato il sobrio professorone.
Il Financial Times spara a zero con Wolfgang Munchau: «L’anno di Monti è stato una bolla, buona per gli investitori finché è durata. E probabilmente gli italiani e gli investitori stranieri non ci metteranno molto a capire che ben poco è cambiato nel corso dell’ultimo anno, ad eccezione che l’economia è caduta in una profonda depressione. Due cose devono essere sistemate in Italia: la prima è invertire immediatamente l’austerità, in sostanza smantellare il lavoro di Monti, e la seconda è scendere in campo contro Angela Merkel».
L'ultimo è Paul Krugman, nobel per l'economia: «Tecnocrati “responsabili” costringono le nazioni ad accettare la medicina amara dell’austerità; l’ultimo caso è l’Italia, dove Monti lascia in anticipo, fondamentalmente per aver portato l’Italia in depressione economica».
Dove Monti passa giace una nazione depressa, dove “il posto fisso è monotono”, “i giovani sono choosy e viziatelli”, “il posto fisso per tutti è una illusione”, “L'Europa ha bisogno di gravi crisi per fare passi avanti”. Tenendo questa frase montiana a mente, un altro paese con un ex presidente Trilateral al governo è la Grecia con il banchiere Lucas Papademous. E si noti in che condizioni versa.
Lo scenario elettorale sarà dunque presenziato dall'entrata di un ligneo cavallo di Troia: l'aspetto è quello di accademici in giacca e cravatta rispettati in sede internazionale, dai curricula spettacolari, dalle amicizie più rette, pubblicizzate dalla Chiesa Cattolica e dai vescovi, dirigenti delle università più prestigiose. Chi oserebbe dubitare di tali referenze? Forse solo i cittadini che hanno a cuore la sovranità e le regole democratiche della propria nazione. Una schiera di persone che dovrebbe essere la norma, poiché accomunate dalla giustizia sociale e dalla cura del più debole, naturali predisposizioni dell'uomo. Una composizione che al momento latita, in attesa di un porta bandiera contro la mediocrità dei falsi santi.

La vergogna italiana di una giustizia lumaca. Valter Vecellio

 

Una piccola notizia di cronaca, fa pensare a uno di quei bozzetti in cui era maestro Ferenc Kormendi. Invece che a Budapest, siamo però a Genova. I protagonisti di questa storia a cavallo tra il ridicolo e il patetico sono un pizzaiolo e il suo fornitore. Per qualche ragione che qui poco importa conoscere, il pizzaiolo non paga il fornitore. Il fornitore le tenta tutte, per vedersi saldato il debito, compreso il ricorso a metodi non proprio ortodossi. Scatta così una denuncia, per estorsione. I fatti accadono nel 2003, dieci anni fa. Il magistrato che si occupa della vicenda dopo un po’ si trasferisce in un’altra sede. Il successore che eredita il caso è oberato da decine, centinaia di altri procedimenti tutti più urgenti. Il tempo passa. Debitore e creditore giocoforza si convincono che la storia è finita lì; anche gli avvocati dopo un po’, presi probabilmente da altre cause, finiscono con il perdere i contatti con i loro assistiti. Una storia, finora, come tante, di giustizia denegata, dove tutti perdono, e nessuno ha soddisfazione. Trascorrono gli anni.

Dieci, per l’appunto. Ed ecco che, inaspettatamente, il Tribunale fissa l’udienza preliminare; per l’8 gennaio, una settimana fa. Dieci anni per l’udienza preliminare sono già di per sé una beffa; ma la cosa va molto al di là della beffa, perché viene fuori che nessuno si era accorto che sia il debitore che il creditore nel frattempo erano morti. Caso limite, si dirà; e chissà se anche questa vicenda rientra tra “i temi molto tecnici”, formula usata dalla signora ministro della Giustizia, Paola Severino, nell’auspicare che i partiti considerino il tema della giustizia centrale. È davvero una perla, quel “temi molto tecnici”, per definire la giustizia e la sua situazione di collasso e paralisi, espressione rivelatrice, illuminante. Si parla molto della situazione delle carceri, ed è giusto che si faccia. Le carceri però sono solo la punta dell’iceberg del più generale sfascio della giustizia italiana. Ogni giorno nei tribunali si verificano casi come quello di Genova; e di pari passo si consuma quella che si può ben definire amnistia strisciante, clandestina e di classe: l’amnistia delle prescrizioni, di cui beneficia solo chi si può permettere un buon avvocato e ha “buone amicizie”; sono circa 150mila i processi che ogni anno vengono chiusi per scadenza dei termini. Ogni giorno almeno 410 processi vanno in fumo, ogni mese 12.500 casi finiscono in nulla.

I tempi del processo sono surreali: in Cassazione si è passati dai 239 giorni del 2006 ai 266 del 2008; in tribunale da 261 giorni a 288; in procura da 458 a 475 giorni. Spesso ci vogliono nove mesi perché un fascicolo passi dal tribunale alla corte d’appello. Una situazione, a parte gli irrisarcibili costi umani, che grava pesantemente sui conti dello stato. L’esasperante lentezza dei processi penali e civili italiani costano all’Italia qualcosa come 96 milioni di euro l’anno di mancata ricchezza. Confindustria stima che smaltire l’enorme mole di arretrato comporterebbe automaticamente per la nostra economia un balzo del 4,9 per cento del PIL, e anche solo l’abbattere del 10 per cento i tempi degli attuali processi, procurerebbe un aumento dello 0,8 per cento del PIL. Grazie al cattivo funzionamento della giustizia le imprese ci rimettono oltre 2 miliardi di euro l’anno, e il costo medio sopportato dalle imprese italiane rappresenta circa il 30 per cento del valore della controversia stessa, a fronte del 19 per cento nella media degli altri paesi europei. Ecco perché ha ragione chi, come Marco Pannella, chiede e si batte per l’amnistia. Per mettere in moto quel meccanismo virtuoso che altrimenti resterà, come è rimasto finora, inceppato.

C’è bisogno, come si dice ora, di un’agenda “politica” sulla Giustizia, altro che “temi tecnici”, come dice il ministro della Giustizia Severino. I Pierluigi Bersani e i Nichi Vendola, gli Antonio Ingroia, gli Antonio Di Pietro e i Beppe Grillo, quanti si preparano alla scalata di Palazzo Chigi e del Quirinale, i compilatori di programmi elettorali e di governo, su questo non dicono e non propongono nulla; e c’è da capirli: non ci sono poltrone o postazioni di potere da occupare e spartire.

lunedì 14 gennaio 2013

Euro, mercati e riforme: le 12 bugie di Prof e Pd. Renato Brunetta

Quasi quasi Monti batte la sinistra nel raccontar balle nella connivenza dei media, di casa e internazionali. Una vera e propria bolla mediatica di consenso «a prescindere», come direbbe Totò. Ma noi non ci stanchiamo e continuiamo a fare i fact-checker, i verificatori, delle tante spudoratezze dette su questa crisi, nella speranza che la verità venga a galla.

Prima balla. Monti sostiene che a dicembre 2011 c'era il pericolo che non si potessero pagare gli stipendi per i pubblici dipendenti. Falso. Il totale della spesa pubblica nel 2011 è stato di 798,5 miliardi di euro. Il costo degli stipendi dei dipendenti pubblici è stato di 170 miliardi e il costo delle pensioni di 244 miliardi. La tempesta degli spread nel 2011 è costata 5 miliardi in più rispetto al 2010. Come fa Monti ad affermare che per 5 miliardi non si riuscivano a pagare stipendi pubblici e pensioni?

Seconda balla. Monti sostiene di aver domato lo spread nei suoi 13 mesi di governo. Vedi la frase alquanto retorica e spocchiosa a Napolitano «missione compiuta». L'andamento dello spread non influisce sui conti pubblici. Al contrario, il costo per le finanze pubbliche derivante dal servizio del debito dipende dai rendimenti che si formano nelle aste mensili dei titoli di Stato (mercato primario). Confrontando i 5 mesi più «caldi» del governo Berlusconi con l'anno di governo Monti emerge che il rendimento medio ponderato dei titoli di Stato decennali è più alto dello 0,20% con il governo Monti (5,73%), rispetto al governo Berlusconi (5,53%). E che il servizio del debito del 2012 è di 86 miliardi, superiore di 8 miliardi rispetto al servizio del debito dell'ultimo anno di governo Berlusconi. Ma di che cosa stiamo parlando?

Terza balla. Monti sostiene di aver salvato, con il suo governo, il Paese, che era sull'orlo del baratro. Il governo Monti, ai fini del conseguimento dell'obiettivo, ha contribuito solo per il 20%, il governo Berlusconi per ben l'80% con quattro manovre di finanza pubblica, aventi effetto cumulato, fino al 2014, di 265 miliardi di euro. Il decreto «Salva-Italia» del governo Monti, invece, avrà un impatto complessivo sulle finanze pubbliche, nel triennio 2012-2014, di 63 miliardi. Probabilmente si renderà necessaria una manovra correttiva nella prossima primavera, a causa del persistere della cattiva congiuntura. Manovra che Bersani ha evocato temendo «la polvere sotto il tappeto».

Quarta balla. Monti e la sinistra sostengono che l'abolizione dell'Ici nel 2008 ha «sconquassato» le casse dei Comuni e dello Stato. Falso. L'abolizione dell'Ici nel 2008 valeva meno di 2 miliardi di euro all'anno, cifra totalmente compensata ai Comuni; l'Imu del governo Berlusconi riguardava solo la seconda casa dal 2014, poi anticipata al 2013, con gettito ai Comuni. L'Imu di Monti, al contrario, colpisce anche la prima casa e si configura come una vera e propria patrimoniale. Pare che Monti abbia cambiato idea sull'Imu, così come la sinistra. Meglio tardi che mai. Balla palesemente scoperta.
Quinta balla. La sinistra sostiene che dal 1994 al 2011, Berlusconi non ha fatto niente. Falso: nelle legislature 2001-2006 e 2008-2011 ha fatto 53 riforme, tra cui patente a punti, legge antifumo, riforma del diritto societario, riforma dell'immigrazione (Legge Bossi-Fini), bonus bebè, riforma del lavoro (Legge Biagi), riforma della Pa, riforma della scuola e dell'università.

Sesta balla. La sinistra sostiene che il governo Berlusconi non ha fatto la riforma delle pensioni. L'insieme delle riforme Berlusconi in tema aveva reso il sistema italiano tra i più virtuosi, senza un'ora di sciopero, senza alcuna tensione sociale. Al contrario, nel 2008 il governo Prodi ha smontato la riforma Maroni (il famoso «scalone») con un aggravio di costo di circa 8 miliardi di euro. Per non parlare della riforma Fornero del 2012 e dei suoi 300.000 esodati.

Settima balla. La sinistra sostiene che i governi Berlusconi non hanno fatto le liberalizzazioni necessarie per il Paese. Falso. Berlusconi, già nei primi mesi del suo insediamento nel 2008, voleva adeguare la normativa nazionale ai dettami europei sulle public utilities, dove si annidano le più gravi malversazioni monopolistiche e di rendita. Il tutto è diventato legge, che le sinistre unite hanno voluto cassare con il referendum del 12 e 13 giugno 2011.

Ottava balla. La sinistra sostiene che il centrodestra non ha voluto ridurre il numero dei parlamentari. Probabilmente dimentica la riforma costituzionale recante «Modifiche alla Parte II della Costituzione» pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale numero 269 del 18 novembre 2005. Che prevedeva, tra l'altro, la riduzione del numero dei deputati da 630 a 518; la riduzione dei senatori da 315 a 252. Con il referendum confermativo del 25 e 26 giugno 2006 la riforma Berlusconi fu cancellata grazie alla sinistra che fece campagna referendaria contro.

Nona balla. La sinistra e Monti sostengono che la destra berlusconiana in Italia sia antieuropea. Falso. A parte il fatto che è stato Berlusconi a volere Mario Monti commissario europeo per ben 2 volte ed è stato Berlusconi a proporre Mario Draghi come presidente Bce, il Pdl è a totale favore dell'unione bancaria, è favorevole all'unione economica, guarda con favore l'unione di bilancio. La Francia non vuole l'unione politica, sull'unione di bilancio Parigi e Berlino si accusano a vicenda. Chi è più europeista? Il Pdl o Angela Merkel, che subordina le grandi scelte europee alla propria visione egemonica e alla scadenza elettorale del prossimo settembre? O François Hollande, che durante la sua campagna elettorale ha sparato a zero contro l'Europa? Vergogna.

Decima balla. La sinistra sostiene che il governo Berlusconi ha portato il Paese sull'orlo del baratro. Nell'autunno-inverno del 2011 l'Italia è stata al centro di un attacco speculativo, che l'opposizione ha usato come clava per far fuori il governo legittimo. Con Monti salvatore della patria e la sua politica economica, i risultati si son presto visti: il Pil è in picchiata a -2,5%; la pressione fiscale è aumentata di 3 punti percentuali; i disoccupati sono aumentati di 1 milione di unità; il potere d'acquisto delle famiglie è crollato (-4,1%); la produzione industriale si è contratta (-6,2%); le compravendite immobiliari si sono ridotte (-23,6%); il mercato dell'auto è in picchiata (-18%); il debito pubblico è aumentato, sia in valore assoluto (+82,7 miliardi), sia in rapporto al Pil (+4,4%). Eravamo sull'orlo del baratro a fine 2011 o il baratro è oggi, dopo un anno di governo del senatore a vita?

Undicesima balla. La sinistra sostiene che nella legislatura 2001-2006 il governo Berlusconi ha peggiorato i dati di finanza pubblica. Ma è il governo Prodi 2006-2008 che ha fatto risalire il rapporto deficit/Pil: infatti, la sinistra avrebbe potuto spalmare l'incremento di deficit derivante dalla sentenza sull'Iva (un punto percentuale rispetto al Pil) su 10 anni, ma non lo fece, preferendo far gravare sul 2006 l'intero peso della decisione della Corte Ue.

Dodicesima balla. Nei mesi scorsi si è parlato di «Berlusconi trick», accusandolo di promettere riforme all'Europa e alla Bce in cambio di aiuti senza realizzarle non appena l'Europa e la Bce procedono all'acquisto dei titoli di Stato per ridurre la speculazione. Falso che più falso non si può. Dopo la lettera della Bce del 5 agosto 2011, il governo Berlusconi realizzò una manovra da 60 miliardi finalizzata all'anticipo del pareggio di bilancio nel 2013, come richiesto proprio dalla Bce. Successivamente, con il maxi-emendamento alla Legge di Stabilità per il 2012, sono stati realizzati oltre l'80% degli impegni contenuti nella lettera inviata dal governo italiano il 26 ottobre 2011 ai presidenti di Commissione e Consiglio Europeo e approvata dalle relative istituzioni con tempestività, lo stesso giorno. Dov'è il trucco? Dov'è l'inganno? Questi i fatti, cari e ottimi Federico Fubini e Antonio Polito, che dalle pagine del Corriere della Sera avete evocato, appunto, il «Berlusconi trick», citando non ben identificati ambienti di Francoforte. Attendo serenamente smentite.

La verità sta venendo finalmente a galla. E con la verità il riconoscimento di chi ha difeso l'Italia e di chi invece, giorno dopo giorno, l'ha tradita, per opportunismo politico o per ambizione personale. (il Giornale)

domenica 13 gennaio 2013

Mafiando e occultando. Davide Giacalone

Ci sono cose che più le nascondi e più si vedono. L’11 gennaio, leggendo i giornali, lampeggiava l’occultamento di quanto era avvenuto a Palermo. Qui un mafioso, un disonorato, un assassino, uno la cui parola vale quel che vale, ovvero meno del niente che è lui, ha detto: la trattativa fra Stato e mafia c’è stata e la sinistra comunista lo sapeva. Il punto è questo: se avesse detto che la trattativa ci fu e che Mangano, lo stalliere di Arcore, ne era al corrente, ci avrebbero aperto le prime pagine. Invece ha detto che lo sapevano i comunisti. E la notizia è sparita. Dissolta nel nulla. Con tanti mafiologhi a parlare d’altro, comprese lettere anonime che sembrano scritte apposta per distrarre, tanto sono vuote e insignificanti.

Lo so: tante teste vuote non saranno neanche capaci di leggere questo articolo, perché avranno già concluso che l’ennesimo servo di Berlusconi sta difendendo il suo padrone da quel che la storia ha già dimostrato. Imbecilli, meriterebbero tutti la condanna per concorso esterno.

Questa volta la faccio breve, anche se si tratta di storia lunghissima. L’unica scuola che riconosco è quella di Giovanni Falcone: i pentiti non sono credibili, se non portano o si trovano riscontri e prove. Vale sempre e per tutti, non a seconda di chi accusano. Quando un noto pm di Palermo, ora leader politico con simbolo familiare, pendeva dalle labbra del giovin Ciancimino noi lo prendevamo in giro e dimostravamo che raccontava balle. Avevamo ragione noi.

Come è noto Falcone non fece carriera, non gli furono affidate responsabilità nazionali nella lotta alla mafia e fu isolato e sconfitto. Da chi? Da Luciano Violante ed Elena Paciotti. Di sinistra, non so se comunisti (oramai son tutti pentiti), ma entrambe magistrati ed entrambe eletti nelle liste del fu partito comunista. Alla procura di Palermo si trovava Piero Giammanco, amico dei democristiani e che la sinistra aveva appoggiato per quella nomina, preferendolo a Falcone. Giammanco si preoccupò di complicare il lavoro anche di Paolo Borsellino, fin quando una bomba lo cancellò.

Sulle bombe del 1993 ho scritto e riscritto. Abbiamo dimostrato, dapprima irrisi e solitari, che la catena che porta alla sospensione del 41 bis, quindi ad un piacere fatto ai mafiosi, parte da monsignor Curioni, capo dei cappellani carcerari e molto influente emissario del Vaticano, passa per Oscar Luigi Scalfaro, presidente della Repubblica, che fa fuori Niccolò Amato, capo del Dipartimento amministrazione penitenziaria, e fa mettere al suo posto Alberto Capriotti, segnalato da Curioni, imponendolo ad un tremulo e inutile professor Conso, tanto bravo e buono quanto illuso d’avere deciso lui di sospendere il carcere duro ai mafiosi. Ebbene, se quella è la contropartita della trattativa, fu pagata dal governo di Carlo Azelio Ciampi, sostenuto dalla sinistra. Mi dispiace per Beppe Pisanu, ma la sua tesi non regge: o fra questi fatti c’è un nesso, e allora la trattativa coinvolse quei vertici politici, oppure non c’è, nel qual caso non c’è neanche la “tacita intesa”. Che la pratica mafiosa potesse essere liquidata con il silenzio assenso è idea troppo ridicola per essere presa in considerazione.

Siccome il pubblico ministero che rappresenta l’accusa, a Palermo, argomentava che per “sinistra”, così come da dichiarazioni rese da Brusca, deve intendersi quella democristiana, incarnata dagli imputati Nicola Mancino e Calogero Mannino, il Brusca medesimo, quello che svelò il “papello”, chiede la parola, per dichiarazioni spontanee, e afferma: 1. non sono stato io a dirlo per primo, ma Totò Riina; 2. non parliamo di sinistra democristiana, ma dei comunisti. Cioè quelli che, in quegli anni, avversavano Falcone e Borsellino, nonché appoggiavano il governo che concesse la fine del carcere duro. Quindi, gli imputati di Palermo o sono troppi o sono troppo pochi.

Cosa ne deduco? Io nulla, perché senza riscontri le parole di Brusca sono escrementi. Ma quando i giornaloni con la coscienza sensibile, quelli che hanno opinionisti davvero seri e preparati, cogitabondi cultori dell’interesse collettivo, si danno tanta cura per ammucciare le cose che accadono, ecco, ne deduco che qualcuno dovrebbe vergognarsi.
Pubblicato da Libero

venerdì 11 gennaio 2013

Fiction sull'eroe che catturò Riina e fu processato dal pm Ingroia. Filippo Facci

Eccoti «L’occhio del falco» su Canale 5 (lunedì e martedì sera) e cioè una neo fiction in cui Raoul Bova torna a interpretare il capitano Ultimo, alias Sergio De Caprio: si riparte dal processo del 2006 che lo vide indagato per favoreggiamento e quando cioè gli imputarono la mancata perquisizione del covo di Totò Riina, il «capo dei capi» che pure fu proprio lui a catturare nel 1993. Ultimo fu assolto con formula piena assieme al generale Mario Mori, tanto che Raoul Bova sul «Corriere» di ieri l’ha messa così: «Lo sport di questo Paese è infangare i suoi simboli, con Ultimo non ci sono riusciti e questo merita di essere raccontato». Perfetto, ma perché tacere che il processo fu condotto da Antonio Ingroia? Non c’è scritto in nessun articolo, chissà nella fiction. E chissà se la fiction ricorderà che anche Massimo Ciancimino, ex cocco di Ingroia, nel 2010 insinuò che l’arresto di Riina non fu merito del capitano Ultimo bensì di una soffiata di Provenzano. E chissà se il capitano Ultimo ha letto il libretto scritto contro di lui da Benny Calasanzio Borsellino, nipote e milionesimo parente di Paolo, figlio di Rita, già coautore di un altro libro con Salvatore, e naturalmente - serve dirlo? - collaboratore del Fatto Quotidiano, giornale che in compenso non cita la fiction né Ingroia. Perdonate se provvediamo noi. (Libero)

giovedì 10 gennaio 2013

Forza Cedu. Davide Giacalone

Le carceri italiane fanno schifo, ma non esiste soluzione al problema se non riformando la giustizia. Il nostro principale problema è la malagiustizia, come si legge anche nella più recente condanna inflittaci dalla Corte Europea Diritti dell’Uomo. Quella condanna non è solo umiliante, è il preludio a un diluvio di condanne. Né nessuno, dal Quirinale al governo, dalla cassazione all’ultima procura ha diritto di meravigliarsi e scandalizzarsi, perché l’Italia è già, da anni, il Paese più condannato per violazione dei diritti umani. E ricordo che la Cedu agisce non nell’ambito dell’Unione europea, ma del Consiglio d’Europa, assai più vasto.

Con l’eccezione di Marco Pannella e dei radicali (cui si unisce un ristrettissimo drappello di garantisti non basculanti), mettere l’accento sul problema delle carceri è ipocrita e non risolutivo. Vale anche per la Corte di Strasburgo, visto che siamo stracondannati per denegata giustizia, mentre solo di recente fioriscono le sentenze per l’inumanità della detenzione. E avverto: come prima avvenne per i tempi della giustizia, ora questo genere di sentenze assume il ruolo di modello. Se non rimediamo diventiamo condannati seriali. Oltre che Paese di disonorati.

Vediamo problemi e soluzioni. L’Italia dispone (arrotondo) di 47.000 posti in carcere, dove si trovano all’incirca 40.000 condannati. Posto che la vivibilità di quelle strutture deve essere assai migliorata, i numeri dicono che non c’è alcun sovraffollamento. Se non fosse che ai condannati si devono sommare altri 26.000 cittadini che dobbiamo considerare innocenti, che attendono un giudizio, di cui molti non hanno mai incontrato un giudice (che non sia la macchietta di quello che accompagna il collega procuratore nelle indagini preliminari). Il totale, come si vede, violenta ogni civiltà. Affrontare la questione con provvedimenti tampone, destinati a sfollare le celle, come si fece con l’indulto, è obbrobrioso e inutile. Come svuotare una cloaca otturata succhiando con la cannuccia.

Servono tre ordini di soluzioni. 1. Far funzionare la giustizia, imponendole tempi certi e ragionevoli, facendo rispettare la legge e pagare ogni abuso (e sono tantissimi) nella custodia cautelare. 2. Non pensare che il carcere sia l’unica pena, giacché in molti casi, privi di violenza o senza reti organizzative, possono essere più efficaci altre limitazioni della libertà. 3. Poco meno di 24.000 detenuti sono stranieri, molti dei quali converrebbe buttarli fuori piuttosto che punirli (l’esempio statunitense è illuminante).

Solo dopo che si è fatta la prima cosa, vale a dire una profonda riforma della giustizia, sarà non solo opportuno, ma assolutamente necessario adottare l’amnistia (non l’indulto, che è perdita di onore, tempo e soldi). Lo si farà per salvare la riforma, mettendo nel conto di star facendo un piacere ai disonesti e un’offesa agli onesti.

La Cedu ci ha dato un anno, dopo di che saremo frustati a dovere. Avendo a che fare con persone serie, discutendo fra forze politiche ragionevoli e studiando i problemi per quel che sono, un anno è sufficiente. Si riforma e si sfolla, intanto avviando programmi di riqualificazione edilizia. Ma il nostro è il Paese in cui una classe politica di smidollati sa solo dire “più carcere e aumento delle pene” non appena uno stupro o un rapimento colpisce l’opinione pubblica, salvo dimenticarsi che ci dovrebbero essere le sentenze, non solo lo spettacolo dell’accusa. Il Paese in cui i manettari che vorrebbero arrestare tutti e hanno le loro versioni personali della storia d’Italia possono passare, senza un solo giorno di discontinuità, dalla magistratura alla politica. In cui gli accordi parlamentari si fanno, sottobanco, per leccare le toghe delle corporazioni, a cominciare da quella degli avvocati, le cui rappresentanze sindacali (?!) hanno ottenuto una riforma vergognosa dell’ordinamento forense. In cui non s’osa dire l’ovvio, non s’osa osservare che in tutto il mondo civile, senza eccezione alcuna, le carriere di accusatori e giudici sono separate, perché altrimenti s’alza un procuratore e t’arresta. Quindi, immorale della favola, concludo al grido di: Forza Cedu! Detenuti d’Italia fate tutti ricorso. Processati d’Italia, che aspettate da anni uno straccio di sentenza, fate tutti ricorso. Sarà l’unico modo per radere al suolo questa fetenzia che non merita d’essere chiamata: giustizia.
Pubblicato da Libero

Tassa sull'onestà. Davide Giacalone

I feriti che sanguinano sono esclusi, almeno momentaneamente, dal novero di coloro che possono donare il sangue. Non avrebbe senso toglierglielo per poi trasfonderne in misura maggiore. L’Italia in recessione, invece, vede crescere il gettito fiscale. Il che non sarebbe rassicurante nemmeno se il maggior provento derivasse dal recupero dell’evasione, giacché comunque si tratterebbe di denari tolti al mercato e buttati nella spesa pubblica corrente, nel nostro caso, però, neanche si pone il problema, perché i 13,770 miliardi in più che il fisco può contabilizzare derivano per 10 miliardi dall’Imu, ovvero da una patrimoniale immobiliare. Detta in modo diverso: gli italiani che s’impoveriscono sono stati costretti a mettere mano ai risparmi o a rinunciare a consumi per consegnare il dovuto alle casse statali. Tale cura porta dritto al dissanguamento.

Può darsi che i ricchi meritino l’inferno, ma la cosa che più mi rammarica e che ci troverò anche Niki Vendola. Con la differenza che i soldi c’è chi li ha guadagnati lavorando e chi non ha mai lavorato un solo giorno in vita propria, pur riscuotendo da ricco. E con una seconda differenza: chi non ha mai lavorato e ha redditi da ricco avrà anche una pensione, denominata “vitalizio”, con cui vivere alla grande, mentre chi ha lavorato non avrà nulla di ciò. Che gente di questo tipo stia ancora a far la morale segnala solo il collettivo rincretinimento. Il guaio è che mentre i ricchi (ovvero gli eletti mantenuti dalla spesa pubblica corrente, che camperanno a vita sulle spalle altrui) fanno la morale, ai poveri tocca fare la parte dei ricchi, e pagare. Gli italiani che hanno versato quei dieci milioni in più, sono ricchi? Sono le famiglie normali, neanche necessariamente del ceto medio potendo pure trovarsi a un livello di reddito inferiore. E sono stati pelati perché proprietari, possidenti, detentori di ricchezza accumulata, autori di furto ai danni della ricchezza collettiva (quella con cui si pagano i ricchi veri, che portano l’orecchino). Hanno pagato anche se non posseggono una cippa, perché sono solo intestatari di un debito con la banca, di un mutuo che ancora devono tutto pagare, ma che, grazie a quel debito cui consacreranno anni e anni di lavoro futuro, sono divenuti “proprietari”, vil razza da tassare.

Mentre loro pagano 10 miliardi in più, sapete a quanto ammonta il gettito, calcolato da gennaio a novembre, dovuto al contributo di solidarietà del 3%, sui redditi superiori a 300 mila euro? 259 milioni. Riccastri infami, si sono sottratti? No, è più banale: non esistono, sono pochissimi. E, naturalmente, l’imbecillità moralistica se la prende e fa cassa rompendo le scatole a un’eroica e infima minoranza di onesti. E funziona così anche con il redditometro, che di suo è solo uno strumento, tendenzialmente neutro (come il martello: se pianti chiodi va bene, se te lo dai sulle ginocchia fa male), ma da noi lo si combina con la previsione inquisitoriale che chi si discosta deve dimostrare, discolparsi, documentare, strisciare, piatire, e vedere se trova un qualche funzionario disposto a credergli. E chi si discosta? Non certo i delinquenti, che spendono in contanti e intestano ad altri. No, finirà con il discostarsi la giovane coppia di sposi con reddito basso, cui i genitori hanno dato i soldi per comprare le lenzuola. I due stupidoni li metteranno in banca, poi pagheranno con un assegno, e il fisco arriverà a contestar loro il versamento come reddito e il pagamento come evasione.

Non è un paradosso, caro lettore, perché il satanismo fiscale ha imparato bene due lezioni: a. il diluvio di moralismo serve a far sì che la vittima si vergogni, anziché ribellarsi (come nella violenza carnale fra le genti incivili); b. i soldi si prendono agli onesti, perché i disonesti li nascondono dove non li trovi, e se li trovi non li pigli.

La cosa raccapricciante è che, da destra a sinistra, è tutto un fiorire di trovate propagandistiche un tanto al chilo, con esclusione dell’unica cosa utile e necessaria: la contrazione drastica della spesa pubblica. La cucitura della ferita da dove il sangue esce. Preferiscono fantasticare su quale sia il buco migliore da cui prenderlo e quale sia la vena più propizia in cui pomparlo. Alcuni sono imbroglioni, i più si sono imbrogliati.
Pubblicato da Libero

domenica 6 gennaio 2013

Problemi concreti, domande scomode. Ernesto Galli della Loggia

Nella prossima settimana inizia per la radio e la televisione la par condicio. Inizia cioè quel periodo di stretta regolamentazione circa i tempi e i modi della presenza dei politici previsto dalla legge per le campagne elettorali. I candidati saranno ospiti delle tribune politiche della radio e della tv per dibattere tra di loro, ma soprattutto per rispondere alle domande dei giornalisti. Così come del resto stanno facendo con particolare intensità già da qualche settimana con decine di interviste sui giornali (e, ahimè, anche via twitter. Perfino il presidente Monti, il quale a mio modesto avviso avrebbe tutto da guadagnare invece se ne facesse a meno).

L’occasione è buona, allora, per osservare che nel degrado così evidente che ha colpito la politica italiana negli ultimi vent’anni qualche colpa, forse, ce l’hanno pure l’informazione e chi ci lavora. Una soprattutto: quella di aver troppo tollerato la vacuità della chiacchiera politica. Cioè di aver troppe volte permesso ai politici di «parlare d’altro», di non dire nulla, di sottrarsi a ogni confronto con i fatti ricorrendo alle parole. Di aver troppe volte concesso ai propri interlocutori di indulgere al vizio, molto italiano, di intendere la politica non come cose da fare ma come discorso di puro posizionamento: «Se lei, egregio onorevole A, si sposta troppo a destra non teme che allora B occupi più spazio al centro?»; «Ma se il PP vuole perseguire una linea di destra come fa a tenere agganciato il DD che invece vuole da destra spostarsi al centro?», e così via interrogando e interrogandosi su tutti gli arabeschi geometrico-politici immaginabili.

Ora, non intendo dare consigli o fare lezioni a nessuno ma esprimere solo un augurio, che forse è condiviso da qualche lettore. Mi piacerebbe che nei prossimi quarantacinque giorni si prendesse l’abitudine di sottoporre ai candidati al Parlamento questioni e problemi veri. Non solo, ma—cosa alla fin fine non così inaudita —anche pretendere da loro risposte altrettanto vere.
Mi prendo la briga di fare degli esempi.

a) Che cosa non ha funzionato nell’adozione dell’euro? E che cosa dovrà ottenere l’Italia dagli altri partner della moneta unica?

b) La priorità è la crescita. Per aiutare la ripresa economica può indicare una misura a favore delle imprese e una a favore del lavoro?

c) Il welfare in Italia ha bisogno di modifiche: le politiche di austerity e la riforma delle pensioni hanno dato i primi frutti, ma che cosa andrebbe fatto ora per le fasce più deboli? Come intervenire per sostenere l’occupazione dei giovani e delle donne?

d) La pressione fiscale raggiunge ormai il 45%. C’è qualche tassa-imposta che abolirebbe o ridurrebbe? E con quali proventi sostituirebbe il mancato introito? Ritiene possibile la riduzione delle imposte sui redditi da lavoro?

e) Quali misure concrete propone per ridurre la spesa pubblica? Può indicarne almeno una?

f) Dei moltissimi contributi a fondo perduto che lo Stato eroga alle più varie attività produttive pensa che ne andrebbe abolito qualcuno?

g) La semplificazione della macchina burocratica non è andata mai al di là degli annunci. Quale sarà il primo provvedimento in questa direzione?

h) Una delle fragilità del sistema Italia è il calo dei consumi. L’aumento dell’Iva potrà essere cancellato? Come incentivare gli acquisti?

i) Quale riforma per il sistema giudiziario: è favorevole alla separazione delle carriere tra giudice e pm e all’abolizione dell’appello in caso di assoluzione?

l) Che cosa propone per risolvere il problema delle carceri: è favorevole all’amnistia e alle depenalizzazioni o servono nuovi istituti penitenziari?

m) Che cosa pensa: della concessione della cittadinanza ai bambini nati in Italia da genitori non italiani; di matrimoni e adozioni per le persone omosessuali?

n) Vanno sostenute la diffusione di termovalorizzatori per lo smaltimento dei rifiuti e grandi opere come la Tav? Sono troppe domande, forse. Forse sì, diciamo comunque che a un italiano medio basterebbe ascoltare la risposta a solo tre o quattro di esse per farsi un’idea di chi ha davanti. E per scegliere mi pare che basti e avanzi. (Corriere della Sera)

giovedì 3 gennaio 2013

Buon ascolto. Davide Giacalone

Un imprenditore rapito (Andrea Calevo) è stato liberato dalle forze dell’ordine, dopo indagini durate due settimane. Decisive, a quel che si legge, sarebbero state le intercettazioni telefoniche. Dopo avere manifestato agli inquirenti l’apprezzamento per il lavoro che hanno svolto, poniamoci questa domanda: le intercettazioni telefoniche sono state e saranno al centro di mille polemiche, coinvolgendo anche la presidenza della Repubblica, ma c’è una sola persona sensata, o anche insensata, che pensi si sarebbero dovute limitare, anche in questo caso? Ovviamente no. Chi se ne frega delle garanzie, della privacy e di altre cose simili: un cittadino è in pericolo, a opera di criminali, e intercettare è giusto per cerare di liberarlo. Vale la stessa cosa per i traffici illeciti, per la sicurezza collettiva e per ogni faccenda nella quale si possa prevenire o stroncare un crimine. La liberazione dell’ostaggio, però, conferma quanto fosse giusta la nostra tesi, che esponemmo, del tutto inascoltati, nel mentre infuriavano (e infurieranno) baruffe inconcludenti.

Scrissi allora che mi sembrava ben funzionante il sistema inglese: la polizia intercetta a (sostanziale) piacimento, ma né le registrazioni, né le trascrizioni, salvo rare e precise eccezioni, entrano mai fra le carte processuali, non vanno agli atti e, quindi, non vengono pubblicate, perché se un crimine è stato scoperto, come in questo caso, si processano i responsabili per quello, non per quel che dicono. Tale sistema accende un faro proprio su una stortura del nostro ordinamento: le indagini le fa la polizia, non la magistratura. Da noi, con la mania che tutto debba essere messo nelle mani della procura, si è combinato un bel guaio. Fu un’idea nata per garantire i cittadini, giacché si ritenne che la polizia giudiziaria agisse senza offrirne, mentre il magistrato ne era il depositario, ma ci ritroviamo con il risultato opposto: anche l’innocente, anche il non indagato può essere liberamente svillaneggiato e sputtanato, a cura del signor magistrato.

Allora, seguiamo i buoni esempi. Le intercettazioni telefoniche e ambientali, come anche le telecamere di sorveglianza, sono ottimi strumenti d’indagine, da usarsi. La garanzia, per i cittadini onesti, sta nel fatto che quelle risultanze non finiscono in alcun fascicolo processuale e se non si scopre un reato finiscono nel nulla e nel silenzio tombale. Se, invece, il reato si scopre, comunque le intercettazioni non sono prove, ma solo lo strumento con cui si è giunti all’accertamento. Quindi spariscono. Funziona.

Prendete il caso di questo rapimento. Gli arrestati possono essere comodamente processati e condannati, perché scoperti con l’ostaggio fra le mani. Buona galera, nella misura che il codice prevede e che un regolare processo comminerà. Sapere che uno di questi criminali volesse picchiare l’ostaggio, o tagliargli un dito, invece, è irrilevante, perché quello specifico reato non è stato commesso. E noi tutti neanche dovremmo saperlo, i giornali non dovrebbero pubblicarlo e quelle intercettazioni non si dovrebbero conoscere. Perché non serve e perché pubblicando si persevera nel guardonismo giudiziario, perversione in cui il sistema informativo italiano s’è specializzato. Non si tratta, all’evidenza, di tutelare la privacy dei criminali, ma di tutelare il processo dalle cose inutili. Questi sono rapitori, punto e basta, si passi alla condanna. Leggere le intercettazione per dileggiarli, disprezzarli o sollecitare la pubblica riprovazione non è giustizia, è barbarie.

Una simile riforma si fa in due settimane, se si discute fra persone normali e non fra manettari assatanati e giustizialisti compulsivi. Più complicato, ma fattibile, rivedere profondamente il ruolo della procura, il che comporta il più generale discorso della separazione delle carriere. Eppure sono certo che gli italiani appoggerebbero in massa una simile scontata evidenza, una così elementare misura di civiltà, se solo li si liberasse dall’incubo che la giustizia sia un modo per risolvere i contrasti politici. O un modo per fare carriera politica. In tal senso si devono ringraziare i magistrati fin qui eletti in Parlamento, come quelli che si accingono a candidarsi, perché testimonianza vivente di come un Paese possa degradare e la giustizia essere violentata a fini di godimento personale.
(Libero)

mercoledì 2 gennaio 2013

Renato Brunetta denuncia le dieci falsità del documento di Monti. Lucio Di Marzo

Il documento presentato da Mario Monti sul sito di Palazzo Chigi, a consuntivo di un anno di governo dell'esecutivo tecnico guidato dal Professore, è una collezione di falsità e imprecisioni.
La denuncia arriva da Renato Brunetta, coordinatore dei dipartimenti del Pdl, che lo ha studiato con attenzione.
Il primo punto dolente dell'operazione, come scritto ieri, è la sovrapposizione tra due personaggi incarnati nella stessa persona.
Il Monti candidato e il Monti premier collidono in un documento che non si limita a tracciare un consuntivo del 2012, elencando le vittorie - o presunte tali - dei tecnici, ma fa anche campagna elettorale, propagandando le misure che andrebbero prese in futuro.
Il documento, intitolato "Analisi di un anno di governo" è sottoposto da Brunetta a un vero e proprio factchecking. E mette in luce soltanto "le 10 falsità (più gravi)".

I dieci punti denunciati da Brunetta

1. 13 mesi fa non c’era la liquidità necessaria per pagare cassa integrazione, pensioni, spesa sanitaria e servizi pubblici essenziali. Falso.
2. 13 mesi fa i piccoli risparmiatori che avevano investito in titoli dello Stato avrebbero rischiato di perdere gran parte del loro patrimonio. Falso: l’Italia ha sempre onorato il suo debito. Affermazioni tendenziose come queste minano la nostra credibilità.
3. Grazie al clima diverso che si respira intorno all’Italia la BCE è potuta intervenire per stabilizzare i mercati finanziari. Falso: il raffreddamento sui mercati è avvenuto grazie all’intervento della BCE (non viceversa) e comunque la banca centrale è indipendente dai singoli Stati e opera in prospettiva europea (non nazionale).
4. L’idea dello scudo antispread proposta dal presidente del Consiglio italiano il 28-29 giugno a Bruxelles si è rivelata una polpetta avvelenata e, se si pensa che abbia trovato attuazione nel Meccanismo Europeo di Stabilità, ricordiamoci che questo è bloccato per i veti posti dalla Germania.
5. "Il Governo si è sforzato di ancorare saldamente l’agenda delle riforme interne agli obiettivi europei, e al tempo stesso di essere un protagonista autorevole". Vera la prima: totale aderenza dell’operato del governo italiano ai diktat degli altri paesi. Falsa la seconda: altro che protagonismo autorevole: siamo piaciuti ai tedeschi solo perché li abbiamo assecondati in tutto.
6. "Il miglioramento dello scenario economico italiano ha numerosi effetti concreti sulla vita delle famiglie e delle imprese italiane". Sì: la recessione!
7. "L’obiettivo è di ridurre di un punto e progressivamente la pressione fiscale". Peccato che in un anno sia aumentata di 3 punti.
8. I dati relativi alle entrate tributarie e alla lotta all’evasione sono perfettamente in linea con gli anni di governo Berlusconi. Niente di nuovo sotto il sole.
9. "L’azione di governo non è stata impostata solo sul rigore ma anche sulla crescita economica". Ah si? Non se n’è accorto nessuno...
10. Un beau geste: il governo riconosce che i maggiori fondi destinati alla produttività del lavoro (2,1 miliardi contro l’iniziale 1,6) sono il risultato di emendamenti del Parlamento". (il Giornale)

2013: bentornati nella Prima Repubblica. Federico Punzi

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«Sconforto e solitudine». Questi i sentimenti espressi da Luca Ricolfi in un commento apparso oggi su La Stampa (on line sul sito della Camera, non del quotidiano). Il suo giudizio sull'offerta politica messa in piedi da Mario Monti lo troverete straordinariamente in sintonia con quello che avete letto nei giorni scorsi su questo blog e su Notapolitica, ed è tutto condensato nel titolo: «Verso la prima Repubblica». Termini ricorrenti in entrambi i testi: «piccola Dc», «compromesso storico». «Cadute tutte le ipotesi più coraggiose e innovative», osserva Ricolfi, la lista Monti «di liberaldemocratico ha quasi nulla e di vecchia politica ha molto, se non quasi tutto». Per chi avesse coltivato illusioni, «è stato un piccolo shock, una doccia fredda». Ci prepariamo ad assistere, dunque, «all'edizione aggiornata del compromesso storico fra comunisti e democristiani». Probabilmente le elezioni del 24 febbraio ci diranno chi tra Bersani e Monti sarà presidente del Consiglio, ma anche Ricolfi è convinto che (come abbiamo ripetuto più volte nelle ultime settimane su questo blog) non sfuggiremo ad un governo di centro-sinistra, frutto di un'alleanza post-elettorale tra il centro "montiano" e il Pd di Bersani (più Vendola, almeno inizialmente). E d'altra parte, a leggere le loro agende, «contrariamente a quanto qualcuno vorrebbe farci credere, le distanze fra Bersani e Monti sono minime».

Condividiamo quindi l'amara conclusione di Ricolfi:
«Oggi, chi avrebbe voluto cambiare decisamente rotta, lasciandosi alle spalle la vecchia classe politica, imboccando risolutamente la strada delle riforme liberali - meno spesa, meno tasse, meno Stato - è disperatamente solo. E, quel che più dispiace, è solo non perché siamo in pochi, ma perché siamo in tanti ma senza rappresentanza».
Come nella prima Repubblica, gli elettori torneranno a contare poco o nulla, «perché i giochi si faranno dopo, in Parlamento, come ai tempi di Craxi, Forlani e Andreotti». In breve, per chi non crede più in Berlusconi e non intende consegnarsi all'improbabile agenda Grillo, «la scelta è fra Pci e Dc. Anzi non c'è vera scelta, perché Bersani e Monti governeranno insieme».

Come ho già scritto nel post di venerdì scorso, Monti «ha scelto un'operazione neo-democristiana di rito moroteo, di "compromesso storico" con gli eredi del Pci. I quali non vedono l'ora di coronare il loro sogno, che era quello di sostituirsi ai socialisti e ai partiti laici della Prima Repubblica nella condivisione/spartizione del potere con la Dc. Oggi ne hanno finalmente l'occasione, addirittura potendo trattare da forza egemone con una piccola Dc».

Critiche all'agenda del professore, in particolare sul riferimento ad una nuova tassa patrimoniale, continuano ad arrivare anche dal duo Alesina/Giavazzi:
«La campagna elettorale sembra concentrarsi su quale sia il modo migliore per tassare gli italiani. Invece si dovrebbe discutere di come riformare lo Stato, in modo che esso non pesi per la metà del Pil. (...) l'agenda che Mario Monti propone agli italiani avrebbe dovuto indicare un obiettivo per la riduzione del rapporto fra spesa pubblica e Pil da attuarsi nell'arco della prossima legislatura». (Il legno storto)

martedì 1 gennaio 2013

Buon 2013

Speriamo che il ...13 ci porti fortuna, comunque ci basterebbero salute, felicità e soldi...
A parte le battute, ne abbiamo proprio bisogno.

Sono ottimista e per natura cerco sempre di vedere il lato positivo di una situazione e, se anche il momento che stiamo vivendo è serio, i segnali che vengono dalla politica a me paiono incoraggianti.
La competizione vede più forze in campo e più variegate, certi equilibri sono saltati e nuove alleanze rimescolano le carte della politica, l'astensionismo non starà a guardare e probabilmente uscirà allo scoperto a fronte di un'offerta plausibile e allettante: insomma gli ingredienti per una campagna elettorale non monotona ci sono tutti.

Magistrati e giornalisti si candidano, guarda caso, con le forze di sinistra ed ogni giorno assistiamo a "professioni di fede" (di sinistra) da parte di intellettuali, artisti, professionisti, imprenditori e scrittori.
Evidentemente l'adesione alla sinistra è motivo di orgoglio, vanto e sciccheria.
Per il buon Berlusconi nessuno si espone! Anzi, persino alcuni suoi parlamentari stanno prendendo le distanze dal Cav.
A me piacerebbe che anche per noi ci fosse qualche magistrato, giornalista, scrittore, intellettuale, attore, imprenditore... che si dichiarasse di centrodestra e che potesse fare da "testimonial" alla nostra parte. Purtroppo Sivio non è mai stato di moda, se non quando nel pieno del suo potere, era circondato da servili adulatori in cerca di soldi e prestigio.

C'è qualche "pezzo grosso" disposto a fare "endorsement" per il centrodestra? Dato che, come oramai acclarato, più della metà degli italiani è contraria alla sinistra, non dovrebbe essere impossibile trovarne uno che abbia il coraggio di esporsi.

Coraggio fatevi avanti! Nei commenti anche sconosciuti di centrodestra possono "firmare" la loro adesione: facciamo vedere che il centrodestra è vivo e vegeto.

Buon 2013 a tutti, anche ai compagni (ne hanno bisogno).