lunedì 19 gennaio 2009

In piazza l'odio razzista: l'antifascismo come scusa per eliminare gli ebrei. Paolo Guzzanti

All’articolo uno del manuale del perfetto antisemita del XXI secolo c’è scritto: «Io non sono antisemita, io sono antisionista, i nuovi ebrei sono i palestinesi e perfino il mio più caro amico (amica, compagno di scuola, fidanzata) è ebreo/a». Il perfetto antisemita dice, come diceva Stalin quando lanciò la grande purga contro gli ebrei poco prima di morire: «L’antisemitismo è una barbarie nazifascista che noi respingiamo totalmente e con sdegno. Noi però condanniamo il cosmopolitismo». Il perfetto antisemita ha imparato che deve mostrare deferenza alle vittime di Auschwitz e subito dirà che Gaza è la nuova Auschwitz. Quando brucerà in piazza a Bologna o a Milano le bandiere con la stella di Davide, dirà a se stesso che è come se bruciasse la svastica di Hitler. Il perfetto antisemita indossa la kefiah palestinese a quadretti rossi e bianchi o a quadretti bianchi e neri. Il perfetto antisemita resterà indifferente e cambierà discorso se gli mostrate le foto dei militari di Hamas che marciano facendo il passo dell’oca e il saluto hitleriano.

Il perfetto antisemita ignora che il Gran Muftì di Gerusalemme era alleato del nazismo e chiedeva a Hitler di sradicare e uccidere tutti gli ebrei che vivevano in Palestina, questa regione inesistente, inventata dall’imperatore Adriano dopo l’espulsione della maggior parte degli ebrei dal loro regno.Il cosmopolitismo come sinonimo di antisemitismo, caro a Stalin, era il nome che si usava prima dell’antisionismo per evitare di professarsi antisemita, odiatore e, in pectore, sterminatore di ebrei. Cosmopolita era Leon Bronstein, detto Trotskij, ed ebrei cosmopoliti erano i grandi padri della rivoluzione bolscevica fra cui Kamenev, Zinoviev, Sverdlov, Radek, Ioffe e Litvinov per la festa degli antisemiti di tutto il mondo i quali potevano scegliere fra i due grandi complotti ebraici da usare per giustificare il loro antisemitismo. Il primo complotto era quello degli ebrei alla guida della grande finanza e del capitalismo imperialista mondiale e il secondo quello degli ebrei alla guida del comunismo e della rivoluzione mondiale. A scelta.

I giovani e i meno giovani che si rovesciano nelle piazze in questi giorni per urlare il loro odio razzista e viscerale per Israele pensano di poter prendere piccole precauzioni, indossare il loro preservativo morale della premessa antifascista per poter esprimere ciò che le viscere più profonde comandano loro. Odio. Non critica, non preoccupazione, ma odio. Al loro fianco militano moltissimi ebrei che odiano Israele e la propria stessa identità ebraica. Questo è un altro problema dell’ebraismo: l’antisemitismo interno, una varietà di quello esterno, che invoca la negazione dell’identità per raccogliere l’applauso del nemico.
Un passo indietro. George Orwell, in genere citato soltanto per 1984 e per La fattoria degli animali descrisse la furia distruttiva, rabbiosa e violenta contro gli occidentali, quando Hitler attaccò la Polonia (subito imitato da Stalin, secondo accordi congiunti) e tutti i pacifisti francesi, inglesi e americani si rovesciarono come dementi per le strade reclamando «pace subito», e «no alla guerra», intendendo bloccare i governi dei propri Paesi impedendo che scendessero in guerra contro il nazismo. Quella gente orrenda raccontata da Orwell era la stessa, geneticamente la stessa, che oggi brucia le bandiere di Israele e vomita odio per gli ebrei, dicendo di essere «antisionista», per non ammettere di essere antisemita.

Quando ero in Medioriente negli anni Ottanta molti colleghi dei giornali di sinistra di cui non faccio il nome per pietà, raccontavano con successo barzellette antisemite ai palestinesi riscuotendo applausi a scena aperta. Un autorevole commentatore adorava la seguente barzelletta: «Sapete che differenza c’è fra un ebreo e una pizza napoletana? Ve la dico io: venti minuti di cottura al forno». Gli antisemiti confessi hanno sempre delle barzellette bonarie sullo sterminio del popolo ebraico. Sono come l’amico ebreo.

Quello che è successo e sta succedendo sulle piazze italiane è nelle foto e nei telegiornali, nei volti paonazzi, nelle mascherature. Lo stesso atto di bruciare una bandiera è un gesto simbolicamente genocida: esprime il desiderio di mettere al rogo un popolo, un’etnia.

E poi Santoro. Ciò che mancava alla nostra analisi della infernale e ben padroneggiata trasmissione era l’oggetto, lo scopo di Santoro. Che non era quello di fare propaganda, non era quello di sfornare una trasmissione giornalistica squilibrata dalla parte di Hamas, ma quello di promuovere la discesa in piazza. Lo si è capito quando ha troncato brutalmente la parola di chi, seguendo ciò che aveva detto poco prima di andarsene l’Annunziata, sosteneva la necessità di capire, ricondurre alla ragione. Ciò ha fatto saltare i nervi a Santoro: razionalizzare? Capire? Cercare di descrivere i motivi del conflitto? Ma per carità: tutta la trasmissione era indirizzata allo scopo di promuovere la discesa in piazza, la scena di esaltazione collettiva alla Orwell.

A costoro non importa nulla, ma proprio nulla, se nello statuto di Hamas si prescrive non già di uccidere ogni cittadino israeliano (e dunque sgozzare se possibile bambini, vecchi, donne) ma di uccidere «ogni ebreo» sulla faccia della terra. Non è una novità, ma è un dato di fatto che chi difende Hamas e Hezbollah, queste infernali creature iraniane non troppo diverse da quel che era Al Fatah fino ad Abu Mazen, compera in blocco tutto il pacchetto, compresa la prescrizione di assassinare ogni cittadino francese, italiano, americano, olandese e di non importa quale passaporto e bandiera, purché sia «ebreo».

La strategia di Hamas, come prima quella di Hezbollah, è stata sotto questo punto di vista perfetta. Sapendo di non poter competere militarmente, neanche nello scontro corpo a corpo, nel combattimento casa per casa, con le truppe israeliane, i dirigenti di questa organizzazione razzista e nazionalsocialista (un’antica tradizione araba, il nazismo) che è Hamas hanno dichiarato in pubblici comizi che abbiamo visto e ascoltato che alla diversa capacità bellica si deve supplire «con l’industria della morte: noi possiamo trasformare le nostre donne, i nostri bambini, i nostri vecchi, in morti. Loro lo sanno e ne sono felici, sono pronti al sacrificio, e noi dobbiamo farli morire come scudi umani, dobbiamo far sì che la loro morte diventi la nostra migliore arma». Questo è il passaggio cui l’Idf non ha saputo porre rimedio: non è bastato che gli uomini dell’Israeli Defence Forces telefonassero a ogni casa in cui era stata sistemata una rampa, prima di bombardarla. Hamas ha costretto la gente a morire e abbiamo anche visto i video in cui le donne urlano con tutta la loro forza e il loro odio la maledizione ad Hamas, non agli israeliani, per aver causato la morte dei loro bambini.

Ma per il mondo di Santoro tutto ciò è dettaglio un fastidioso dettaglio. L’industria della morte andava usata come carburante per rilanciare il vittimismo di chi ha scatenato la guerra con il lancio di migliaia di missili Grad, Qassam, katiushe e colpi di mortaio e attribuire agli israeliani, tutti, la patente di infami assassini.

Gli ebrei che indossano i panni che furono dei loro persecutori e che fanno dei palestinesi gli ebrei di oggi. Sono 40 anni che sentiamo questa litania. E i giovani, i ragazzi e le ragazze italiani che vedono in televisione carri armati da una parte e bambini morti dall’altra, tutte le anime semplici e anche quelle furbe, da che parte volete che siano? Ma naturalmente dalla parte delle apparenti vittime, che poi sono le vere vittime della violenza subita all’interno di una criminale scelta propagandistica.
Pochi sanno che molti ebrei ex combattenti e spesso eroi della prima guerra mondiale furono fascisti e camerati di Mussolini, il quale aveva un’ebrea come fidanzata fissa, la Sarfatti. Alcuni di quegli ebrei si suicidarono per lo schifo e la vergogna delle leggi razziali del 1938. Ma perfino sotto il fascismo e malgrado moltissime enormi infamie (la razzia del ghetto di Roma del 16 ottobre 1943, con partecipazione di delatori fascisti) l’Italia aveva evitato la piaga dell’antisemitismo di massa, corale, quello da «notte dei cristalli».

Oggi siamo al boicottaggio dei negozi degli ebrei, all’alleanza con chi vuole la morte degli ebrei di ogni età, sesso e condizione. E questa massa violenta, stracciona, ignorante, con la bava alla bocca, agitata da capipopolo mediatici e no, che ne fanno uso per la propria protezione dei propri missili, è oggi lanciata sulle strade e le piazze italiane. Per carità, non ditegli che sono emuli di Himmler, seguaci di Goebbels, si offenderanno. Ditegli invece che difendono le buone ragioni dei nuovi ebrei, quelli che legano le donne e i bambini ai loro cannoni per farne carne da televisione e vincere sul piano politico e mediatico le guerre che non sanno combattere sul terreno. (il Giornale)

17 commenti:

Anonimo ha detto...

Bell'articolo.
m.t.

Anonimo ha detto...

"Oggi è stata scritta una delle pagine più buie della storia della magistratura italiana.

Riportiamo qui sotto la notizia con la freddezza di un lancio di agenzia.

Oggi due magistrati sono stati trasferiti e uno è stato addirittura sospeso dallo stipendio (misura che si comminava prima per condotte – E NON PER PROVVEDIMENTI - gravissime come una ipotesi di corruzione o simili) perché hanno scritto un provvedimento giudiziario che non è piaciuto al potere.

Come questo possa essere ritenuto compatibile con gli articoli 101 («i giudici sono soggetti soltanto alla legge») e 107 («i magistrati sono inamovibili») della Costituzione resta un autentico mistero.

Come una qualunque riforma fatta da Berlusconi possa porre l’indipendenza della magistratura in una condizione peggiore di quella in cui l’ha posta questo C.S.M. è un altro mistero.

L’effetto intimidatorio di questi provvedimenti su tutti i magistrati, che da domani, quando uno dei tanti avvocati/onorevoli in giro per i Tribunali o uno dei tanti capi di uffici giudiziari amici di questo o quel potente uomo politico li minacceranno rispetto al possibile contenuto di questo o quel provvedimento, si vedranno passare davanti l’immagine del Procuratore Apicella privato dello stipendio solo per il contenuto di un atto giudiziario da lui approvato, è evidente.

Cosa abbiano in comune con la maggior parte dei magistrati italiani quelli che stanno al C.S.M. e ai vertici dell’A.N.M. (che hanno applaudito sui giornali all’iniziativa del ministro Alfano) è difficile comprenderlo.

Da oggi, comunque, l’indipendenza dei magistrati, che è sempre stata compressa più di ogni altra cosa, non esiste più neppure formalmente.

Della democrazia in questo Paese non è rimasto più niente. Solo vuote parole per imbonire un popolo di sudditi.

E' una notte profondissima. Abbiamo il cuore a pezzi e un dolore profondo nell'anima.

Non siamo stati capaci di difendere ciò per cui tanti sono morti.

Abbiamo tradito tutti i colleghi assassinati per non essersi piegati all'ingiustizia e Giorgio Ambrosoli e Guido Rossa e Vittorio Bachelet e ogni singolo poliziotto e carabiniere caduto in servizio e ogni onest'uomo che ha sacrificato il proprio interesse a quello di tutti.

Ci hanno consegnato un patrimonio di valori pagato con le loro vite e noi abbiamo permesso che fosse buttato via per le brame di potere di pochi.

La storia si incaricherà, come sempre, di farci pagare a caro prezzo questo tradimento.



da Ansa.it del 19 gennaio 2009

ROMA - E’ contenuto in una ventina di righe il dispositivo della decisione con la quale la sezione disciplinare del Csm ha disposto la sospensione dalle funzioni e dallo stipendio del procuratore di Salerno Luigi Apicella e il trasferimento dei suoi colleghi Dionigio Verasani e Gabriella Nuzzi, del pg di Catanzaro Enzo Jannelli e del suo sostituto Alfredo Garbati. “La sezione disciplinare del Csm, visti gli articoli 13, secondo comma e 22, primo comma del decreto legislativo 23 febbraio 2006 n. 109, in parziale accoglimento della richiesta del pg presso la Cassazione e del ministro della Giustizia dispone: - la sospensione cautelare facoltativa dalle funzioni e dallo stipendio nonché il collocamento fuori dal ruolo organico della magistratura del dott. Luigi Apicella, con corresponsione al medesimo di un assegno alimentare nella misura sancita dall’articolo 10, secondo comma del decreto legislativo n. 109 del 2006”; - il trasferimento cautelare provvisorio dei dottori Dionigio Verasani e Gabriella Nuzzi, sostituti procuratori della Repubblica presso il tribunale di Salerno all’attuale sede e dalla funzione requirente; - il trasferimento cautelare e provvisorio dei dottori Enzo Jannelli, procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Catanzaro e Alfredo Garbati, sostituto procuratore generale presso la Corte di appello di Catanzaro, dall’attuale sede e dalla funzione requirente”. La sezione disciplinare inoltre “rigetta la richiesta di trasferimento cautelare provvisorio dei dottori Domenico De Lorenzo, sostituto pg presso la Corte di appello di Catanzaro e Salvatore Curcio, sostituto procuratore presso il tribunale di Catanzaro, applicato alla procura generale presso la Corte di appello di Catanzaro”.

dal blog UGUALE PER TUTTI:
www.toghe.blogspot.com

Irene

Anonimo ha detto...

di Luigi De Magistris
(Giudice del Tribunale di Napoli)


da Micromegaonline


"L’altro giorno, in uno dei tanti viaggi tra Napoli e Catanzaro, ascoltavo la bellissima canzone di Francesco De Gregori e mi venivano in mente frammenti di storia scritti da magistrati della Repubblica italiana.

Pensavo al coraggio del Procuratore della Repubblica di Palermo, Gaetano Costa, che, da solo, si assunse la responsabilità di firmare degli ordini di cattura, al coraggio di Rosario Livatino ed Antonino Scopelliti che non piegarono la testa e decisero di esercitare il loro ruolo con rigore ed indipendenza, a quello di Paolo Borsellino che consapevole di quello che stava accadendo ai suoi danni cercava di fare presto per giungere alla verità e per comprendere anche le ragioni della morte di Giovanni Falcone e degli uomini della sua scorta.

Pensavo a quanta mafia istituzionale accompagna tanti eccidi accaduti negli ultimi trent’anni.

Pensavo a quello che sta accadendo in questi mesi in cui si consolidano nuove forme di “eliminazione” di magistrati che non si omologano al sistema criminale di gestione illegale del potere e che pretendono, con irriverente ostinazione, di adempiere a quel giuramento solenne prestato sui principi ed i precetti della Costituzione Repubblicana, nata dalla resistenza al fascismo.

Pensavo a quello che possono fare i singoli magistrati oggi per opporsi ad una deriva autoritaria che ha già modificato di fatto l’assetto costituzionale di questo Paese.

Pensavo a quello che può fare ogni cittadino di questa Repubblica per dimostrare che, forse, ormai, l’unico vero custode della Costituzione Repubblicana non può che essere il popolo, con tutti i suoi limiti.

In attesa di quel fresco profumo di libertà – del quale parla il mio amico Salvatore Borsellino e per il quale ci batteremo in ogni istante della nostra vita, in quella lotta per i diritti e per la giustizia che contraddistingue ancora persone che vivono nel nostro Paese – che ci farà comprendere quanto concreto sia il filo conduttore che accomuna i fatti più inquietanti della storia giudiziaria d’Italia degli ultimi 30 anni, non dobbiamo esimerci dall’evidenziare alcune brevi riflessioni.

In attesa dei progetti di riforma della giustizia (che mi pare trovano d’accordo quasi tutte le forze politiche) che sanciranno, sul piano formale, l’ulteriore mortificazione dei principi di autonomia ed indipendenza della magistratura, non si può non rilevare che i predetti principi – che rappresentano la ragione di questo mestiere che, senza indipendenza ed autonomia, è solo esercizio di funzioni serventi al potere costituito – sono stati e vengono mortificati proprio da chi dovrebbe svolgere le funzioni di garanzia e tutela di tali principi.

Dall’interno della Magistratura, in un cordone ombelicale sistemico di gestione anche occulta del potere, con la scusa magari di evitare riforme ritenute non gradite, si procede per colpire ed intimidire (anche con inusitata deprecabile violenza morale) chi, all’interno dell’ordine giudiziario, non si omologa, non intende appartenere a nessuno, non vuole assimilarsi alla gestione quieta del potere, ma rimane fedele ed osservante dei valori costituzionali di uguaglianza, libertà ed indipendenza che chi dovrebbe garantirne tutela – anche con il sistema dell’autogoverno – tende, in realtà, a voler governare, dall’interno, la magistratura rendendola, di fatto, prona ai desiderata dei manovratori del potere.

Ma non bisogna avere timore. La storia – ed ancora prima la conoscenza e la rappresentazione di fatti quando essi saranno pubblici – ci faranno capire ancor meglio di quanto tanti hanno già ben compreso, le vere ragioni poste a fondamento di prese di posizione anche di taluni magistrati (alcuni dei quali ritengono anche di svolgere una funzione di “rappresentanza”, in realtà, concretamente, insussistente).

Quello che rileva in questo momento e che mi pare importante è che, in attesa del fresco profumo di libertà, che spazzerà via alcuni protagonisti indecenti di questo periodo, ogni magistrato abbia un ruolo attivo, non si disorienti, diventi attore principale – nel suo piccolo ma nella grande “forza” di questo mestiere che richiede oneri prima ancora che onori – della salvaguardia dei valori costituzionali.

Ognuno di noi, chi ha deciso di fare questo lavoro con amore, passione e forte idealità, ha un luogo, interno alla propria coscienza, al proprio cuore ed alla propria mente, dal quale attingere forza e determinazione nei momenti bui. E’ questa l’ora delle risorse auree: se insieme sapremo esercitare le nostre funzioni in autonomia, libertà, indipendenza, senza paura di essere eliminati da intimidazioni istituzionali o da “clave” disciplinari utilizzate in violazione della Costituzione Repubblicana.

Per me, le riserve energetiche sono state e sono tuttora, soprattutto, le immagini di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, anche perché nei giorni delle stragi mafiose – con riferimento alle quali attendiamo verità e giustizia anche per le complicità sistemiche intranee alle Istituzioni – avevo appena consegnato gli scritti nel concorso in magistratura. Quando Antonino Caponnetto disse che tutto era finito, nel mio cuore ed in quello di molti altri magistrati è scattata una molla per dimostrare che non doveva essere così, che, invece, bisogna lottare e non mollare mai. Anche nella certezza di poter morire - come diceva Paolo Borsellino nella consapevolezza che tutto potesse costarci assai caro – vi sono magistrati che ogni giorno cercano di applicare, nei provvedimenti adottati, il principio che la legge è uguale per tutti.

Da quando le organizzazioni mafiose hanno dismesso la strategia militare di contrasto ed eliminazione dei rappresentanti onesti e coraggiosi delle Istituzioni, il livello di collusione intraneo a queste ultime si è consolidato enormemente, tanto da rappresentare ormai quasi una metastasi istituzionale che conduce alla commissione di veri e propri crimini di Stato. Questo comporta che oggi dobbiamo difendere, ogni giorno e con i denti, la nostra indipendenza e l’esercizio autonomo della giurisdizione – nell’ossequio del principio costituzionale sancito dall’art. 3 della Costituzione – anche da veri e propri attacchi illeciti, talvolta condotti con metodo mafioso, provenienti dall’interno delle Istituzioni.

Che può fare, allora, un magistrato? Che può fare un Uditore Giudiziario che a febbraio prenderà le funzioni giurisdizionali? Che può fare un Giudice civile? Che può fare un Giudice del Tribunale del Riesame? Che può fare un Giudice del settore penale? Che può fare un Pubblico Ministero? Che possiamo fare quelli di noi che non si piegano al conformismo giudiziario? Che possiamo fare quelli che vogliono esercitare solo questo lavoro con dignità e professionalità, senza pensare a carriere interne o esterne all’ordine giudiziario?

Credo che la ricetta è semplice, anche se sembra tutto così complicato in questo periodo così buio per la nostra Costituzione per la quale non dobbiamo mai smettere di combattere: si deve decidere senza avere paura – innanzi tutto di chi dovrebbe tutelarci e che si dimostra sempre più baluardo di certi centri di interessi e poteri, nonché fonte di pericolo per l’indipendenza del nostro stupendo lavoro –, senza pensare a valutazioni di opportunità, senza scegliere per quella opzione che possa creare meno problemi, decidere nel rispetto delle leggi e della Costituzione, pronunciarsi nel segno della Verità e della Giustizia.

In tal modo, avremmo adempiuto, con semplicità e nello stesso tempo con coraggio, al nostro mandato, la coscienza non si ribellerà con il trascorrere del tempo, magari potremmo anche capitolare, ma, come dice Salvatore Borsellino, lo avremmo fatto senza “esserci venduti”. Non avremo svenduto la nostra indipendenza, non avremo piegato la nostra coscienza, non avremo abdicato al nostro ruolo, non avremo abbassato la testa: ci ritroveremo con la schiena dritta, con il morale alto, con il rispetto di tutti (anche dei nostri avversari).

Questo ci chiedono le persone oneste: di non “consegnarci” e mantenere alto il prestigio dell’ordine giudiziario in un momento in cui la questione morale assume connotati epidemici anche al nostro interno. Non bisogna avere paura di un potere scellerato che pretende di opprimere la nostra libertà ed il nostro destino.

Ai giovani colleghi mi permetto, con umiltà e per l’immenso amore che preservo per questo lavoro, di esortarli a non temere mai le decisioni giuste e di perseguire sempre la strada della giustizia e della verità anche quando questa può costare caro. Io ero consapevole che mi avrebbero colpito e che mi avrebbero fatto del male, ma non ho mai piegato, nemmeno per un istante, il percorso delle mie scelte ed oggi mi sento, come sempre, sereno, ricco di energie, molto forte, perché dentro il mio cuore e la mia mente sono consapevole di aver espletato ogni condotta nell’interesse della Giustizia e nel rispetto delle leggi e della Costituzione Repubblicana.

Non ascoltate quelle sirene, anche interne alla nostra categoria, che vi inducono – magari in modo subdolo e maldestro – a piegare la testa in virtù di una pseudo-ragion di stato che consisterebbe nel pericolo imminente di riforme sciagurate, per evitare le quali dobbiamo, strategicamente, “girarci” dall’altra parte quando ci “imbattiamo” nei c.d. “poteri forti”. Le riforme – anzi le controriforme – ci saranno comunque, forse saranno terribili, ma almeno non dobbiamo essere noi a dimostrarci timorosi e con le gambe molli, malati, come diceva Piero Calamandrei, di agorafobia.

L’indipendenza si difende senza calcoli e ad ogni costo, l’amore della verità può costare l’esistenza.

Ed essa si difende anche da chi la mina, in modo talvolta anche eversivo, dal nostro interno. Nella mia esperienza gli ostacoli più insidiosi sono sempre pervenuti dall’interno della nostra categoria: non sono pochi i magistrati, oramai, pienamente inseriti in un sistema di potere criminale che reagisce alle attività di controllo e che si muove, dal sistema, per evitare che sia fatta verità e giustizia su tanti fatti criminali inquietanti avvenuti nella storia contemporanea del nostro Paese.

Sono convinto che la magistratura non soccomberà definitivamente solo se saprà ancora esercitare la sua funzione senza paura, ma con coraggio, nella consapevolezza che anche da soli, nella solitudine propria della nostra funzione, quando ognuno di noi deve decidere e mettere la firma sui provvedimenti, e, quindi, valutare fatti e circostanze, lo farà senza farsi intimidire dalle conseguenze del suo agire.

La paura rende gli uomini schiavi, così come le decisioni dettate con un occhio a carriere e posti di comando sono destinate a mortificare le funzioni prima ancora che rendere indegne le persone che le rappresentano.

Quindi, in definitiva, la storia la dobbiamo scrivere anche noi, nel nostro piccolo mondo, pur nella consapevolezza che alcuni di noi pagheranno un prezzo ingiusto e magari anche molto duro, ma questo è per certi versi ineluttabile quando si è deciso di svolgere una funzione che ci impone di difendere, nell’esercizio della giurisdizione, i valori di uguaglianza, libertà, giustizia, verità, quali effettivi garanti dei diritti di cui i cittadini, ed in primis i più deboli, ci chiedono concreta tutela."


Irene

Anonimo ha detto...

Dopo le riflessioni di Paolo Guzzanti, suggerisco la lettura di alcune parole del Santo Padre, riportate dall'Osservatore Romano.

Anonimo ha detto...

BOSSI

BAU!! bAU!!! BAUUUUUU!!!
BAU!! bAU!!! BAUUUUUU!!!
BAU!! bAU!!! BAUUUUUU!!!
BAU!! bAU!!! BAUUUUUU!!!
....
BAU!! bAU!!! BAUUUUUU!!!
UHUHUHUHUHUHUHUHU!!!!!!

A CUCCIA!!!!
cAI! CAI! CAAAIII!

Anonimo ha detto...

Ma non ignora e non può far finta di niente leggendo che Israele, approfittando del cambio della guardia alla presidenza degli Stati Uniti, bombarda palazzi ONU, scuole e ospedali, combatte con l'esercito contro civili disarmati in spregio a ogni regola del diritto internazionale, non ignora che Israele ha rotto per prima la tregua e che utilizza armi non convenzionali come il fosforo, l'uranio e armi che dilaniano le vittime provocando un'inutile sofferenza e la contaminazione di quei territori per secoli, secondo quanto ha relazionato l'inviato dell'alto commissariato ONU per i diritti umani, che è ebreo (relazione del 9 gennaio 2009, che ho pubblicato per intero nel post precedente). Un perfetto antisemita pure lui? Ma per favore.

Irene

Anonimo ha detto...

Il relatore dell'alto commissariato ONU per i diritti umani è il professor Richard Falk. Ecco il suo curriculum e il testo di una sua intervista. Non sarebbe male dse Guzzanti si informasse megio, come dovrebbe fare ogni buon giornalista.

Dondolando verso un Olocausto Palestinese. Un'intervista con Richard Falk
Qualche giorno fa, le autorità israeliane hanno espulso il professor Richard Falk, Relatore Speciale delle Nazioni Unite per i Diritti Umani nei Territori Palestinesi Occupati, che era entrato nel paese per indagare sulle violazioni dei diritti umani in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, occupate da Israele. Il collaboratore di Electronic Intifada Victor Kattan ha intervistato Falk sui motivi che stanno dietro la sua espulsione, sul paragone che egli ha fatto tra il trattamento dei palestinesi da parte di Israele e i crimini nazisti compiuti durante la seconda guerra mondiale, sul suo duplice ruolo di accademico e di sostenitore dei diritti umani, e su come i difensori di Israele stornano l’attenzione da quello che sta succedendo nei territori, attaccando i critici della politica israeliana.

Richard Falk è professore emerito di diritto internazionale all’Università di Princeton e membro del Foro di New York. Attualmente è professore ospite di Studi Internazionali all’Università Santa Barbara in California. Dal Marzo del 2008 è Relatore Speciale per i Diritti Umani nei Territori Palestinesi Occupati alle Nazioni Unite. Falk è autore di oltre 20 libri di diritto internazionale e ha fatto parte della commissione d’inchiesta MacBride sulle atrocità commesse a Beirut nel 1982 nei campi profughi di Sabra e Shatila, come pure della commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite sulle violazioni dei diritti umani commesse in seguito alla seconda intifada palestinese del Settembre del 2001. Il suo ultimo libro, Achieving Human Rights [Ottenere i diritti umani] è stato pubblicato da Routledge nell’Ottobre del 2008.

Victor Kattan: Lei è stato recentemente espulso dal governo israeliano quando è atterrato all’aeroporto Ben Gurion nella sua veste di Relatore Speciale delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, anche se ai due assistenti che viaggiavano con lei era stato concesso il visto per entrare nel paese, e nonostante il fatto che il ministero degli esteri israeliano avesse ricevuto in anticipo una copia del suo itinerario di viaggio, che includeva un incontro con il Presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas. Per quale motivo, secondo lei, è stato recluso per 20 ore e poi espulso?

Richard Falk: Naturalmente posso solo indovinare le motivazioni israeliane. La rappresentante del Ministero dell’Interno all’aeroporto ha insistito che stava semplicemente eseguendo un’ordine del ministero degli esteri di impedirmi l’ingresso. Ma questo non spiega perché non sono stati fatti sforzi per informare di ciò in anticipo l’Ufficio dell’Alto Commissario per i Diritti Umani. A mio parere, Israele voleva darmi una lezione per le mie precedenti critiche, e soprattutto, mandare alle Nazioni Unite il messaggio che Israele non ha intenzione di collaborare con un loro rappresentante che sia sgradito al governo. Naturalmente, il vero significato della mia esperienza riguarda il presunto diritto di uno stato membro a stabilire chi può rappresentare le Nazioni Unite nel valutare i comportamenti contestati. Se Israele avrà successo, questo costituirà un malaugurato precedente, e per questa ragione resisterò alla tentazione di dimettermi e lavorerò duro per essere un efficace Relatore Speciale, nonostante l’incresciosa impossibilità di visitare i territori palestinesi sotto occupazione.

VK: Nel Giugno del 2007, lei ha scritto un articolo intitolato “Dondolando verso un Olocausto Palestinese”. Nell’articolo, ha posto la domanda seguente: “E’ un’esagerazione irresponsabile associare il trattamento dei palestinesi con il vituperato record nazista di atrocità collettiva?”. Lei ha risposto affermando: “Non penso. I recenti sviluppi a Gaza sono particolarmente inquietanti perché esprimono in modo così vivido l’intenzione deliberata da parte di Israele e dei suoi alleati di sottoporre un’intera comunità umana a delle condizioni di crudeltà estrema, potenzialmente mortali. Il suggerimento che questo schema di comportamento è un olocausto in via di formazione rappresenta un appello disperato ai governi della comunità internazionale e all’opinione pubblica affinchè si agisca con urgenza per impedire che le tendenze genocide attualmente in corso si risolvano in una tragedia collettiva. Se l’etica di una “responsabilità di proteggere”, recentemente adottata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite come base dell’”Intervento umanitario” dovesse mai venire applicata, allora è questo il momento di agire, per iniziare a proteggere il popolo di Gaza da ulteriori pene e sofferenze”.

Si rammarica di avere scritto queste parole? Se no, perché no?

RF: Questa per me è una domanda complicata. Ho scritto queste parole prima di essere nominato Relatore Speciale, come un cittadino impegnato che era profondamente preoccupato dal fatto che la situazione disperata del milione e mezzo di palestinesi di Gaza è ignorata dalle elite internazionali. Sentivo all’epoca che si trattava di una catastrofe umanitaria tuttora in corso, e che poteva trasformarsi in qualunque momento in una tragedia di proporzioni massime, a causa della fame e delle malattie. Retrospettivamente, penso adesso che sia stato innopportuno associare esplicitamente queste preoccupazioni, che rimangono forti come prima, all’esperienza storica degli ebrei nell’Olocausto. Di fatto, [tale associazione] è finita in mano agli apologeti delle tattiche israeliane di occupazione per spostare il dibattito dal dramma palestinese alle implicazioni incendiarie del collegamento con gli eventi dell’era nazista. Questo rientra nello schema più ampio, da parte di Israele, di spostare il dibattito dalla realtà dell’occupazione alla presunta colpa di quelli che parlano di tale realtà. Io insisto che la misurazione della colpa si dovrebbe basare sulla verità o la falsità di quello che viene riferito, e questo è il dibattito che auspico. In via di principio, mi rammarico anche che il mio collegamento tra la situazione di Gaza e le memorie naziste sia stata dannoso per molte persone, e abbia facilitato una diversione dal mio obbiettivo di richiamare l’attenzione sulla situazione di Gaza. Ho cercato di evitare di usare questo tipo di retorica nelle mie osservazioni successive sulla realtà palestinese, ma sottolinerei che la condizione di fondo di massiccia punizione collettiva dell’intera popolazione civile palestinese è una realtà ancora in corso, ed è nello stesso tempo immorale e illegale.

VK: Alcuni esperti di diritto internazionale considerano l’erudizione accademica e il sostegno ai diritti umani reciprocamente incompatibili: dicono che non si può essere seri studiosi e nello stesso tempo degli attivisti. Lei ritiene, come eminente esperto americano di diritto internazionale, con un lungo e rinomato curriculum accademico, e di militanza per i diritti umani per quasi mezzo secolo – che include, tra le altre cose, l’opposizione alla guerra in Vietnam, all’apartheid in Sudafrica, all’industria delle armi nucleari, all’invasione da parte di Israele del Libano e alla sua occupazione della Cisgiordania e di Gaza, come pure all’intervento della Nato in Kosovo, e all’invasione dell’Iraq del 2003 – che gli esperti di diritto internazionale dovrebbero parlare più spesso? E’ possibile essere un serio studioso di diritto internazionale e un attivista dei diritti umani?

RF: Questa è una domanda importante, che ho ponderato nel corso della mia carriera. Come ho detto in precedenza, la vera misura sia dell’erudizione che dell’impegno civile è la veridicità e l’esattezza, ed io ho sempre cercato di essere obbiettivo in questo senso basilare. Credo che tutti abbiamo identità multiple e che sia perfettamente coerente essere uno studioso che scrive e parla per un pubblico accademico e un cittadino impegnato che agisce allo stesso modo per il pubblico normale. In un certo senso, si tratta di tradurre una forma di comunicazione nell’altra. Credo che sia un contributo importante alla vitalità della società democratica avere il beneficio delle opinioni di un accademico specialista. Nello stesso tempo credo che in una classe sia essenziale, per il professore, essere ricettivo verso i punti di vista che lo contraddicono, e io ho sempre cercato di comportarmi così. Ho scherzosamente sottolineato che tra i miei studenti di Princeton vi sono stati Richard Perle e David Petraeus, il che prova che non indottrino i miei studenti, ma fortunatamente neppure loro riescono a convertirmi ai loro punti di vista. Quello che conta, alla fine, è la convinzione dell’importanza della discussione informata sulle questioni politiche importanti del giorno, sia che riguardi gli studenti, che gli studiosi, che i cittadini.

VK: John Dugard, il suo predecessore come Relatore Speciale delle Nazioni Unite, ha paragonato la situazione nei Territori Palestinesi Occupati con l’apartheid. Lei ha fatto parte della squadra di giuristi per i casi dell’Africa del Sud-Ovest (Namibia), a nome dell’Etiopia, davanti alla Corte Internazionale di Giustizia, negli anni ’60. Sebbene tale corte, in una controversa decisione, decise che l’Etiopia e la Liberia non avevano “nessun diritto o interesse legale di loro pertinenza “ concernente l’illegalità dell’occupazione della Namibia da parte del Sudafrica, lei non vede nessuna somiglianza tra la politica di Pretoria del Grande Apartheid nell’Africa meridionale e quello che sta succedendo oggi nei territori palestinesi? In caso affermativo, quali lezioni possono trarre i palestinesi dal movimento anti-apartheid nel mettere in luce le ingiustizie dell’occupazione da parte di Israele – che dura da quattro decenni - di Gerusalemme Est, della Cisgiordania e di Gaza? C’è un ruolo per il diritto internazionale?

RF: Sì, il mio background comprende una serie decisamente profonda di incontri con la realtà dell’apartheid in Sudafrica. Non molto tempo dopo il mio incarico nel caso davanti alla Corte Internazionale andai in Sudafrica, nel 1968, come osservatore ufficiale a nome della Commissione Internazionale di Giuristi per un importante processo politico tenuto a Pretoria. Mentre stavo in quel paese ebbi per diverse settimane l’opportunità di visitare (illegalmente) le misere città africane, per combinazione in compagnia di John Dugard. Questo mi aiutò ad apprezzare alcuni aspetti delle condizioni politiche estreme che sono importanti per capire la lotta palestinese. All’epoca venni colpito dalla sincera incapacità, da parte dei sudafricani bianchi “civili”, di capire la miseria e l’umiliazione del sistema dell’apartheid, sebbene facesse parte delle loro immediate vicinanze. La politica della negazione faceva sì che un outsider come me poteva “vedere” questa realtà più chiaramente di molti “insider”. Questo mi ricorda una frase di un pacifista israeliano: “La Cisgiordania è più lontana da Israele della Tailandia”. Per la mia esperienza, Gaza è addirittura più lontana. Ho esitato a trarre un’analogia tra il Sudafrica dell’apartheid e l’occupazione israeliana dei territori palestinesi: non volevo una seconda controversia a causa del mio linguaggio provocatorio. Allo stesso tempo vi sono alcuni aspetti istruttivi della vittoriosa lotta sudafricana che potrebbero essere importanti per i palestinesi.

Prima di tutto, un campo cruciale della battaglia è quello di stabilire la natura illegale, e persino criminale, dell’ordine dominante, e di iniziare perciò una battaglia per far leva sui cuori e sulle menti dei popoli del mondo. Gli Stati Uniti e l’Europa sono teatri particolarmente importanti per questa battaglia. La Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) all’Aja può essere d’aiuto nello stabilire la legittimità delle richieste di cambiamento. E’ utile ricordare che in quattro occasioni, l’ICJ è stata chiamata a pronunciarsi sull’apartheid del Sudafrica, e sebbene questi verdetti giudiziari non abbiano ottenuto risultati immediati, hanno contribuito a screditare il regime dell’apartheid. In secondo luogo, il luogo della battaglia è sia esterno che interno, e la possibilità di diventare padroni della situazione rispetto alla legittimità delle richieste si deciderà probabilmente fuori della Cisgiordania e di Gaza, e i campi di battaglia più importanti saranno Israele e gli Stati Uniti. In terzo luogo, non bisogna giudicare le prospettive di successo della parte oppressa dall’attuale equilibrio apparente delle forze. Una forza oppressiva apparirà probabilmente onnipotente fino a quando non sarà sull’orlo del crollo. E’ importante continuare la battaglia, nonostante le frustrazioni e le delusioni, basandoci sulla fede ultima nel trionfo della giustizia.

VK: Molti esperti di diritto internazionale hanno paura di criticare apertamente il governo israeliano per le sue violazioni dei diritti umani perché ritengono di poter essere colpiti nelle loro future prospettive di lavoro, per paura di essere definiti antisemiti o ebrei “che odiano sé stessi”. Come ebreo americano, cosa le ha dato la forza di esprimere le sue convinzioni per così tanti anni nonostante gli attacchi alla sua persona? Ha dei rimpianti? E se potesse tornare indietro, farebbe tutto di nuovo? Che consiglio darebbe ad altre persone sottoposte ad attacchi simili?

RF: Un aspetto increscioso di questo dibattito sulla politica di Israele verso i palestinesi è che sono state usate tattiche diffamatorie. Sono diventato sempre più il bersaglio di questi attacchi, e mi consolo a pensare che sia un segno di una certa influenza e di una certa efficacia. Alan Dershowitz, il famigerato professore di legge di Harvard, ha scritto sui miei viaggi recenti un articolo diffamatorio che inizia paragonandomi a David Duke, la cui fama è legata al Ku Klux Klan, e a Ahmadinejad, e suggerendo che sono un analogo venditore di odio. Questa ostilità irresponsabile è la parte spiacevole del mio ruolo controverso e delle opinioni da me espresse, e sfortunatamente riceve un peso sproporzionato da parte di una cultura mediatica che spesso considera l’odio e gli attacchi personali velenosi più convincenti, e di certo più meritevoli di attenzione, delle prove e del ragionamento. Ma non ho rimpianti. La mia integrità e la mia autostima sono profondamente legate alla mia identificazione, che dura da una vita, con gli oppressi, e alla mia convinzione che se l’umanità vorrà rifiorire in futuro, è essenziale che i forti rispettino la legge, a livello globale, come i deboli. Attualmente, abbiamo un diritto globale che non tratta gli eguali in modo eguale; i deboli vengono ritenuti responsabili, mentre i forti godono dell’impunità. Questo equivale ad una legge senza giustizia, suscitando accuse di ipocrisia e di doppio metro di giudizio. Il mio lavoro, come studioso e come cittadino impegnato, è stato dedicato a promuovere la causa di una giustizia globale basata su un ordine di legalità che impari a trattare gli eguali in modo eguale, sia che si tratti di stati che di individui.

Per quanto concerne il mio essere ebreo, questa è la mia identità. Credo che questa dedizione alla giustizia sia espressa al meglio dai profeti del Vecchio Testamento, ed è il contributo più duraturo della tradizione ebraica alla conoscenza umana e all’esercizio dell’etica. Ho avuto il privilegio, come studente universitario, di studiare Martin Buber, il grande filosofo ebreo, e di ascoltarlo mentre teneva una serie di conferenze all’Haverford College. Il suo messaggio è rimasto con me e mi risuona dentro ancora oggi. Con questo background riesco difficilmente a capire le accuse di “ebreo che odia sé stesso”, o di essere considerato in qualche modo “antisemita”. Rispondo a questi attacchi contro la mia credibilità sottolineando che non mi sento mai antiamericano quando critico la politica estera del governo americano. E’ una tattica incresciosa utilizzata da molti sionisti, quella di equiparare ogni critica allo stato di Israele o alla sua politica all’antisemitismo. Secondo me, questo atteggiamento è profondamente antidemocratico, e minaccia di trasformare il “cittadino” in un “suddito”. Credo che la misura di un buon senso della cittadinanza sia la coscienza, non l’obbedienza. Per tutte queste ragioni, non ho rimpianti, e sebbene non sia stato prudente, dal punto di vista del carrierismo, rifarei tutto di nuovo senza la minima esitazione. In sostanza, non potrei fare altro!

Victor Kattan è un tutor del Centre for International Studies and Diplomacy alla School of Oriental and African Studies di Londra, dove insegna diritto internazionale agli studenti universitari. Il suo libro, From Coexistence to Conquest: International Law and the Origins of the Arab-Israeli Conflict 1891-1949, verrà pubblicato da Pluto Books nel Giugno del 2009. Victor è il curatore di The Palestine Question in International Law, che è stato pubblicato dal British Institute of International and Comparative Law nel Maggio del 2008 e che ospita una serie di articoli di eminenti studiosi di diritto internazionale sul conflitto israelo-palestinese.

Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo:http://electronicintifada.net/v2/article10051.shtml

Irene

Anonimo ha detto...

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Anonimo ha detto...

Mauro,
meno male che, almeno penso, non sei ebreo, altrimenti fra Irene & c.ni ti ritroveresti tritato come una polpetta. Da consumare sulla tavola di Bin Laden.
Intanto sta venendo in luce una macchinazione per attaccare l'Europa con aggressivi biologici.
Chissà come saranno contenti questi "pacifinti" se dovesse toccare a loro di immolarsi per la Loro nobile causa!
Saluti a tutti e un saluto particolare alla gioconda Irene sempre affaccendata a difendere quelli che ci vogliono sterminare. Tutti quanti.

Anonimo ha detto...

BOSSI

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Anonimo ha detto...

"Saluti a tutti e un saluto particolare alla gioconda Irene sempre affaccendata a difendere quelli che ci vogliono sterminare".

:-) ricambio il saluto al gentile anonimo che simpatizza per chi altera scientemente la verità "per orientare "paternalisticamente "le coscienze" (Lucia Annunziata docet), governa facendo il proprio interesse personale e l'interesse dei suoi amici e sta sovvertendo la nostra democrazia svuotandola dall'interno :-)

ciao!

Irene

Anonimo ha detto...

"La paura rende gli uomini schiavi" ...
Bella frase. Una grande verità. Perché non sottoporla a quelli del Pd, in ricordo di quando leccavano gli stivali a Stalin?
Era proprio così, allora:La paura rende gli uomini schiavi.
Signora Lei è grande. Peccato che legga MicroMega. Perfetto non è nessuno.

Anonimo ha detto...

BOSSI

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Anonimo ha detto...

NELLE PIAZZE PROVE TECNICHE DI INVASIONE
di Maria Giovanna Maglie

Oggi fra Lampedusa e Tunisi si decide del nostro futuro di Paese e Stato sovrano. O si forniscono risposte severe e inamovibili o la situazione precipita. Non sembri un’esagerazione, perché siamo già oltre la soglia del pericolo, e il tempo è poco. In meno di un mese gli episodi eversivi che smetteremo di definire spontanei sono aumentati scientificamente, e altrettanto scientificamente si sono diffusi, misurandosi con città e situazioni diverse. Le preghiere di massa alla Mecca, durante e al termine di manifestazioni di odio antisemita, hanno costruito le condizioni per le dimostrazioni nei Centri di permanenza temporanea strapieni di disperati della terra, ma anche di integralisti islamici, a Lampedusa e ieri anche a Massa. Non è che la seconda fase di un progetto che non è audace ma solo onesto definire di intimidazione, sottomissione e infine di invasione culturale, sociale, religiosa, politica.
Partecipano attivamente al progetto i rappresentanti dei sedicenti centri sociali, le organizzazioni non governative, le associazioni più disparate, le sigle comuniste e pacifiste che da molti anni rincorrono la protesta estrema e la rivolta contro governi e forze dell’ordine come forme di battaglia politica. Partecipano pure, e duole constatarlo, gli esponenti di un’opposizione fiaccata e divisa, priva di qualunque idea progettuale, che si è ridotta a portavoce dell’islam, ad alzabandiera dei terroristi di Hamas, al logoro ritornello del rispetto del diverso, dell’accoglienza del rifugiato, recitato in litania sprezzante delle esigenze di sicurezza e delle aspirazioni all’identità dei cittadini italiani. Quando ha governato, il centro sinistra ha preso decisioni antipatriottiche disonorevoli. Un esempio per tutti è stata la decisione di aprire le frontiere alla Romania quando un rinvio sarebbe stato possibile e consigliabile, tanto che altri Paesi europei lo hanno scelto. Era il governo di Romano Prodi, era il ministro Emma Bonino, è bene ricordarne i nomi ogni volta che uno stupro, una rapina, un omicidio, hanno dei romeni come colpevoli. È bene anche ricordare i nomi di magistrati che in occasioni ripetute hanno emesso sentenze ignobilmente e insensatamente indulgenti nei confronti di clandestini delinquenti, stupratori, seviziatori e segregatori delle donne. Il risultato del lassismo, anzi della complicità, ci ha portato ai problemi feroci di oggi.
La sottovalutazione del pericolo rappresentato dalla penetrazione di stranieri priva di tetto e regole ha riguardato in passato anche i governi moderati e liberali, ancora oggi ci sono rigurgiti populisti, tanto è vero che è un sindaco del Movimento per le Autonomie a guidare la falsa rivolta del popolo di Lampedusa a fianco dei clandestini. Oggi non si può esitare, lo dico ricordando Oriana Fallaci, augurandomi ancora che si sbagliasse nella profezia di sventura inevitabile per la nostra patria.

http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=323971

Anonimo ha detto...

BOSSI

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A CUCCIA!!!!
cAI! CAI! CAAAIII!

Anonimo ha detto...

E' una vergogna che l'ONU regali soldoni a Gaza e favorisca in questo modo la sopravvivenza del regime terrorista di Hamas. E' una vergogna che la Comunità Europea faccia altrettanto e non verifichi che il denaro donato non finisca in armi e missili per Hamas. E' una vergogna che l'Egitto che si finge mediatore finga anche di non avere il controllo delle gallerie di passaggio per le armi. Ma dove sfociano queste gallerie se non in Egitto e dietro le guardie di quel confine che l'Egitto stesso dice di mantenere chiuso ???
Chi alimenta il terrorismo !
L'Egitto, l'ONU, l'Europa.
Chi muove un dito contro Hamas ?
Israele a parte, non vedo nesun'altro.

Anonimo ha detto...

..."""E' una vergogna che l'ONU regali soldoni a Gaza e favorisca in questo modo la sopravvivenza del regime terrorista di Hamas.

Siamo al copione della Società delle Nazioni che negli anni precedenti la seconda guerra mondiale consentì a Hitler di fare il suo porco comodo. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti (quelli che non ci hanno lasciato la pelle).