sabato 4 maggio 2013

L'acchito europeo. Davide Giacalone

Le tre tappe europee di Enrico Letta hanno segnato un successo politico e anche una correzione programmatica. Si tratta solo dell’acchito, della prima palla sul biliardo, con la partita ancora tutta da giocarsi. Ma non va sottovalutato. Dalle dichiarazioni programmatiche Letta era partito con un richiamo alla maggiore integrazione europea, condita con la consueta retorica sul continente delle due guerre mondiali, e con un menù di provvedimenti di spesa. La prima cosa troppo generica e la seconda troppo costosa. All’ultima conferenza stampa, quella con Barroso, ha detto che ci si deve concentrare su poche cosa da farsi. Ma veramente. La posizione dell’Italia, inoltre, è ribaltata rispetto a quella impostata dal governo Monti. Ed è migliore.

La prima tappa, in Germania, è stata rituale e inconcludente. Il cancelliere federale ha ripetuto che l’Italia è sulla buona strada, facendo crescere la voglia di farle osservare che lei, invece, no. La stampa e la classe politica di Germania guardano all’Italia come a un Paese chiassoso e inaffidabile, che si presenta sempre con facce diverse. Sta di fatto, però, che il nostro deficit è sotto controllo da tre anni, mentre il loro no. Che il nostro debito pubblico è alto ma non ha poste occulte, mentre il loro contiene occultamenti. Che la disciplina bancaria imposta dalla Banca d’Italia è superiore a quella praticata dalla Bundesbank. Che noi prestiamo i soldi ai greci rimettendoci, mentre loro ci guadagnano e fanno credere d’essere generosi. Che noi abbiamo sacrificato molto all’integrazione dei mercati europei, mentre loro vogliono usare l’insufficiente integrazione monetaria per indebolire il nostro sistema industriale. Quando la finiremo con la sudditanza culturale e politica saranno i tedeschi a dovere dare dimostrazione d’affidabilità.

La seconda tappa, a Parigi, ha creato una sponda proprio per questo lavoro. I francesi sono nazionalisti e (legittimamente) pensano ai propri interessi, ma si rendono conto che non sono affatto tutelati in un’Europa germanocentrica. Si deve lavorare per portarli a sostenere la nascita di un vero sistema bancario europeo, che riconosca la centralità, anche vigilante, della Bce. Le dichiarazioni ufficiali, dopo gli incontri, non dicono nulla d’impressionante, ma il clima è quello buono. Francia e Italia possono essere utili l’una a l’altra.

La terza tappa, a Bruxelles, s’è anche questa conclusa con dichiarazioni rituali. Parzialmente equivoche: sì all’elasticità, ma con rigore dei conti. Che non vuol dire nulla. Ma è servita, spero, per chiarire che il problema non è solo la rigidità dei tedeschi, bensì anche l’errore politico ed economico di quel che esiste del cuore istituzionale Ue. Andando avanti così l’Unione si sfascia, perché non resisterebbe all’uscita di uno o l’altro dall’euro. E andando avanti così a quello s’arriva. Poi, certo, dalle parole ai fatti c’è ancora molto vuoto da colmare, ma forse è iniziata una pagina diversa. Consentita pure dal fatto che, finalmente, la lunga e straziante campagna elettorale tedesca volge al culmine (a proposito di classi dirigenti miopi ed egoiste, di politicanti attenti solo alla propria sorte).

Il fronte va ora allargato. L’Italia non deve essere la capofila dei disgraziati e degli indisciplinati, ma di quanti hanno già pagato più di altri. Non è il somaro inadempiente dei compiti a casa, ma il protagonista parigrado che ha sperimentato sulla propria pelle gli errori della politica europea. Ciò, naturalmente, non toglie che moltissimo deve essere fatto in casa nostra, recuperando immobilismi di lustri. In quanto al documento Ocse, è ovvio che a spesa pubblica immodificata non c’è spazio per i necessari sgravi fiscali. Ma, appunto, è proprio la ristrutturazione della spesa corrente che reclamiamo. Da questo, come dai passati governi.

E’ presto per dire che la missione di Letta è stata coronata da successo, ma non attardiamoci nel non vedere dove si gioca la partita vera. La partita è in corso, l’acchito è buono. E’ anche importante che fuori d’Italia si capisca che le nostre forze politiche e la nostra classe dirigente hanno capito.

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