lunedì 21 marzo 2016

L'inesistente eredità del centrodestra. Gianni Pardo

 
 
Per chiunque sia un anticomunista di vecchia data l’ignominiosa liquefazione del centrodestra dovrebbe rappresentare un dolore. Eppure c’è modo di non prendersela. Se l’Italia farà una politica dissennata, insieme a noi ne soffriranno altrettanto quelli che l’avranno voluta. Dunque asciughiamoci le lacrime.
Un tempo, secondo un barbaro codice, i capitani non abbandonavano la nave che affondava. Oggi, anche senza arrivare al comportamento di Francesco Schettino, il capitano giustamente si salva. L’errore di Silvio Berlusconi è stato infatti quello di rimanere sul ponte di comando. Dal 1993 a oggi, con enorme spesa di denaro e di fegato, tutto quello che è riuscito a fare è stato ritardare il naufragio.
Di cuore l’Italia è comunista, oppure cattolica, oppure cattocomunista. E i liberali non li sopporta. Non si spiega diversamente l’universale coalizione contro Berlusconi. Gli stessi infiniti tradimenti che gli sono stati inflitti sono nati non soltanto dal misero e personale interesse, ma anche dall’intima certezza che il centrodestra non avesse futuro. Umberto Bossi addirittura scese dalla nave appena dopo che c’era salito, nientemeno nel 1994. Percepì per primo che i siluri erano troppi perché fosse possibile evitarli.
Ma Berlusconi era uomo di resistenza assolutamente eccezionale e riuscì a sopravvivere. Forse anche perché allora c’erano ancora molti italiani che il comunismo l’avevano conosciuto bene. Tanto che Bossi forse pensò che gli conveniva tornare da lui: ma la tendenza storica che aveva prima intravisto era effettivamente quella giusta. Infatti nel corso del tempo molti altri se ne sono resi conto e hanno sbagliato soltanto il momento della verifica. Così si spiega il comportamento di Gianfranco Fini. Se avesse pensato che Berlusconi poteva ancora resistere, non gli avrebbe fatto la guerra. Doveva per forza essergli chiaro che, se non avesse vinto, gli sarebbe toccata la morte politica. Che è poi ciò che è avvenuto.
L’impazienza di veder tramontare la stella del Capo ha indotto in errore molti politici. Magari quegli stessi che a lui dovevano la loro carriera. E la Nemesi è stata impietosa, sono finiti tutti male. Ma che il principio fosse giusto – cioè che l’Italia non possa essere un Paese liberale – era incontestabile e molti si preparavano al nuovo corso. Anche quelli che non l’hanno tradito in fondo al cuore hanno sperato che il Cavaliere uscisse di scena, o perché ammalato, o perché stanco, o perché eliminato dai magistrati. O infine perché morto, essendo lecito sperare che non sia immortale.
La tendenza si è accentuata dopo lo sgambetto di Matteo Renzi. Prima s’è avuta la defezione di Alfano e compagni i quali, per mantenere i vantaggi del presente, si sono precluso il futuro; più recentemente abbiamo avuto il caso di Verdini e dei suoi amici, i quali sostenendo l’attuale governo chissà che cosa sperano di ottenere. Comunque è chiaro che i topi abbandonano la nave che affonda. Gli ultimi, forse non soltanto cronologicamente, sono Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Mentre Berlusconi è sempre più vecchio, sempre più solo, sempre più debole. I figli impazienti forse pensano di essere sul punto di avere finalmente l’eredità del padre. E la realtà potrebbe deluderli più di quanto non pensino.
Tutti sono sempre stati convinti che l’uomo venuto da Arcore sia stato e sia il padrone del centrodestra. Forse non hanno capito che quel raggruppamento Berlusconi non lo domina, lo crea. Cosicché il partito potrebbe sparire insieme con lui e lasciare gli eredi con un palmo di naso. Hanno commesso un parricidio per ereditare e si sono accorti che il patrimonio era lui stesso.
Forse a breve il centrodestra non ci sarà più. Forse l’Italia sarà finalmente di sinistra, e senza contraddittorio. Simile al Venezuela, potrà fare tutte le stupidaggini suicide che vorrà. È vero che stavolta siamo ingabbiati nell’Unione Europea, ma da un lato l’Unione potrebbe scacciarci, dall’altro potremmo noi stessi farla scoppiare. Già oggi Renzi insiste per la “flessibilità”, cioè per fare più debiti, senza pensare che basterebbe allarmare ulteriormente i mercati, perché le Borse ci attacchino veramente, non per un complotto ordito dall’alto, come quello del 2011. Gli investitori internazionali farebbero a gara per recuperare il recuperabile e a quel punto non ci sarebbe rimedio. Dovremmo semplicemente dichiarare bancarotta.
L’Italia vuole andare a sinistra? S’accomodi. Non ci rimane che la Schadenfreude di vedere l’avversario che sbatte il muso. Anche se la cosa danneggia anche noi.
pardonuovo.myblog.it

mercoledì 2 marzo 2016

Il segreto evidente. Davide Giacalone


Ci si eccita allo snudamento di un presunto segreto, salvo abbioccarsi innanzi a ciò che già s’intravedeva ed era evidente. L’ambasciatore americano a Roma, Reginald Bartholomew, nel 1994, avvertiva Washington che la sinistra era pronta a tutto pur di distruggere Silvio Berlusconi e che il presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, manovrava per far cadere il suo primo governo, detestando la sola idea che potesse mai riuscire a farne un secondo. Chi lo avrebbe mai detto?!
Non ci fossero gli americani a spiarci e studiarci, nonché a scriversi fra di loro, rischieremmo di perdere il filo della storia patria. Non ci fosse la possibilità di evocare un qualche complotto, perderemmo anche l’idea dell’esistenza della politica e della storia. In realtà quelle cose non solo le sapevamo tutti, ma le abbiamo anche scritte e riscritte. Come era solare l’avversità del successore di Scalfaro, Giorgio Napolitano, all’ultimo governo Berlusconi. Ma non ci basta la realtà, non bastano i ripetuti deragliamenti quirinalizi, qui tempestivamente segnalati e descritti, è come se ci sia sempre bisogno di un sovrappiù di fantasia drammatica, talché le cose chiare diventano limpide solo a patto d’intorbidarle e corromperle.
Risale al 1998 un libro di Stanton H. Burnett, politologo e collaboratore del Dipartimento di Stato Usa, in cui si descriveva la natura anomala dell’azione di certi magistrati italiani. Non era un cablogramma segreto, si poteva acquistarlo in libreria. Il titolo è un programma: “The Italian Guillotine”. Né segrete erano le opinioni e le dichiarazione di Antonin Scalia, giudice della Corte suprema Usa, che non si capacitava di come un Paese civile potesse avere una giustizia come la nostra. Mentre in Italia delle toghe si proponevano di “rigirarla come un calzino”, Scalia osservava: ma che ne sanno i giudici di morale? Chi mai vorrebbe un Paese amministrato da giudici? Era inorridito, e lo diceva nel 1993, dal fatto che si potesse arrestare una persona e tenerla finché non “canta”. Considerava un obbrobrio il fatto che accusatori e giudici fossero colleghi. Ha fatto bene Filippo Facci a ricordarlo, in occasione della sua recente scomparsa. Tutta roba pubblica.
Il problema, allora, non è che gli americani avessero l’impressione che la sinistra volesse annientare l’avversario, o che dal Colle le si facesse sponda, perché questo era di un’evidenza disarmante, il problema era ed è che a questo compito si sia dedicato un ordine divenuto potere, con un’inquisizione lunga venti anni. Chi qui scrive non concede nulla all’innocentismo, né al colpevolismo. A me interessa solo che, in questo modo, si strangola la giustizia. Abbiamo anche raccontato la sorte della sentenza di condanna a pena da scontare (e scontata) che colpì Berlusconi: l’estensore di quella sentenza scrisse poi, in una successiva sentenza, che era da considerarsi abnorme, estranea alla consolidata giurisprudenza e da non prendere ad esempio. Non vorrei ci sia bisogno di qualche dispaccio diplomatico segreto, per accorgersi di quel che abbiamo già ampiamente documentato.
Di converso, però, usare tali resoconti per scoprire quel che è scoperto induce taluni a supporre d’essere stati solo prede di trappole occulte. No, perché essi sono i principali artefici della sorte che è toccata loro. Il centro destra ha governato per tre volte (due volte e mezza), ha tenuto aperto un estenuante fronte giudiziario e non ha portato a casa le riforme che riguardano gli italiani tutti. Perché gli altri non volevano, dicono. Certo, funziona così anche nel calcio: quegli undici disgraziati si oppongono alla rete che vorresti. Ma se hai la maggioranza sei responsabile di quel che fai e di quel che non fai. Non votarono contro il governo Dini, votarono a favore di quello Monti e di quello Letta, così come votarono la rielezione di Napolitano. C’erano buone ragioni? Anche, ma la principale della loro debolezza era la loro disomogeneità e rissosità. Il diuturno impegno a farsi le scarpe a vicenda. Le colpe degli altri, insomma, non cancellano le proprie. La storia si racconta dopo molti anni, mentre la si fa, però, è poco saggio imbrogliarsi per i fatti propri.

(LSBlog)