domenica 28 giugno 2009

Bondi:"Così Scalfari e Repubblica puntano a rovinare l'Italia". Vincenzo La Manna

Ministro Bondi, siamo dinanzi a minacce e disperazione, come titolava ieri nel suo editoriale Ezio Mauro, «tecnicamente» convinto che dalle parole di Silvio Berlusconi venga fuori una «pulsione totalitaria»?
«Ezio Mauro ed Eugenio Scalfari ritengono, non da oggi, che il popolo italiano sia moralmente tarato e abbia perciò bisogno di essere guidato e governato da una sorta di avanguardia politica e culturale, depositaria della virtù o rappresentante dell’Italia migliore. Dopo avere sperato nell’azione dei magistrati di “Mani pulite” e fiancheggiato la marcia della “gioiosa macchina da guerra della sinistra”, che avrebbe dovuto conquistare il potere, Repubblica ha individuato in Berlusconi l’interprete di quell’Italia moralmente inferiore e bacata che vive nella loro testa».
Perché, secondo lei?
«Il fatto è che non si spiegano come mai quest’Italia, che odiano e che disprezzano, finisca per prevalere rispetto ai loro disegni politici e vinca addirittura le elezioni, nonostante abbia contro tutti i mezzi di comunicazione, tutti gli intellettuali, tutti i rappresentanti dei poteri che contano. Siccome non si fanno una ragione di questo fenomeno, cioè non sono capaci di offrire una spiegazione culturalmente efficace e onesta della realtà, il loro odio e il loro risentimento giunge fino al punto di perseguire ogni mezzo e di utilizzare ogni strumento per liquidare gli avversari politici che si frappongono ai loro progetti e ai loro interessi. Per questo la posizione di Scalfari ha portato la sinistra in un vicolo cieco e ha determinato e determinerà la rovina dell’Italia».
Addirittura?
«Già, perché questo vogliono: la rovina dell’Italia. Come i giacobini, preferiscono distruggere tutto, ricostruire dalle macerie fumanti, piuttosto che riconoscere la realtà, il responso della democrazia. La democrazia che ha in mente Scalfari è quella in cui contano, non gli eletti e il popolo, bensì i cosiddetti poteri “illuminati”, cioè le élites, i circoli politici, economici e culturali che detengono il potere, ma non le sorti della democrazia».
Non le sembra uno scenario troppo impietoso?
«Guardi, il superpartito di Repubblica agisce per annullare la volontà del popolo che si esprime attraverso il fastidio della democrazia e per assegnare il governo della società a un comitato di salute pubblica, come durante l’età del Termidoro, a un gruppo ristretto di cittadini depositari della verità, del bene, della moralità repubblicana. Dovremo essere riconoscenti a Berlusconi vita natural durante per averci salvato e per resistere a questa minaccia eversiva».
Restiamo ancora a sinistra. Come valuta i movimenti interni al Pd in vista del Congresso?
«Credo che abbia detto una parola risolutiva Massimo Cacciari, una persona seria e intelligente, quando ha affermato che un’intera classe dirigente ha fallito nel dare vita a una forza politica riformista di governo. Aggiungendo che è il momento di passare il testimone ai giovani. Come non dargli ragione?».
Ai democratici servirebbe dunque un ricambio generazionale?
«Gli zii, come li ha chiamati sprezzantemente Scalfari, cioè i D’Alema, Veltroni, Franceschini e Bersani, ormai hanno fatto il loro tempo. Il problema per la sinistra, tuttavia, è più complesso, perché gli zii non hanno neppure preparato il rinnovamento, hanno sempre ostacolato la nascita di una nuova classe politica. E oggi capisco che è difficile passare da D’Alema, per quanti difetti abbia, alla Serracchiani».
Rimane ancora il nodo Idv.
«La questione politica dirimente per il Pd, qualunque ne sia il nuovo leader, è proprio il rapporto con Di Pietro. Ma temo che nessuno riuscirà ad affrontarlo e risolverlo con chiarezza, perché l’occasione per far nascere una forza politica riformista è stata persa da decenni. Ora è troppo tardi, e Di Pietro accompagnerà il lento tramonto della sinistra italiana, come un virus che, entrato nel suo corpo, lo ha portato alla morte».
Passiamo al rapporto con l’Udc. Per Verdini bisognerebbe rilanciare l’alleanza con il Pdl. «Il rapporto con l’Udc è complesso».
In che senso?
«Be’, non basta invocarne un’alleanza. È necessario anche prendere atto e rispettare il suo progetto politico, che si fonda sull’autonomia e sul rifiuto del bipolarismo. Inoltre, l’elettorato Udc ha subìto una trasformazione e un mutamento rispetto al passato, che richiederebbe una lettura più approfondita. E il tema, comunque, andrebbe affrontato coinvolgendo la Lega e solo dopo un’ampia discussione all’interno del nostro partito».
A questo punto apriamo il capitolo Carroccio.
«La Direzione del Pdl ha votato all’unanimità un documento politico nel quale l’alleanza tra il Pdl e la Lega di Umberto Bossi, molto simile a quella della Cdu-Csu in Germania, viene riconosciuta come strategica per il cambiamento dell’Italia».
Differenti ma uniti?
«Si tratta di un’alleanza tra forze politiche diverse, in qualche modo in competizione, ma con un grado di affinità e unità molto forte. E prevedere, nel futuro, almeno un rapporto federativo, non sarebbe da escludere a priori».
Pdl: si raccontano frizioni nel «triumvirato» di cui lei fa parte.
«È tutto frutto di ricostruzioni interessate a fornire l’impressione di un progressivo disfacimento del quadro politico, del governo e del partito di maggioranza relativa. In verità, i miei rapporti con gli amici La Russa e Verdini sono eccellenti e la nascita del nuovo partito procede senza alcun problema».
Si continua a discutere sul futuro ruolo di Gianfranco Fini.
«Ai miei occhi ha un grande merito: quello di avere aperto uno spazio di confronto democratico. È una novità estremamente positiva, perché il nuovo partito che nasce ha un leader forte e incontrastato, ma ha bisogno di sviluppare anche una vita democratica aperta e pluralistica. Stiamo preparando la nuova edizione della scuola di Gubbio e spero che il presidente Fini possa partecipare». (il Giornale)

15 commenti:

Anonimo ha detto...

Gossip e politica: "Repubblica un pericolo per la democrazia"



Egregio direttore sono costretto per la seconda volta in pochi giorni a difendermi dal tentativo di Repubblica di denigrarmi, sia usando il «bastone», cercando di colpirmi negli affetti più cari, sia ricorrendo, come ha fatto Eugenio Scalfari in un articolo pubblicato ieri, a deliberate quanto provocatorie insinuazioni.

Nel corso di un dibattito con Eugenio Scalfari svoltosi a Cortina lo scorso anno, dissi apertamente al fondatore di La Repubblica che il suo viscerale antiberlusconismo avrebbe portato la sinistra in un vicolo cieco e alla sua sconfitta definitiva. Avevo visto bene. Non avevo previsto, tuttavia, che il quotidiano che Scalfari dirige avrebbe condotto la sinistra allo snaturamento della propria identità. E ancor meno avevo previsto che l’attacco nei confronti del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi sarebbe stato portato al livello di questi ultimi giorni, fino al punto cioè di mettere a repentaglio gli stessi interessi generali del nostro Paese.
Al pari dei giacobini, il ristabilimento della virtù impone qualsiasi sacrificio, qualsiasi ostacolo deve essere rimosso e ogni strumento può essere utilizzato per il raggiungimento di un fine dichiarato necessario e buono.

Il quotidiano La Repubblica è l’erede principale di questa cultura ed è divenuto nello stesso tempo una specie di «superpartito», che concentra in sé la dimensione politica, quella economica, quella culturale e perfino quella giudiziaria.
La mia opinione è che l’azione di questo «superpartito» costituisca da tempo l’insidia più grande per la nostra democrazia.
Eugenio Scalfari cerca di dipingere il quadro politico e l’atmosfera di questi giorni come se ci trovassimo nuovamente alla vigilia della caduta di un regime, con il corollario di servi, gerarchi e cortigiani, fra i quali vengo annoverato maliziosamente anch’io, in procinto di tradire e di abbandonare la nave.

La maestria di Scalfari, bisogna ammetterlo, consiste da sempre nella capacità di divulgare e accreditare nell’opinione pubblica una visione storiografica, politica e culturale che è esattamente agli antipodi della realtà.
Quello che sta avvenendo in questi giorni è la conferma più clamorosa di quanto sostengo.
Scalfari è abile nel descrivere un regime corrotto e morente, contro il quale il suo quotidiano ha lanciato l’offensiva finale, trascinando con sé anche il Corriere della Sera e ciò che resta della sinistra, mentre la realtà è che un governo democraticamente eletto subisce un’aggressione sistematica da parte di un centro di potere economico e politico, che non può vantare alcuna legittimità democratica né morale, sulla base di una campagna scandalistica paragonabile alla pesca con lo strascico.

Alle porte non vi è la caduta di un regime, come ritiene Eugenio Scalfari, né la fuga di gerarchi felloni, ma vi sarebbe, nell’ipotesi abbia successo il progetto destabilizzante di Repubblica, l’indebolimento della nostra democrazia e la rovina dell'Italia.
Io non dimentico mai che, se Berlusconi non avesse avuto il coraggio di impedire nel 1994 alla gioiosa macchina da guerra della sinistra capitanata da Achille Occhetto di conquistare il potere, l’Italia sarebbe stata governata da una torbida alleanza formata dalla sinistra comunista e da tutti quei poteri economici rappresentati da un quotidiano come La Repubblica, che avrebbe dato vita sì a un vero regime politico privo di alternative.

Anonimo ha detto...

Questo rischio esiste anche oggi, aggravato semmai dalla circostanza che la sinistra rappresenta oggi una larva di soggetto politico, mentre l’influenza di La Repubblica è divenuta dominante.
Per tutte queste ragioni, e non soltanto per l’affetto che mi lega a Berlusconi e la considerazione che ho di lui come di un uomo sotto tutti gli aspetti ammirevole, come risulta anche dalle interviste pubblicate dal suo stesso giornale, noi non cederemo mai, mai, di fronte alla campagna di odio e di delegittimazione orchestrata dal gruppo editoriale L'Espresso-La Repubblica, in combutta con una sinistra ormai al traino di tutte le battaglie più misere e sconclusionate.

Se sapremo sconfiggere anche quest’ultimo disperato attacco contro il governo e contro Berlusconi, la nostra democrazia sarà più salda, il nostro futuro più sereno. Questo gli italiani lo sanno e hanno la possibilità di testimoniarlo con il loro voto.

Sandro Bondi

Anonimo ha detto...

SCENARIO/ Berlusconi rischia il posto per L’Aquila e un gasdotto?
Mauro Bottarelli



«Il Pil, se non succede niente, in altre parole se non continua a cadere, alla fine di quest'anno sarà sceso del 5% circa». Lo ha detto, intervenendo alla presentazione del Rapporto sull'economia dell'Abruzzo, il governatore della Banca d'Italia Mario Draghi. Evviva, finalmente si dicono le cose chiare senza farsi prendere da ottimismi di facciata.


Ma, visto che l’ottimismo nei momenti di crisi può essere un’arma fondamentale, facciamoci due risate con le parole dell’ad di Unicredit, Alessandro Profumo: «Dire che tutti i problemi vengono dalle banche è strutturalmente sbagliato. L'economia reale è in difficoltà, le imprese, soprattutto le piccole, sono in difficoltà per il forte allungamento dei tempi di pagamento dei loro clienti e le banche le stanno sostenendo in questo fenomeno». Impagabile, Woody Allen è davvero un dilettante.



Caro Tremonti, diciamoci la verità: che colpa hanno i banchieri, d’altronde, se pur di rimettersi a posto il Core Tier 1 hanno chiuso i rubinetti nonostante gli aiuti di Stato - i Tremonti-bond che paghiamo direttamente noi correntisti con spread che assomigliano giorno dopo giorno a tagliole - e quelli della Bce? Già, perché nonostante i giornali italiani siano troppo impegnati a raccogliere le fondamentali dichiarazioni di attricette da night club di provincia, l’altro giorno la Banca centrale europea ha iniettato nel sistema creditizio la cifra record di 442 miliardi di euro con tasso d’interesse dell’1% proprio per facilitare la ripresa dell’economia reale: poveri banchieri, che colpa hanno se questa cifra eccede il prestito monstre erogato nel dicembre 2007 - quando il sistema era pressoché al collasso - di 349 miliardi?



Tremonti, da gentiluomo qual è, ha evitato i toni bruschi che un qualsiasi onesto lavoratore avrebbe di fronte a questo scempio della decenza. Ma rallegriamoci, su. Se il Pil italiano si contrarrà del 5% - ma preparatevi almeno a un 6,5-7% - quello irlandese, stando al Fondo Monetario, quest’anno avrà un picco del 13,5% con perdite sugli assets bancari per altre decine di miliardi: c’è sempre qualcuno che sta peggio.



E mentre in America spuntano sgradevoli coperture da parte della Fed riguardo l’acquisizione di Merrill Lynch da parte di Bank of America (ma volete mettere la gravità delle dichiarazioni di un D’Addario qualsiasi?), ecco che dai mercati arriva l’allarme vero: preparatevi a una cavalcata selvaggia dell’oro visto che il bene rifugio per eccellenza sarà l’arma utilizzata dalla Cina per difendersi dalla crisi del dollaro. In poche righe, con poche notizie, gli ottimisti da quattro soldi sono stati liquidati: chi gridava al miracolo scambiando speculazione e rimbalzi del gatto morto per green shots è servito.

Anonimo ha detto...

Ma siccome ilsussidiario.net si è fatto la brutta fama di azzeccarle tutte, ecco che il Financial Times di ieri non ci delude e piazza firma di mandante ed esecutore materiale sulla campagna di immondizia internazionale che sta coprendo Silvio Berlusconi. Se due giorni fa aveva usato il fioretto dell’avvertimento tra le righe, regalandoci un bel servizio sulle disgrazie della Russia e una garbata analisi sulle mire di Generali sul mercato assicurativo di quel paese, ecco che ieri il quotidiano della City è uscito allo scoperto dedicando l’intera pagina 9 al “Futuro di Berlusconi”.



Il pezzo principale, firmato da nientemeno che Guy Dinmore, altro non era che una rassegna del fuggi fuggi dal governo e delle prese di distanza dei ministri da un uomo sempre più isolato: un uomo che non si dimetterà, perché «a parte il suo orgoglio, dimettendosi perderebbe l’immunità dai processi garantitagli dalla sua schiacciante maggioranza».



Perfetto, la parola dimissioni è stata stampata a chiare lettere sulla carta giallina del bollettino dei naviganti. Di spalla, l’analisi diplomatica di James Blits da Londra, il quale definisce Berlusconi «un alleato indispensabile che sta mettendo a dura prova la pazienza di Usa e Ue». Accidenti, cosa ha fatto? Ha organizzato festini anche ad Anversa e Boston rubando le fidanzate a qualcuno? No, dopo aver detto che l’avvento in Francia e Germania di due governi dichiaratamente filo-atlantici (il Napoleone in sedicesima e miss “lo Stato pensa a tutto” filo-atlantici? Reagan si ribalta nella tomba) ha fatto in modo che «l’Italia contasse meno per la Casa Bianca», parole messe in bocca a un fantomatico Eu diplomat, ecco la vera ragione: «Un argomento di attrito con Ue e Usa, dicono diplomatici occidentali, è la decisione di siglare un accordo con la Russia per accelerare il progetto South Stream per un gasdotto nel Caspio. La Russia, infatti, sta costruendo un progetto alternativo a quello sostenuto dalle potenze occidentali e denominato Nabucco che porrebbe fine alla dipendenza europea dal gas russo. Il supporto di Berlusconi per Vladimir Putin è un motivo di rabbia a Washington e Bruxelles», conclude la solita fonte diplomatica Ue, probabilmente il portiere dello stabile in cui ha sede il Financial Times.



Visto, sono bastate 24 ore tra l’avvertimento in codice e l’attacco con il bazooka: anche giornali autorevoli e intelligenti come il quotidiano della City, quando devono portare a termine i compitini conferitigli dai padroni, si fanno prendere dalla fretta, sbagliano il timing e si fanno fare tana come i bambini impacciati e sovrappeso che perdono sempre a nascondino. «Non può giocare questo ruolo verso Putin, sta irritando gli americani», scriveva il Ft sotto dettatura di un’altra fonte Ue che ricordava come Berlusconi abbia deluso anche la Gran Bretagna cercando un dialogo con l’Iran. Poi, l’ultima stoccata: «Ora la nuova sfida è il G8 a L’Aquila, città colpita dal terremoto, una scelta che sta causando nervosismo nelle capitali mondiali».



Poverini, hanno paura delle scosse di assestamento i potenti del mondo. Come scritto ieri, confermiamo oggi: lasciate stare le confessioni estorte e pagate di prostitute più o meno dichiarate e preoccupatevi seriamente per questo nuovo tradimento della sovranità popolare in atto. È un altro 1992, occorre resistere. E leggere il Financial Times, da ieri chiaro come la lettera “Dear Boss” scritta dal giornalista Best per deviare le indagini su Jack lo Squartatore.



P.S. Garbata risposta al pezzo di John Lloyd pubblicato l’altro ieri in prima pagina su Repubblica: io vivo a Londra e scommetto quello che vuole che, fermando chiunque per strada, sceglierebbe tutta la vita un premier con il vizietto delle donne piuttosto che una classe politica di scrocconi tout-court che si fa pagare dai contribuenti anche la sabbietta del gatto, una barretta di cioccolato o la casetta per le anatre da mettere in piscina.

Anonimo ha detto...

BONDI

si avete letto bene
BONDI

quello dei cinepanettoni diventato ministro per meriti diciamo... occulti.


FORZA meritocrazia

minnanon ha detto...

quello dei cinepanettoni è Boldi, non Bondi.
'gnurant

Anonimo ha detto...

arguto minnanon,
e io che volevo dare del comico alla nullità assoluta...
la prossima volta userò parole più appropriate del tipo:

BONDI

si avete letto bene
BONDI

quel lecchino di m... ex comunista di m..., insomma un uomo (uomo?)di m....

FORZA meritocrazia

Anonimo ha detto...

a Bondi nun parlà de politica, concentrati e fai quello che sai fare meglio, far ridere gli elettori


a pagliaccio quando torni con De Sica?

Anonimo ha detto...

A Michela Vittoria Brambilla
(alias Crudelia Salmon)

Ignara bellezza
Rubata sensualità
Fiore reclinato
Peccato d’amore

aaaaaaaaahhhhhhhhhh

BONDIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII!!!!!!!


che te possino

Anonimo ha detto...

a pagliaccio quando torni con De Sica?

Anonimo ha detto...

Draghi & Co.
Chi sono i maghi della finanza che vorrebbero far fuori Berlusconi?

di
Milton
30 Giugno 2009

Lo statuto del Financial Stability Board recita: “Il FSB è stato istituito (nel 1999, ndr) per monitorare la vulnerabilità dei mercati, sviluppare ed implementare politiche regolamentari nell’interesse della stabilità dei mercati” Il FSB è presieduto dal 2006 da Mario Draghi, il Governatore della Banca d’Italia.

Chi, quindi, se non questo santuario dell’establishment finanziario globale avrebbe dovuto non dico prevenire, ma almeno preventivare la crisi finanziaria scoppiata nell’autunno scorso? Ebbene, non si conosce alcun paper o report o semplice monito (tipico rigurgito politically correct con venature moraliste lanciato normalmente da cariche istituzionali) uscito dalle sacre sale del FSB nel biennio precedente la crisi. Assieme a quel museo di mummie in grisaglia che è la BCE, fino al luglio 2008, definivano infatti i fondamentali dell’economia europea sostanzialmente solidi e la bolla immobiliare americana, un evento sotto controllo. Tutto ciò che sono riusciti a fare durante la crisi, è cambiar nome da Financial Stability Forum a Financial Stability Board appunto, sciorinare previsioni con l’accuratezza di una cartomante da tv locale e proporre la solita omelia sulla necessità di regole globali.

Questi sono i cosidetti organismi economici nazionali e internazionali che il Presidente Berlusconi in uno dei suoi quotidiani sussulti antidemocratici avrebbe arrogantemente apostrofato e ai quali vorrebbe mettere il silenziatore. A tale proposito Repubblica, direttamente dalla penna del suo direttore, ci dice che appunto l’establishment finanziario e politico internazionale, ne avrebbe abbastanza di Berlusconi e tiferebbe per un governo tecnico, magari guidato dal Governatore Draghi.

Non vorrei usare, però, la facile e giusta argomentazione già sostenuta dal ministro Tremonti un paio di giorni fa, per la quale anche i governi tecnici hanno bisogno dei voti in Parlamento, anche se ieri alcuni giornali parlavano di almeno 100 parlamentari del PdL “finiani” pronti a dare l’ultimatum al governo in carica.

Vediamo invece cosa questo famoso establishment finanziario nazionale ed internazionale ha combinato per il nostro Paese negli ultimi quindici anni.

Era il 1992, mentre la magistratura partiva all’attacco della Prima Repubblica, il capitalista che piace tanto alla sinistra, George Soros, indusse una svalutazione della lira del 30%, che l’esperto di finanza C.A.Ciampi non solo non riuscì ad arginare, ma, nel tentativo di farlo, prosciugò le riserve in valuta estera della Banca d’Italia: ben 48 milirdi di dollari. Erano i tempi del Governo Amato, colui che nottetempo rapinò i conti correnti di tutti gli italiani con l’ormai famigerato 6 per mille.

Stranamente pochi mesi prima di questa speculazione criminale, per l’esattezza il 2 giugno 1992, avvenne un incontro segreto a bordo del panfilo reale della regina Elisabetta II, il Britannia, al largo di Civitavecchia. A bordo vi erano esponenti del mondo bancario e finanziario e lo scopo era quello di complottare la completa privatizzazione delle partecipazioni statali e dell’industria di Stato a prezzi stracciati a seguito proprio della svalutazione della lira provocata da Soros & Co. Nel mega yacht vi salirono i rappresentanti delle banche Barings, Warburg, Barclays, ecc.; personaggi come Mario Draghi, il direttore generale del ministero del Tesoro dell’epoca, Beniamino Andreatta, George Soros e la stessa regina Elisabetta che si occupò dei saluti ufficiali (a tal proposito, preferisco di gran lunga villa Certosa al Britannia e le veline alla Regina)

Anonimo ha detto...

Fu così che partirono le privatizzazioni in Italia (con Draghi presidente del Comitato per le Privatizzazioni dal 1993 al 2001). Una vera e propria svendita dell’industria pubblica italiana in mani straniere (Buitoni, Invernizzi, Locatelli, Ferrarelle), condita con i soliti favori ai capitalisti italiani senza capitali (sempre il nostro Draghi, con la sua legge omonima, introdusse nel 1998 la normativa sull’OPA che consentì, guarda un po’, a Colaninno di acquisire, senza soldi, Telecom). Queste furono le privatizzazioni, regali all’establishment di monopoli di fatto, privatizzazioni, mai precedute da liberalizzazioni, gestite quasi in esclusivamente da Goldman Sachs, della quale Draghi fu vice-presidente nei primi anni del nuovo secolo.

Nel frattempo, sempre il duo Ciampi-Draghi (Ministro e Direttore Generale del Tesoro) portarono l’Italia nell’euro grazie all’eurotassa (mai completamente restituita) e a un accordo di comcambio lira/euro, per il quale, noi e le nostre aziende, stiamo ancor pagando le conseguenze.Questo è l’establishment che vorrebbe rovesciare il governo Berlusconi, con la grancassa del Times e dei cloni esteri di Repubblica, l’establishment abituato a salire al Quirinale senza aver mai preso un voto, ora vuole, nello stesso modo, anche Palazzo Chigi.

C’è un sola cosa da fare per impedirlo, fare esattemente quello che chi brama il governo tecnico non vuole: le riforme.

Riforme, riforme, riforme, non c’è più tempo per aspettare, a partire dal Dpef.

Anonimo ha detto...

Milton
grande ballerino di buona domenica!!!

Anonimo ha detto...

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Anonimo ha detto...

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