La settimana scorsa sono state depositate le motivazioni della sentenza con cui la seconda sezione della Corte d’appello di Palermo ha assolto il 22 ottobre dell’anno scorso l’ex ministro dell’Agricoltura e del Mezzogiorno Calogero Mannino. Il “Giornale di Sicilia” ha dedicato alla notizia mezza pagina (solo a pagina 9) ma nessun quotidiano a diffusione nazionale se ne è occupato seriamente (soltanto un paio vi hanno dedicato una decina di righe). Eppure le motivazioni sono clamorose: “Assoluta inconsistenza del compendio probatorio dell’accusa ogni qualvolta si è provato ad approfondirne i contenuti e specificarne i contorni”; “manifesta vaghezza e genericità” delle accuse dei ‘pentiti’; “apodittico ed empiricamente inafferrabile il preteso contributo dell’imputato al rafforzamento dell’associazione mafiosa”; “oltremodo evanescente, dunque insussistente il presunto patto politico-mafioso”; “non è stato individuato dall’accusa un solo atto amministrativo a firma del Mannino, né è stata addotta prova alcuna di interventi e pressioni si soggetti inseriti in ruoli rilevanti”.
Tutto questo a conclusione di una vicenda che è durata ben 15 anni: Mannino è stato avvisato di reato nel febbraio del 1994; è stato arrestato il 13 febbraio del 1995, è stato tenuto in galera nove mesi e rinchiuso in casa agli arresti domiciliari per un altro anno e due mesi; il processo di primo grado è stato il più lungo processo per mafia celebrato a Palermo, è durato più di cinque anni e mezzo, con 300 udienze, 400 testimoni, 25 ‘pentiti’ oltre 5mila pagine di atti processuali, fino all’assoluzione “perché il fatto non sussiste” pronunciata nel luglio del 2001; il processo d’appello cominciato nell’aprile del 2003 si concluse con una condanna a cinque anni e quattro mesi per concorso esterno in associazione mafiosa nel 2004; le sezioni unite della Cassazione annullarono la condanna con rinvio nel 2005; il secondo processo d’appello, che per cominciare ha dovuto attendere il pronunciamento della Corte Costituzionale (che ha bocciato la legge che prevedeva che bastasse l’assoluzione in primo grado per chiudere la partita) si è concluso con l’assoluzione soltanto il 22 ottobre dell’anno scorso. E tutta la vicenda con una caratteristica che non ha precedenti (e difficilmente potrà avere repliche) nella storia giudiziaria della Repubblica italiana e di qualsiasi altro paese del mondo: per i due anni dell’inchiesta iniziale, per i cinque anni e mezzo del processo di primo grado, per i due anni del primo processo d’appello, per i due anni di attesa per l’annullamento della Cassazione, per la sospensione, per tutto il tempo del secondo processo d’appello, l’accusa contro Mannino è stata sostenuta sempre dallo stesso magistrato, che ha fatto in tempo a fare le indagini preliminari, il processo di primo grado, il primo processo d’appello dopo tre anni, e si è trovato persino pronto, dopo altri tre anni, a sostenere l’accusa nel secondo processo d’appello, dopo l’annullamento e la sospensione.
Pare che ciò sia consentito dal nostro ordinamento giudiziario: un magistrato, lo stesso magistrato può dedicare 14 anni della sua vita a inquisire e a chiedere la condanna dello stesso imputato. Quattordici anni per arrivare a concludere ciò che il Procuratore generale della Cassazione, nel chiedere l’annullamento della sentenza di condanna, ha così definito: “Nella sentenza di condanna di Mannino non c’è nulla. La sentenza torna ossessivamente sugli stessi concetti, ma non c’è nulla che si lasci apprezzare in termini rigorosi e tecnici, nulla che possa valere a sostanziare l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Questa sentenza costituisce un esempio negativo da mostrare agli uditori giudiziari, di come una sentenza non dovrebbe essere mai scritta...”.
Sarà per questa ragione, per non scandalizzare gli uditori giudiziari e i giovani che studiano giurisprudenza, che i giornali hanno evitato di parlarne? (il Velino)
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
11 commenti:
Tg e giornali (a parte il Corriere) hanno confinato la notizia in poche righe, visibili solo al microscopio elettronico. E’ la prima regola del regime: quanto più la notizia è sgradita al potere, tanto più va nascosta. Era già accaduto con i provvedimenti che davano ragione a Genchi, a De Magistris e ai pm di Salerno: omertà totale. La scena si ripete con la sentenza del Tar Lazio che annulla la delibera con cui il Csm nel 2008 trasferì Clementina Forleo da Milano a Cremona per “incompatibilità ambientale”.
Contro la gip, rea di essersi occupata dei padrini politici dei furbetti, si erano scatenati i maggiori partiti e le maggiori cariche (anzi, scariche) dello Stato. Poi il Csm (un solo voto contrario: Antonio Patrono), aveva eseguito la sentenza già scritta. Ma, per il Tar, violò tre volte “il principio di legalità”. 1) Il nuovo ordinamento giudiziario vieta di trasferire un giudice per condotte colpevoli o colpose: proprio quel che ha fatto il Csm, cacciando la Forleo per “esternazioni” che - per legge - non sono punibili. 2) Il Csm ha stabilito che la Forleo non poteva più “svolgere le funzioni con piena indipendenza e imparzialità” a Milano, ma s’è dimenticato di dare “un’esauriente spiegazione”. Dunque la Forleo doveva restare a Milano. 3) La vicepresidente della I commissione, Letizia Vacca (Pdci), anticipò il giudizio definendo Forleo e De Magistris “cattivi magistrati”, dunque avrebbe dovuto astenersi dal voto, per evitare “un’alterazione del procedimento”. Ma se ne guardò bene, coperta dagli altri. Complimenti vivissimi al Csm. E alla libera stampa italiana.
Per certa gente c'è il regime solo quando le fa comodo...
rosicare non ti fa bene alla pellaccia Maurom, vuoi nasconderti dietro frasi del genere, libero di farlo
intanto i fatti sono questi e i tuoi rispettosi quotidiani (leggermente di parte) non riportano queste notizie ma riportano solo ciò che fa piacere al proprio padrone
saluti da un non servo
AMF
Le vite degli altri
Certi editoriali del Corriere contengono un interrogativo incorporato: ma dove vivono gli editorialisti? In camere iperbariche isolate dai rumori esterni? Ieri Pigi Battista, da anni barricato in un igloo dell’Alaska con la radio rotta, spiegava al Pd come perdere qualche altro voto (abbandonando il presunto antiberlusconismo), poi intimava il silenzio sul noto divorzio: «sono vicende private». Ora, se nel suo eremo glaciale fosse trapelata qualche notizia sull’Italia degli ultimi 15 anni, l’editorialista findus saprebbe che: 1) colui che invoca il silenzio stampa sulla propria vita privata possiede (abusivamente) vari giornali di gossip che ingrassano sulla vita privata (spesso inventata) altrui; 2) le sue tv (abusive) mandano in onda la vita privata di derelitti esposti alle telecamere «h 24», anche al cesso; 3) il suo Giornale pubblicò (giustamente) le foto, potenzialmente ricattatorie, del portavoce di Prodi con un trans); 4) il suo Panorama sbatté in copertina («Lo scroccone») Di Pietro accanto a una commessa della Standa, fotogramma isolato e tagliato da una festa con 50 persone; 5) il suo Giornale, che ora invoca la privacy per il padrone, un anno fa sbatté in prima pagina («L’Italia dei calori») un bacio di saluto fra Di Pietro e un’amica dopo una cena con una decina di persone; 6) il noto divorzio nasce dalle liste elettorali per le europee, che prima della cura Veronica erano peggio di un harem e dopo la cura un po’ meno. Tutto questo è politica, non gossip: un giorno, con un po’ d’impegno, magari riuscirà a capirlo persino Battista. Sempreché lo scongelino.
saluti da un non servo
sì, ma leccac.... di Franceschini
serve una legge che addossi la responsabilità penale e civile alla Casta.
Il dipietrismo è una malattia contagiosa: dovrò mettermi la mascherina?
la "mascherina" dovrebbero metterla tutti coloro che hanno dovuto assistere a due ore di autodifesa e campagna elettorale del premier dalla tv pubblica di Vespa, praticamente in assenza di contraddittorio, in barba a ogni regola di par condicio e, aggiungerei, di buon gusto. Siete tanto bravi a scandalizzarvi per Santoro, ma quando a fare un uso strumentale e distorto della tv pubblica è il premier, tutti zitti.
si dopo che lo tesso Berlusconi aveva detto sono fatti privati, e usa il mezzo pubblico per le sue verità
il solito itaGliano... piccolo piccolo
«Vorrei che la storia del divorzio rimanesse nella sfera privata ».
S.Berlusconi
Invece il presidente del Consiglio, nonostante i suoi più fidati collaboratori glielo avesserosconsigliato, ha deciso di andare lo stesso in tv.
LEI PUO' FARE QUELLO CHE VUOLE, E' L'IMPERATORE
Nuova gaffe di Berlusconi: durante una visita nelle zone terremotate, si rivolge così a un'assessore
Scenario dell'episodio, risalente al 25 aprile, le rovine di Bazzano (AQ).
Al momento della foto di gruppo, il premier vede Lia Beltrami, responsabile delle Pari Opportunità della Provincia di Trento, e dice: "Posso palpare un po'la signora?". Il tutto sotto l'occhio delle telecamere di Tca, emittente locale trentina
MITICOOOOO
Posta un commento