mercoledì 4 aprile 2007

Telecom: Prodi e Bersani nel pallone, a sinistra c'è chi spera in Berlusconi. Carlo Panella

Andrà a finire che il centrosinistra unito chiederà a Berlusconi di salvare la patria e di comprare Telecom. Non è uno scherzo, ma neanche una previsione, è solo una sensazione ampiamente motivata dall’aria che spira nelle tormentate stanze del centrosinistra che da 9 anni si occupa –sempre peggio- di Telecom, che ha favorito irresponsabilmente con D’Alema a suo tempo le più avventate manovre speculative di Colanninno e Gnutti, che è inciampata nel “caso Rovati” e che oggi non sa bene a che santo votarsi. Mentre Di Pietro, Diliberto, Bertinotti e Pecoraro invocano l’interventismo dello Stato, magari “a tutela dell’occupazione”, con la solita confusione di testa tra sindacalisti e economisti, Prodi dà la netta impressione di non sapere bene che fare e di essere travolto, ancora una volta, dagli avvenimenti. La manovra bancaria è sfumata e ora il rilancio operato da Tronchetti rischia di trasformare la controfferta per superare la valutazione delle azioni degli americo-messicani, in una gara al rialzo.
Ma l’Unione non può permettere certo che –Prodi e Ulivo regnanti- gli “amerikani”, straodiati da buona parte della sua base elettorale, mettano le mani sulle nostre telecomunicazioni. Il problema però, è che né Prodi, né Bersani, hanno lavorato nei mesi scorsi all’unica opzione alternativa possibile, quella europea, per la semplice e sporchetta ragione che non hanno rapporti e legami –stile Unipol o Bazoli, per intenderci- con nessun gruppo continentale e quindi hanno puntato tutto sul pool di banche, con evidenti ritorni personali di potere per il loro sempre più urgente progetto di “Iri personale”. Ma le banche, oltre a avere problemi sulla valutazione delle azioni, hanno anche il drammatico problema di non sapere minimamente gestire industrialmente Telecom e una loro vittoria aggraverebbe straordinariamente la “patologia finanziaria” di cui telecom soffre dal 1999, a causa proprio della dissennata privatizzazione pilotata da D’Alema nelle mani di speculatori non industriali..
L’unica alternativa nazionale seria, dotata di capitali adeguati e di know how industriale è dunque Fininvest, magari con un qualche patto o raccordo col gruppo De Benedetti. Ma se così fosse, se i due avversari fossero chiamati a “salvare la patria”, sarebbero evidenti le ricadute politiche. L’uno e l’altro infatti hanno chiare e specifiche strategie di potere. E non è affatto detto che non siano componibili. Una Grosse Koalition tra Mediaset e Repubblica, in fondo, non sarebbe certo peggiore di questo governo sgangherato che un Gino Strada qualsiasi può permettersi il lusso di insultare a sangue (“Un governo di servi e di vigliacchi”, l’ha definito ieri), senza che nessuno gli risponda.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Mi sembra un'ipotesi improbabile seppur meritevole di riflessioni.

Non tanto per l'intervento di CdB ma per quello di Berlusconi.

Il Governo è disposto a fare carte false pur di azzoppare Mediaset, figurarsi se gli consente di acquistare, anche in tandem, il colosso delle tlc.

Senza contare poi che l'attuale legge in vigore, la Gasparri, non permette ai gruppi tv di entrare nel settore della fonia.

Qusto tanto per dire quanto la Gasparri favorisse Mediaset...

Ciao Mauro

maurom ha detto...

La mia sensazione è che la faccia di bronzo della sinistra sia inossidabile.
Siccome, però, la sinistra non fa niente senza tornaconto, sono certo che avrebbero sollevato, dopo, il conflitto di interessi.
Per i compagni è più facile ricattare politicamente Berlusconi che non gli americani o i messicani.
Se Mediaset fosse disponibile, troverebbero anche il modo di aggirare la Gasparri!

Un abbraccio, Moni

Anonimo ha detto...

Datato 5/12/06 ma serve per far luce alle cose che vengono nascoste...da entrambi gli schieramenti(alla faccia degli imbecilli che credono nella contrapposizione destra-sinistra)

PRODUSCONI
Secondo l'Apcom e il Sole-24 ore, il 30 novembre il gover­no Prodi ha difeso la legge Ga­sparri nella causa che oppone lo Stato Italiano all'emittente Euro­pa7 di Francesco Di Stefano da­vanti alla Corte di giustizia euro­pea, esattamente come aveva fat­to fino a maggio il governo Berlu­sconi. Breve riepilogo delle pun­tate precedenti.



Nel 1999 Euro­pa7 vince la gara per le concessio­ni a trasmettere su scala naziona­le. Rete4 e altre emittenti la perdo­no. Si tratta dunque di levare le frequenze occupate dalle tv per­denti e assegnarle a Europa7. Ma, grazie al buon cuore deU'Ulivo e poi alla Gasparri, la terza tv del Bi­scione continua a trasmettere in proroga. Ed Europa7 resta a secco. Dopo una serie di ricorsi al Tar e al Consiglio di Stato, la questio­ne approda alla Corte europea. Qui il governo Berlusconi-Mediaset difende la bottega, cioè la le­gittimità della Gasparri, tramite l'Avvocatura dello Stato. Ma poi, a maggio, cede il passo al gover­no Prodi. Giovedì scorso la Corte europea si riunisce per l'ultima udienza pubblica per rispondere ai quesiti del Consiglio di Stato su 10 questioni di legittimità e conformità della Gasparri al dirit­to comunitario e con la Conven­zione europea dei diritti dell'uo­mo. Tutti attendono il ribaltone: essendo cambiato il governo, si pensa che cambierà anche la sua linea. Invece, sorpresa: l'avvoca­to dello Stato Paolo Gentili man­tiene la stessa linea seguita sotto il governo Berlusconi-Mediaset, limitandosi a precisare che il nuo­vo governo sta riformando la leg­ge.



E dire che lo stesso ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni, rispondendo alla messa in mora della Commissione Euro­pea datata 19 luglio 2006 (a pro­posito delle possibili discrimina­zioni sul mercato tv nell'annunciato passaggio al digitale terre­stre), aveva sostenuto l'illegittimità della Gasparri impegnandosi formalmente a riformarla: Di Ste­fano, assistito in Europa dagli av­vocati Pace, Mastroianni e Grandinetti, dichiara sdegnato che l'atteggiamento del governo Pro­di «è uno scandalo, una difesa as­soluta e continua delle posizioni del governo Berlusconi e della Gasparri». Come se non fosse cambiato nulla.



Ora, visto che la riforma Gentiloni è di là da veni­re, se la Corte europea desse ragio­ne a Di Stefano (e torto al gover­no), il Consiglio di Stato non po­trebbe far altro che trasferire a Eu­ropa7 le frequenze abusivamente occupate da altri. Che aspetta dunque il governo a riconoscere a Europa7 i diritti acquisiti? E quante linee ha il governo Prodi in tema di tv? Il 15 novembre, in­fatti, Gentiloni invia una lettera ufficiale al sottosegretario alla presidenza del Consiglio Enrico Letta, per annunciargli l'immi­nente udienza europea del gior­no 30 e sollecitarlo a modificare le regole d'ingaggio all'Avvocatu­ra dello Stato sul caso Europa7. «Caro Enrico- scrive Gentiloni a Letta, che è anche suo compa­gno di partito nella Margherita -, occorre ridefinire, sia pure con termini e modalità da individua­re, la posizione del Governo ita­liano dinanzi alla Corte, fornen­do all'organo di difesa tecnica dello Stato le opportune indicazioni e tenendo conto del netto muta­mento occorso nell'indirizzo po­litico in materia. I miei uffici re­stano naturalmente a disposizio­ne per ogni utile collaborazione a livello tecnico, affinchè, ove Tu lo ritenga, la Presidenza del Con­siglio fornisca all'Avvocatura del­lo Stato le opportune indicazio­ni». Cos'accada nei 15 giorni suc­cessivi, non è dato sapere. Cos'ac­cade il 30 novembre, purtroppo, si sa. L'Avvocatura, per conto del governo Prodi) prosegue sulla strada tracciata da Berlusconi. Di­fende la Gasparri (cioè Rete4) con­tro Europa7.



Ieri il ds Giulietti ha presentato un'interrogazione par­lamentare per sapere se è tutto ve­ro e, se è vero; chi l'ha deciso e perché. Noi, per parte nostra, sia­mo certi che si tratti dell'ennesi­ma malignità messe in circolo da un diavoletto al soldo della Cdl per mettere in cattiva luce il go­verno Prodi, aizzandogli contro gli elettori dell'Unione. Ma la ma­lignità è talmente grave da esige­re una smentita entro 24 ore. Se non dovesse arrivare, ne dovrem­mo dedurre che gli alti lai elevati dal centrosinistra contro la Ga­sparri quando fu approvata «ad usum Biscioni» erano una sce­neggiata; e che le 282 pagine del programma dell'Unione, che si impegnava a radere al suolo la Gasparri, erano uno scherzo di carnevale fuori stagione. Chi le aveva lette, e soprattutto ci aveva creduto, non la prenderà bene.