mercoledì 17 agosto 2011

Tasse e contropartite. Davide Giacalone

Non esiste una tassazione che possa lasciare il ceto medio estraneo alla raccolta di quattrini destinati a comprimere il debito pubblico. Sia che ci si rivolga ai redditi, ai patrimoni o ai consumi, la borghesia è comunque candidata a pagare. Ciò perché di ceto medio, di borghesia, è fatta l’Italia, come ogni altra società democratica e sviluppata. Prendersela con il governo perché incapace di una fiscalità che salvi il ceto generale, come anche invocare tasse per ricconi e grandi patrimoni, è ozioso e demagogico. Lascia il tempo che trova e non fa fare una gran figura a chi usa questi argomenti. Dal che, però, non discende affatto l’inesistenza d’alternative.

Tre cose indispettiscono, predisponendo al peggio l’umore collettivo. La prima è la fotografia fiscale dei redditi e dei patrimoni: falsa. Ciò lo si deve al fatto che la propensione all’evasione fiscale è alta, il che non depone a favore delle qualità civiche dei cittadini. Da noi paga tutto solo chi non può evadere, più qualche fesso che s’ostina ad essere onesto (con sé stesso). Ma è anche colpa di governi che non hanno saputo far altro che lanciare gran proclami contro l’evasione fiscale, incattivirsi con ingiunzioni che sfociano in contenziosi infruttiferi (ma per il contribuente dolorosi), per poi varare condoni. (A proposito di condoni, va di moda voler tassare ulteriormente i capitali rientrati con lo scudo, nel presupposto che trattasi d’evasori e profittatori, salvo il fatto che lo Stato vendette la regolarizzazione e se quella diviene inefficace o richiede altri soldi ne deriva che lo Stato racconta palle, il che sollecita i capitali ad andare via. Ed è facilissimo).

La seconda cosa che dà sui nervi è la retorica classista e buonista, che mescolate assieme sono l’essenza del cattocomunismo. Le tasse non sono mai “contributi di solidarietà”, perché vengono imposte anche a chi è contrario. I ricchi non sono quelli che guadagnano 90 o 150 mila euro l’anno, ma quelli che guadagnano dieci volte tanto e lo nascondono. Il fatto che a tale matrice culturale s’allinei il centro destra, ufficialmente nato per far valere l’opposto, dimostra la sconfitta di chi non è stato capace d’opporre nulla al ritorno del sempre uguale.

La terza è la sostanza del problema: pensare alla sola tassazione è di per sé un errore, perché non è mancato il tempo per tagliare la spesa e ridurre il patrimonio pubblico. E non sarebbe stato impopolare, se una classe dirigente degna di questo nome ne avesse saputo spiegare i benefici generali. Siamo ancora in tempo. Quel che scarseggia sono le idee e la lucidità.

E’ per queste tre ragioni che ritengo improponibile la manovra governativa: non (solo) per le tasse che impone, ma per l’assenza di contropartite. E, del resto, quando leggo che esponenti della maggioranza ripetono ancora, come ripeterono in occasione della manovra scorsa, immemmori della propria inutilità, che le norme si possono cambiare, ma “a saldi invariati”, è chiaro che annaspano e non sanno dire altro che quel che non sanno fare.

Se si guarda il mercato e i contribuenti non come un limone da spremere, ma come un albero da far crescere, raccogliendone più copiosi frutti, si potrà rinfacciare la follia populista di chi ha voluto e votato referendum contro la privatizzazione della gestione (della sola gestione!) dei servizi pubblici locali, di chi volle l’abbassamento dell’età pensionabile, come di chi scioperava contro la flessibilità contrattuale. Se, invece, si perde la bussola e la testa, riducendo qualsiasi governo a far comunque le stesse cose, l’umore cupo che monta si scaricherà contro la politica tutta. Non sarebbe la prima volta, posto che le esperienze passate sono pessime.

martedì 16 agosto 2011

Alla napoletana. Davide Giacalone

L’inchiostro della Gazzetta Ufficiale è ancora fresco e già si pensa di cambiare un decreto legge che è peggio dello scarafone, difatti non piace neanche a mamma sua. Il Presidente della Repubblica ha auspicato il dialogo. Il governo ha annunciato che non metterà la fiducia. Osservo la scena oramai incapace di stupirmi, rassegnato alla follia autolesionista di un governo e una maggioranza che non hanno solo deciso il suicidio, ma, con opzione originale, pensano di arrivarci procurandosi più sofferenze possibili. Sembra si stiano dando da fare per ridurre l’Italia intera nella condizione miserrima in cui s’è ridotta Napoli, con la gran parte dell’elettorato che diserta le urne e quel che resta s’abbandona ad un moto plebeo di globale rifiuto.

Sostenere che il mondo è imprevedibilmente cambiato in poche settimane non ha senso, perché basta ripercorrere i nostri articolucci per essere sbugiardati. Quel che accade lo vedemmo arrivare. Siccome ciò non è smentibile, e siccome la correzione al bilancio pubblico è stata fatta in due tempi, con due decreti, delle due l’una: o rispecchiano quel che il governo ha in testa o il governo non ha in testa un bel niente. Sicché non possono sostenere, oggi, che quest’ultimo testo può essere emendato. Passi che non si metta la fiducia, ma nel senso che se parlamentari della maggioranza intendono modificare il decreto ciò vuol dire che il governo non rappresenta neanche la maggioranza.

Né, del resto, si può sostenere che quelle norme e quei prelievi siano il frutto della necessità, dolorosa ma inevitabile, rivendicare che su quelli s’è ottenuto il plauso europeo e, poi, affermare che si è pronti alle modifiche. Non è consentito né avere idee così confuse né prendere in giro la gente. Il governo e la sua maggioranza hanno una sola via per introdurre modifiche significative, e consiste nel prelevarle dai suggerimenti che vengono dai cittadini. Gli unici emendamenti consentiti sono quelli popolari. Dicano: chi vive la vita reale dimostra più capacità d’analisi di quanta se ne abbia noi, quindi ci pare opportuno accogliere questo o quel suggerimento. Ma se dicono: a ben vedere si potrebbe fare diversamente da come abbiamo proposto, al punto che non solo abbiamo annunciato un’addizionale Irpef per gli autonomi e ce la siamo rimangiata in corso d’opera, ma potremmo deglutire anche il resto, perché ci sono vie migliori, ecco, se dicessero una roba del genere la risposta collettiva sarebbe una sola: certo, possono esserci vie migliori, e anche persone migliori capaci d’interpretarle. Andatevene.

Dove sono i sondaggisti tante volte criticati e mai come oggi rimpianti? Se i governanti vivono proprio fuori dal mondo, se davvero credono che si possa oltraggiare la buona creanza, imponendo tasse straordinarie ai “ricchi” con 90.000 euro lordi senza prima avere messo sul mercato quel che essi spartiscono fra di loro, allungando qualche cucchiaiata ad amici, parenti e mignottame sparso, a partire dalla Rai, sarà bene che inviino una navicella su questo pianeta, sondando gli umori reali del Paese. Che non sono inclini al perdono e alla fratellanza.

E non si fidino troppo del fatto che non ci sono alternative, che la sinistra è in coma peggio di loro. Stiano attenti: anche a Napoli la sinistra era in coma, anche a Napoli non c’erano alternative. Guardino quel che è successo. Quando non si è più capaci d’imparare dai propri errori s’è persi.

La smettano di fare i furbi, e se il cuore sanguina è segno che la mente non ha funzionato. Cerchino fra le idee che vengono dal basso, dal mondo reale. Le leggano con attenzione, le passino ai presunti esperti di cui si circondano, ne correggano le ingenuità e le facciano proprie. Perché è vero che ciascun Paese ha la classe dirigente che si merita, ma è anche vero che ci sono classi dirigenti (si fa per dire) che non meritano un Paese in cui ancora ci si rompe la testa e la schiena per andare avanti.

domenica 7 agosto 2011

Larghe intese disattese. Davide Giacalone

A fronte della grave crisi economica e delle difficoltà connesse all’euro l’opposizione propone al governo un accordo di larghe intese, in modo da far fronte agli impegni. Chi governa faccia un passo indietro, chi è all’opposizione un passo in avanti. Credete che sia la tesi di Pier Luigi Bersani, datata 2011? Sbagliato, è la tesi di Silvio Berlusconi, datata 1997. Vediamo come è andata a finire e riflettiamo perché era ed è sbagliata.

Allora governava Romano Prodi (che, memore di quel che accadde, oggi sostiene che il governo deve andare avanti) e Rifondazione Comunista aveva già annunciato che non avrebbe votato la legge finanziaria il che, oltre a mettere in crisi il governo metteva in dubbio la nostra marcia d’avvicinamento all’euro, che ancora doveva nascere. Al Quirinale sedeva Oscar Luigi Scalfaro, che fece di tutto per dare una mano a Prodi e mantenere in vita il governo. La soluzione fu suggerita dai francesi, allora governati dal socialista Jospin, il quale aveva appena varato la settimana lavorativa di 35 ore, sulla base della superba cavolata secondo cui a lavorare meno si sarebbe andati a lavorare tutti. In realtà lavorando meno ci s’impoverisce tutti, si crea meno sviluppo e meno posti, facendo anche aumentare la disoccupazione. Questa demenziale ricetta piacque moltissimo alla maggioranza d’allora, che la fece propria. Quando ci si chiede da dove viene la scarsa produttività italiana si farebbe bene a non dimenticare questi passaggi.

Dato che a Fausto Bertinotti non bastava, essendo alto il suo potere di ricatto, il governo decise anche di dare vita ad un’agenzia per l’occupazione (come se bastasse istituirla per diminuire la disoccupazione) e provvide a concedere sgravi nel settore sanitario. Il che aumentava deficit e debito pubblico (e speriamo nessuno voglia occuparsi del debito sanitario, che Ciampi nascose sotto il tappeto delle regioni). A quel punto la maggioranza s’era ricostituita e il governo dimissionario fu rinviato alle Camere dal Presidente della Repubblica. Qui ottenne nuovamente la fiducia e visse malamente qualche altro mese. L’offerta dell’opposizione fu rispedita al mittente.

Avendo appurato che la sinistra d’allora si comportò come la destra di oggi, sicché risulta ridicolo pretendere d’accampare differenze di sensibilità innanzi ai problemi nazionali, si tratta di stabilire se al crescere dei problemi sia un bene o un male che crescano le maggioranze parlamentari. E qui ci si deve intendere: se le maggioranze s’allargano per cambiare le regole istituzionali del gioco, è un bene; ma se si slabbrano perché nessuno ha il coraggio di fare quel che si deve, allora è un male, che quasi certamente produrrà risultati negativi. Difatti, subito dopo l’offerta di larghe intese, non appena il governo odierno ha proceduto a fare l’ovvio, ovvero anticipare gli effetti della manovra economica (il cui calendario era stato concordato in sede europea), la sinistra ha immediatamente fatto sapere che si tratta di scelte inique ed esecrabili. Come volevasi dimostrare, e come qui previsto.

La differenza, rispetto al ’97, è politica: allora esisteva un’opposizione, oggi ne esistono diverse. Non a caso il centro che fa capo a Pier Ferdinando Casini ha assunto un atteggiamento opposto, rispetto al Partito Democratico. Ciò lo si deve a due cose: la prima è che schiacciarsi sul propagandismo di marca cigiellina è un suicidio, oltre che un’incoerenza, perché non si può chiedere di fare subito ciò che è indispensabile e poi opporsi a quel che, semmai, non è ancora sufficiente; la seconda è che si avvicinano le elezioni, anche fossero a scadenza naturale, e se la maggioranza è in evidente affanno l’opposizione di sinistra ha il fiato cortissimo, quindi il centro prende le distanze e si prepara al riallineamento. Direi, anzi, che è già nelle cose.

E qui la nostra riflessione potrebbe chiudersi, se non fosse che ho l’impressione, appunto, che quelle misure non sono sufficienti. La crisi che viviamo ha natura sistemica e noi ne siamo oggetto, non protagonisti. Gli errori commessi dai tedeschi sono gravissimi, ma anche quelli finiranno con l’essere dettagli, in un mondo in cui il debito statunitense viene declassato. Sono questioni assai più grandi che non lo stabilire cosa ha in testa questo o quel capo politico, o la durata delle ferie (certo, che il nuovo ministro della giustizia, come primo provvedimento, decida di partire per l’estero è segno che in quel posto poteva andarci qualcuno un po’ più interessato a lavorarci, piuttosto che ad avere il ritratto nella galleria degli inquilini pro tempore). I temi rilevanti vanno posti in sede internazionale, non in una commissione parlamentare. Dalle nostre parti, come segno di buona volontà, si può almeno evitare di perdere tempo in chiacchiere inutili.