venerdì 31 luglio 2015

Vergogne dell'Italia renziana. Cesare Alfieri


 
Tempo fa un Paese del Nord Europa è rimasto sfornito di governo. È proseguito tutto al meglio, a dimostrazione di quanto sia ultroneo ogni governo, soprattutto quando gestito malamente o per il solo proprio profitto o addirittura, come oggi da noi in Italia, rubato con l’imbroglio quindi illegittimo.

Con il partitino personale fatto da soli dieci senatori raccattati qua e là per costituire un gruppetto di supporto alla vergogna del governo illegittimo Renzi, Denis Verdini è l’ennesima, indegna dimostrazione di come ci se ne infischi dei voti espressi dagli italiani, che quella stessa decina ha a suo tempo scelto e fatto eleggere solo perché stava con Silvio Berlusconi, a destra e nel centrodestra. Oggi la decina traditrice di destra va a dare manforte al governo mai eletto di sinistra di Renzi, per la poltrona e i ricchi contributi di Stato, cioè i nostri soldi che ignominiosamente è previsto ricevano da subito i gruppi parlamentari (590mila euro di nostri soldi dati con tassazione esosa sul nostro groppone). Un’ignominia, uno sberleffo, un sopruso, una presa in giro. Questo è Matteo Renzi, questi sono stati Monti, Letta e Napolitano; questo è Mattarella, Alfano, così come il Pd e il Pdl, la Lega e il Movimento Cinque Stelle. Non si creda infatti che cambiando di chiappe il posto parlamentare, da noi retribuito, cambi l’andazzo. Anche i nuovi culi, allo stesso modo degli occupanti la poltrona di oggi come di ieri, si comporteranno nella stessa maniera, ovvero a sbafo e a schifìo per il Paese. Non basterà non essere andati in massa a non votare; non sarà bastato aver votato i partiti della protesta novelli occupanti allo stesso modo dei precedenti della poltronciona retribuita da noi; non sarà bastato vedere i tradimenti, le porcherie, le indecenze tutte del popolo degli “eletti”, nessuno scandalo o ribellione sarà mai sufficiente a cambiare alcunché.

È necessario costringere l’intero sistema politico a rispondere di ciò che fa. Chi oggi si mette in tasca 509mila euro “a gratis” deve non solo risponderne ma risarcire gli italiani in caso di mala gestione. Risarcimenti effettivi e non a parole. Devono essere stretti i gangli del potere politico. Così come viene richiesto a un qualsiasi cittadino italiano con attività privata di rispondere in ogni momento di ciò che fa, allo stesso modo il parlamentare ed il politico devono rispondere personalmente ed economicamente di quanto fanno. Tagliare a meno della metà i parlamentari tra Camera e Senato con stipendi drasticamente diminuiti sino ad un terzo di quelli attuali; regolamentare i partiti politici istituendo la categoria della responsabilità politica al loro interno e nello svolgimento dell’attività politica. Ridurre i contributi o meglio disciplinare partiti e gruppi, parlamentari e non, in modo che siano autonomi economicamente e trasparenti nelle entrare e nelle uscite. Traghettare il più possibile ciò che è pubblico nel privato. Ridurre lo Stato e la sua presenza.

Cosa si aspetta ad esempio oggi a mettere sotto accusa Giorgio Napolitano per tradimento alla Costituzione, per avere cioè defraudato gli italiani della loro espressione del voto, delle loro scelte? Cosa si aspetta ad avviare procedimenti di responsabilità e risarcimento per i governatori ladri dei governi a cominciare da Monti, Letta e Renzi? Quali regole o meglio non regole si stanno applicando? Oggi “grazie” a questi siamo fuori dalla democrazia; si rientri e torni dentro la democrazia. Ma come si fa a sperare che degli imbroglioni la smettano di imbrogliare? Quando mai un imbroglione al governo abbasserà la pressione fiscale? È nel suo stesso “interesse” che rimanga tale quale è, a garanzia del proprio posto, stipendio e poltrona, e quelli dei suoi amici. La burocrazia? La Rai? Una qualsivoglia spending review? Macché! Qui si tiene volutamente tutto com’è nella speranza che non salti tutto tra le proprie mani, nella speranza becera di lucrare e “salvarsi” da soli. Invece deflagrerà, e questi imbroglioni avranno incassato a più non posso. Si torni alle urne, al voto e alla democrazia. Chi verrà scelto, già oggi, ci penserà due volte prima di fare danni. La misura è colma. Bisogna cambiare.

(l'Opinione)


martedì 21 luglio 2015

Renzi annuncia l'età dell'oro. Gianni Pardo





Nell’assemblea del Partito Democratico è comparso l’arcangelo Gabriele. Era da qualche tempo che non si vedeva, ma stavolta valeva la pena di ritornare sulla Terra. Bisognava infatti annunciare all’Italia che ciò che non era riuscito per molti decenni sarebbe finalmente riuscito, che ciò che si era lungamente desiderato, senza ottenerlo, era finalmente a portata di mano; “Nuntio vobis gaudium magnum!”.
L’arcangelo Gabriele – che stavolta ha il faccino del nostro Matteo Renzi, in rara versione con cravatta - prevede, già per il 2016, «l’eliminazione della tassa sulla prima casa, l’Imu agricola e sugli imbullonati». In seguito, nel 2017, il bambino prodigio si occuperà di Ires e Irap, sicché, nel 2018, se abbiamo capito bene, nei fiumi scorreranno latte e miele. Entro l’agosto di quest’anno (e sarà un altro miracolo) avremo la riforma della Pubblica Amministrazione di solito considerata una tale impresa che ha scoraggiato tutti. Tanto che ci chiediamo se ora il provvedimento più importante non sia l’avere unificato, sotto il numero “112”, il 113, il 115 e il 118.
Gli “imbullonati” di cui Renzi ha parlato sono i macchinari ancorati al suolo con bulloni, su cui lo Stato ha pensato bene di mettere una tassa. E al riguardo ci si può legittimamente chiedere se un Primo Ministro possa permettersi di usare termini incomprensibili ad un italiano largamente alfabetizzato, perfino a suo agio con qualche lingua straniera. Ma forse le massaie e i sagrestani usano questo termine tutti i giorni.
Torniamo al libro dei sogni. Il discorso di Renzi suscita un sarcastico scetticismo perché in questi casi non è il programma, che interessa: chi non amerebbe promettere l’abolizione della tassa sulla prima casa, chi non amerebbe potersi vantare di averla eliminata? La notizia dunque non è che il Segretario del Pd la metta nel suo programma, la notizia sarebbe che il suo programma sia realistico. E a questo scopo non basterebbe certo che egli si dichiari capace di compiere il miracolo: vorremmo sapere come conta di farlo e vorremmo anche vederglielo fare.
Sempre che sia lecito fare i conti con le dita, il problema si può porre in questi termini: per funzionare, lo Stato ha bisogno di soldi. Oggi questi soldi li ricava dalla casa, dall’Imu agricola e perfino dagli “imbullonati”, oltre che da Ires, Irap e Iradiddio di tasse e imposte. Nel momento in cui si parla di abolirle, le possibilità sono soltanto due: o Renzi conta di eliminare la maggior parte dei servizi dello Stato - chiudendo scuole, caserme, ministeri, comuni, ferrovie, tribunali - sicché lo Stato potrebbe sostenersi con la tassa sugli alcoolici o poco più. Oppure il taumaturgo conta di mantenere tutti quei servizi, attingendo il denaro necessario dal pozzo di San Patrizio, ad Orvieto. Sempre che, come le banche greche, non sia a secco di contanti.
E pensare che davano dello sbruffone a Berlusconi. Il Cavaliere indubbiamente ha mantenuto molto meno di quanto ha promesso, ma Renzi batte tutti: ha l’aria di promettere la Luna, dandone un quarto a ciascuno dei sessanta milioni di italiani.
L’esagerazione è uno degli strumenti classici della comicità, ma qui nella sostanza non c’è assolutamente nulla da ridere. Non è normale che un Primo Ministro prenda per i fondelli l’intera popolazione del suo Paese. Per mesi si è parlato di “spending review” e l’unico effetto concreto che s’è visto è stata la fuga all’estero dello scoraggiato esperto incaricato di progettarla, Carlo Cottarelli.
Ma non bisogna essere avari di aperture di credito. Naturalmente Renzi può fare ciò che ha promesso. Naturalmente forse sarà capace di realizzare il miracolo sopra descritto. E naturalmente in molti saremmo pronti a fargli parecchi monumenti a cavallo, nelle maggiori piazze cittadine, perfino mediante colletta pubblica. Ma in realtà saremmo piuttosto disposti a scommettere mille dei pochi euro che abbiamo che non ci riuscirà. A meno che, per abolizione, non intenda che l’Imu si chiamerà Umi, l’Ires Sier e via dicendo.
Chiunque usa un computer sa che deve guardarsi dalle truffe, atte ad abbindolare coloro che sono contemporaneamente avidi ed ingenui. Esemplare quella che annuncia la vincita ad una lotteria cui non si è partecipato. In questi casi chi ha buon senso butta via la mail e passa ad altro. Ora forse bisognerà imparare a fare la stessa mossa quando parla il Primo Ministro.
pardonuovo@myblog.it

(LSBlog)


venerdì 3 luglio 2015

Diritto sequestrato. Davide Giacalone

 



Sul buco di Monfalcone non può essere messa la toppa di un decreto legge. Anche perché, sommato al buco di Taranto, è troppo grosso. Il problema che si pone non è isolato e momentaneo, ma generale e ripetuto. Anzi, si tratta di tre ordini di problemi: a. le misure cautelari al posto delle pene, l’indagine al posto del giudizio, quindi l’assenza di proporzione fra il reato presupposto e la punizione eventuale; b. l’insensatezza di consentire all’accusa di ricorrere sempre e comunque; c. l’assenza di responsabilità. E non se ne esce con un decreto legge.
Lasciamo perdere che Fincantieri è un pezzo prezioso e irrinunciabile del nostro essere la seconda potenza manifatturiera d’Europa, nonché uno dei settori, la cantieristica, che più traina quel poco che c’è di ripresa economica. Facciamo finta che non sia decisivo (e lo è), perché non è di questo che si occupa la magistratura. Osserviamo quel che è accaduto a Monfalcone: un’indagine iniziata nel 2013, con la misura cautelare presa due anni dopo. L’urgenza, come dire, mi pare contraddetta dal calendario. La questione riguarda il trattamento di rifiuti. Non si tratta di roba che avvelena, non siamo alla terra dei fuochi, qui la faccenda è di carta: Fincantieri accatasta rifiuti anche per conto delle ditte che lavorano in appalto, ma, dicono alla procura, ci vuole l’autorizzazione. E’ così? non lo è? Non lo so, ma penso che per accertarlo, posto che stiamo parlando di roba che non inquina, si possa e si debba farlo in giudizio. Applicare il sequestro, quindi provocare la chiusura dello stabilimento, significa affibbiare una misura cautelare che supera in durezza anche la più micidiale delle condanne possibili. Ammesso e non concesso che gli imputati siano colpevoli, per mancata autorizzazione bollata a far quello che, comunque, tutti possono vedere.
Tanto la cosa è fuori dalla logica che sia il gip quanto l’appello rifiutarono alla procura il sequestro. Ma l’accusa ricorre sempre. Spesso si sente dire che la giustizia non funziona anche perché gli avvocati fanno ostruzionismo, ricorrono per principio, facendo perdere tempo. Ma, almeno, lo fanno a spese del cliente. La procura lo fa a spese nostre. Che senso ha ricorrere per due anni? Se credi che le accuse siano fondate, già dopo il primo rifiuto molli la presa sulla misura cautelare e punti al giudizio, per avere le condanne. Invece ci si comporta come se il solo processo credibile sia il non processo della fase preliminare. Quello, oltre tutto, in cui l’accusato ha meno strumenti per difendersi. Questa stortura non la si corregge intervenendo sulle conseguenza, ma sulle cause.
La prima (esagerazione della non pena) e la seconda (ricorrere a oltranza) cosa sono possibili perché nessuno risponde di quel che fa. Se la carriera del magistrato fosse legata alla sua capacità (nel caso della procura) di accusare chi sarà condannato, probabilmente si eviterebbe di sostenere accuse in modo temerario. Se si dovesse rispondere del fatto che una misura cautelare chiesta si rivelerà sproporzionata rispetto alla pena poi stabilità, o, addirittura, all’assoluzione, probabilmente si sarebbe più cauti. Ma nulla di tutto questo: la procura chiede sempre tutto e lo chiede ricorrendo in ogni sede. Se va bene, bene, e se va male che problema c’è? Anzi, dimostra che la giustizia funziona. Eccome.
Seguiamo la logica del sequestro: siccome credo che tu abbia violato la legge, prima ancora di dimostrarlo fermo la tua attività. Con un sistema di questo tipo fare industria è impossibile. Ma c’è di più: è impossibile fare qualsiasi cosa. Anche giustizia. In modo analogo, infatti, si potrebbe dire: siccome quel tribunale ha sbagliato, difatti la sentenza è stata riformata, siccome quella procura ha sbagliato, difatti la richiesta è stata rigettata, per impedire danni più grossi li sequestriamo e chiudiamo. Manca l’autorizzazione? Chiudo lo stabilimento. L’accusa si rileva infondata? Chiudo la procura. Vi pare folle? Lo è.
Pubblicato da Libero
 
 

giovedì 2 luglio 2015

Trappola greca. Davide Giacalone

Il referendum greco è una trappola. Per i greci. La bancarotta greca sarebbe una tragedia per loro, ma anche una trappola per gli altri europei e per l’occidente. Non è la prima volta, nella storia, che problemi la cui soluzione conviene a tutti, e che non è neanche così difficile, si allontana a causa di condotte irrazionali e di interessi di gran lunga meno rilevanti del danno che provocano.

Nel 2011 la Grecia si approssimava alla bancarotta, dopo anni in cui il tenore di vita e la ricchezza disponibile erano colà cresciute. Lasciamo da parte i conti taroccati, notoriamente tali e come tali tollerati dalla Commissione Ue. Erano i bassi tassi e la convenienza a far debiti a spingere i disavanzi continui, dando l’impressione di un Bengodi infinito. La crisi dei debiti sovrani infranse il sogno, trasformandolo in incubo. In quel momento sostenemmo che, se l’Unione aveva un senso, non si dovevano abbandonare i greci e non si doveva ipotecare il futuro dei più giovani. Il primo passo fu indecoroso, usando i soldi degli aiuti per salvare le banche, prevalentemente tedesche e francesi, che si erano esposte (a fini di lucro, mica di beneficienza) con la Grecia. Poi, però, i debiti furono due volte tagliati e gli aiuti sono affluiti più copiosi degli interessi (bassi) che i greci pagavano. Chi parla di “strozzinaggio” europeo ha dei seri problemi con l’aritmetica.

Oggi la situazione è ribaltata. Un nuovo governo è al potere, eletto grazie a promesse suggestive, irrealistiche. Pretende che i creditori continuino a prestare denaro, sapendo che non sarà restituito, senza porre condizioni. Che, del resto, non sono tali da impoverire i greci, visto che a tutti conviene che riprendano a crescere, ma servono a chiudere la mangiatoia della spesa pubblica. Veleno per la vita dei giovani ellenici. Per giunta il governo greco se la prende con la Banca centrale europea, che in questi mesi s’è spesa per alimentarli di liquidità, attirando su di sé critiche pesanti e non del tutto infondate. Vogliono non solo la liquidità d’emergenza (che la Bce ancora assicura), ma che sia aumentata. Non si sa dove finisca l’improvvisazione e dove cominci l’impudenza. Hanno chiuso le banche, togliendo ai cittadini il diritto di disporre del proprio denaro, perché sanno che la loro condotta incita alla fuga. Sperare di attribuirne la colpa alla Bce è infantile, oltre che irresponsabile.

Il referendum è truffaldino, perché su un documento tecnico e articolato, che, semmai, dovrebbe essere oggetto di negoziato, non di voto in blocco. Non è pro o contro l’euro, anche perché sanno che la grande maggioranza voterebbe a favore della permanenza (mica sono scemi). Lo hanno inventato perché sanno che la Grecia ha un posto rilevante, nello scacchiere militare europeo, con confini delicati, quindi oggetto di sollecitazioni statunitensi affinché non sia persa (il passato avrebbe dovuto vaccinarli, sui governi militari). Hanno pensato: mettiamo il negoziato davanti a quel bivio e il resto d’Europa sbraca. Il genio della teoria dei giochi, Yanis Varoufakis, lo ha anche detto: cambiate le condizioni e noi diremo di votare sì. Li ha presi per scimmie ammaestrate, i cittadini. Invece quel referendum diventa un alibi per i falchi, per i devoti della contabilità, per chi crede che i conti vengano sempre prima della storia e della politica: lasciateli votare, evviva la (falsa) democrazia: se voteranno a favore del piano, andrà a fondo il governo greco (il bello è che Varoufakis lo nega, candidandosi a sostenere l’opposto di quel che dice); se voteranno contro nessuno avrà buttato fuori i greci, ma saranno loro ad avere deciso. Come trovarsi nell’Oceano e sventrare la chiglia per far dispetto all’equipaggio.

Ci sono sempre le condizioni e le possibilità per sottrarre la Grecia al naufragio, come fin qui s’è fatto, ma per riuscirci è necessario che i greci siano consapevoli che il loro governo è il loro problema. Si sono messi nelle mani dell’ex gioventù comunista e affidati alla sapienza di chi li porta verso una svalutazione ciclopica avendo un lavoro pagato in dollari, negli Stati Uniti. Il popolo è sovrano, ma il 64% dei votanti non li votò. Ora sovranamente deve provvedere. Errori ne sono stati commessi molti, dagli altri europei, compreso l’avere instaurato tavoli non istituzionali, con i soli tedeschi e francesi. Ciò ha indebolito la capacità di risposta istituzionale, rafforzando l’impressione che l’esito del negoziato fosse la sottomissione ad alcuni. Ma Tsipras e Varoufakis non hanno sollevato questo problema, stanno solo provando a trattare in modo inaccettabile. Chiedendo di farlo ancora a lungo. Tocca agli elettori greci fare quello che il loro Parlamento si dimostra incapace di fare. Pagina pessima, foriera di mille complicazioni. Va girata in fretta.

Pubblicato da Libero