lunedì 31 dicembre 2012

ArchivioAndrea's Version

31 dicembre 2012

C’è lo spread che sale e scende. C’è la Borsa sulle montagne russe. C’è il titolo di stato che oscilla, oggi costa troppo domani chi lo sa. C’è l’aumento delle tasse che non vede la fine. C’è l’aumento delle tariffe che non vede la fine. C’è il costo eccessivo dell’energia. C’è la flessione forte del mercato della casa. C’è il crollo dei mutui. C’è la relativa debolezza delle banche, con conseguente difficoltà di accesso al credito. C’è la diminuzione dei consumi, o meglio, la forte diminuzione dei consumi. C’è recessione, quasi depressione. C’è il welfare inadeguato. C’è la crescita che non cresce. C’è incertezza diffusa. Non mi dispiacerebbe essere Veronica Lario.

venerdì 28 dicembre 2012

Inaccettabile, insopportabile, indecente? Gianni Pardo

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L'Italia è stata per vent'anni divisa in due fazioni, i berlusconiani e gli antiberlusconiani. Chi siano questi ultimi è facile dirlo: sono coloro che riguardo a Silvio Berlusconi vanno dalla semplice ostilità politica al disprezzo ed anche ai picchi dell'odio. Più difficile è stabilire chi sia un berlusconiano: infatti qui si va da chi ha una grandissima stima del Cavaliere, e lo sosterrebbe contro venti e maree, a coloro che si rassegnano a votarlo in mancanza di meglio. Non ignorano i suoi limiti e se votano per il suo partito, comunque si chiami in quel momento, lo fanno solo per arginare la sinistra. Ma con questo può dirsi che siano berlusconiani? Se vi offrono una zuppa di ceci o un soufflé al formaggio, e siete allergici al formaggio, sceglierete i ceci, e questo non significherà né che vi piacciano molto i ceci né che non preferireste una langouste à l'armoricaine.

Il fenomeno è comunque eccezionale per la sua analogia con qualcosa che ha impazzato in Italia per oltre mezzo secolo: l'antifascismo maniacale. Nessuno ha dimenticato che per gli adepti della sinistra chi non fosse di sinistra era fascista. Ho sentito chiamare fascisti i liberali, incluso il sottoscritto. Ciò dimostra che non si trattava di una dialettica politica ma di un discrimine religioso integralista. Per il salafita, per il talebano, non c'è spazio per la tolleranza: è ugualmente un nemico da abbattere l'ateo, il cristiano, o anche il musulmano moderato, la donna che studia, il bambino che ha strapazzato una pagina del Corano. Osama Bin Laden è arrivato a staccarsi dalla casa regnante saudita perché l'ha trovata insufficientemente fedele all'Islàm.

Con questo schema, in Italia riguardo al fascismo si è passati da una affermazione all'altra, poco importa quanto fondate: l'Italia (non gli Alleati) ha vinto la guerra contro il fascismo; questa guerra l'hanno vinta i partigiani; i partigiani erano soprattutto comunisti; chi non si è unito a loro era fascista. Per conseguenza finale tutti quelli che non sono comunisti sono fascisti.

Nel caso di Berlusconi l'atteggiamento della sinistra, e anche di alcuni che non sono di sinistra, è stato analogo: quest'uomo è talmente spregevole, dannoso, stupido, ignorante, vizioso, volgare, ridicolo, corrotto e criminale, che chiunque non sia risolutamente disposto a condannarlo senza attenuanti, e ad accettare come incontestabili le calunnie più fantasiose sul suo conto, è un berlusconiano. Così si spiega che mezza Italia sia stata definita colpevole della più imperdonabile delle colpe. Tanto è vero che Fini, non appena ha manifestato il suo odio per il Caimano, si è visto abbuonare perfino l'ignominia di essere (stato) un fascista d.o.c.

In realtà la qualifica di berlusconiano la maggior parte delle volte è sbiadita più o meno quanto lo era la qualifica di votante per la Democrazia Cristiana. Viceversa coloratissimo e in altorilievo è colui per il quale chiunque non sputi, secondo il rito, quando si nomina il Cavaliere, è sul suo libro paga. Certo, gli si potrebbe dire: «Tu sei antiberlusconiano, ma se io non sono antiberlusconiano ciò non significa che per ciò stesso sia berlusconiano». E tuttavia è improbabile che l'altro capirebbe un'affermazione così contorta. La sua visione del mondo è chiusa ad ogni sfumatura, ha il soffitto basso. Per lui è anatema qualunque affermazione che possa essere vista come un apprezzamento dell'Inaccettabile. Se qualcuno dice che è riuscito a creare un impero dal nulla, gli risponde che l'ha fatto con l'aiuto di Craxi, chissà con quali imbrogli criminali, e dunque non è un imprenditore di successo, è un disonesto colossale. Mentre gli altri imprenditori, si sa, sono gigli di campo. Se uno dice che pochi uomini politici sono passati dal nulla al potere come Berlusconi, perfino più velocemente di Napoleone, ne ricava l'accusa di essere talmente berlusconiano da avere osato paragonarlo a Napoleone. Se uno trova divertente una barzelletta che l'Insopportabile ha raccontato, ci si indigna perché la storiella non solo non è divertente, ma è irrispettosa delle donne, delle suocere, della Guardia di Finanza.

Il fanatismo è profondamente fastidioso. Il miscredente si è allenato per secoli a sopportare i bigotti della Chiesa Cattolica, ha fatto il callo all'accusa di essere fascista e sperava ora di avere un po' di pace. Invece negli ultimi lustri si è ricominciato. Pareva che l'Indecente non avrebbe più partecipato alla campagna elettorale, soprattutto visto che, a quanto pare, perderà, e abbiamo sperato che alla nazione sarebbero state risparmiate le solite raffiche di fervore antiberlusconiano. Invece l'Inammissibile, fra gli altri difetti, ha quello di essere spietato. Anche se dirlo non ci salverà dall'accusa di essere berlusconiani. (Legno storto)

Agenda vuota. Davide Giacalone

In attesa di sapere se in politica si scenda o si salga, essendo questo l’avvincente dilemma dietro cui si nascondono riflessioni e suggestioni alte o profonde (ecco un altro opposto coincidente), e neanche potendo escludere che in politica si entri o ci si butti, restando inteso che è il candidarsi l’azione più esposta a interpretazioni diverse, essendo possibile farlo senza effettivamente farlo, ecco, nel mentre si resta in tale trepidante attesa, si potrebbe anche dedicarsi a qualche cosa di serio. Come le 25 pagine firmate da Mario Monti, dedicate al programma minimalista di “cambiare l’Italia e riformare l’Europa”.

Lasciamo perdere le discordanze di genere e numero, segnalanti un copia incolla cui è adusa la letteratura accademica. E rassegniamoci a non potere proporre una disamina puntuale, il che comporterebbe riprodurre il testo e commentarlo. Mi limito a 13 punti. Con una sola premessa: a occhio, potrebbero firmarlo chiunque e potrebbero farselo scrivere tutti. Basta non essere allergici al banale. Veniamo al merito.

1. Si apre proponendo che il Parlamento europeo abbia un mandato costituente. Ottimo: sia il Parlamento a fondare gli Stati Uniti d’Europa. La questione è che taluni sono contrari, e il Parlamento medesimo ha una claudicante e vernacolare base democratica. Sicché la mera enunciazione dell’obiettivo lascia il tempo che trova. Fa tanto “europeista”, ma spiega anche perché tale europeismo è inutile.

2. All’Europa si devono chiedere politiche di “maggiore crescita”. Tale programma fa capo alle forze politiche che, in Francia si opposero a Sarkozy e in Germania si oppongono alla Merkel, farlo proprio dopo avere rivendicato il merito di avere ristipulato l’accordo con l’asse Merkel-Sarkozy è fantasioso.

3. I tedeschi, del resto, non hanno neanche tutti i torti. Osservano che la riforma del mercato del lavoro fatta dal governo tecnico italiano, quello che si supponeva (erroruccio) non dovesse cercare voti, è meno incisiva di quella fatta dal governo tedesco, che non solo i voti li cercava, come si conviene in ogni buona democrazia, ma era anche di sinistra. Segno che l’Italia rilutta assai a mettersi sulla via della competitività.

4. Chiudendo la pagina internazionale si legge che Monti annette a sé il merito di avere portato l’Italia ad avere una politica più filoeuropea e più amica degli americani. La fantasia non ha limiti, ma io ricordo un voto all’Onu che testimonia il contrario. E vedo che in India siamo rimasti da soli, ricevendo due militari prigionieri come fossero eroi. Ora che si fa?

5. Spread, è vero: 100 punti base in meno equivalgono a 20 miliardi d’interessi risparmiati. Ma il problema è: perché, in condizioni sostanzialmente immutate, prima sale, poi scende, poi risale, quindi ridiscende? Se il tasso d’interesse deriva da scelte che non sono nazionali la nostra politica è irrilevante. Ciò è capitato anche a Monti, che se mette le penne del pavone per lo spread odierno fa torto all’intelligenza sua e nostra.

6. E’ vero: la crescita è possibile solo con la finanza pubblica in ordine. Ma se tale ordine è cercato non con riforme, non con tagli, ma con aumenti fiscali, non solo non c’è crescita, ma c’è sicuro suicidio.

7. Ridurre il debito pubblico al 60% del pil, in 20 anni, è cosa giusta. Ma come? Se, ancora, la via fosse fiscale ci dissanguiamo prima. Mentre sul fronte delle dismissioni le 25 pagine sono vuote. Di un vuoto inquietante.

8. Il vuoto c’è anche in campo fiscale, perché promettere meno tasse è da comizietto domenicale, se non si spiega come (e vale per tutti), mentre supporre che la differenza possa raccogliersi presso i “grandi patrimoni” è comizietto ideologico, recessivo, aggressivo e deprimente.

9. Proclamare la “piena digitalizzazione della pubblica amministrazione” è meritorio, ma il governo Monti ha appena fatto il contrario, posponendo al 2017 la digitalizzazione dei libri di testo, nelle scuole, che si sarebbe potuta fare subito, avrebbe comportato risparmi e maggiore qualità. Tutto il capitolo istruzione parla solo di maggiori spese, niente qualità, concorrenza, mercato. Si dice, per scuola e non solo: avanti la meritocrazia, si premino i migliori. Giusto, ma non significa un accidente se non si aggiunge: i peggiori e gli inadeguati fuori. Dalle cattedre e dai banchi. La meritocrazia a senso unico è il nulla.

10. Sui rifiuti c’è scritto che vanno smaltiti in modo virtuoso, ma non come. Serve un piano nazionale, servono poteri per imporre, serve l’uso sensato dei soldi. La Tares, imposta dal governo, va in direzione opposta.

11. Su patrimonio culturale e turismo si dicono le solite menate, ma nulla di concreto. Serve apertura al mercato, chiamata dei privati, piano dei trasporti, estensione delle operatività stagionali (in Sicilia si fa il bagno a Natale!), il che comporta coerenza fiscale e diversa legge sul lavoro.

12. Capisco che anche il professore debba versare il suo obolo alla retorica anti-casta, ma quando si legge che l’indennità parlamentare non deve essere cumulabile con nessuna altra attività, prima ci si chiede cosa dovranno fare gli scrittori, ma mentre si prova a dare una risposta sorge prepotente un’altra domanda: e le pensioni (plurale) del professor Monti, già cumulate con l’indennità? E’ un terreno che non mi piace, ma lui ci si rotola.

13. Infine, prima di scrivere che “nei mesi scorsi l’Italia s’è data per la prima volta una disciplina legislativa per la lotta alla corruzione”, oltre a chiamare un addetto alle virgole, sarà il caso di dotarsi di senso del ridicolo. Perché una simile castroneria comporta l’esclusione da qualsiasi esame di diritto, di storia e di logica.

Con il che non sono affatto prevenuto nei confronti di chi sale e di chi scende, solo m’induce un certo fastidio chi pensa che tutti gli altri siano scemi.

venerdì 21 dicembre 2012

E se politica e banche avessero esagerato nella rincorsa a Lady Spread? Stefano Cingolani

                                   

Ora il differenziale Btp-Bund ondeggia senza curarsi di governo e voto. L’Abi infatti ringrazia più Draghi che Monti

Che lo spread sia un imbroglio è un grido di battaglia politico. Che sia un enigma è un dato di fatto. La differenza tra i titoli decennali italiani e tedeschi è sotto i 300 punti base, e nei giorni scorsi ha sfiorato i 287, la quota obiettivo indicata da Mario Monti per passare il testimone e dichiarare vittoria. Come mai? Certo non può essere la legge di stabilità che mostra tutti i difetti delle solite finanziarie; tanto meno questa coda sfilacciata di legislatura o le grandi riforme nel cassetto. E allora? Tenere la barra dritta, garantire continuità e rigore nei conti, assicurare il pareggio del bilancio nei termini prestabiliti sono premesse indispensabili. Tuttavia, i fondamentali dell’economia italiana restano gli stessi e alcuni indicatori chiave sono persino peggiorati: la recessione è più forte del previsto, il debito pubblico ha varcato i duemila miliardi e continua a salire rispetto al prodotto lordo.
Un bell’aiuto arriva dalla Grecia che forse vede un barlume nella notte. Gli imprenditori tedeschi sono più ottimisti. L’accordo sul bilancio americano sembra imminente in barba a tutti gli articoli dei menagrami sul baratro fiscale. Insomma, il clima esterno s’è rasserenato e in una economia nella quale le percezioni contano quanto le azioni, tutto fa brodo. Ma incide anche un altro, importantissimo fattore, che ieri l’Assobancaria (Abi) ha messo in evidenza: “L’allentamento delle tensioni sui mercati finanziari è il risultato della decisa azione da parte della Bce”, e non tanto “dell’apprezzamento generale delle politiche” nazionali e comunitarie, scrive il rapporto di previsione per il prossimo anno. L’Abi ha in mente l’intervento di Mario Draghi in agosto e quel bazooka (l’Omt) pronto anche se resta in armeria. Ma non solo. Facciamo un passo indietro di un anno, quando venne varato il programma straordinario di sostegno alle banche, con prestiti illimitati all’un per cento. In due tranche, sono stati erogati mille miliardi di euro. Le banche italiane hanno prelevato dal bancomat Bce circa 250 miliardi, di questi ben 147 sono serviti ad acquistare titoli di stato. Oggi nella pancia del sistema bancario nazionale ci sono circa 340 miliardi in Btp (176 miliardi), Bot, Cct, Ctz. Ciò ha consentito il successo delle aste sui nuovi titoli e ha spento la speculazione su quelli già emessi. Un effetto sistemico, dunque, stimolato anche dalla moral suasion della Banca d’Italia. Ma nulla è gratis. In uno scenario di tensioni, paura, sfiducia tra le stesse istituzioni finanziarie, l’utilizzo dei prestiti per comperare titoli ha spiazzato il credito alle famiglie e alle imprese.
I bilanci si sono riempiti di zavorra. Banca Intesa, secondo le stime di Mediobanca R&S, ha da sola 80 miliardi in titoli della Repubblica italiana, pari a una volta e mezza il suo capitale netto; Unicredit ne conserva per 41 miliardi, due terzi del capitale disponibile. Venderli è suicida, bisogna aspettare che cambi il vento, tenerli vuol dire immobilizzare grandi risorse. L’Abi calcola che, rispetto a un anno fa, i prestiti alle famiglie e i mutui per l’acquisto di case sono a crescita zero, il credito al consumo è sceso di sei punti. Dunque, le banche hanno salvato l’Italia, ma non gli italiani. I quali debbono far fronte alle proprie esigenze finanziarie intaccando i risparmi o la ricchezza accumulata in passato. L’enigma dello spread non è risolto, ma appare più chiaro. Analizzando l’ottovolante dello spread che i giornaloni continuano a pubblicare su mezza pagina, si vede chiaramente che la correlazione tra picchi degli interessi e decisioni politiche è vera solo in un periodo di tempo relativamente breve, tra ottobre e novembre dello scorso anno, quando si consuma il governo Berlusconi. C’è una nuova impennata tra l’inverno e la primavera, nonostante il taglio alle pensioni e le misure fiscali del decreto salva Italia varato da Mario Monti. Poi i tassi italiani salgono e scedono con quelli spagnoli. Da settembre in qua lo spread tra Madrid e Roma si allarga di circa cento punti base, ma le due curve continuano a muoversi in sintonia. Di qui ad aprile non esisterà nessun governo in grado di andare oltre il day-by-day, quindi che cosa può impedire una nuova tempesta? Certo un miglioramento della situazione spagnola, ma soprattutto la forte voglia di tornare a muoversi, comprare, vendere, investire, fare profitti. Insomma, gli animal spirits. La moneta è stata nascosta sotto un materasso globale, al caldo rifugio dei Bund tedeschi, dei T-bond americani e dei titoli francesi che danno un rendimento inferiore a due punti percentuali. Ma così, non si fanno utili e non si mette in moto l’economia.

giovedì 20 dicembre 2012

Lo sapevi che Silvio...



Chi ha la memoria corta vada a leggere il sito:


http://www.losapevichesilvio.it/


mercoledì 12 dicembre 2012

La siesta. Davide Giacalone

L’idea che, nel 2013, affronteremo la campagna elettorale del 1996 è disperante. E’ passato un secolo, e non solo per lo scorrere del calendario. C’era, per dirne una, ancora la lira. Eppure sembra che le forze politiche siano rimaste allo scontro di allora: mucchio contro mucchio, con più voglia di menare che di pensare.

La cosa paradossale è che il centro destra sembra impostare una campagna elettorale nella quale finirà con il far scomparire i propri meriti, che pure ci sono: dal 2008 a oggi l’Italia ha dato prova di rigore nell’amministrazione dei conti pubblici e abbiamo il migliore avanzo primario d’Europa. Lo avevamo già con il governo Berlusconi. Ma sembra che questo merito sia divenuto una vergogna, talché ci si butta sulla propaganda un tanto al chilo. E la sinistra aiuta, sia favoleggiando di risanamenti che avrebbero appoggiato solo loro, sia abbandonandosi al solito delirio dei numeri: sale lo spread, colpa di Berlusconi (poi scende, e che si dice?); crolla la Borsa, colpa di Berlusconi (poi risale, e che si fa?).

Il problema serio del centro destra, e di Silvio Berlusconi, non è questa roba, sì malamente agitata, ma il fatto che l’Italia si trascina da più di tre lustri senza riuscire a crescere (almeno) quanto gli altri europei. Che si è promessa una discesa della pressione fiscale, che invece sale. E la contraddizione fra promesse e risultati è così stridente che il centro destra neanche rivendica un altro successo: quello della lotta all’evasione. Solo che, per ottenerlo, hanno messo loro in campo quegli strumenti odiosi che oggi affermano di volere cancellare, come fossero opera altrui. La sinistra, e anche il governo Monti, sbagliando, hanno sommato a quelli anche il moralismo fiscale, ma la sostanza è made in Berlusconiland.

Il problema gigantesco, del centro destra, è che per due volte hanno portato a casa un successo elettorale (lasciamo perdere la prima volta) e per due volte hanno fallito la prova di governo. Dice Berlusconi: abbiamo fatto molte cose buone. E’ vero, ma le avrebbe fatte chiunque fosse stato al governo per così lungo tempo. Il guaio è che non hanno fatto quelle per cui sono andati al governo: il già ricordato fisco, le liberalizzazioni, la dismissione di patrimonio per abbattere il debito, il martoriato capitolo della giustizia. Dicono: ce lo hanno impedito. No, non funziona così: se vi siete accorti (e non ci voleva molto) che le vittorie non bastavano e che la debolezza istituzionale del governo impediva tutto, avreste dovuto portare la cosa all’attenzione degli italiani, anche proponendo riforme costituzionali, non tirare a campare per tenere unita la coalizione, che comunque s’è sfasciata, per tre volte.

Qual è la cosa più importante, fatta dal governo Monti? La riforma previdenziale. Pur contenendo non pochi errori (vedi alla voce: esodati) era necessaria e urgente. Perché non l’ha fatta il governo Berlusconi? Perché la Lega era contraria. Con chi si presentano oggi alleati? Con la Lega. E’ questo il problema. Poi, certo, si può e si deve ricordare che quando la sinistra mise le mani sulla materia previdenziale lo fece per tornare indietro, cancellando lo “scalone”. Verissimo, ma le colpe della sinistra non sono meriti della destra. L’Italia ha bisogno d’essere governata bene, non il meno peggio possibile.

Questo film sta per essere trasmesso la sesta volta: 1994 – Berlusconi, la sorpresa (il più bello, come spesso capita); 1996 – Berlusconi, la sfortuna; 2001 – Berlusconi, il ritorno; 2006 – Berlusconi, la sconfitta; 2008 – Berlusconi, la vendetta. E ora? 2013 – Berlusconi, il rieccolo. E sarebbe ancora un film accettabile, se non fosse che c’è il rischio di vedere: Berlusconi, il gesto disperato. E se vincesse? Non potrebbe governare, ancora privo di una classe dirigente lontanamente degna di questo nome. E se perdesse? Proverà a essere il miglior perdente, in modo da avere un peso laddove vincesse una sinistra a sua volta priva di maggioranza e a sua volta destinata a sfasciarsi.

L’Italia non merita di dovere scegliere fra questo e l’asse Vendola-Cgil. E l’uomo che diede rappresentanza all’Italia produttiva e ragionevole, non interamente a ridosso della spesa pubblica, non è giusto finisca con il prendere in ostaggio quegli elettori, condannandoli a votare quel che non servirà e a farsi bollare come ipnotizzati dal declino. Il centro? Suvvia, non scherziamo. Qui va a finire che prevale lo schema siculo. Che la sciasciana “linea della palma” prenda il sopravvento. Ci si fermi a ragionare. Tutti.

venerdì 7 dicembre 2012

Ok Silvio! Però facce nuove

Avrei preferito Berlusconi al comando di truppe fresche e con un nuovo simbolo, ma tant'è.
Rassegnamoci a vedere ancora il volto di chi ha veramente lavorato nell'interesse degli italiani e che non si sia fatto lusingare dal profumo del potere.

Quelli bravi che credono nella "missione" lavorino dietro le quinte, facciano i consiglieri e lascino che le loro idee camminino con le gambe di altri.
Certi personaggi che scaldano i banchi del Parlamento da troppi anni, si dovranno rassegnare alla rottamazione ed uscire di scena.

Purtroppo in Italia basta una mezza legislatura che si rimane parlamentari a vita e non ci si rassegna all'idea di tornare cittadino comune: senza contare che nella sinistra fare il politico è diventato un mestiere. Si entra nella sezione di partito con i calzoni corti e si percorre tutto il cursus honorum fino alla morte, perché il pensionamento non esiste in poltica.

Allora, Sivio, priorità assoluta: facce nuove. Poi sistemiamo la giustizia con relativo problema carceri, tagliamo sprechi e privilegi, abbassiamo le tasse, vendiamo un po' di immobili del demanio che non servono più, mettiamo in riga la burocrazia e facciamo funzionare la macchina statale che è piena di sabbia negli ingranaggi.

Questo, ovviamente, se vinceremo. E vinceremo!

lunedì 3 dicembre 2012

Forza Silvio!

Silvio ridiscendi in campo, abbiamo bisogno di te.

Non possiamo ascoltare i discorsi di Bersani che parla da premier come se avesse già la vittoria in tasca.

Diciotto anni fa hai creato un movimento dal nulla in tre mesi, adesso ne hai cinque: riparti da zero e metti insieme una squadra tutta nuova, un nuovo simbolo e un nuovo nome.

Lascia che il Pdl vada alle elezioni con Alfano e la vecchia classe dirigente e giochi le sue carte: tanto sarete sempre dalla stessa parte a difendere il centrodestra dalle sinistre.

Sono certo che ci sono ancora moltissimi italiani che credono in te, ma solo in te e non nell'apparato, e ti voteranno con convinzione.

Aspetto tue notizie.

domenica 2 dicembre 2012

ArchivioAndrea's Version

2 dicembre 2012

E dice che adesso fa il segretario sul serio, e allora che decide lui, e poi che farà le primarie, e poi che dipende se l’Amor nostro si candida o no per le primarie, e poi aspetta, e dopo che ha aspettato aspetta ancora, e osserva, e ripete che lui fa il segretario sul serio, e conferma che aspetta, e intanto osserva, che cosa osserva? Osserva quel che fa Berlusconi. E Berlusconi rinvia, e lui non fa una piega, e Berlusconi scende in campo, e lui: allora, se Berlusconi scende in campo… e Berlusconi non scende più in campo, e lui: allora se Berlusconi non scende più in campo… E quello ririscende in campo, e allora niente primarie. Ci si chiede che cosa aspetti, l’Assemblea generale dell’Onu, a riconoscere Angelino Alfano come osservatore non membro del Pdl.