venerdì 29 marzo 2013

Patibolo cipriota. Davide Giacalone

E’ sciocco e pericoloso sostenere che Cipro è un caso eccezionale, talché quello che si vuole capiti lì non accadrà poi altrove. E’ vero il contrario: quel che succede in una banca dell’eurozona può ed è destinato a ripetersi in ogni altra sua parte. Quindi la proposta di esproprio, operato sui conti correnti, deve essere fermata. Ove non lo si faccia si metterà in moto il meccanismo che può portare alla demolizione del sistema bancario in Europa (non scrivo “europeo” perché, purtroppo, non esiste).

Si dovrebbe fare attenzione al detto: è per il principio, non per i soldi. E’ violando i principi che l’area economica più ricca del mondo, l’Unione europea, riesce a bruciare quattrini. I principi hanno un valore economico. Violarli ha un costo. Abbiamo cominciato a sbagliare con la Grecia e non ci siamo più fermati. La cosa grottesca è che il Pollicino che ha segnato la via è quella Germania che pretendeva d’essere l’incarnazione stessa della coerenza e dei principi, mentre, al contrario, li ha sbriciolati.

Cipro è l’ultimo laboratorio della follia autolesionista, sicché usiamola per vedere alcuni principi massacrati. Primo: i soldi depositati in una banca dell’Unione monetaria non sono più garantiti. Altro che segreto bancario o tassi d’interesse, qui s’è stabilito che se una banca fallisce a pagare devono essere i correntisti. Dal che può discendere una sola cosa: la fuga dei capitali verso altre aree del mondo o in istituti tedeschi (o nelle cassette di sicurezza, che da noi crescono). Il bello è che l’insulsa idea di rapinare i conti sopra i 100mila euro era stata valutata per come doveva essere letta: il ripiegamento fallimentare rispetto al delirio di rapinarli tutti. I mercati l’avevano presa a ridere. Fin quando un olandese delirante, presidente dell’eurogruppo, Jerone Dijsselbloem, ha preteso di teorizzare e generalizzare la trovata. Apriti baratro.

Secondo principio violato: leggo per ogni dove che i capitali russi depositati a Cipro sarebbero soldi sporchi, quindi da poter taglieggiare senza pietà. Qui di sporco c’è la coscienza ipocrita di chi prima ammette Cipro nell’Uem, sapendo benissimo che si crea un offshore interno all’area dell’euro, e poi, quando le cose vanno male, pretende di rivalersi su capitali che sono entrati rispettando le regole e credendo alla parola e alle leggi di uno Stato e di un’area monetaria. Per simili voltafaccia la storia prevede il peggio. Se i capitali sono sporchi procede la giustizia, non il fisco. Terzo principio violato: nel momento in cui si stabilisce che i titoli del debito di uno Stato sovrano (in questo caso la Grecia), componente l’Uem, possono non essere onorati ne deriva che l’intera Uem è disonorata. Da quel punto in poi i birilli cascano in successione, e solo a patto d’essere di legno l’ultimo della fila ride del fatto che la boccia ha colpito chi gli sta davanti. Con l’aggravante che le banche tedesche e francesi si liberarono dei titoli greci, avendo notizie insider (che nei mercati è reato) sui tempi dello sganciamento, con ciò danneggiando la Grecia, mentre i ciprioti hanno lasciato in portafoglio quei titoli (anche perché l’isola è divisa e dall’altra parte ci sono i turchi), che la Banca centrale europea dovrebbe considerare senza rischio, con ciò aggravando il proprio fallimento. Quarta violazione dei principi: a Cipro vengono poste condizioni impossibili, il Parlamento le rigetta e la troika li rimodula rinunciando ad avere soldi ma pretendendo di far valere l’impostazione iniziale (taglieggiamento conti), vale a dire l’esatto contrario di un sano pragmatismo, nonché l’umiliazione della sovranità democratica.

Non serve continuare ad enumerare per chiarire che il venir meno ai principi del diritto e della credibilità sta distruggendo l’Uem, e con essa l’Ue. E non è assolutamente vero, come sostengono i tedeschi, che si tratta, invece, di richiamare ciascuno ai trattati sottoscritti, perché quando li violò la Germania l’arbitro, corrotto dalla e con la forza, fece finta di non vedere. L’Europa costruita attorno all’economia e alla moneta dimostra uno spaventoso deficit di diritto, politica e credibilità. Perde soldi perché perde principi.

Quando noi, da europeisti, avvertivamo sulle debolezze strutturali dell’euro sembrava bestemmiassimo. Ora è un fondo del Corriere della Sera, scritto da Giovanni Sartori, a ipotizzare la fine dell’euro e il ritorno al serpente monetario. La storia non inverte la freccia del tempo, semmai si deve dotare l’euro di quel che il serpente aveva: sistemi basculanti di compensazione interna e regole per l’uscita. Tutto quel che è rigido, a questo mondo, prima o dopo si spezza.
Pubblicato da Libero

domenica 24 marzo 2013

Il discorso di Silvio Berlusconi in piazza del Popolo il 23 marzo 2013 a Roma

Governo forte e responsabile o al voto

Care amiche, Cari amici,
siamo davvero tanti e da quel che vedo siamo già tutti pronti per una nuova campagna elettorale, e questa volta per vincere alla grande, per vincere davvero. Questa, come sapete, si chiama Piazza del Popolo.
Ma da oggi possiamo chiamarla Piazza del Popolo della Libertà.
Grazie di cuore di essere qui con me, con noi, tutti insieme a rappresentare l’Italia degli italiani di buona volontà, l’Italia degli italiani di buon senso, l’Italia degli italiani di buona fede. L’Italia che lavora e che produce, l’Italia delle donne e degli uomini liberi che vogliono restare liberi.
Siamo il Popolo della Libertà. Siamo noi il Popolo della Libertà, e abbiamo come religione la libertà, abbiamo come prima e assoluta missione la difesa della libertà.
E anche per questo siamo qui oggi, tutti insieme, ad esercitare un nostro assoluto diritto, garantito da tutte le democrazie, quello di manifestare in piazza per protestare contro ciò che non ci piace, che non ci pare giusto, che non accettiamo, o a favore di ciò che vogliamo e che ci appare sacrosanto.


Ci avevano dati per agonizzanti, invece ecco qui sotto un sole caldo di primavera e in una delle piazze più belle del mondo:
- un popolo che combatte contro la crisi economica e sociale;
- un popolo che sa amare, sa ammirare, sa creare, e rinnega nella vita di ogni giorno la logica dell’invidia e della rabbia.
Noi siamo l’Italia della passione, che si batte per le proprie idee nelle piazze come nelle istituzioni, nel lavoro quotidiano, nell’impresa. Siamo anche quelli che sanno ridere e sorridere, che sanno combattere la malinconia di una crisi mondiale grave e duratura con la logica dell’intelligenza, e con la volontà dell’ottimismo e della speranza.
Davvero, siamo tantissimi…Lo sapete che non avevo mai visto tanti “impresentabili” tutti insieme?
Ci dicono che siamo impresentabili, ineleggibili, collusi, in realtà noi siamo l’Italia migliore e siamo anche la maggioranza dell’Italia , siamo tantissimi.
Prima di ogni cosa, credo che dobbiamo mandare un saluto e un abbraccio, ai nostri due Marò, a Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, che il Governo Monti ha pensato bene, dopo tante parole, di rispedire in India. E’ una cosa grave e incredibile: un grande Paese non deve questo, non può abbandonare i suoi uomini. E noi non possiamo consentire che l’Italia sia umiliata e ridicolizzata. E non possiamo consentire che ciò avvenga da parte di chi - come Monti - raccontava di avere ridato credibilità al nostro Paese. Domandiamo ai signori del Governo Monti: questa è la vostra credibilità?


Quella della loro credibilità era una grande balla. La balla del secolo. Non sono mai stati più credibili di noi, semmai erano e sono stati sempre supini alla Germania e agli altri Paesi e ora anche all’India.
Allora, come voi sapete bene in questi giorni c’è stato un giro di consultazioni con le forze politiche, e verrò tra poco alle mie osservazioni sull’incarico precario che è stato dato ieri al signor Bersani. Ma prima, volevo fare anch’io le mie consultazioni, chiedendo subito un parere a voi, perché il vostro è il parere che mi importa.
Vi domando:
1. Siete contenti della campagna elettorale che abbiamo fatto?
2. Siete orgogliosi di come io mi sono battuto nelle piazze e nelle sfide televisive? Da Santo? Da Floris? Dalla Annunziata? Dalla Gruber? Sapete, c’è qualcuno che mi dice che non devo più chiamarli comunisti, ma non è colpa mia…Non sono io che vedo comunisti da tutte le parti: sono loro che sono comunisti e stanno da tutte le parti…E infatti, andando negli studi televisivi, ho visto così tanti comunisti che mi sono venuti gli occhi rossi e pure la congiuntivite…
3. Ancora Siete soddisfatti della nostra fantastica della nostra rimonta in campagna elettorale?
4. Pensate che un grande Paese come l’Italia possa essere governato senza numeri da vecchi militanti di quel Pci, che è diventato Pds, che è diventato Ds, che è diventato Pd, ma che non è cambiato mai?
5. Siete convinti che, se tornasse al voto, vinceremmo noi, sia alla Camera che al Senato?
6. Allora siete pronti a tornare in campagna elettorale per dare all’Italia un Governo solido, capace e liberale?
E Ma allora Se siete tutti pronti, allora Vi comunico chesono pronto anch’io…Sì, sono pronto anch’io a combattere insieme a voi una grande battaglia per la libertà e per una nuova Italia.
Parliamo un pò degli altri Ma l’avete visto in questi giorni Bersani? Prima del voto, era convinto di avere già vinto senza gareggiare. Aveva in mano da due mesi la lista dei ministri, con Rosy Bindi in testa. Diceva che era in vantaggio di 12 punti, diceva che la nostra rimonta era falsa e che gli serviva il binocolo per vederci. Adesso è trascorso un mese dal voto, e nessuno ha avuto ancora il coraggio di dirgli che le elezioni non le ha vinte.
Oddio, qualche sospetto ce lo deve avere anche lui.
Ha la faccia di uno che ha cercato di smacchiare un giaguaro e il giaguaro lo ha ridotto male molto male…
Ma ci sono anche altri che stanno combinati anche peggio.


Lo vogliamo mandare tutti insieme un saluto a Gianfranco Fini, devo dire che la vosdtrea e una reazione rozza ed efficace quindi mandiamo a lui e a tutto il suo che dopo “soli” 30 anni lascia il Parlamento? Un saluto a lui e a tutto il suo club di gentiluomini…Ma poi guardate che in fondo, credo che a Montecarlo non se la passi così male…
Un saluto anche a Casini, che tutte le sere ci spiegava in tv che eravamo noi a sbagliare, che non capivamo il Paese, che la soluzione era Monti. Vi diciamo Caro Pierferdinando, bisogna saper ascoltare la gente. E se tu avessi ascoltato la tua gente, avresti capito che non dovevi dividere lo schieramento dei moderati alternativi alla sinistra, e fare così l’interesse della sinistra…
E un nostro vero rammarico è proprio questo: come hai potuto fare un errore così grave contro i tuoi elettori e anche contro te stesso? Come hai potuto non vedere cosa sarebbe successo?
E poi un saluto a Di Pietro…Avevamo sostenuto per anni che le sue erano braccia rubate all’agricoltura…Ora possiamo finalmente restituirlo all’agricoltura, sperando che non faccia troppi danni anche lì.
E poi ve lo ricordate Ingroia, l’eroe del Guatemala? A proposito…Ci sono in piazza amici della Valle d’Aosta? Dove siete? Eccoli là…Allora, vi do una notizia…Visto che Ingroia ha perso le elezioni e vuole tornare in magistratura, ma siccome si era candidato in tutta Italia tranne la vostra Regione, hanno pensato bene di mandarlo da voi in Valle d’Aosta…Ho un’indiscrezione sulla prima inchiesta che farà: sarà sugli stambecchi del Parco del Gran Paradiso…Ha già un sacco di intercettazioni, e ha anche uno stambecco pentito che ha rilasciato le prime confessioni…Presto sarà intervistato da Santoro e Travaglio…Sia lui, sia lo stambecco…


E poi un saluto a Grillo, che ieri è andato da Napolitano travestito da dittatore dello Stato libero di Bananas…Lo sapete che cosa combina oggi? Una bella visita ai cantieri dell’alta velocità accompagnato da un po’ di distinti signori amici suoi (anarchici, no-Tav, centri sociali …). Intanto, è un primo atto da onorevoli, perché vanno lì come parlamentari, e sfruttando un privilegio da parlamentari…Vorrei chiedere a Bersani: ma che fai? I nuovi ministri delle infrastrutture e magari anche degli interni li scegli tra quei gruppettari là? E’ così che pensi di guidare e governare uno dei Paesi più importanti del mondo?
Fatti questi doverosi “saluti”, vengo alle cose importanti su cui dobbiamo ragionare insieme.
1. Siamo qui e cominciamo con una denuncia e una proposta.
La denuncia politica riguarda la sinistra, che, forte della sua antica professionalità nelle sezioni e negli scrutinii elettorali, si è guadagnata uno 0.3% in più di voti, e, con questo 0.3, ha osato mettere le mani sulle Presidenze di Camera e Senato come se le istituzioni fossero tutte quante “cosa loro”. E ora puntano a fare lo stesso con la Presidenza della Repubblica. Dico qui, forte e chiaro, che sarebbe una specie di golpe, che sarebbe un atto ostile contro metà e oltre del Paese.
Bersani aveva detto prima del voto: se anche prendessi il 51%, mi comporterei come se avessi preso il 49%. Bene, non ha preso né il 51 né il 49, ma solo il 29, eppure si vuole sequestrare il 100% delle cariche istituzionali. E’ inaccettabile.


E’ inaccettabile che l’Italia sia uno dei pochissimi Paesi occidentali dove la massima carica dello Stato sia decisa, nel chiuso di qualche stanza buia e fumosa, da tre o quattro capipartito, alle spalle degli elettori.
Il Capo dello Stato non lo possono decidere Bersani, Vendola e Monti riuniti a casa loro, magari indicando Romano Prodi. Un Presidente tutto meno che superpartes.
Lo volete uno come Prodi? Il Capo dello Stato lo dovrebbero decidere 50 milioni di italiani, democraticamente, al termine di una campagna elettorale aperta, libera e trasparente.
Per questo noi proponiamo (e nella scorsa legislatura siamo riusciti a far approvare questa riforma solo al Senato, purtroppo), che si passi all’elezione popolare diretta del Capo dello Stato, come accade in America o in Francia.
Ma anche ora in attesa di questa riforma non è assolutamente pensabile che, con un colpo di mano, sempre aggrappandosi allo 0,3% di cui parlavo prima, questi signori pensino di imporci uno di loro, magari uno dei più estremisti di loro, per 7 anni.
Questa volta, con il Presidente del Senato di sinistra, con il Presidente della Camera di sinistra, con il Presidente del Consiglio di sinistra, il Capo dello Stato deve essere un moderato, un liberale di centrodestra !
Questo è un sacrosanto diritto dei 10 milioni di italiani che noi rappresentiamo e che non possono essere esclusi da tutte le più alte istituzioni.
2. La seconda questione è la più importante. Vedete, io ho fatto la campagna elettorale pensando ai problemi veri degli italiani:
-fermare il bombardamento di tasse;
-creare le condizioni per avere nuovi posti di lavoro;
-fermare il mostro chiamato Equitalia;
-abolire l’Imu per il futuro e restituirla per il passato.
Bene, un minuto dopo il voto, questi signori hanno fatto sparire queste questioni reali, e hanno messo sul tavolo questioni che non hanno nulla a che fare con le emergenze del Paese:
-il conflitto di interessi
-la legge anticorruzione
-il falso in bilancio
-la caccia alle poltrone istituzionali di cui ho detto poco fa
-e perfino, roba da matti, la questione lunare della mia presunta ineleggibilità, cosa con la quale vorrebbero provare a mettere fuori gioco il leader di 10 milioni di italiani, eletto 6 volte al Parlamento, e già 4 volte Presidente del Consiglio.


Sono irresponsabili. Sono fuori dalla realtà perché non sanno ascoltare la sofferenza del Paese.
Non capiscono il dramma degli imprenditori.
Non capiscono il dramma dei disoccupati, con i livelli record della disoccupazione, in particolare di quella giovanile.
Non capiscono l’incubo di chi riceve lettere e cartelle minacciose da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Non capiscono il dramma di chi vuole fare impresa e deve fare i conti con una burocrazia oppressiva, che toglie tempo e risorse, che ti fa andar via la voglia di realizzare qualcosa di nuovo.
Vi sembra normale?
In un mese dopo il voto, avete mai sentito Bersani pronunciare la parola “crescita”? La parola “sviluppo”? Niente di niente, come se il problema fosse solo quello di togliere di mezzo il signor Berlusconi.
Scherzano con il fuoco, e non capiscono che poi, perfino per un grande Paese come il nostro, possono materializzarsi rischi gravi, magari anche scenari pericolosissimi per il risparmio privato delle famiglie, come sta accadendo a Cipro.
E ora si aggiunge, in questo contesto, l’altro marziano, Grillo, che parla di “decrescita felice”. Ma, ditemi voi: avete mai visto qualcuno che si impoverisce ed è felice?
Qualcuno che sorride mentre perde il suo lavoro, il suo risparmio, la sua dignità?
Che poi, detta da uno come Grillo che non vive certo di stenti, la cosa sa anche di grande presa in giro e di offesa agli italiani…
E ciò nonostante, Bersani lo insegue, lo prega, gli va appresso, e tenta con i voti dei grillini di mettere insieme i numeri che non ha…
Direte voi: si tratta di una orribile compravendita di parlamentari…No: si chiama scouting.
Direte voi: si tratta di un ribaltone antidemocratico…No: si chiama scouting.
Direte voi: ma come, Bersani si esprime sempre in un emiliano simpatico e verace? Noooo! Bersani si è internazionalizzato, è diventato English, è diventato British, e parla di scouting con una pronuncia ineccepibile.
Mamma mia, se ripenso a tutto quello che ci hanno riversato contro quando qualche parlamentare del gruppo misto è venuto da noi!
No, sono davvero degli ipocriti, sono sepolcri imbiancati.
Se e quando alcuni deputati hanno deciso liberamente di passare con il centrodestra, loro ci hanno accusato di compravendita, se invece passano a sinistra per eleggere il Presidente del Senato e magari far nascere il governo Bersani allora per loro si tratta di “scouting”.
Vedete che ho ragione io, sono sempre gli stessi, è la doppia morale comunista.
A questo punto, voglio essere molto chiaro, ribadendo la mia fiducia nella saggezza e nell’equilibrio del Presidente Napolitano.
Delle due l’una. Se per caso, dopo l’incarico precario ricevuto ieri sera, Bersani e il Pd insisteranno con questo tentativo assurdo di Governo senza numeri, di Governo di minoranza, sappiano che la nostra opposizione sarà durissima, senza sconti, in Parlamento e nelle piazze, in mezzo alla gente che soffre per la crisi che loro non vedono.
Se invece non combineranno nulla, se non ci riusciranno, allora l’essenziale è che non facciano perdere tempo al Paese, che non facciano melina. Si torni subito al voto, e si restituisca la parola agli italiani. Noi siamo assolutamente pronti.


Bersani sta ripetendo l’errore-orrore di Monti: pensare al suo interesse e alla sua salvezza e non all’interesse e alla salvezza del Paese.
Dice “no” a un patto con noi: l’unica soluzione che le urne hanno indicato come possibile.
Il PD invece è da sempre e ancora accecato dall’invidia e dall’odio contro di noi, contro il ceto medio, contro i cosiddetti benestanti, contro chi con il lavoro, con il sacrificio, con il rischio imprenditoriale è riuscito a crearsi una piattaforma di benessere per sé e per i suoi figli.
A loro non importa:
Che le fabbriche, piccole e medie imprese e negozi chiudano in massa
1. Che ci siano tre milioni di disoccupati.
2. Che tre milioni e mezzo di italiani siano nella miseria assoluta.
3. Che sette milioni di italiani siano sulla soglia della povertà.
4. Che i pensionati non arrivino alla seconda settimana del mese.
5. Che 40 giovani su 100 non abbiano lavoro e che in tanti abbandonino l’Italia perché hanno perso ogni speranza.
6. A loro non importa che le famiglie siano oppresse dalle tasse e dagli aumenti delle bollette.
7. Che i contribuenti siano vessati da Equitalia che si comporta con loro come il rappresentante di uno Stato ostile e nemico.
8. Che le imprese siano prigioniere di una camicia di forza costituita da tutti i vincoli e le autorizzazioni preventive della burocrazia che non le lascia operare.
9. Che le banche prestino soldi alle imprese con sempre maggiore difficoltà perché hanno subito un incremento pericoloso del totale dei crediti irrecuperabili.
10. Che la produzione industriale e i consumi siano caduti ai livelli di 20 anni fa.
11. Che il debito pubblico superi i duemila miliardi.
12. Che gli investimenti esteri in Italia siano ridotti al lumicino.


Per loro, per questi marziani irresponsabili spinti solo dal desiderio di potere, dall’invidia e dall’odio sociale i problemi urgentissimi, non più rinviabili del nostro paese, sono altri, sono il conflitto di interesse, il falso in bilancio, la legge anticorruzione pensando così di colpire il nemico Berlusconi.
Le facciano pure queste leggi. Il loro problema è quello di aumentare l’Iva sui prodotti di lusso per i ricchi e di togliere l’Imu solo a chi ha pagato sino a 500 euro e così moltiplicarla per quattro a tutti gli altri e - perché no - fare anche una bella patrimoniale, di 40 miliardi che sul piano economico è impossibile, ma e’ così demagogica e fa tanto chic.
Il problema è quello di tenersi ben strette le banche, come hanno fatto egregiamente da sempre col Montepaschi, e semmai, notte tempo, assottigliare i conti correnti degli italiani con un prelievo forzoso.
Ma tutto questo si può fare solo togliendo prima di mezzo Berlusconi che ai loro occhi ha una grande colpa, un grande torto, quello di non aver consentito da 20 anni a questa parte a loro, ad una minoranza illiberale e prepotente di prendere il potere e fare il bello e il cattivo tempo.
Ancora tre mesi fa pensavano che i giochi fossero fatti: hanno sottovalutato la forza di questo popolo, la forza del Popolo delle Libertà, la forza dei nostri ideali, dei nostri programmi: e, se permettete, anche del suo leader e si sono messi a giocare con le figurine: qui ci mettiamo questo, qui ci mettiamo quello, questo ministero a lui, questa banca a te, quell’authority a me, e così via: dai provveditori agli studi, agli ambasciatori, ai direttori generali dei ministeri, dalle grandi aziende di stato, ai vertici delle forze dell’ordine e delle forze armate, dovunque perché questo è il potere che amano e che vogliono.
Erano pronti alla grande abbuffata. Poi si sono svegliati e sono caduti dal letto. Accecati dalla loro sete di potere, non si erano neppure accorti che al loro fianco cresceva una forza, il Movimento 5 stelle, che si alimentava col malcontento popolare, agitando slogan semplici e demagogici: un vaffa…. per tutti, No alla Tav, No di qui, No di là, e altre amenità che hanno fatto facilmente presa, perché era ed è protesta allo stato puro, senza alcuna proposta seria per rilanciare l’Italia.
Tanto è vero che, incamerati tantissimi voti, l’unica cosa che Grillo non vuole, per ora, è governare, perché punta al 100 per 100 per guidare un governo monocolore e lo dichiara pure al Capo dello Stato…vi ricorda qualcosa?
In questa situazione Bersani che fa? Si rivolge a chi è responsabile, a chi rappresenta l’Italia che lavora, a chi ha dato infinite prove di serietà e di capacità, cioè alla forza dei moderati, a noi, al Popolo della Libertà?
No, nemmeno per sogno. Si rivolge proprio a Grillo, che per tutta risposta dice no, lo sbeffeggia e lo manda a quel paese 3-4 volte al giorno.
Bersani allora decide - come dicevo - di fare “scouting”, spera che questi turisti della politica nell’albergo a 5 stelle, questi ospiti improvvisati della politica, che vengono in massa dalla sinistra, scappino di mano a Grillo e possano dargli i numeri per far nascere un esecutivo che avrà come primi obiettivi quelli che abbiamo visto prima, e già che ci siamo, magari dichiarare ineleggibile Berlusconi che è la trovata degli ultimi giorni.
Dopo la catastrofe Monti, noi abbiamo messo a punto un programma di riforme e di grande rilancio dell’economia, con al primo posto l’abbassamento della pressione fiscale che è insopportabile sulle famiglie e sulle imprese.
La nostra ricetta liberale per uscire dalla recessione e rilanciare l’economia. E’ una ricetta che ha sempre funzionato e che in sintesi dice: Meno tasse sulle famiglie, sulle imprese, sul lavoro producono più consumi, più produzione, più posti di lavoro con la conseguenza di maggiori entrate nelle casse dello Stato che recupera così quanto serve per aiutare chi è rimasto indietro.
Non ci sono altre soluzioni per l’Italia.
Altrimenti non c’è che il voto.
Intanto una cosa è certa:
tutti i temi che abbiamo affrontato nella campagna elettorale sono diventate altrettante proposte di legge, che stiamo per depositare alla Camera e al Senato. Già martedì prossimo, a Montecitorio e a Palazzo Madama, depositeremo le prime quattro proposte:
- per la detassazione totale delle nuove assunzioni, a favore di giovani o di disoccupati;
- per il pagamento dei debiti dello Stato verso le imprese;
- per l’abolizione dell’Imu sulla prima casa e sui terreni agricoli, e per il rimborso dell’Imu pagata nel 2012;
- per una radicale revisione dei poteri del mostro chiamato Equitalia.
Se fossimo stati, o se fossimo al Governo, avremmo fatto esattamente le stesse cose. Per noi, i temi centrali sono e restano quelli che importano davvero agli italiani, alle famiglie e alle imprese.
Gli altri chiacchierano, noi continuiamo a lavorare per il grande cambiamento.


Noi, diversamente dagli altri, non abbiamo dovuto cambiare idee e obiettivi. Per noi resta decisivo sconfiggere le tre oppressioni: l’oppressione fiscale, l’oppressione burocratica, l’oppressione giudiziaria. Dell’oppressione fiscale, abbiamo già detto, ma voglio aggiungere qualcosa. Con pazienza, per mesi, abbiamo cercato di limitare l’effetto debilitante delle politiche fiscali negative di Monti, che non condividevamo, e alla fine abbiamo suonato lo squillo di tromba della riscossa: sfido chiunque a dimostrare che questo squillo non sia stato udito in ogni parte d’Italia e che non sia risultato per molti milioni di italiani un discorso liberatorio, lucido e rigorosamente costruito nell’interesse del paese che tutti amiamo.
Le banche devono riprendere a erogare il credito. La pubblica amministrazione deve onorare i suoi debiti con sollecitudine. La domanda interna di beni e servizi deve crescere rigogliosamente. Lo Stato deve fare un passo indietro abbassando il carico fiscale abnorme che impone su cittadini, imprese e lavoro. Le sole esportazioni, che sono una delle maggiori glorie della nostra capacità di crescere, non bastano a rimettere in moto il Paese.
L’Europa della moneta unica non è nostra nemica. Nostro avversario è l’egoismo dei poteri nazionali, la boria di chi si sente egemone e non riesce a ragionare in una logica cooperativa e davvero sopranazionale. Noi italiani siamo un pilastro, con francesi e tedeschi, della costruzione europea, e abbiamo tutta l’autorità per rivendicare con fermezza la ripresa di politiche espansive, la rimobilitazione di capitali, di lavoro e di tecnologie allo scopo di aumentare il prodotto e la ricchezza sociale che si producono nell’area dell’euro.
Noi avvertimmo per primi i rischi per la bassa produttività, per l’economia stagnante, per l’incapacità di stimolare, anzi di frustare, il cavallo dell’economia in Italia e in Europa. Non siamo stati ascoltati. Un presidente del Consiglio ha poteri limitati.
In certi casi può soltanto denunciare, dire le cose come stanno, ma le leve operative gli sfuggono. Soprattutto se ha una maggioranza ristretta o, comunque, un fronte di opposizione che è fatto non tanto dai partiti che hanno perso le elezioni quanto da magistrati, mass media e lobby influenti interne ed estere.
Quanto all’oppressione burocratica, siamo qui per affermare la necessità della riduzione della macchina dello Stato. Una macchina che non soltanto costa ad ogni cittadino italiano il 30% in più di quel che costano gli altri Stati ai loro cittadini, ma che ci impedisce di intraprendere, di lavorare, di sentirci liberi cittadini di uno Stato che ci garantisce e ci protegge, invece che cittadini di uno Stato che ci è ostile o addirittura nemico.
Ma siamo qui anche per dire basta all’uso della giustizia come arma contro gli avversari politici. I magistrati non devono soltanto essere imparziali, devono anche apparire imparziali. Per questo vogliamo affermare il diritto di un cittadino e ancor più di chi è stato eletto dal popolo a chiedere e a ottenere la revoca e la sostituzione di un PM o di un giudice che militi in una corrente della magistratura ideologizzata e politicizzata, che lo considera un nemico politico e usa contro di lui l’arma della Giustizia per combatterlo e danneggiarlo.
Oggi non voglio parlarvi delle assurde vicende giudiziarie di cui sono oggetto, perché tutto il tempo deve essere dedicato ai vostri problemi, ai problemi dell’Italia, mentre una sinistra irresponsabile gioca con le sorti del Paese.
Però lasciatemi dire che solo io potevo resistere a tutte le false accuse e a tutto il fango che mi è stato gettato addosso in questi anni; solo io potevo resistere al dolore che queste vicende provocano e alle straordinarie spese sostenere.
La riforma della giustizia deve essere fatta per tutti i cittadini. Perché non accada a nessuno ciò che è accaduto a me in questi anni.
Intercettazioni, perquisizioni, visite fiscali, testimoni intimiditi e maltrattati, migliaia di udienze fissate anche di sabato in Tribunali deserti.
Le nostre leggi, i disegni di legge che depositeremo sono per voi, per tutti i cittadini per difendervi e per rafforzare la magistratura sana che ogni giorno rende un grande servizio al Paese.
Noi non vogliamo una magistratura che sia succube della politica.
La magistratura deve essere libera.
Ma libertà non significa arbitrio.
La magistratura non deve essere al di sopra del popolo ma deve dispensare giustizia in nome del popolo.
Non può, senza mandato popolare, far cadere governi o decidere le leggi che il Parlamento deve approvare o non approvare.
Quando un magistrato decide di fare politica tramite il suo ruolo, utilizzando la toga che indossa, è un fatto gravissimo che incide sulla libertà di tutti noi.
È come se l’arbitro di una partita di calcio fosse un giocatore di una delle due squadre in campo.
Ciascuno di voi ben comprende come in tal modo la partita venga falsata e la sconfitta dell’altra squadra sia più che sicura.
È contro questa situazione che noi dobbiamo impegnarci.
Vedete, qualcuno parla di Berlusconismo, qualcun altro ha detto che Silvio Berlusconi non è più solo il nome di una persona, ma è il nome di una storia. Permettetemi di dirlo: la nostra storia.
E’ il nome di chi ha avuto la forza e il coraggio di contrapporsi a una sinistra illiberale, che concepisce solo la demonizzazione dei suoi avversari, e la loro eliminazione politica o addirittura fisica.
E’ il nome di chi ha voluto e saputo aggregare la maggioranza degli italiani che non vogliono questa sinistra, unendo i cattolici e i laici, i liberali, i riformatori, i modernizzatori, tutti i cittadini che vogliono il cambiamento.
E’ il nome di chi non si è arreso alle aggressioni, ma ha risposto moltiplicando ad ogni agguato l’amore per la democrazia e la passione per la libertà.
E’ il nome di un italiano che non ha paura, che non si è fatto e non si farà intimidire, e che tanti italiani hanno riconosciuto e riconoscono come guida in una battaglia nell’interesse di tutti. Questo italiano è qui davanti a voi, e si impegna a continuare la sua storia insieme alla vostra.
Siamo qui, più forti di prima e, ringraziando il cielo, siamo diversi da loro, che sanno solo invidiare e disprezzare, che hanno perso la speranza e gli ideali, e sono posseduti da una forza che è solo negativa e distruttiva. Ma il nostro amore e le nostre convinzioni, le nostre idee e le nostre speranze, sono più forti del loro odio.
Non riusciranno a toglierci la parola, il pensiero, il legame che ci unisce a milioni di altre donne e uomini che condividono la nostra stessa passione per la libertà.
C’è una frase di Gandhi che mi ha commosso: “Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono, poi vinci”.
Sono sicuro che sarà così anche per noi.
Lotteremo in Parlamento per difendere il voto di 10 milioni di italiani. Ma saremo anche nelle piazze, nelle strade, con la gente. E oggi, da questa piazza, vogliamo dare inizio a un nuovo modo di fare politica, per far vivere insieme la democrazia rappresentativa e la democrazia diretta, il Parlamento e la partecipazione.
Siamo donne e uomini responsabili. Ma non possiamo accettare che la democrazia e la libertà siano calpestate da chi vorrebbe annientare gli avversari politici per via giudiziaria.
Non possiamo accettare che la democrazia e la libertà siano calpestate da chi vorrebbe cancellare il voto e i diritti fondamentali di un terzo degli italiani.
Noi non lo consentiremo.
Sentiamo parlare di vecchie alchimie e di doppi binari, magari per conquistare anche la Presidenza della Repubblica.
Non ci stiamo.
O si fa un governo forte che coinvolge in un momento così grave tutte le forze politiche responsabili nell’interesse del Paese, oppure si va al voto.
Non ci sono alternative.
In ogni caso noi saremo in campo e ci impegneremo con rinnovata energia, con la stessa passione di sempre e ancora di più, con la nostra inestinguibile voglia di lottare per la libertà.
Forza Italia, viva l’Italia, viva la Libertà.
Vi abbraccio uno ad uno

sabato 23 marzo 2013

Bersani e la realtà impresentabile. Gianni Pardo

«Ma, a tuo parere, perché Bersani si comporta così?» Chi pone questa domanda crede di essere un po’ stupido o disinformato, e poi invece scopre che chi doveva illuminarlo non ne sa più di lui. Ed anzi, per la verità, si direbbe che sull’intera nazione aleggi il sospetto che nessuno capisca niente. Salvo gli interessati, a cui evidentemente conviene mantenere il segreto.

Non rimane che raccattare i cocci e vedere che cosa se ne può dedurre. Non per avere certezze – ché diversamente non staremmo brancolando nel buio – ma almeno dati su cui costruire ipotesi. Il Presidente Napolitano ha affidato a Pierluigi Bersani l’incarico di costituire il nuovo governo. Il leader del Pd tenterà di ottenere la fiducia in Parlamento, ma sappiamo che non può contare su nessun “sostegno certo” (come lo vorrebbe Napolitano). Non sull’alleanza col Pdl, che lui stesso rifiuta; e non sull’alleanza col M5S, che gliela nega. Da qui in poi cominciano le ipotesi.

La prima è che Bersani e i dirigenti del Pd siano impazziti. In questo caso, cercare di capire il perché del loro comportamento sarebbe fatica sprecata. Ne abbiamo fatto l’esperienza negli ultimi due anni, con Gianfranco Fini. Quando cominciò la sua guerriglia contro Berlusconi ci scervellammo: «Dove vuole arrivare? Se lascia il Pdl è perduto. Dunque deve avere un altro piano. Ma quale?» Non l’aveva. E si è visto.

La seconda ipotesi – più probabile – è che ci sia un gioco apparente e un gioco dietro le quinte. Pubblicamente Bersani dice: vado in Parlamento con un programma “grillesco” e chi mi vuole appoggiare mi appoggerà. Ma il piano è sconclusionato. Se i “grillini” avessero voluto appoggiarlo, avrebbero concordato un programma di governo con lui e gli avrebbero promesso la fiducia. Se hanno continuato a dirgli di no, che cosa spera, Bersani, che gli voti la fiducia il Pdl?

Ma dal momento che le ipotesi folli non ci spaventano, facciamo che il M5S ed anche il Pdl votino la fiducia a Bersani per far nascere un governo, dal momento che l’Italia ne ha bisogno. E poi? Quanto durerebbe, questo governo? Spesso litigano gli alleati, anche dopo aver concordato un programma, figurarsi dei non alleati che non si sono messi d’accordo su nulla. Fra l’altro, i partiti votano la fiducia al governo anche perché intendono guadagnarci in termini di cariche ministeriali. E perché mai il M5S e il Pdl dovrebbero votare la fiducia a Bersani senza guadagnarci nulla? Per sentirsi rimproverare aspramente dai loro elettori?

Forse si può fare un’ipotesi un po’ meno strampalata. L’insistenza di Bersani nel ripetere instancabilmente «col Pdl mai« ha precisamente il senso opposto: «col Pdl, naturalmente». Non è uno scherzo.

Come pensa chiunque ragioni, e naturalmente il Presidente Napolitano, Bersani, Berlusconi e tutti gli altri, l’unico governo serio concepibile è quello sostenuto da Pd e Pdl, partiti che oltretutto hanno pareggiato, nelle urne. Ma Bersani sa che l’Italia è stufa dei partiti, è vagamente entusiasta dello sfascismo di Beppe Grillo, ed ha temuto di essere squalificato dall’elettorato. E allora gioca d’anticipo, comportandosi da “grillino” ma senza perdere di vista la realtà, la quale ripete: il governo si può fare solo col Pdl. E allora ecco il piano machiavellico. Bersani va in Parlamento e si fa bocciare. Poi torna da Napolitano, con le pive nel sacco, ma il Presidente gli dice: «Il Paese ha bisogno di un governo. Accetta l’alleanza col Pdl, fallo per il bene dell’Italia». E Bersani, con l’aria di caricarsi una croce che ha fatto di tutto per evitare, fa il governo che sa da sempre di dover fare. Però potendo dire ai suoi elettori e agli italiani tutti: «Sono stato costretto. Mi siete tutti testimoni che ho cercato disperatamente di evitare l’abbraccio col Pdl, che ho cercato di coinvolgere i grillini nel governo, e sono gli stessi grillini che vi hanno tradito, buttandomi fra le braccia di Berlusconi. Ma potete chiedermi di danneggiare la Patria, pur di far dispetto al Cavaliere?»

Se questa fosse l’ipotesi, tutto rientrerebbe nell’ordine. Per quanti meandri possa descrivere un fiume, alla fine deve sboccare nel mare. Un geografo questo lo sa sin da principio, ma agli elettori può essere utile far credere che tutte quelle curve servivano per non arrivare lì dove la forza di gravità conduceva inesorabilmente.

Naturalmente non dimentichiamo che le profezie, come ha detto un umorista, sono difficili. Particolarmente quelle che riguardano il futuro.

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Marò, fuori i ministri. Davide Giacalone

Quella dei due marò è una storia vergognosa. Il governo Monti è già dimissionario, ma i ministri degli esteri e della difesa dovrebbero andare via subito. Oggi. Difficile averne di altrettanto inetti. Il disonore in cui hanno trascinato l’Italia non ha precedenti, sicché il presidente del Consiglio assuma l’interim dei due ministeri e quei ministri spariscano dai rispettivi dicasteri. Oggi. Subito. Non è detto che siano gli unici responsabili, anzi, lo escludo. Ma se rimane loro un briciolo di dignità, si assumano la responsabilità e se ne vadano.

Su queste pagine scrivemmo che peggio di così questa faccenda non era possibile gestirla. Ora constatiamo quanto sia fondato il detto: al peggio non c’è mai fine. L’Italia riesce a essere, in un solo colpo: colpevole, inaffidabile, corruttrice, ricattabile e calabrache. La nave con a bordo i marò non doveva attraccare; la diplomazia europea (o quel che ne esiste) doveva essere chiamata in causa subito; il diritto internazionale doveva essere invocato all’inizio; il ministro degli esteri non doveva andare in India per farsi schiaffeggiare; i due militari non dovevano essere ricevuti come eroi; poi non dovevano essere ufficialmente coperti nel loro restare in Italia; l’ambasciatore non doveva essere garante; successivamente non si sarebbe neanche dovuta porre la questione della sua libertà di movimento. Un impressionante cumulo di errori. Provocato dall’incapacità di affrontare, fin dall’inizio, il cuore del problema: gli affari di Finmeccanica. Di questo è responsabile il governo tutto e Mario Monti personalmente (supposto restauratore della nostra immagine internazionale!). Lo diciamo con la credibilità di chi ha scritto queste cose per tempo e prima. I due ministri sono l’apoteosi dell’incapacità. Se ne vadano, almeno dimostrando d’essere in grado di capire. Cosa di cui dubito.

E adesso? Non si scarichi sui due militari il peso degli errori. Ora ci vuole un governo diverso, un dialogo con gli indiani, la capacità di far pesare i loro torti, enormi, e quella di ricucire i rapporti, riportando a casa i due. Non perché eroi, non perché innocenti, ma perché l’onore dell’Italia non può essere calpestato platealmente. Anche per questo, i due ministri devono essere messi immediatamente alla porta. Oggi.

Pubblicato da Il Tempo

martedì 19 marzo 2013

Masochismo cipriota. Davide Giacalone

Il gigante con il cervello da gallina s’inabissa nel mediterraneo. La catena d’errori commessi è così solida e lunga che qualcuno potrebbe ritenerla frutto d’intelligenza, anziché d’ottusa arroganza. Il costo è enorme, e se in queste ore qualche cittadino europeo si reca in banca per portare via i propri soldi gli si potrà dare dell’irresponsabile (e a me del procuratore d’allarme), ma non dell’irrazionale. S’è cominciato a sbagliare nel 2010, senza più smettere.

Cipro è un’isola più piccola della Sicilia e della Sardegna. Ha un prodotto interno nell’ordine dell’1% di quello italiano. Un debito pubblico che pareggia il pil. Una storia (niente affatto conclusa) di divisione fra area greca e area turca. Nel 2004 sono entrati dell’Ue (era l’epoca, commissario Romano Prodi, in cui la si considerava un’iscrizione al club del golf). Nel 2007 nell’euro. Da dentro l’Uem sono rimasti un paradiso fiscale, mentre nelle loro banche si depositavano soldi russi, non necessariamente immacolati. Gli intelligentoni eurocrati hanno pensato che la cosa fosse sostenibile. Anche curiosamente esotica. Ma era la molla che caricava il disastro.

Giunti alla bancarotta, dopo mesi di governo sinistro inconcludente, sono andati a votare, mettendosi nelle mani di chi aveva la fiducia e l’appoggio della Germania. Vi ricorda nulla? La differenza sta nel fatto che gli italiani non l’hanno votato, ma preso quale commissario. Il reggente germanofilo ha chiesto l’aiuto europeo, per evitare che le banche saltassero, ed è qui che si dischiude il baratro, perché gli hanno imposto, in cambio, di procedere a un esproprio sui conti correnti bancari. Attenzione: la Grecia ha avuto 240 miliardi, il Portogallo 78, l’Irlanda 67, la Spagna 39, a tutti sono state poste condizioni gravose, relative al bilancio pubblico, ma a nessuno gli espropri. Per capire basta leggere le dichiarazioni di Wolfgang Schaeuble, ministro delle finanze tedesche, che ha fatto diretto riferimento alla concorrenza fiscale cipriota, destinata ad attirare capitali. L’esproprio, pertanto, sa di vendetta. Poco male, tanto pagano russi non galantuomini? Erroraccio, perché non solo pagano tutti, anche i cittadini che hanno in banca qualche migliaio di euro, ma giganteggia il messaggio: dentro l’area dell’euro è possibile che non solo una banca, ma direttamente uno Stato violi le regole del proprio mercato, togliendo denaro a chi ci aveva creduto. Fuggirne è razionale.

Da Eurocraziolandia si fa sapere che ciò accade solo per Cipro, non si ripeterà. E chi ci crede? Chi lo dice? Chi rappresenta? Se l’area è sotto il dominio tedesco, talché i paesi esposti perdono sovranità, allora tanto vale portare via i soldi, o metterli in Germania e nelle banche tedesche. Tanto è evidente che gli spread sono nuovamente schizzati. In questo modo, lo ripetiamo da due anni, l’euro salta. Provocando sfracelli.

Questa follia vendicativa è stata una decisione collegiale dell’Eurogruppo? La cronaca (sussurrata) della riunione è da capogiro: chi ha taciuto per paura, chi perché ricattato, Draghi s’è fatto rappresentare dal vice, tedesco. Germanolandia ha preso forma, ed è pessima. Un dettaglio: l’accoppiata Monti-Grilli non ha più neanche diritto di parola. Giusto per chi s’esalta alla ritrovata stima internazionale (che in India è ai massimi, grazie alla peggiore gestione possibile, il che richiederebbe l’allontanamento immediato almeno del ministro degli esteri).

Stiamo parlando di 10 miliardi di aiuti. Niente. L’inezia aiuta a usare il linguaggio tedesco, secondo cui quel che conta è il principio. Giusto, hanno ragione, solo che questo è il principio che porta alla fine. Dell’Ue, subito dopo l’euro. I ciprioti hanno colpe loro, come i greci, come anche gli italiani (debito pubblico troppo alto). Ma l’inquisizione non santa bensì economica, corroborata dalla lucidità teutonica, espia le colpe con la morte. Non nego sia dottrina priva di fascino, ma dal punto di vista economico è solo e soltanto una follia.

Cosa succede se, affondata Cipro, ci si rammenta che il fronte più lucroso era quello italiano? Ci mandiamo Grillo a contrattare lo scudo, sempre che sia disponibile? O chiediamo al presidente Boldrini di parlare con i libici, in modo che non respingano i barconi provenienti dall’Italia? Noi sostenevamo che sarebbe stato bene negoziare lo scudo anticipatamente, i tecnici non lo hanno fatto e ora siamo allo scoperto. Non basta che il Corriere della Sera riesca a cancellare Cipro dalla prima pagina, dimostrando il collasso mentale non solo della politica, ma di tutta la smandrappata classe dirigente italiana, perché è infantile chiudere gli occhi sperando di non essere visti.

I rimedi ci sono. Qui ripetuti e, assai più autorevolmente, nei discorsi di Mario Draghi. Visti e descritti per tempo: banche europee; vigilanza europea; federalizzazione debiti; cessione di sovranità in cambio di democrazia. Idee cui dare forza politica. Certo, poi guardi la politica e ti rendi conto che non parli al muro, parli a furbeschi rintronati.
Pubblicato da Libero

lunedì 18 marzo 2013

Manette intimidatorie. Davide Giacalone

Se a nessuno passa un brivido per la schiena è segno che la barbarie ha preso il sopravvento sul diritto. Se si guarda a Sergio De Gregorio solo come al parlamentare in vendita, a Nicola Cosentino come al campano accusato di camorra che neanche i suoi hanno più voluto in lista e ad Alberto Tedesco come al tangentaro che dimostra il coinvolgimento della sinistra nel malaffare politico-amministrativo, se per ciascuno si fa prevalere il giudizio sulla persona (sconosciuta, ma così descritta dai media) piuttosto che l’osservanza della legge, se la tifoseria contrapposta fa premio sullo studiare e ragionare, allora è segno che la nostra civiltà è scivolata in un baratro.

Toccherebbe alla destra sollevarsi per la libertà di Tedesco. Alla sinistra manifestare per quella di Cosentino. E a chi ha subito danni da De Gregorio, cioè tutti, affermare che proprio perché inguardabile sarebbe da felloni non difenderne i diritti. Le voce degli uomini liberi e ragionanti dovrebbe alzarsi non per conquistare a loro tre l’impunità, ma per affermare il valore del diritto, che comprende, ovviamente, la punibilità dei colpevoli. Vale per loro e vale per tutti.

Che razza di esigenze cautelari esistono in capo a persone da mesi, da anni, avvertite del probabile arresto? Se fossero voluti scappare già non sarebbero più qui. Se avessero potuto e voluto inquinare le prove, già lo avrebbero fatto. Se avessero voluto reiterare il reato (il che, comunque, è ragione valida per l’arresto solo nei casi di pericolosità sociale, modello pedofili o violenti, non certo per questo genere di reati) ora è proprio la volta che non possono più. E allora, perché li si arresta? Solo per dimostrare che c’è un potere, quello dei magistrati, che incontra ostacolo esclusivamente nelle guarentigie parlamentari, mentre se supera quelle, o quelle decadono, non ha più argini. In due casi su tre il Parlamento rifiutò la privazione della libertà. Sicché l’arresto di oggi ha senso solo in quanto schiaffo al Parlamento, ammonizione per il futuro e intimidazione per il presente. Quegli arresti sono la dimostrazione che è cresciuto un potere tendenzialmente golpistico, che già ha agito arrecando grave danno alla Costituzione. Per questo dico che una classe politica incapace di reagire a tale minaccia, che è minaccia avverso le istituzioni, è già finita, e già immeritevole di quale che sia rispetto.

Mi si risponderà che è una difesa dei corrotti e dei criminali, fatta solo perché sono persone importanti, amici dei padroni cui si suppone noi si risponda. E’ tipico dei servi non riuscire ad immaginare che esistano uomini senza padrone. Li compatisco. Ma è vero l’esatto contrario: se il potere di sequestrare la libertà altrui, in barba a quel che stabiliscono le leggi e solo grazie alla copertura dei colleghi, a loro volta dipendenti dall’influenza dei magistrati più noti, quindi più capaci d’intervenire sulle correnti del Consiglio superiore della magistratura, quindi più capaci di determinare la carriera di quelli che oggi s’inginocchiano a essere loro complici, se quel potere dilaga a farne le spese non saranno Cosentino, De Gregorio e Tedesco, ma tanti poveri disgraziati. Se si può sostenere che Angelo Rizzoli debba andare in carcere nonostante sia malato di Sla, e ci debba andare non a scontare una pena, ma ad assistere alle indagini, poi ci andrà il commerciante che si suppone abbia truffato, il professionista che si sospetta abbia falsificato i conti, il padre che si suppone abbia violentato qualcuno. Già ci vanno. E già oggi vengono in gran parte assolti, perché le accuse erano farlocche. E’ a difesa di tutti che si deve vigilare acché il diritto non sia violato per nessuno.

Il nostro è un Paese incivile, nel quale si finisce in galera da innocenti e si esce da condannati. In cui un sistema dell’informazione colmo di buzzurri emette condanna definitiva il giorno dell’accusa e si dimentica di pubblicare la notizia dell’assoluzione. In cui si crede che la prescrizione intacchi comunque l’onorabilità delle persone. In cui un esercito d’energumeni pretende d’affermare la prevalenza della sostanza sulla forma, laddove il diritto senza forma ha una sola sostanza: il dispotismo, la dittatura.

Ho atteso tutta la giornata di ieri, sperando che oltre all’impotenza delle schede bianche la politica partorisse un sussulto di dignità e consapevolezza. Niente. Hanno paura, temono che dire mezza parola li esponga al rischio di fare la stessa fine o, comunque, temono che sollevando un problema sugli ex colleghi arrestati la loro immagine (ma quale? sono incogniti anche alle loro famiglie!) sia associata a quelli che già sono considerati colpevoli. Tale paura è la loro colpa. E dire che la storia avrebbe dovuto insegnare. Ma certo, per imparare, si deve anche studiare, pensare, soffrire. Non è roba per troppi di loro.
Pubblicato da Il Tempo

venerdì 15 marzo 2013

Ma quale conflitto di interessi... Carlo Cafirru


Cari direttori e frequentatori di questo autorevolissimo giornale, consentitemi di rivolgervi le tre domande che seguono, per tentare di mettere almeno tre punti fermi, nel caos assordante della politica italiana.

1° E’ legittimo che in una democrazia un grosso imprenditore come Berlusconi si candidi a fare politica in mezzo a 5-6 milioni di dipendenti pubblici e privati prestati di diritto o di fatto alla politica diretta o indiretta, palese o occulta? Oppure è legittimo solo ai giudici?

2° E se manca la legge sul conflitto di interessi, l’imprenditore che fa politica, si avvantaggia di maggiori profitti, o corda per impiccarsi?

3° E se l’assenza della legge, (che tutti dicono scandalosamente vantaggiosa per Berlusconi) ha legittimato le istituzioni italiane a giocare con lui come il gatto col topo; in presenza di una civilissima e democraticissima legge, quale potere aggiuntivo avrebbe avuto la magistratura su quel “propenso a delinquere”: quello di castrarlo o scorticarlo vivo?

Io non sono un addetto ai lavori e non potrei giurarci, ma temo che in questo Paese la politica (e non solo) sia sconfinata abbondantemente in pazzia.

In Italia è a dir poco illuso l’imprenditore che si candida a fare politica personalmente come Berlusconi, visto che rimanendo nel mercato, i politici se li poteva portare al guinzaglio come cani da passeggio: semplicemente scopiazzando il vecchio Agnelli o il nuovo Marchionne.

E lo è doppiamente la classe politica e giudiziaria italiana convinta di proteggere i lavoratori e lo Stato “lisciando” il pelo agli imprenditori fino a scorticarli vivi.

Se gli italiani non fossero una razza quanto meno disattenta e smemorata, saprebbero che gli imprenditori non hanno bisogno di avviare legalmente una impresa per vivere. Vivono perché hanno la capacità di produrre ricchezza per sé a prescindere, non per gentile concessione dello Stato che li classifica imprenditori e li autorizza a creare imprese e assumere lavoratori, per poi sfruttarli e istigarli al suicidio.

Le imprese sono indispensabili alle banche per fare profitti, allo Stato per incassare tributi, ai professionisti parcelle astronomiche e ai dipendenti pubblici e privati per incassare stipendi. Gli unici che dell’impresa potrebbero fare tranquillamente a meno e che ci rimettono alla grande sono proprio gli imprenditori. (Uno onesto a prova di bomba atomica, partito nel 1980 con un miliardo fra proprietà e contanti, nel 1990 il fisco e le banche gli avevano lasciato un bel cartone gigante come tetto sulla testa.)

Perciò temo (a giudicare dai vantaggi reali che l’imprenditoria comporta) che quella degli imprenditori possa essere ormai classificata malattia ossessivo compulsava come il gioco d’azzardo, visto che si scannano ad ingrassare usurai, sindacalisti, lavoratori, professionisti, politici e giudici che hanno il potere di farseli alla griglia insieme alle loro famiglie, sia in presenza che in assenza di una legge dello Stato.

Con i soldi che aveva Berlusconi 20 anni fa, avrebbe potuto chiudere le imprese e vivere da miliardario per il resto della vita. Ma alla malattia incurabile di imprenditore, gli si è aggiunta quella di politico con la fissazione della riforma della giustizia, per la gioia dei suoi persecutori, che lavorano alacremente ad accopparlo, per salvare lo Stato italiano dalla “incessante pioggia acida di tasse miliardarie che il propenso a delinquere Berlusconi versa da mezzo secolo”.

Venti anni fa, l’emergenza nazionale, era che il potenziale tiranno Berlusconi potesse mangiarsi l’Italia mancando la legge sul conflitto di interessi. Ora siamo all’emergenza opposta: senza quella legge l’Italia si sta mangiando Berlusconi e la povera illusione di democrazia di destra che lui si era scannato a garantire. Ma delle due quale è l’emergenza vera?

Una marea di imbecilli urla ancora come ossessa, “Berlusconi fatti processare”. Ed è l’unica cosa che gli hanno consentito di fare in venti anni a sue spese. In Italia grazie a Berlusconi abbiamo una democrazia finta. Senza Berlusconi e la sua armata brancaleone di destra in liquefazione costante, avremo una bellissima dittatura. O peggio? (the FrontPage)

giovedì 14 marzo 2013

La sorte del Cav e lo squilibrio dei poteri. Arturo Diaconale


A piazza Montecitorio, di fronte a all'ingresso del Parlamento , è stata delimitata con apposite transenne un'area dedicata alle manifestazioni di protesta. E nelle ultime legislature non è passato un giorno senza che quest'area non fosse occupata da manifestanti che il più delle volte contestavano i rappresentanti del potere politico presenti nella Camera dei Deputati . Molto spesso , inoltre, rappresentanze dei manifestanti hanno chiesto ed ottenuto di entrare a Montecitorio per portare la propria protesta nel luogo fisico dove si celebra il rito della formazione delle leggi. E non non sono mancate le volte in cui la richiesta non è stata neppure avanzata e si è tentato di forzare l'ingresso con la violenza per rendere la protesta più clamorosa possibile. Di fronte ad un fenomeno del genere nessuno si stupisce o si lamenta per i tentativi di “ condizionamento improprio della funzione “ legislativa . Al contrario, è opinione generale che la protesta contro il Parlamento, il potere legislativo, la classe politica non solo sia legittima ma addirittura sacrosanta.

“Questa è la democrazia, bellezza. E tu non puoi farci niente !”. Nello stato di diritto fondato sulla tripartizione dei poteri il diritto dei cittadini alla critica dovrebbe avere la possibilità di esprimersi liberamente nei confronti non solo dei poteri esecutivo e legislativo, come avviene regolarmente e sacrosantamente, ma anche nei confronti del potere giudiziario. Nel nostro paese, invece, le sentenze non si possono discutere e ai magistrati non si può muovere alcun genere di appunto perché ogni forma di dissenso nei confronti del rappresentanti del potere giudiziario diventa una sfida inaccettabile, un attentato alla indipendenza ed alla autonomia , una prevaricazione illegittima ed indebita alla funzione giudiziaria. Per il potere giudiziario, quindi, non vale la regola del “ questa è la democrazia”. Vale , al contrario, la regola della deroga alla democrazia. Cioè il principio che , a differenza per quanto accade per i poteri esecutivo e legislativo, nei confronti del potere giudiziario non si applica il diritto costituzionale della libertà d'opinione. Di conseguenza, l'eguaglianza dei poteri che è alla base dello stato di diritto fondato sulla tripartizione salta.

Ed il potere giudiziario diventa automaticamente il primo di una scala gerarchica che altera la natura stessa della democrazia italiana. Come ben sa lo stesso Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per aver toccato con mano come anche il Capo dello Stato debba subire le conseguenze di questa nuova gerarchia entrata a far parte in maniera prepotente ed incontrollata della Costituzione materiale del nostro paese. Il problema, allora, dopo la manifestazione del Pdl di fronte al Tribunale di Milano e dopo gli interventi del Presidente della Repubblica, non è quello di assicurare il legittimo impedimento a Silvio Berlusconi per tutta la durata della crisi di governo e dell'ingorgo parlamentare per l'elezione quasi contemporanea dei Presidenti di Camera e Senato e del nuovo Capo dello Stati. Il problema è lo squilibrio dei poteri che , in questa particolarissima e drammatica fase della vita pubblica del paese, rischia non solo di liquidare personalmente il leader della seconda forza politica italiana ma di espellere dal circuito democratico i dieci milioni di elettori raccolti alle recenti elezioni dal centro destra. I dirigenti del Pd che puntano proprio a questo obbiettivo nella speranza di liberarsi una volta per tutte dal concorrente naturale e quei magistrati che applicando ottusamente la legge sperano di intestarsi il merito dell'abbattimento del caimano dovrebbero capire che stanno segando il ramo su cui sono seduti. Perché se un terzo degli elettori italiani viene messo fuori gioco a causa dello squilibrio dei poteri e dell'interesse di una precisa parte politica, a saltare non è Berlusconi ma ciò che ancora rimane del sistema democratico. (l'Opinione)

E se si istituisse l’Albo d’oro degli antiberlusconiani teologici? Dino Cofrancesco


A beneficio, soprattutto, delle future generazioni, non sarebbe una cattiva idea quella di istituire un albo d’oro dell’antiberlusconismo teologico. I nomi dei firmatari potrebbero, in seguito, essere scolpiti a caratteri di bronzo sui monumenti dedicati alle vittime dell’antifascismo e ai caduti della Resistenza e qualche targhetta-ricordo potrebbe essere fatta pervenire a Treblinka e agli altri Lager in cui si è consumata la più immane tragedia della storia occidentale.
 
E’ vero che gli antiberlusconiani teologici non hanno rischiato la vita, è vero che vivono in splendidi appartamenti, è vero che collaborano ai maggiori (e paganti) quotidiani, è vero che spesso sono parlamentari o ex parlamentari con pensioni d’oro come l’albo proposto, ma queste sono considerazioni dettate dal materialismo più volgare e qualunquistico. A farle, si ignora la macerazione interiore, i ribollenti sdegni, il dolore insanabile degli indignados, «irati ai patrii numi» e non rassegnati al consenso di massa che continua a riversarsi sul Cavaliere – ‘l’autobiografia della nazione’, come diceva il povero Gobetti! Non ci sono solo i danni fisici (le camere a gas), ci sono anche quelli morali e, in una civiltà post-materialistica come la nostra, questi ultimi dovrebbero venir presi in considerazione come, se non più dei primi.
 
C’è solo un piccolo problema, non del tutto irrilevante: l’antiberlusconismo teologico non solo non paga ma è controproducente. Lo ha sperimentato, a sue spese, Mario Monti che, nella sua disastrosa campagna elettorale, invece di rivolgersi agli elettori ‘moderati’ (però che brutto termine!) ha strizzato l’occhio alle sinistre, nel tentativo (patetico) di accreditarsi come un avversario irriducibile del Cavaliere e non da meno rispetto a Bersani. Lo ha sperimentato, altresì, l’improvvido Oscar Giannino che, per avvicinarsi troppo al sole dell’antiberlusconismo teologico, ha fatto la fine di Icaro – per fortuna non ha perso la vita ma si ritrova nei guai più seri con i suoi debiti di gioco (elettorale). Non parliamo poi dei casi Fini e Casini giacché si tratta di affidabili concorrenti al Gran Premio Masoch e, nel caso dell’ex Presidente della Camera, altresì, di un aspirante al Guinness dei Primati (mai, nella storia d’Italia, una tale mediocrità politica* era riuscita a diventare la terza carica dello Stato!).
 
Premetto che non sono un elettore di Silvio Berlusconi: non mi hanno mai convinto i suoi alleati (ahimè, sono allergico alla Lega!) ma, soprattutto, non mi ha mai convinto il suo stile doroteo (un doroteismo pragmatico e “ateo” non riscattato da quei disegni sui tempi lunghi che pure ispiravano il gesuitismo curialesco democristiano). Ritengo, tuttavia, con Luca Ricolfi – non un ‘intellettuale militante’ ma un fine studioso di sinistra – che, nel programma del Cavaliere ci fossero ‘elementi di liberalismo’ che andavano presi in seria considerazione e che della loro rimozione – dettata dalla necessità di tenere uniti gli alleati del PDL – dovesse venir chiamato a rispondere il governo di centro-destra. Paradossalmente, se si eccettuano i riformisti del PD, quasi nessuno è sceso su questo terreno: il livore antiberlusconiano (profuso persino da Giannino) è stato alimentato dalla privacy dissoluta dell’ex premier, dal discredito all’estero, dalle inchieste della magistratura, persino dalla cifra iperbolica alla quale è stato condannato per il mantenimento di Veronica Lario (per un’articolista di ‘Repubblica’, vittima del Cavaliere perché da lui abituata a una vita di lusso – a volte la stupidità dei giornalisti è più profonda della Fossa delle Marianne!).
 
Se l’Albo d’oro viene istituito, uno dei primi posti tocca a Federico Orlando, già vicedirettore del ‘Giornale’ della ‘famiglia’, quando a dirigerlo era Indro Montanelli. Il giornalista, già curatore del volume La cultura della resa (Edizioni dello Scorpione, 1976) in cui si sparava a zero, più che sugli intellettuali comunisti, sui loro ingenui (?) fiancheggiatori, si è ritrovato a braccetto con gli avversari ideologici dell’altro ieri. Nulla quaestio e, per carità, nessuna accusa di voltagabannismo (questi moralismi alla Nino Tripodi mi hanno sempre dato sui nervi). Libero Orlando di preferire (ora) Stefano Fassina a Francesco Forte e Rosy Bindi a Ida Magli: un liberale non scruta le coscienze – compito che lascia al confessore – ma esamina fatti e comportamenti. Ma sono proprio questi ultimi a consacrarlo come princeps degli antiberlusconiani teologici. Negli articoli fielosi (per il Cavaliere ma mielosi per Bersani), che viene scrivendo per ‘Europa’, si può leggere, malinconicamente, la cancellazione di ogni residuo liberale dalla «Mente di Federico Orlando». Esemplare l’ultimo, Ma il futuro presidente può sciogliere il Senato, in cui la (assai) discutibile, ma pacifica, dimostrazione dei deputati del PDL sul Palazzo di Giustizia di Milano, viene bollata come «una richiesta al Quirinale di imbavagliare i giudici», in pieno accordo con la linea (‘liberale di sinistra?’) di quegli amici della ‘società aperta’ che sono Antonio Di Pietro e Antonio Ingroia, ‘partigiani della Costituzione’. Per Orlando, a parte qualche eccesso di zelo – ma forse non è disposto neppure a riconoscere questo irrilevante ‘neo’ – nella magistratura italiana, «madama la marchesa va tutto ben va tout très bien» e non è certo colpa dei PM se conflitto d’interessi e violazione del segreto di ufficio siano reati commessi soltanto da Berlusconi.
 
Comunque nell’articolo in questione, c’è qualcosa che non riesco a capire. Giustamente Orlando stigmatizza il porcellum (non ho votato Berlusconi soprattutto per questo bel regalo fatto alla Lega!) anche se non ricorda che le critiche mosse da sinistra alla legge elettorale non sono mai state troppo convinte e non hanno mai attivato lo sdegno e l’«ira funesta» che ancora oggi gli storici progressisti – i nuovi amici di Orlando – riservano alla ‘legge truffa’ del 1953, una misura saggia e opportuna proposta dal più grande statista italiano del Novecento, Alcide De Gasperi. Un PD uscito malconcio dalla prova elettorale – allearsi con l’estremismo vendoliano non è stato diverso dall’allearsi con Di Pietro – ha ottenuto un numero di seggi alla Camera che nessun’altra legge maggioritaria proposta in passato avrebbe potuto assegnargli. Che Bersani intenda avvalersene è naturale (Berlusconi avrebbe fatto diversamente?) sennonché c’è un altro problema, e non dappoco. Se la Camera, infatti, non rispecchia la volontà dell’elettore, il modo di reclutamento del Senato è egualmente infedele ma, in questo caso, non consente al PD, con la sua esigua maggioranza di voti, di fare l’asso pigliatutto. E allora qual è la proposta geniale di Federico Orlando, edotto dall’imparziale costituzionalista Alessandro Pace? Vediamolo con le sue parole: «Il segretario del PD è il capo della maggioranza assoluta alla camera, che gli concede fiducia, e di quella relativa al senato, che forse gliela nega. Dopo di che, nell’eventuale situazione di stallo, il nuovo presidente della repubblica, nella pienezza delle sue funzioni, può sciogliere una sola camera, appunto il senato». Se le parole hanno un senso, chi, grazie a una porcata elettorale, ha ottenuto una quantità di deputati che nessuna etica pubblica potrebbe giustificare, ha diritto ad avere quanto non gli spetta (sotto il profilo morale, s’intende, non sotto quello giuridico) non solo al tavolo della Camera ma anche all’altro tavolo da gioco, quello del Senato, dove la stravittoria (truffaldina) non c’è stata.
 
Insomma la metà del Parlamento più delegittimata sotto il profilo etico-politico (in quanto eletta con l’infame porcellum) rimane al suo posto, mentre l’altra, in cui la slot machine elettorale truccata ha funzionato male, deve sottoporsi nuovamente alla prova delle urne! Come si vede, l’antiberlusconismo teologico non solo allontana dai verdi pascoli del liberalismo ma fa uscire di senno sicché anche per esso è il caso di dire: «tantum potuit religio!».

In realtà, se non si riesce a formare un nuovo governo, se il collante giustizialista e illiberale, che accomuna oggettivamente Bersani a Grillo, non fa il miracolo, è giocoforza tornare al voto per entrambe le Camere, a meno che nel frattempo non sia spuntato dal cilindro del Quirinale un altro coniglio di governo tecnico. La situazione sarebbe già di per sé molto difficile ma se si votasse solo per il Senato – ma con quale legge elettorale? – ci ritroveremmo in piena guerra civile: una metà degli Italiani, infatti, vedrebbe nella chiamata alle urne un tentativo di metterla definitivamente fuori gioco e potrebbe persino accadere che, per il disgusto di una manovra così di parte, molti elettori del centro-sinistra e del Movimento5Stelle potrebbero riversarsi sul centro-destra. In tal caso, si avrebbe un ramo del legislativo di centro-sinistra e un altro di centro-destra, l’un contro l’altro armati, e l’unica carta a disposizione di Orlando e dei suoi amici giustizialisti resterebbe quella di chiedere l’arresto dei neo-eletti per una qualche violazione della Costituzione antifascista (Robespierre non lo fece, forse, con i deputati della Gironda, per difendere lo spirito della Rivoluzione e la sovranità del popolo?).
 
Se si votasse, al contrario, per le due Camere (sempre con una legge diversa) le cose potrebbero mettersi anche peggio, giacché non sarebbe improbabile una spaccatura della sinistra e una vittoria (oggi sfiorata) del centro-destra, specialmente dinanzi ai furori giustizialistici ed ecologici di Beppe Grillo.

Il momento più patetico dell’articolo di Orlando è costituito, però, dal suo attacco finale ai grillini (‘sciacquette’,’marziani’ etc.) e dal minaccioso avvertimento finale «che l’albero della Costituzione è stato protetto con anticrittogamici molto efficaci, da piantatori che previdero le infestazioni» di grilli e cavallette «e le prevennero». Nel momento in cui Bersani si è messo in un cul de sac da cui potrebbero farlo uscire solo i cinquestellati, l’ex collaboratore di Montanelli fa la voce grossa col rischio di scombinare i giochi e senza avere nessuna proposta alternativa in tasca. Al segretario del PD non mancavano i guai: ci voleva pure la rana di Fedro!
 
* «Mediocrità politica» solo politica, s’intende, non vorrei dover rispondere a un magistrato per il reato di diffamazione.(il Legno storto)

martedì 12 marzo 2013

Marò, peggio non si poteva. Davide Giacalone

Peggio non poteva essere gestita e peggio non poteva andare. La vicenda dei due marò segna una grave rottura nei rapporti fra l’Italia e l’India, a tutto danno nostro. Non credo le autorità indiane si dispiacciano per la scelta tardivamente e malamente fatta dal nostro governo. Anzi, penso che ce li abbiano mandati due volte in “licenza” (ma quando mai s’è visto che i detenuti all’estero vadano in licenza di settimane per Natale e per votare?!) nella poi non tanto segreta speranza che ce li tenessimo. Così risolviamo il loro problema e affondiamo sia i nostri interessi che la nostra rispettabilità internazionale.

L’incidente, che portò alla morte di due pescatori indiani, risale al 15 febbraio 2012. Esclusa la volontà omicida, che non ha senso, e pur volendo considerare responsabili i due militari, la cosa andava affrontata in sede diplomatica. E’ capitato anche a noi italiani, che non abbiamo processato, ma restituito a paesi amici loro militari che avevano provocato morti civili (Cermis, per chi avesse la memoria corta). Il governo italiano mandò il ministro degli esteri e il suo arrivo nella capitale indiana non poteva che significare l’accordo perché fossero le nostre autorità a processare i due militari. Avvenne il contrario, e fu uno schiaffo. Così forte e sonoro che era evidente quanto ci fosse dell’altro, dietro la contestazione delle responsabilità specifiche. Cominciammo ad avvertirlo il 9 marzo del 2012, per poi dire, con chiarezza, che la partita vera non poteva che essere altra: gli affari di Finmeccanica. Da lì in poi cominciai a definire “ostaggi” i due marò.

Il compito del governo, per preservare sia i nostri interessi, che la nostra dignità, che la sorte dei due detenuti, era quello di affrontare direttamente la sorgente del problema. Se nulla vi era, da parte nostra, da contestare a Finmeccanica, allora si doveva far sapere al governo indiano che consideravamo una grave offesa quel genere di condotta. Se, invece, il governo aveva motivo (forse è meglio usare il plurale: motivi) di ritenere ci fossero delle irregolarità, nel comportamento di Finmeccanica, allora doveva decapitarla e con quella testa presentarsi agli indiani. In ogni caso, andava fatto subito, senza imbarcarsi nel grottesco delle perizie balistiche.

Non fu fatto nulla. Finmeccanica è stata poi decapitata, ma dalla magistratura. Il ricambio, ammesso che sia tale, non solo non ha avuto alcun significato nei nostri rapporti con l’India, ma neanche ci ha tolto i problemi della compromissione con la politica (si veda la vicenda del direttore generale che cerca finanziamenti per l’ex moglie del ministro dell’economia). Una gestione disastrosa.

Quando, a Natale, i due militari sbarcarono in Italia, con la singolare licenza festiva, furono ricevuti manco fossero eroi di guerra. Scrivemmo che era stata una scelta dissennata, perché delle due l’una: o meritano onori, e allora si affronta lo scontro e non si fa finta di credere che sarà un tribunale a risolvere la questione; oppure si rifugge l’idea della gestione politica, e allora si mette il silenziatore. Prima prelevati, poi furono riaccompagnati con un volo militare, anche questo errore clamoroso. Dopo il loro rientro sono gli indiani a incartarsi, perché tutto il mondo è paese e il governo non può permettersi di dettare ai giudici la soluzione del problema. Così si crea una corte speciale, incaricata di giudicare gli italiani. Nel frattempo scoppia il caso degli elicotteri Agusta, società di Finmeccanica, con un disgustoso pasticcio in cui non si sa più se gli extracosti (alias tangenti) erano diretti agli indiani o erano elargiti con l’elastico, quindi tornando nelle mani dei pagatori. L’una cosa non esclude l’altra, ed è anche l’ipotesi più verosimile.

Così gli indiani ci prendono a calci, essendo noi talmente inaffidabili da fare affari, non difenderli governativamente (Finmeccanica è controllata dal governo), e disvelarli giudiziariamente. Se qualche cosa si salverà lo dovremo all’intervento inglese, che porta via anche i quattrini. E, ciliegina sulla torta, i due tornano in Italia. Per votare. Della serie: teneteveli e non fatevi più vedere.

Dicono alla Farnesina: solleviamo la questione in sede Onu. Qui, da sollevare, c’è solo chi ha gestito l’intera faccenda. Peggio non si poteva fare.
Pubblicato da Il Tempo

giovedì 7 marzo 2013

Persecuzione giudiziaria

Caro Mauro,

la sentenza del Tribunale di Milano sulla vicenda Unipol comprova quanto sostengo da sempre: sono stato oggetto di migliaia di articoli di giornali e di trasmissioni televisive che hanno propagato ogni e qualsivoglia notizia di indagine sia coperta da segreto sia con divieto di pubblicazione.
Ho presentato decine di denuncie in merito e mai e poi mai si è arrivati ad un processo. In un caso hanno addirittura smarrito il fascicolo con la mia denuncia.

E per la pubblicazione su un giornale non controllato in alcun modo da me, senza neppure portare a processo il direttore responsabile dell'epoca, mi si condanna perché avrei prima della pubblicazione ascoltato la intercettazione in oggetto. Mai l'ho ascoltata ma anche se l'avessi ascoltata, e non è vero, tutti hanno escluso che vi sia mai stata una mia compartecipazione a tale pubblicazione.

E' davvero impossibile tollerare una simile persecuzione giudiziaria che dura da vent`anni e che si ravviva ogni qual volta vi sono momenti particolarmente complessi nella vita politica del Paese.

Soltanto una vera e completa riforma della giustizia potrà consentire che ai cittadini italiani non accada ciò che continuamente accade a me da 20 anni e che continuerà ad accadere, poichè sono ben conscio che anche nei prossimi appuntamenti giudiziari non vi sarà spazio per le doverose assoluzioni che dovrebbero essere pronunciate nei miei confronti e che solo in Corte di Cassazione sarà possibile, come accaduto puntualmente ieri, ottenere giustizia.

Silvio Berlusconi

martedì 5 marzo 2013

67, libertà e trasformismo. Davide Giacalone

Non esiste Parlamento senza la libertà del singolo parlamentare. L’assenza di vincolo di mandato, scolpita nell’articolo 67 della Costituzione, è architrave della democrazia. La liberà dell’eletto è la libertà dell’elettore. Gli unici sistemi ove questi principi, che risalgono al diciottesimo secolo, vengono messi in dubbio sono le dittature. Solo dove il bene del popolo s’identifica con il partito o con il capo (führer, in tedesco) si stabilisce che l’eletto serve gli interessi generale eseguendo gli ordini. Il Beppe Grillo che dice ai parlamentari eletti nelle sue liste: voi non siete liberi di fare quel che volete, appartiene a quella matrice culturale.

L’assenza di vincolo consente il trasformismo, che è una delle possibili malattie del parlamentarismo. L’Italia liberale la contrasse e lo spettacolo non fu commendevole. Il rimedio, però, trasformò l’“Aula sorda e grigia in un bivacco per i miei manipoli”. Fu un fenomeno che affascinò il mondo. Vennero a studiarci. Era moderno, giovanile, rivoluzionario e ribaltava un mondo politico corrotto ed esaurito. Ce ne pentimmo a lungo e la pagammo come di più non si poteva. Anche l’Italia delle ultime legislature era malata di trasformismo, con una significativa particolarità: i voltagabbana venivano sovente dalle liste dei moralizzatori. Giacché nulla è più immorale del moralismo senza etica. Lo spettacolo, comunque, disgustoso.

Diciamo che il trasformismo è un po’ come i batteri che abbiamo nel corpo: in una certa quantità sono vitali, sopra possono essere mortali. Negli Stati Uniti hanno approvato il bilancio federale grazie al fatto che un gruppo di parlamentari repubblicani hanno votato in maniera difforme dalle indicazioni del loro partito. E’ un fatto riprovevole? Non direi proprio. L’equilibrio risiede nel sistema istituzionale ed elettorale: come fa l’elettore che li votò a punirli, o a premiarli? Negli Usa è facile: in quattro anni scade il mandato e quei signori devono tornare, con la loro faccia, a chiedere il voto, o dopo avere vinto le primarie di partito, o come indipendenti. In tutti i casi il sovrano è l’elettore. L’assurdo di casa nostra non è nell’assenza delle preferenze (ci arrivo subito), ma nel premio di maggioranza: se, giustamente, non esiste il vincolo di mandato, come è possibile che ci siano dei parlamentari eletti in quota premio per chi ha vinto? Se cambiano idea non tradiscono il modo stesso in cui sono giunti in Parlamento?

Il vincolo non esiste in nessuna democrazia di questo pianeta. Le preferenze sono usate solo nei sistemi proporzionali, che sono anche i più esposti al trasformismo. Segno che non ne sono antidoto. In Francia conta molto il posto dove si viene candidati, e a scegliere è il partito. Poi il doppio turno aiuta a cancellare le estreme, a meno che non siano molto forti. Un comico annunciò di volersi candidare all’Eliseo, si era nel 1980 e il suo nome era Coluche. I sondaggi erano favorevoli, ma il resto del sistema politico lo isolò. Valéry Giscard d’Estain prese solo il 28,3% dei voti (meno di Bersani, meno di Berlusconi), ma il secondo turno ne fece un solido presidente. In Inghilterra non solo non ci sono le preferenze, ma è il partito ad assegnare le candidature, talché prende il parlamentare indisciplinato e o non lo ricandida o lo mette in un collegio di sicura sconfitta. C’è offesa alla democrazia? Assolutamente no. Il fatto è che le democrazie funzionano con i partiti e noi, in Italia, abbiamo distrutto i partiti.

Il trasformismo è vizio dei singoli, aggregandoli in gruppi transumanti, non attecchisce nei partiti, che sono corpi collettivi. E’ doveroso impegnarsi nella difesa strenua dell’articolo 67, ma non per questo difendendo una stagione politica che non lo merita. Che è finita. Dobbiamo rimettere ordine nel nostro sistema istituzionale e riscrivere da zero la legge elettorale, ma dobbiamo farlo per aumentare, non per cancellare la libertà. Anche quella del parlamentare. Le retoriche giovanilistiche e rivoluzionarie le lasciamo a chi è ignorante. O in pericolosa malafede.
Pubblicato da Il Tempo

domenica 3 marzo 2013

Sempre lo stesso errore. Barbara Di Salvo

              
  

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Ci risiamo. Anziché capire perché in tanti hanno votato Grillo, insultano gli elettori. Esattamente come hanno fatto per 20 anni con gli elettori di Berlusconi. Possibile che non capiscano che non serve a niente? Anzi, è pure peggio. Non fanno altro che compattarli, dando loro quel senso di appartenenza, di gruppo indifeso che lotta contro tutto e tutti. Quello che Grillo preferisce definire movimento non è altro che un partito politico a tutti gli effetti e come tale va affrontato. Anche in Cina ormai per legge lo smog deve essere chiamato “questione di particolato fine”, ma sempre smog resta. Inutile girare intorno alle parole, meglio badare alla sostanza.

E allora, come tutti i partiti politici, si tratta di un aggregato di persone che raccoglie consenso per ottenere il potere di governare, al fine cioè di imporre a tutto il Paese le proprie soluzioni, ricette, proposte, idee. Ebbene, è proprio sulle idee che, come tutti gli avversari politici, devono essere avversati, analizzandole, facendone emergere le contraddizioni, la non fattibilità, i costi, le conseguenze. È che bisogna usare la logica, riuscire a saper contrapporre idee diverse, ma soprattutto bisogna avere sia logica che idee. Forse è per questo che i più preferiscono usare gli insulti, non capendo che così stanno solo facendo il loro gioco, perché si mettono al loro livello e si fanno fregare con l’esperienza.

Questo voto è stato una sorpresa solo per chi, chiuso nella propria autoreferenzialità, non ha voluto capire il problema. Il copyright de La Casta è di Stella e Rizzo, nel 2007 è scoppiato un bubbone, ma nessuno si è preoccupato seriamente di affrontare il contagio. E questo è il risultato.

Per anni è montata la rabbia, gli italiani si sono sentiti inascoltati e non c’è niente che faccia imbestialire di più dell’indifferenza. Non liquidatelo come un semplice voto di protesta, ma valutatelo per quello che è: un urlo nel silenzio. Al di là dello zoccolo duro dei frequentatori del suo sito internet, fossero anche centinaia di migliaia, è statisticamente probabile che i milioni di persone che in modo trasversale hanno votato M5S non abbiamo la più pallida idea di quale sia realmente il programma di Grillo, ma è certo che vogliano essere ascoltati.

E allora, c’è una sola cosa che gli altri partiti, chiusi finora nei loro eremi, possano fare per sopravvivere: dimostrare di aver capito.

Solo se sono in grado di fare una seria autocritica, uscire dai palazzi, ammettere gli errori, mettere mano alla macchina statale per alleggerirla, ma soprattutto riformare la Costituzione per rendere governabile ed efficiente questo Paese ingessato, possono dimostrare di aver saputo ascoltare l’urlo degli italiani.

Tagliateli questi benedetti stipendi dei politici, fateli contenti e facciamola finita. Quando finalmente gli italiani capiranno che anche il tanto invocato dimezzamento di diarie e parlamentari avrà un’incidenza ridicola sul bilancio pubblico, almeno la finiremo con questa storia e potremo cominciare ad affrontare davvero la spesa pubblica, quella fatta di carrozzoni pubblici che soffocano l’economia.

Ed è solo a quel punto che il fenomeno Grillo si sgonfierà e potrà essere affrontato per quello che è. Una volta spuntata l’arma facile dell’antipolitica, si potrà tornare a fare politica, quella vera, fatta di idee, di fattibilità, di governabilità, di efficienza, di soluzioni, non di chiacchiere. Ed è lì che cascheranno, quando gli elettori cominceranno a rendersi conto che nazionalizzare banche, acqua e telecomunicazioni, aumentare la spesa pubblica per scuola e sanità, elargire redditi di cittadinanza a chi non lavora, tralasciando le altre amenità che si risolvono per lo più in un NO-tutto, non è la soluzione, ma il problema.

Perché un movimento di opinione che si è candidato a spazzare via i politici e vuole statalizzare tutto, non può fare altro che sostituire a capo di disastrosi carrozzoni pubblici, inefficienti municipalizzate, enti inutili, i vecchi politici con i propri politici, sempre calati dall’alto anche se si passa per un curriculum online. Non si tratta, quindi, di ridurre il peso dello Stato, ma di aumentarlo. Non si tratta di ridurre la spesa pubblica, ma di aumentarla. Non si tratta di liberalizzare, ma di irregimentare ancora di più l’economia, con decisioni che partono dal Governo e non dalla libera iniziativa degli imprenditori. Si tratta solo, quindi, di scalzare gli uomini al potere per sostituirsi a loro.

Potete anche chiamarlo particolato fine, ma sempre smog resta. (il Legno storto)

Non s'ha da fare. Davide Giacalone

Il centro destra si risparmi la manifestazione programmata per il prossimo 23 marzo, che si vorrebbe intitolare alla giustizia e che sarà vissuta come contro la giustizia. E visto che hanno capito l’idiozia dell’iniziativa, non si limitino a camuffarne il tema. La cancellino. Potrà farsi più in là, prima si cerchi di dare un governo all’Italia, il che mal si concilia con il clima della piazza.

Immaginarla sulla giustizia è un errore, e su quel terreno già bastano e avanzano gli errori della sinistra. Che ancora crede di potere nuocere a Silvio Berlusconi usando le toghe, ma non solo ne ha persa la guida, non solo è in loro balia, ma l’effetto è tenue su chi s’è mitridatizzato, mentre distruggerà il Pd con l’avanzare dell’inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.

Supporre che sia un reato promettere la restituzione dell’Imu, o che si possa processare qualcuno per acquisto di voti parlamentari, è, al tempo stesso, ridicolo in sé e intimidatorio della democrazia. In un sistema funzionante porterebbe ad una sola conclusione: l’allontanamento di chi conduce quelle inchieste da un mestiere che non sa fare e non deve fare. Questi sono gli effetti di una lunga e dissanguante guerra civile, dissennatamente condotta usando le procure come arma. Ma a questa guerra civile il centro destra non ha saputo opporre una seria politica della giustizia. Ed è una colpa.

Basta con il ghedinismo. Non discuto il valore di questo o quell’avvocato, ma basta con l’idea che si possa rimediare a un processo cambiando la legge. E’ già disdicevole che capiti una volta, ma se capita ripetutamente è inammissibile. Il centro destra ha animato una lunga guerra di trincea, al termine della quale non è riuscito ad ottenere nulla. In politica la sconfitta è una colpa, specie quando si mietono voti. E’ repellente il moralismo senza etica di chi, essendo corresponsabile della distruzione della giustizia, non ha saputo fare altro che gridare, in un latinorum per deficienti, contro le leggi “ad personam”. Ma è deprimente anche constatare che dall’altra parte non si sia riusciti a fare cose che risultassero di effettiva e generale utilità. Hanno strafallito. Cosa che possiamo ben dire noi, dato che abbiamo passato anni a dar voce (flebile assai) ad un garantismo che è amore per il diritto e per i diritti. Ma ci siamo anche stufati di essere associati a politiche miopi, grette, inutili e fallimentari. Basta.

Avete visto cosa è successo a Milano, dopo la sentenza di secondo grado per le atroci morti alla Thyssen? Il modo in cui i mezzi di comunicazioni ne hanno riferito è terrificante. L’appello si è concluso con una durissima condanna dei dirigenti di quell’azienda, come mai se ne erano viste e come mai è successo in altri paesi europei, eppure l’avere escluso il dolo eventuale ha dato luogo a reazioni isteriche. Passi per i familiari delle vittime (anche per loro, però, dovrebbe essere reato l’insulto al tribunale), ma gli altri sono l’incarnazione di quanto gli ultimi venti anni abbiano cancellato la civiltà del diritto.

L’assalto delle procure alla politica va fermato. No, non per salvare Berlusconi, ma per salvare la sinistra che non voglia essere al guinzaglio dei manettari. La sinistra perde in due modi. Il primo consiste nel credere che si possa prevalere senza cambiare politica, consegnandosi ai trogloditi che suppongono si possa cancellare l’avversario senza batterlo. Il secondo consiste nell’armare la trappola nella quale cadono e cadranno. Per quanto presto si torni a votare (ipotesi suicida), non si potrà continuare a far melina nell’inchiesta su intrallazzi e ruberie senesi. Che li travolgerà. Solo che, se si continua a fare i giustizialisti nel mentre si finisce imputati, da una parte e dall’altra, si lavora solo per il grillismo. Il cui eloqui volgare è specchio di volgare pensiero.

Dell’azione del centro destra, in tema di giustizia, salvo la legge Pecorella, che escludeva l’appello per i cittadini assolti in primo grado. Giustissimo. Fu cancellata dalla Corte costituzionale, oramai ridotta a tribunalino politico (relatore, in quel caso, Giovanni Maria Flick, quello che fece il presidente solo a Natale e che poi s’è buttato nella carriera politica).

Che ci vanno a fare, in piazza? A dire che la giustizia sta distruggendo la politica? E chi ci mettono, a sventolare le bandiere, Ignazio La Russa? Hanno fallito. Non creino altri guai. La giustizia italiana va rifondata nel profondo, non essendo tale più neanche di nome. Ma loro non hanno la minima credibilità necessaria. Ce l’ha la gente seria, chi non ha mai cambiato posizione, chi ha sempre e preventivamente avvertito degli errori. E siamo noi, non quattro qualunquisti fascistoidi, ad avere il diritto di dire: piantatela, è ora di cambiare classe dirigente. E sbrigatevi, altrimenti non basterà neanche quello.
Pubblicato da Libero