lunedì 9 marzo 2015

Leggere il Corano per capire che l'islam non si fermerà. Magdi Cristiano Allam

Quanto mi fanno ribollire il sangue i buonisti, relativisti e islamofili nostrani che di fronte alle atrocità perpetrate dai terroristi islamici che sgozzano, decapitano, ardono vivi, massacrano i «nemici dell'islam», puntualmente si affrettano a scagionare l'islam, Allah, il Corano e Maometto e contemporaneamente ci auto-colpevolizzano sostenendo che i cristiani sarebbero responsabili di crimini non meno efferati compiuti a partire dalle Crociate, così come gli ebrei (anche se non sono israeliani) avrebbero già quasi del tutto completato il genocidio dei palestinesi.
Questo vero e proprio odio nei nostri stessi confronti si sta rivelando il colpo di grazia del tracollo della civiltà profondamente in crisi di quest'Europa sempre più scristianizzata e materialistica, con la prospettiva concreta della sua sottomissione alla dittatura islamica, in un contesto dove sussistono condizioni similari a quelle che portarono all'islamizzazione delle popolazioni delle sponde meridionali ed orientali del Mediterraneo dopo essere state al 99% cristiane per sette secoli.

Dopo la morte di Maometto nel 632, gli eserciti islamici sbaragliarono rapidamente prima l'impero persiano nel 637, poi logorarono l'impero bizantino con la conquista di Siria e Palestina (633-640), Egitto (639-646), Gerusalemme (638). La conquista dell'Africa del Nord avvenne dal 647 al 763. Nel 711 iniziò l'occupazione della Spagna protrattasi per ben otto secoli fino al 1492. Nel 718 gli islamici si spinsero in Francia occupando Narbona, Tolosa (721), Nimes e Carcassonne (725), prima di essere fermati a Poitiers (732). In Italia i primi attacchi islamici alla Sicilia iniziarono nel 652 e il controllo stabile sulla Sicilia è durato fino al 1061, mentre solo nel 1190 finisce la presenza islamica nell'isola. Le incursioni islamiche raggiunsero la Sardegna, Amalfi, Gaeta, Napoli e Salerno, il Monferrato, la Riviera Ligure. Nell'813 gli islamici distrussero l'odierna Civitavecchia, avanzarono verso Roma e saccheggiarono la Basilica di San Pietro e la Basilica di San Paolo per due volte (la seconda nell'864). A Bari fondarono un Emirato islamico durato 25 anni a partire dall'847. La Storia ci dice che dalla morte di Maometto nel 632 fino a quando i cristiani cominciarono a reagire organizzando le Crociate a partire dal 1.096, ovvero 464 anni, gli islamici avevano già occupato con le guerre e una lunga scia di sangue le sponde orientale e meridionale del Mediterraneo, la Spagna, la Sicilia e avevano per due volte saccheggiato la Basilica di San Pietro a Roma.

Ebbene oggi stiamo assistendo all'espansionismo del terrorismo islamico che occupa militarmente dei territori in Siria, Irak, Libia, Nigeria, Mali, Somalia, Yemen, Afghanistan, Pakistan, Indonesia e Filippine; alla crescente islamizzazione delle istituzioni civili in Turchia, Tunisia, Algeria e Marocco; alla presenza di terroristi islamici europei che sferrano attentati all'interno dell'Europa; alla diffusione di una rete sempre più capillare di moschee, scuole coraniche, tribunali sharaitici, enti assistenziali islamici, siti di propaganda jihadisti, centri studi e di formazione che condizionano le leggi secolari e ci impongono di non criticare l'islam, banche islamiche che supportano questa islamizzazione della nostra società. Eppure quest'Europa è sempre più tentennante su come reagire. Se dovessimo attendere non 464 anni ma anche soltanto 40 anni per deciderci ad intervenire per salvare quel che resterà di cristianità sulle altre sponde del Mediterraneo ma soprattutto per salvarci dal terrorismo e dall'invasione islamica all'interno stesso dell'Europa, sarà decisamente troppo tardi. Non esisteremo più né come società europea né come civiltà laica e liberale dalle radici cristiane. La nostra debolezza l'ha descritta in modo impeccabile monsignor Giuseppe Bernardini, vescovo di Smirne, quando il 13 ottobre 1999, ha raccontato che «durante un incontro ufficiale sul dialogo islamo-cristiano, un autorevole personaggio musulmano, rivolgendosi ai partecipanti cristiani, disse a un certo punto con calma e sicurezza: «Grazie alle vostre leggi democratiche vi invaderemo; grazie alle nostre leggi religiose vi domineremo». C'è da crederci, perché il «dominio» è già cominciato con i petrodollari, usati non per creare lavoro nei Paesi poveri del Nord Africa e del Medio Oriente, ma per costruire moschee e centri culturali nei Paesi dell'immigrazione islamica, compresa Roma, centro della cristianità. Come non vedere in tutto questo un chiaro programma di espansione e di riconquista? È un fatto che termini come «dialogo», «giustizia», «reciprocità», o concetti come «diritti dell'uomo», «democrazia», hanno per i musulmani un significato completamente diverso dal nostro. Sappiamo tutti che bisogna distinguere la minoranza fanatica e violenta dalla maggioranza tranquilla e onesta, ma questa, a un ordine dato in nome di Allah o del Corano, marcerà sempre compatta e senza esitazioni. Ecco perché oggi più che mai è necessario conoscere il Corano. «O voi che credete, non sceglietevi per alleati i giudei e i nazareni, essi sono alleati gli uni degli altri. E chi li sceglie come alleati è uno di loro. In verità Allah non guida un popolo di ingiusti» (5, 51). «Vorrebbero che foste miscredenti come lo sono loro e allora sareste tutti uguali. Non sceglietevi amici tra loro, finché non emigrano per la causa di Allah. Ma se vi volgono le spalle, allora afferrateli e uccideteli ovunque li troviate» (4, 89). Sono decenni che la Chiesa promuove, legittima e difende il dialogo con i musulmani. Il risultato concreto è che i cristiani che rappresentavano il 30% della popolazione del Medio Oriente fino al 1945, oggi si sono assottigliati al 3% e continuano a subire un vero e proprio genocidio. Dico che è arrivato il momento di svegliarci dal sonno della ragione con cui ci siamo imposti di non conoscere la verità presente nel Corano, che per i musulmani è Allah stesso. Solo riscattando il nostro dovere di conoscere la verità del Corano potremo salvaguardare la nostra civiltà.

(il Giornale)

 

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