mercoledì 25 febbraio 2009

Razzisti con i romeni? Enzo Bettiza

Secondo il presidente del Senato di Bucarest, Mircea Geoana, gli italiani sarebbero affetti da una vera e propria «romenofobia», cioè da xenofobia e razzismo ormai a senso unico: tutto diretto contro gli immigrati provenienti, con passaporto comunitario europeo, dal più popoloso dei Paesi balcanici.

L’obiezione ci sembra alquanto stonata, al limite offensiva, dopo le equilibrate e anche severe dichiarazioni congiunte fatte l’altroieri dal ministro degli Esteri Franco Frattini e dal suo omologo romeno Cristian Diaconescu. Il fatto che l’altroieri i due ministri abbiano deciso di affrontare pubblicamente insieme, a Roma, uno a fianco dell’altro, la più perniciosa piaga immigratoria di cui da un paio d’anni soffre l’Italia, dimostra per se stesso che né i governanti italiani né tanto meno quelli romeni possono più ignorare un problema divenuto ossessivo e, per tanti aspetti, spaventoso: lo stillicidio ininterrotto di crimini con stupro e ferocia spesso mortale perpetrati da cittadini romeni, crimini che, dopo lo scempio della signora Reggiani, sono purtroppo continuati senza esclusione di colpi e di scelta: coppie di fidanzati inermi, ragazze quattordicenni, ottuagenarie disabili.

Inutile nascondersi dietro un dito o alzarlo per accusare di xenofobia indiscriminata l’ospite, ovvero la società italiana e le sue istituzioni, che semmai dovrebbero venire rimproverate di eccessiva tolleranza legale e umanitaria. Basta un paragone. La Francia, che pure ha avuto il vantaggio di ospitare per decenni emeriti intellettuali e scienziati romeni nei suoi laboratori, nelle grandi università, nei migliori teatri parigini, nelle più prestigiose case editrici.

Ebbene, questa Francia, che ha saputo vivere per lunghi decenni in simbiosi linguistica e culturale con Ionesco, Mircea Eliade, Émile Cioran, non ha esitato a espellere soltanto nel 2008 oltre 7000 indesiderabili romeni. Nel corso dello stesso anno l’Italia ne ha espulsi circa 40, a titolo più che altro simbolico, perché macchiatisi di atti illegali visibili e spesso recidivi.

Quale xenofobia dunque? Chi scrive ha sempre cercato di nominare rispettosamente nei suoi articoli il romeno con la «o» e mai con la «u» inserita da tanti colleghi con sprezzo più o meno consapevole nella parola «rumeno». Ero io stesso un esule dell’Est adriatico, e ne sapevo qualcosa degli scafisti d’arrembaggio che nel primo dopoguerra traghettavano a prezzo salato, a prezzo di fuga, ebrei sopravvissuti e profughi detti «giuliani» verso le coste povere e non sempre accoglienti di un’Italia in ginocchio dopo la sconfitta. Tuttavia, pur consci di essere gettati dalla malasorte allo sbaraglio, si cercava di comprendere che anche la miseria e l’angoscia degli ospiti peninsulari, compatrioti simili e dissimili da noi, erano in quegli anni per tanti aspetti vicine alle nostre miserie e alle nostre angosce: cercavamo di non offendere, non pretendere l’impossibile, non soppesare e commisurare col bilancino le diversità nella disgrazia, cercando d’amalgamarci e adattarci con discrezione e lavori umili al poco che la seconda patria poteva allora offrirci.

Si dirà, altri tempi. Altri, risponderò, peggiori, durissimi per l’ospite e per l’ospitato, nei quali l’incertezza del domani avrebbe potuto fomentare facili istinti di scontro e di rapina e di violenza astratta. Il che, a memoria mia, non accadde quasi mai. Al contrario d’allora, oggi l’immigrato corretto, non solo comunitario, può trovare in Italia protezione sindacale, assistenza sanitaria, contratti di lavoro, tredicesime pagate, in un ambiente che nonostante la crisi è tuttora ricco e, nell’insieme, solidale per legge e per animo rispetto alla sua nullatenenza originaria. Quello che riesce più difficile da capire è come i fuochi fatui di un benessere non solo materiale, ma rotocalcato dalle televisioni, dalla densità animata e fumosa delle metropoli, hanno potuto scatenare nelle successive ondate migratorie dai Paesi europei ex comunisti (assai più che da quelli islamici) brame e pretese di possesso immediato, totale, di carne e di danaro, che evocano tempi di guerra più che di pace: le donne di Berlino o di Belgrado assaltate dai soldati russi, le terre bruciate dai tedeschi in fuga dalle nazioni occupate, le bravate crudeli e le sevizie inferte dai servizi segreti francesi in Algeria, da ultimo, dopo le foibe, le orrende e infamanti pulizie etniche interjugoslave in Bosnia, in Croazia, in Kosovo.

È tutto questo che sembra ritornare e noi sembriamo riscoprire nelle spietate scorribande e nei delitti efferati di una fascia di criminali e spostati balcanici. Certo, come ci dicono, essi rappresentano l’uno per cento su una comunità che conta un milione e che nella sua stragrande maggioranza è composta di persone oneste e operose. Ma quell’uno per cento, censito su un milione, raggiunge su per giù la cifra non indifferente di diecimila individui, prossima a quella rinviata drasticamente da Sarkozy al loro Paese. Si tratta quasi sempre di individui instabili, ubiqui, spesso clandestini, dediti allo spaccio di donne e di droga, fuggiti dalla Romania per malefatte impunite, giunti dal profondo del postcomunismo ceauceschiano, taluni già espulsi più volte dall’Italia e poi ritornati indenni in Italia attirati e rassicurati dall’incertezza della pena con cui sovente li condonano tribunali indulgenti. Sono le minoranze aggressive che purtroppo, talora ingiustamente, nella nostra epoca di nuove invasioni, danno il tono e il timbro alle maggioranze pulite di cui parlano la stessa lingua. Non a caso da noi si trova il 40 per cento di romeni ricercati con mandato internazionale. Non a caso ci sono 1773 romeni in attesa di processo e 953 condannati in via definitiva. Sono i restanti 990 mila, la più grossa compagine straniera in Italia, che ne subiscono controvoglia la pressione immorale e la coloritura etnica. È la minoranza corrotta a dare corpo alla «questione romena» ormai divenuta questione di Stato e perfino di Chiesa sia a Roma che a Bucarest. I prelati delle comunità romene ortodosse in Italia invocano «comprensione e fratellanza» per i correligionari perbene, paventando anch’essi il rischio di contraccolpi xenofobi, mentre la Chiesa cattolica di Romania tramite una lettera del vescovo di Bucarest Ian Robu al cardinale Bagnasco, in cui non si grida al razzismo, chiede scusa all’Italia per i «suoi» criminali e con chiarezza dice che «tutto il male fatto da loro ci mortifica e ci riempie di sdegno».

Come si vede, c’è anche nelle autorità morali di Bucarest un filo razionale che discerne l’orrore e, se vogliamo, distingue l’impotenza paralizzata della società italiana dalla supposta «romenofobia». Sarebbe augurabile che anche quelli che accusano l’Italia di razzismo vedessero un intensissimo film italiano, Cover Boy di Carmine Amoroso, in cui si racconta il sodalizio disperato di due precari solitari e disperati: un giovane romeno e un meno giovane italiano, che appassionatamente quanto vanamente cercano di soccorrersi fino al sacrificio suicida dell’italiano: non il dissidio di razza ma il vincolo nel dolore condiviso lega, fino al gesto estremo del poverissimo «ospite», un’amicizia priva di speranza e di futuro. Un omaggio dolente a due candidi sventurati dell’Ovest e dell’Est.

Quanto ai governi delle due parti, essi certo aspetteranno con comprensibile interesse la prossima prova del nove legittimante l’identità europea della cospicua comunità romena che sarà la prima a votare, in massa, per i candidati italiani al Parlamento di Strasburgo. Alemanno, il sindaco di Roma, la città più orrendamente martoriata dalle recenti nerissime cronache, ha inviato ai residenti romeni nella capitale il modulo di iscrizione alle liste elettorali aggiunte. Sarà la prima volta che gli immigrati dalla Romania verranno pienamente equiparati ai votanti italiani nell’esercizio dei loro doveri e diritti di cittadini dell’Unione Europea. Sarà, più che un orpello emblematico, un patto di rinnovata convivenza nell’ambito di una stessa nazione e nella cornice di uno stesso continente. (la Stampa)

26 commenti:

Anonimo ha detto...

Ebbene, questa Francia, che ha saputo vivere per lunghi decenni in simbiosi linguistica e culturale con Ionesco, Mircea Eliade, Émile Cioran, non ha esitato a espellere soltanto nel 2008 oltre 7000 indesiderabili romeni. Nel corso dello stesso anno l’Italia ne ha espulsi circa 40, a titolo più che altro simbolico, perché macchiatisi di atti illegali visibili e spesso recidivi.

In Francia manca, fortunati loro!, la sinistra Italiana. Quindi non se la devono vedere con i DiPietro, la Livia Turco (cose turche!), la Rosy Bindi, Franceschini, i Cattocomunisti, Rifondazione, e compagnia bella.
Qui in Italia è sempre la stessa musica
- sei un cittadino italiano innocente? corri il rischio di andare in galera per un ridicolo idizio
- sei un criminale straniero? Dormi pure fra due guanciali, tanto se ti arrestano il giorno dopo sei già a spasso. A combinarne di peggio.

Anonimo ha detto...

1) governo Berlusconi si insedia a maggio 2008 con una
2)maggioranza parlamentare di destra enorme in Parlamento e con
3)estrema sinistra inesistente in Parlamento (Rifondazione è sparita )
4) Di pietro che accomunarlo ai comunisti e ai cattocomunisti mi sembra un offesa per quanto sia sgrammaticato il soggetto
5) gli errori vengono commessi e chi ne è esente?
ma è falso che se sei un cittadino innocente corri il rischio di andare in galera per un ridicolo indizio (semmai prova)
6) la legge è uguale per tutti per cui la distinzione tra criminali stranieri e italiani è inesistente
7) in Francia il partito comunista sta lentamente scomparendo come in Italia e chi grida ai comunisti (come il vecchio di 73anni che governa il paese) è solo un provocatore che vuole allontanare la gente dai problemi reali ossia oggi quelli economici

Anonimo ha detto...

dimenticavo "'"

Anonimo ha detto...

Vuoi gli esempi di gente spedita in galera, ma innocente?
-un tizio che si è fatto oltre dieci anni di villeggiatura, poi assolto
-un tizio che dopo anni di carcere (dall'83), di cause, di spese, finalmente è stato prosciolto.
-una ragazza messa 9 giorni in carcere preventivo senza uno straccio di prova (somiglianza fisica), senza preventivo accetamento di certi fatti, che anche un bambino avrebbe potuto fare
-il padre dei famosi poveri fratellini finiti in un pozzo.
C'è da scrivere un'enciclopedia
-Enzo Tortora docet ...

E tutti i cialtroni di immigrati, clandestini o meno, mandati a spasso, malfrado la pericolosità sociale.
La legge è uguale per tutti. Certo: E' scritto sulla carta. Poi vengono quelli che ci si puliscono ...

Anonimo ha detto...

estrema sinistra inesistente in Parlamento (Rifondazione è sparita )
4) Di pietro che accomunarlo ai comunisti e ai cattocomunisti mi sembra un offesa per quanto sia sgrammaticato il soggetto

VERO!
Ci sono comunisti con l'etichetta DOC
Ci sono comunisti etichettati con griffe false, ma sempre comunisti, di origine, di mentalità, di complicità remote, di orientamento politico. La parola EX è un eufemismo messo come prefisso: ex-comunista, ex-stalinista, ex-marxista, ex-etc etc etc.
Ex = leggi "ancora".
Poi ci sono quelli che si accodano, tipo catto-comunisti, dipietristi, etc etc....
nota
Quando sono al governo sembra di vedere un caravan serraglio dove tutti sono contro tutti e nessuno fa niente di buono.
C'è chi vuole questo, c'è chi pretende quell'altro, c'è la minoranza che ricatta tutti ... c'è il tira e molla ... e alLora esco dal governo ... ora non esco più ... ora esco ... ora non esco ... ora faccio uno sfracello ...
Unico risultato: tasse a volontà e clandestini a una lira l'uno!

Anonimo ha detto...

scusa pretendo rispetto per quello che scrivo e non mischiare le carte in tavola, non mettermi in bocca cose che non ho mai detto:

ho scritto "5) gli errori vengono commessi e chi ne è esente? ma è falso che se sei un cittadino innocente corri il rischio di andare in galera per un ridicolo indizio (semmai prova)"

sai leggere?
ti ripeto
gli errori li commette chiunque, medici, notai, politici ecc.

gli esempi che fai sono veri ma sono una minoranza

prova che gli errori giudiziari sono la maggioranza

"E tutti i cialtroni di immigrati, clandestini o meno, mandati a spasso, malfrado la pericolosità sociale."
il giudice applica la legge: se vuoi leggi più severe che facciano marcire in galera i farabutti chiedi leggi più severe a chi le scrive e non a chi le applica
chi le applica se sbaglia riceve visite dagli ispettori del ministero, sanzioni disciplinari dal csm


quanto a tasse hai preso un'altra cantonata:sole24ore del 6/2/09
titolo "il peso del fisco al 43,3%"

Quest'anno il gettito fiscale si ridurrà del 2,2% ma a causa della riduzione della crescita la pressione fiscale tornerà a crescere, dal 43% del 2008 al 43,3%, come nel 2007, cioè al picco piùalto se si esclude l'anno dell'eurotassa.

di pietro comunista o ex comunista? ma dove l'hai letto?
Bondi, Ferrara,Panella, Liguori quelli si che militavano nel pci in lotta continua e ora l'odore dei soldi li ha fatti svegliare ma di pietro dove c'è scritto?


non scrivere cose false!!!

Anonimo ha detto...

Processo ai magistrati
di Gianluca Di Feo
Scarsa produttività. Merito non premiato. Così nei tribunali si sono accumulate 9 milioni di cause non smaltite. Mentre il governo lavora a imbrigliare i giudici

Fannulloni? Pochi. Improduttivi? La stragrande maggioranza. Eppure i magistrati potrebbero da soli dare un duro colpo alla crisi della giustizia. Trasformare l'autogoverno, spesso usato come scudo a difesa della corporazione, in leva per riscattare la credibilità dello Stato. Ci vuole poco: basta che lavorino tutti di più e si organizzino meglio. Questo non farebbe uscire la dea bendata dal baratro in cui l'hanno sepolta nove milioni di cause non smaltite e una valanga di leggi create apposta dai governi per insabbiare i processi. Ma di sicuro con un'autoriforma della magistratura si potrebbe cominciare a far arrivare aria nuova nei tribunali italiani. E privare il premier di uno degli argomenti chiave sfruttati per azzerare l'indipendenza delle toghe.

I modelli virtuosi
Una rivoluzione è possibile. Anche senza nuovi soldi. I primi studi statistici sulla produttività dei giudici mostrano che ci sono ampi margini per cambiare rotta e aumentare la quantità di fascicoli smaltiti. Un ricerca di prossima pubblicazione guidata da Andrea Ichino, Decio Coviello e Nicola Persico indica la possibilità di far decollare la produttività anche del 40 per cento. Dati teorici, certo. Che però trovano conferma in alcuni esempi molto concreti. Persino la Cassazione, un tempo simbolo di magistratura polverosa e arcaica, sta diventando un modello di rivincita. La Suprema Corte si è data una scossa, ridefinendo le procedure, inserendo più informatica, organizzando meglio i ranghi. Tanto è bastato a creare uno scatto: nel civile il bilancio è andato in attivo, sbrogliando molti più processi di quanti ne arrivino. Lo scorso anno ne sono stati licenziati 33 mila mentre le nuove pratiche sono state 30 mila. E tutto senza compromettere il garantismo.

Un miracolo proprio nel palazzaccio di marmo, un edificio troppo pesante che per un secolo ha continuato letteralmente a sprofondare nelle rive paludose del Tevere, incarnando la disfatta della giustizia italiana. Nel suo ufficio all'ultimo piano, affacciato su Castel Sant'Angelo, Giovanni Salvi, storico pm romano e in passato tra i leader del sindacato togato Anm, ha poche carte, uno scanner e lo schermo di un pc. È lui a presentare i dati di questa riscossa, facendo scorrere tra le dita come fosse un rosario la chiavetta Usb che può sostituire migliaia di pagine: "Prendiamo le tabelle del civile. Nel 1950 ogni magistrato chiudeva 62 procedimenti; nel 1998 erano 87. Poi con il nuovo millennio abbiamo cambiato passo. Nel 2006 sono stati 192, lo scorso anno 292". Una progressione impressionante. Che non rappresenta un'eccezione.


A Torino, il Tribunale civile ha stravolto la consuetudine del lavorare con lentezza. Il segreto? Un decalogo con 20 regole semplici, concordate con gli avvocati. Dal 2001 la montagna di arretrati è stata amputata di un terzo: dagli archivi hanno dissepolto liti per eredità vecchie di due generazioni e controversie commerciali per prodotti diventati nel frattempo antiquariato. Adesso in quelle aule si riesce a vedere l'Europa: il 93 per cento delle cause si chiude entro tre anni, il 66 in un anno. Ma anche nel tribunale penale di Roma c'è stata una razionalizzazione.

"È un altro esempio di riforma dal basso", spiega Salvi: "Abbiamo individuato l'imbuto nel calendario delle udienze: ogni giudice deve concentrare 20-30 processi in un giorno, con testimoni ed avvocati. Poi d'intesa con i penalisti abbiamo creato norme per evitare i disagi e rispettare gli orari. I risultati si sono visti subito"

Profondo nero
E allora, perché la situazione nazionale continua a peggiorare? Certo, c'è un quantità mostruosa di cause che si riversano nei tribunali, anche per colpa di governi che rendono tutto reato, persino la contrattazione con le prostitute. E c'è un proliferare di ricorsi che non ha pari nel mondo, fatti apposta per alimentare una schiera di avvocati altrettanto vasta. Ma a dispetto di questa tempesta di nuova cause e a dispetto dei primati delle corti modello, la produttività pro capite dei magistrati italiani continua a precipitare. I giudici dei tribunali sono passati da 654 fascicoli chiusi ogni anno del 2001 a soli 533 del 2006. È come se un delitto su cinque venisse dimenticato. Ma se si cerca di dare un peso alla statistica, allora diventa ancora più grave la frenata delle corti d'appello: i 177 casi annuali si sono ridotti a 145. E ogni ritardo in questa fase apre le porte alla prescrizione che cancella i reati e si trasforma nella negazione di ogni giustizia. La radiografia della catastrofe è stata presentata pochi giorni fa dal ministro Angelo Alfano, che però si è poi premurato di firmare un pacchetto di misure destinato a renderla ancora più drammatica. L'arretrato civile è di 5.425.000 fascicoli, quello penale di 3.262.000. Un processo civile dura in media 960 giorni per il primo grado, 50 mesi l'appello. Quasi sette anni prima di arrivare alla Cassazione: un tempo umiliante che distrugge la vita delle aziende e dei cittadini. Nel penale ci vogliono 426 giorni per la prima sentenza e due anni per l'appello: il che significa l'impunità assicurata per un'infinità di crimini. Un altro studio disegna la Caporetto della giustizia. È un lavoro condotto da Riccardo Marselli e Marco Vannini, professori che si dedicano da anni ad applicare valutazioni oggettive nel mondo confuso dei tribunali: ben 17 distretti giudiziari su 29 risultano 'tecnicamente inefficienti'. I due docenti giungono a una conclusione pessimistica: la quantità dei fascicoli che si accumula è tale da annichilire ogni speranza. Senza demolire questa zavorra non si può rendere efficace il sistema. Allo stesso tempo però la ricerca statistica sottolinea come si possa fare di più: se tutti i magistrati si portassero sul livello dei più sgobboni, un decimo dell'arretrato nel civile e il 14 per cento di quello penale potrebbe venire cancellato. Una stima che aumenta nei tribunali meridionali, meno dinamici: un quinto dei fascicoli accatastati nel civile e quasi un quarto di quelli penali scomparirebbero. Utopia?
Senza qualità
Tutti sostengono che i fannulloni sono pochi. Ma dietro i giudici da prima pagina, dietro i pool che sgobbano in silenzio, dietro i pm antimafia che rischiano la vita c'è una massa di magistrati

Hanno fatto del quieto vivere una regola aurea: evitano errori e grane, detestano stakanovismi e protagonismi, diffidano dell'informatica e dei modelli aziendali. Più sciatti che lavativi, talvolta arroganti con i colleghi e maleducati con gli utenti, ma soprattutto poco produttivi. Era rivolto a loro il discorso choc pronunciato due anni fa dal segretario di Md, la corrente 'rossa' delle toghe ma anche quella storicamente più più impegnata sul fronte dell'efficienza: "Nessuno dovrà sentirsi indifferente alla esigenza di un progetto organizzativo minimo per ogni ufficio. Dovremo osare di più, perché nessuno potrà rifugiarsi nella rivendicazione di un ruolo indipendente. Che, se non produce risultati, non serve a nessuno ed è destinato inevitabilmente a declinare", disse l'allora segretario Juan Ignazio Patrone. E ancora: "Il quieto vivere della corporazione non è più compatibile con il dovere di offrire risposte adeguate e qualitativamente decenti alla domanda sociale di giustizia". Belle parole. Ma chi controlla se le toghe lavorano?

Carriera garantita
Finora venivano promossi per anzianità, anche se si rimaneva a compiere le stesse mansioni: oggi quasi sette magistrati su dieci ricevono uno stipendio superiore all'incarico che svolgono. Lo ha analizzato Daniela Marchesi, uno dei responsabili dell'Isae, a 41 anni è considerata la pioniera della materia. Laurea in legge, dottorato in economia, specializzata negli Usa, ha lavorato con Flick alla Giustizia nel 1996 e poi al Tesoro con Padoa-Schioppa. Il suo obiettivo è stabilire quali misure possano incentivare comportamenti virtuosi: cita i testi di Carr Sunstein, il professore chiamato da Obama a guidare il dipartimento per le regole. "La giustizia italiana sarebbe un esempio da manuale: ci sono risorse umane ed economiche in linea con altri paesi, ma otteniamo un risultato generale molto scadente. Analizzando il sistema si vede l'origine del gap: la congerie di norme è fatta in modo tale che incentivi di comportamento vanno tutti in modo sbagliato". Più garanzie, sintetizza, richiedono più tempo. Ed è per questo che tra i soggetti del processo, più che ai magistrati tocca agli avvocati cambiare: "Il magistrato non può velocizzare la sua attività senza rischiare di compromettere le garanzie". Insomma, la professoressa Marchesi non crede in una riforma unilaterale. Pensa che però si possa fare di più per migliorare la selezione e i controlli, soprattutto eliminando le promozioni indiscriminate.

Ma se il lavoro non cambia, allora in cosa consiste la promozione? Nello stipendio, anzitutto. Dal 2003 al 2006 il numero di magistrati ordinari è leggermente diminuito, ma la spesa per le loro paghe è lievitata: oltre il 16 per cento in più. Nel 2003 per 9.043 tra giudici e pm lo Stato spendeva 842 milioni; un triennio dopo l'organico era sceso a 9.019, ma il costo era arrivato a 978 milioni: 136 in più, un incentivo niente male. E i dati mostrano che le retribuzioni medie delle nostre toghe (vedi tabella a pag. 58) sono tra le più alte d'Europa. Il premio c'è, senza legami con la quantità o la qualità. Ma la punizione? Poche le sanzioni del Consiglio superiore. E ancora di meno quelle proposte dagli ispettori ministeriali: anche nel 2008 si sono contate sulle dita di una mano. Il bilancio del Csm, organo di autogoverno della magistratura, può essere letto in chiaro scuro. In un decennio ha giudicato 1.282 toghe. Ne ha condannate 290, spesso con sanzioni simboliche che pesano però sulle nomine chiave; altre 156 si sono dimesse prima del verdetto: in tutto, fa circa 45 'puniti' l'anno sui 9 mila magistrati italiani, lo 0,5 per cento. Pochi. Ma molto più di quello che fanno le altri amministrazioni statali. "Le verifiche statistiche sul lavoro dei magistrati sono insensate. Le gare di nuoto si possono fare in una piscina, non in mezzo a uno tsunami. È la quantità di denunce e ricorsi ha trasformato la giustizia italiana in un continuo tsunami", taglia corto Piercamillo Davigo, protagonista di Mani pulite oggi giudice di Cassazione: "Non voglio fare il corporativo. Ma anche nei militari esistono valutazione periodiche: nel loro sistema l'indipendenza non è un valore, anzi. Eppure le loro valutazioni si concludono sempre con giudizi eccellenti. Perché nessuno se ne preoccupa? Anche loro finiscono con il diventare tutti generali. Se si discute solo della nostra produttività, temo che le finalità siano diverse".Davigo cita un episodio: il record di produttività di un procuratore aggiunto lombardo. "Era un cialtrone, ma si vantava di avere smaltito 330 mila procedimenti in un anno. Come faceva? Aveva una squadra di carabinieri, armati con un timbro di gomma che riproduceva la sua firma, che su tutti i fascicoli stampavano 'Non doversi procedere perché rimasti ignoti gli autori del reato'".

Il nuovo sistema di valutazioni quadriennali appena introdotto dovrebbe smascherare furbetti del genere. Il meccanismo prevede controlli su quantità e qualità dell'attività di tutti, anche attraverso fascicoli pescati a campione tra quelli smaltiti. "Oggi ci sono nuovi meccanismi di valutazione molto efficaci e concreti. Diamo al sistema il tempo di cambiare", spiega Salvi: "Adesso il magistrato ha forte stimolo ad avere buoni pareri per poi ottenere un incarico direttivo o aspirare a posti specializzati".

C'è un solo limite: l'esame è affidato al consiglio giudiziario, un piccolo parlamento eletto dai magistrati a livello locale su modello del grande Csm nazionale. "In pratica gli eletti devono valutare i loro elettori. È come se in un'azienda le promozioni fossero illimitate e decise dai rappresentanti dei dipendenti. Ve lo immaginate?", spara a zero Carlo Guarnieri, docente a Bologna e tra i più attenti critici 'laici': "Ci vorrebbero commissioni esterne, nominate dal Csm. Così questi meccanismi sono inutili, anche perché non ci sono incentivi: chi non ha voglia di lavorare sa di rischiare poco". Mentre per essere puniti bisogna farla veramente grossa. Ennio Fortuna, procuratore generale di Venezia, ha scritto sulla rivista dell'Associazione magistrati: "Nel nostro ambiente i pochi che ci marciano sono ben noti a tutti". E perché non vengono denunciati? Perché è necessario che gli otto anni di ritardo nello scrivere le motivazioni di una sentenza, con conseguente scarcerazione dei condannati, diventino un caso solo dopo la denuncia di 'Repubblica'? La vicenda di Edi Pinatto, giudice ragazzino passato da Gela a Milano lasciando l'arretrato in sospeso è diventata esemplare. Salvi la paragona alle sabbie mobili: "I ritardi nel completare le sentenze molte volte erano commessi da quelli che tentavano di più di smaltire il lavoro, venendo sommersi per inesperienza". Perché non vengono segnalati? "Pinatto era già stato sanzionato una prima volta. Ma poi è mancata la segnalazione dei responsabili del suo ufficio".

Nei palazzi di giustizia si sente spesso una lamentela, comune tra pm e avvocati. I capi non denunciano i fannulloni. I capi non organizzano il lavoro. I capi non aggrediscono l'arretrato. Quella dei dirigenti è l'altra grande questione, fondamentale per risollevare la produttività. Finora la managerialità non pesava nella designazione: si diventava procuratori e presidenti per anzianità e accordi tra le correnti sindacali. Oggi in teoria dovrebbe essere determinante l'avere dimostrato capacità manageriali. Ma non ci si improvvisa capitani d'azienda: coordinare apparati complessi e ingolfati come i tribunali è una sfida che farebbe paura a qualunque amministratore. Guarnieri propone una soluzione radicale: dividere l'organizzazione del lavoro dai processi, affidando la gestione della prima a un vero manager. In pratica, il metodo delle Asl. "Paragoni non sostenibili. Nascerebbero tante unità giudiziarie locali in Italia: non è che Asl funzionino così bene...", ironizza Salvi.

Il peso dell'arretrato È chiaro, da soli i magistrati non potranno mai risolvere tutto l'handicap. Una ricerca del ministero indica l'impresa come impossibile. Per rianimare le Corti d'appello ci vorrebbero 134 nuovi giudici, tutti Stakanov, tutti preparatissimi e capaci di dare subito il massimo. Senza nuove regole organizzative, però, ogni rinforzo sarebbe inutile. Nella Corte d'appello penale, l'anticamera della prescrizione e quindi la discarica dei processi, servirebbero 32 mesi di lavoro solo per smaltire l'arretrato. Ma con poche regole di buon senso si potrebbe invertire la rotta. Ad esempio la standardizzazione dei fascicoli. Avete mai messo le mani nei faldoni di un processo? Spesso somigliano alle valige di fine vacanza: sciogliendo i lacci esplodono, rivelando una confusione profonda. Quando l'incartamento passa da un pm al suo sostituto, ci vogliono ore solo per trovare il bandolo della matassa. Invece, basterebbero pochi schemi condivisi per non sprecare tempo. Ma la rivoluzione può arrivare anche da un uso integrato dell'informatica: creare procedure a misura di rete. A Milano fino a dieci anni fa nelle udienze civili a turno uno degli avvocati scriveva a mano il verbale. Oggi nella stessa città usando il Web per uno solo dei passaggi del processo civile si sono guadagnati 60 giorni: il decreto ingiuntivo telematico ha fatto risparmiare due mesi di meno ad avvocati, cittadini e tribunale. Cosa ci vuole ad estenderlo a tutta Italia?Autonomia e corporativismo Alla politica l'efficienza non interessa. E c'è la resistenza 'culturale' di una parte consistente dei magistrati. Bruno Tinti, ex procuratore aggiunto di Torino, ha dedicato un intero capitolo del suo ultimo libro 'La questione immorale' alle "colpe dei magistrati". Racconta tra l'altro del programma informatico che aveva creato per coordinare le agende dei protagonisti del processo ed evitare quei rinvii che sfiancano la giustizia. Un'iniziativa che invece di procurargli una medaglia venne accolta con disprezzo dal Csm. "Quel programma è ancora lì ma nessuno lo usa. E ho capito che il processo penale è quello che è per via delle leggi stupide, delle leggi ad personam, della carenza di uomini e mezzi, ma anche, e in chissà quale percentuale, per via dell'incapacità organizzativa dei magistrati e dei dirigenti degli uffici". Ricorda Giovanni Salvi: "Nel 1998 facemmo un congresso dell'Anm per sensibilizzare sull'efficienza ma andò male. Noi delle correnti progressiste e la dirigenza dell'Anm premevamo perché si facesse un salto in quella direzione, ci fu una resistenza della base. Fu un errore: è stato uno sbaglio cavalcare l'autonomia come corporativismo. A difesa si può dire che quando hai un clima politico intorno di aggressione, questo determina una chiusura in difesa".

E ai governi i giudici fannulloni sono sempre piaciuti: "La politica offre uno scambio ai meno produttivi: io non minaccio i tuoi privilegi, tu non minacciare me", sintetizza il professor Guarnieri. Perché un modello di efficacia la magistratura italiana lo ha creato e imposto nel mondo. Una squadra che lavorava sette giorni su sette, con processi avviati in fretta e una percentuale di condanne irripetibile, un elevato livello di informatizzazione e una produttività mai eguagliata. Si chiamava pool Mani pulite. Lo detestavano politici, imprenditori e grand commis. Lo detestava una fetta consistente degli stessi giudici. Ed è proprio per evitare che quel modello venisse riprodotto ancora oggi si varano riforme su riforme, destinate a distruggere ogni speranza di giustizia.

Anonimo ha detto...

non scrivere cose false!!!

INUTILE CHE SCRIVA, TANTO NON VUOI INTENDERE QUELLO CHE DICO.
STA BENE COSI'.
CIAO.
PS
Roma, si suicida in casa il gioielliere che uccise due rapinatori nel 2003
La rapina e gli spari ...

L’uomo uccise due rapinatori che stavano tentando il colpo nella sua gioielliera di via Marmorata, nel quartiere Testaccio. Il 9 maggio del 2003,

picchiato e legato da due rapinatori

che avevano fatto irruzione nella sua gioielleria in via Aldo Manuzio,

l’uomo riuscì a liberarsi e sparò ai due rapinatori: cinque colpi di pistola che uccisero Giampaolo Giampaoli e Roberto Marai. Il 20 febbraio scorso il pm riformulò l’accusa nei confronti del gioielliere:

!!!! non più eccesso di legittima difesa,(MI SEMBRA GIà ABBASTANZA, DATE LE CIRCOSTANZE) ma duplice omicidio volontario. !!!!!!

E con questa accusa Mastrolorenzi sarebbe dovuto comparire davanti al gup.

QUESTA E' LA GIUSTIZIA IN ITALIA. GRAZIE ALLE LEGGI, MA GRAZIE ANCHE ALLO "ZELO" DI CERTI GIUDICI.
ARICIAO
RI-PS
E CON QUESTE LEGGI E CON QUESTI MAGISTRATI "ZELANTI" I CRIMINALI DORMONO TRANQUILLI FRA DUE GUANCIALI.

"FATE LA NANNA ,COSCINE DI POLLO!!!"

Anonimo ha detto...

studiare diritto penale non ti va giù...
parlare leggendo articoli di giornale invece delle sentenze non ti va...

sei il terreno fertile dell'ignoranza e del vecchiume italiano che scomparirà ben presto attaccato ancora alle ideologie

sei un morto che cammina sottobraccio con sorella ignoranza

il processo di cui parli non è mai stato celebrato, il giudice non ha mai espresso alcuna condanna perchè il processo si deve ancora svolgere




non sai neanche leggere



Le responsabilità dell' accaduto piombarono anche sulla coscienza di Mastrolorenzi il giorno successivo alla rapina, quando realizzò la gravità il suo gesto. «Sono a pezzi, distrutto - disse all' indomani nello studio del suo avvocato - per aver spezzato le vite di due ragazzi della stessa età dei miei figli. Non hanno importanza i soldi, gli orologi, i gioielli che avevo in quel momento, se potessi tornare indietro gli darei tutto e anche di più».

Anonimo ha detto...

..non sai neanche leggere

PROPRIO SI VEDE CHE SEI UN SINISTROIDE ...

vorrei vedere te, picchiato, legato derubato, in preda allo spavento, alla rabbia, ... la giusta e comprensibile reazione all'aggressione ... nonla sai capire. Nè l'ha capita il giudice che addirittura si accanisce a considerare l'accaduto come
omicidio volontario.
Chissaà che avrebbe fatto quel Solone, al posto di quel disgraziato. Perché è vera disgrazia capitare nelle mani di certi delinquenti, che se sapessero (vuoto che la legge dovrebbe colmare) che se la vittima li fa fuori viene premiata e decorata con la medaglia alvalor civile, farebbero meno i galletti.
Il motto è
in galera le persone perbene
a spasso i delinquenti

Il mio motto è
"Nessuno tocchi Abele!"
e Caino vada all'inferno!

Anonimo ha detto...

"Nè l'ha capita il giudice che addirittura si accanisce a considerare l'accaduto come
omicidio volontario."


ignorante
ignorante e ignorante

non c'è nessun giudice, il gup doveva ancora esprimersi

il pm ha riformulato l'accusa non il giudice ignorante

non c'è stato alcun giudizio


quando studierai ignorante??


quanto al sinistroide mi sento offeso con quella parola

cerca di moderare i termini e non affibbiarmi parti politiche che non ho mai votato

una cosa è ignorante (chi non sa) altra è inventarsi appartenenze politiche (che considero come infamanti)
sinistroide a me? ma sei fuori di cervello?

Anonimo ha detto...

... ma sei fuori di cervello?

NO. Qui l'unico fuori di testa sei Tu.
Offeso? Pazienza!
Giudici e PM fanno parte della stessa casta: la Magistratura.
Volesse il cielo, che le carriere le separassero una volta per tutte!
Non so se riesci a capire, ma lo metto in dubbio, che quando il gup (gulp) ti appioppa un'accusa del genere, vai a finire in tribunale. E quel povero disgraziato ne aveva già passate delle belle.
Fiori profumate e dolci cioccolatini ai rapinatori e, muoia l'avarizia, anche agli stupratori assassini.

LA LEGGE E' UGUALE (si fa per dire) PER TUTTI.
Ciao, mio dotto inquisitore, studioso di diritto penale, e non appartente a nessuna corente e a nessun partito di sinistra.
Saluti gioiosi, entusiasti e variopinti come i coriandoli di carnevale.
Cio ciao ciao!

Anonimo ha detto...

"Giudici e PM fanno parte della stessa casta"

bella questa, raccontala ad uno studente di giurisprudenza e ti ride in faccia, ignorante

quando prenderai un libro in mano nella tua vita?

non hai uno straccio di laurea e parli

stai zitto ultimo della classe...elementare!!



LA LEGGE E' UGUALE (si fa per dire) PER TUTTI.


si tranne per Previti che condannato a 6 anni ha scontato solo 5 giorni di galera

mi fai pena ignorante

Anonimo ha detto...

Ciao, mio dotto inquisitore, studioso di diritto penale


pensa te quanto sei ignorante, quello di cui stiamo discutendo è procedura penale e non penale

ignorante
ignorante
ignorante

(ti è andata bene che hai incontrato un laureato in economia che ti fa fare figure di merda davanti a tutti, figurati se avessi incontrato uno in giurisprudenza...ti avrebbe sbranato)

altro che buttare coriandoli, vai a studiare

Anonimo ha detto...

Caro compare di Franceshini... (laurea sessantottina?)
Inutili gli sforzi per penetrare nella tua testona vuota. Quando manca la materia grigia c'è poco da fare.
Fatti una tisana, prendi un tranquillante e vai a letto.
Poi iscriviti al Pd (sempre che tu non l'abbia già fatto) che è il partito adatto a gente del tuo stampo. Il partito di quelli che sanno tutto e che quanto a capire sono alla pari con te.
Discutere con un asino non è cosa facile. Io ho fatto del mio meglio. Ho fallito.
Saluti affettuosi. Ti mando in omaggio una greppia piena di paglia e fieno. Buon appetito!

Anonimo ha detto...

mi dispiace per te ma io non sono iscritto a nessun partito e nè mai mi iscriverò perchè sono uno di quelli che considera i partiti delle associazioni di LADRI che invece di servire il paese rubano dalle tasche degli Italiani
attraverso i finanziamenti pubblici

quanto alla laurea purtroppo per te sono nato nel '69 e dopo la laurea ho conseguito un master ... scusa se parlo di queste cose con te che non capisci un tubo ma è giusto farti fare l'ennesima figura di merda davanti a tutti

dimostro davanti a tutti quanto sei ignorante e tu che fai?
mi accusi di essere sinistroide, mi dici che hai fatto del tuo meglio, quando poi ripeti come un pappagallo frasi senza senso come la separazione dei giudici e non sai distinguere un pm da un giudice


ti rendi conto di quanto si ignorante?

la gente come te i cosiddetti simpatizzanti dei partiti li manderei ai lavori forzati, a servire il paese, a produrre pil, a pane ed acqua, perchè è grazie a voi che continuate a dar fiducia ai partiti se il debito pubblico è arrivato alle stelle,grazie a voi se siamo ai primi posti nel mondo per corruzione, tangenti, malaffare raccomandazioni ecc. ecc.


altro che tisana, a te ci vorrebbe olio di ricino e bastonate

Anonimo ha detto...

"Il sistema di potere trasversale si appresta a blindarsi definitivamente nella certezza dell’impunità con due semplici riforme:

1)
il conferimento della responsabilità operativa dell’azione penale agli organi di polizia, controllati dal governo,

2 ) la drastica riduzione dell’uso delle intercettazioni nelle indagini e della possibilità di pubblicazione di documenti giudiziari.

Sembrano tecnicismi, in realtà è in gioco quel che resta della separazione dei poteri. Finalmente non si parlerà più di “toghe rosse”, spiega con amara ironia il magistrato Roberto Scarpinato, da vent’anni in prima linea contro la mafia a Palermo. Non ce ne sarà più bisogno. La magistratura, già depotenziata, perderà l’ultimo strumento di indagine contro il crimine organizzato e il malaffare politico-economico. In un contesto di grave sofferenza democratica (assenza di opposizione, giornalismo addomesticato), ormai “l’unico momento di visibilità per conoscere il modo in cui viene esercitato il potere sono le intercettazioni, sono le macchine: la riforma delle intercettazioni deve passare perché da quel momento in poi noi non conosceremo più quel che succede in questo Paese”. Nel video un passaggio del suo intervento di lunedì 23 febbraio alla Casa della Cultura di Milano."

http://www.youtube.com/watch?v=nDe8URzQyPk&eurl=http://toghe.blogspot.com/

Anonimo ha detto...

"Qualche giorno fa mi è capitato di essere invitato ad una cena dover avrei dovuto parlare ad una trentina di persone; non avevo idea di cosa avrei trovato e il viaggio era anche lungo. Ma, fedele alla consegna, ci sono andato.

Qui di seguito racconto delle domande che mi sono state rivolte. Il tratto comune di quasi tutte è stato che si trattava dei luoghi comuni propinati dalla propaganda di regime. Ma questo è abbastanza naturale: se finisci nel villaggio di una fazione ti troverai per forza con chi a quella fazione appartiene. La cosa veramente preoccupante è stata che nessuno pareva avere la minima idea di cosa significavano le argomentazioni con cui mi bersagliavano. E in effetti, altro tratto comune era che non si trattava propriamente di domande ma di, anche se garbate (alla fine nemmeno tanto), vere e proprie aggressioni. Di conseguenza nessuno era minimamente interessato alle mie risposte, ciò che gli importava era di significarmi la loro appartenenza alla fazione in cui si riconoscevano e come questa avesse sempre ragione; e volevano anche dimostrarmi la loro disapprovazione per la fazione avversa e per quello (io) che ritenevano la rappresentasse. Insomma un evento che ha avuto un significato solo per me; in effetti ho imparato moltissimo. E può darsi che anche per i lettori di questo blog il resoconto sia proficuo.

Venendo alla storia.

Una signora molto ben vestita mi ha chiesto, senza perifrasi e senza commenti, ma con un sorriso storto: “perché i giudici non applicano la legge ma la interpretano?”.

Le ho fatto osservare che, in effetti, si trattava di una doglianza piuttosto ricorrente negli ambienti della politica, e nemmeno limitata alla maggioranza. Ho aggiunto che il fatto che fosse ripetuta assai spesso non la rendeva meno sciocca. Ho poi spiegato che è vero, il compito del giudice è proprio quello di interpretare la legge e di applicarla meglio che può al caso concreto: e che, se così non facesse, la maggior parte delle leggi non troverebbero applicazione. Le ho portato ad esempio l’articolo 575 del codice penale, chiunque cagiona la morte di un uomo è punito etc; e le ho fatto osservare che, senza l’interpretazione della norma fatta dal giudice, chi uccidesse una donna non sarebbe punito perché la legge parla di uomo e non di persona o di essere umano. La signora non ha incassato bene e, con un grosso sbuffo, mi ha detto che è ovvio che quando si dice uomo si intende anche donna. E io ho sorriso e le ho fatto notare che quello che lei stava facendo in quel momento si chiamava appunto interpretazione di un concetto. Non è stata contenta.

Un’altra signora, molto più giovane e anche assai carina, mi ha contestato che i giudici abusavano delle intercettazioni telefoniche e che proprio per questo avevano disimparato ad indagare; che tornassero ai buoni vecchi metodi di indagine e scoprissero i delinquenti senza violare la privacy dei cittadini! Ho convenuto con lei sul fatto che, prima dell’invenzione della TAC e della risonanza magnetica nucleare, generazioni di bravissimi medici si sono industriate in diagnosi cliniche faticosissime; che qualche volta, con vera sapienza e buona dose di fortuna, probabilmente riuscivano anche a diagnosticare correttamente le malattie dei loro pazienti; ma che, più spesso, non ci capivano niente e finivano con l’ammazzarli. Le ho chiesto se lei avrebbe preferito, nel caso sciagurato che si fosse trovata affetta da gravi disturbi di origine e natura imprecisata, affidarsi a un bravissimo clinico del tardo 800 oppure se magari non avrebbe volentieri fatto ricorso al dottor House. Non ha rinunciato a rispondermi “non è la stessa cosa”; però poi è stata zitta.

Un signore, assai gioviale, ha premesso che lui veniva dall’America, grande Paese, dove tutto andava bene perché, là, i cittadini erano liberi di cercare la felicità: lo diceva anche la Costituzione Americana che era molto meglio della nostra perché, qui, i cittadini debbono per forza lavorare. Siccome ha percepito le mie perplessità (non avevo capito niente di quello che mi diceva), ha chiarito che l’articolo 1 della nostra Costituzione recita “L’Italia è una Repubblica (si è dimenticato di dire democratica, si vede che non gli interessava) fondata sul lavoro”; e invece quella americana dice appunto che è diritto di tutti gli uomini cercare la felicità. Ho confessato che non sapevo cosa rispondere, anche se avevo dei dubbi sul fatto che la Costituzione americana autorizzasse i cittadini a ricercare la felicità attraverso pratiche illecite. A questo punto lui mi ha detto che tanto in Italia si sa come vanno le cose, i giudici favoriscono i loro amici, è una cosa che capita continuamente. Lui, per esempio, aveva avuto la fortuna di trovarsi un giudice amico in un processo civile con un suo concorrente. E naturalmente (il naturalmente è suo) il suo amico giudice gli aveva dato ragione; lo sanno tutti che le cose vanno così. Qui non sono stato tanto bravo a mantenere la calma e, con tono teso, ho spiegato che, se questa cosa era vera, quel giudice aveva commesso sicuramente una grave scorrettezza, non astenendosi in un processo in cui era coinvolta una persona sua amica. E, se gli aveva dato ragione favorendolo perché, in realtà, lui aveva torto, aveva commesso un reato e avrebbe dovuto essere buttato fuori dalla magistratura. La cosa grave è che, non solo l’ “americano”, ma anche molti altri hanno sorriso con sufficienza.

Un altro signore mi ha detto (non mi ha chiesto se, mi ha detto) che la magistratura era politicizzata perché era divisa in correnti. Questa cosa è stata un po’ difficile da spiegare perché in effetti la storia del correntismo della magistratura è vera e fa molto male. Ho cercato di fargli capire che le correnti significano clientelismo, favoritismi nell’attribuzione di posti direttivi, strumenti per assicurare ai quadri dirigenti delle correnti stesse carriere parallele (capi di gabinetto, direttori generali, cariche in organismi internazionali etc) ma che non hanno nulla a che fare con la politica. Non esiste, gli ho detto, un collateralismo tra le correnti e i partiti, si tratta solo di centri di potere, di basse manovre clientelari, di raccomandazioni. Non l’ho convinto; ma, in questo caso, non è stata tutta colpa sua.

La serata è continuata ancora per un poco ed è finita meglio di come era cominciata. Ho trovato una coppia di giovani avvocati innamorati del loro lavoro, consapevoli della necessità di regole etiche prima ancora che giuridiche, desiderosi di confrontarsi sui problemi più gravi del processo penale (e anche di quello civile, meno male che c’era mia moglie). E lì, fuori del locale, con un freddo maledetto, ho pensato a Sodoma e Gomorra, all’Angelo del Signore e a Lot che gli chiedeva di risparmiarle se vi avesse trovato anche un solo giusto.

Sarà che siamo ancora qui tutti noi per merito di quei due giovani avvocati?"

Bruno Tinti, ex procuratore aggiunto di Torino

Anonimo ha detto...

i due post precedenti li ho postati io.
ciao

Irene

Anonimo ha detto...

bello il post di Tinti cara Irene
ma non avevo dubbi

c'è ignoranza a fiumi in Italia
la gente invece di analizzare i fatti e le norme (per carità abiamo migliaia di cose da fare nessuno ha mai tempo) si fa inebriare dalle scemenze ripetute migliaia di volte dai politici (sinistra, destra e centro)e dalla stampa inginocchiata e collusa che alla fine passano per vere

Anonimo ha detto...

L’altro giorno il Corriere riportava in prima pagina la richiesta di archiviazione della procura di Roma pe lo scandalo Saccà-Berlusconi.
Dieci giorni prima, invece, la prima pagina del Corriere non dedicava neppure una riga alla condanna di Mills per essere stato corrotto da Berlusconi. Se Mills fosse stato assolto, saremo tempestati dai consueti editoriali di Battista, o Romano, o Ostellino, o Galli della Loggia, o Panebianco (sono interscambiabili) sul crollo dell’ennesimo “teorema”. Invece, essendo stato il “teorema” confermato, silenzio di tomba.

La regola è questa: le indagini giudiziarie fanno notizie solo quando gli imputati eccellenti ne escono indenni. Se invece è confermato che sono dei mariuoli, non c’è notizia.

L’altro giorno la Procura di Napoli ha recapitato a Clemente Mastella (candidato Pdl alle europee), alla sua signora Sandra Lonardo (presidente Pd del consiglio regionale), al loro consuocero Carlo Camilleri e a mezza dozzina di esponenti Udeur l’avviso di chiusura indagini per lo scandalo esploso 13 mesi fa a S. Maria Capua Vetere e usato dal voltagabbana ceppalonico per rovesciare Prodi. Da mesi una losca vulgata riferiva che lo scandalo era finito nel nulla. (…) Ergo tutti zitti.

Ben altra copertura mediatica ha avuto l’annullamento in Cassazione della condanna dell’editore Angelo Rizzoli, arrestato 26 anni fa per bancarotta per aver “occultato, dissipato e distratto dalla loro destinazione beni per un ttoale di 85,2 miliardi di lire” dalla casse della Rizzoli in amministrazione controllata. Stando ai tg e alle lacrimose interviste di Rizzoli alla stampa compiacente (quasi tutta), pare che il sant’uomo sia stato perseguitato per 26 anni con accuse infondate. “Esco pulito”, “26 anni di persecuzione”, “il marchio d’infamia del bancarottiere era tutto fumo”, “han distrutto la mia vita”, “chiedo allo Stato un risarcimento morale, economico, esistenziale”. Parole dell’uomo che rovinò la Rizzoli e il Corriere, coprendoli di debiti e consegnandoli alla P2, cui era affiliato.

Piccolo particolare: la Cassazione non l’ha assolto perchè non avesse commesso il falso, ma perché la “bancarotta patrimoniale societaria in amministrazione controllata” è stata depenalizzata nel 2006. Era reato quando Rizzoli lo commise, ora non lo è più. E lui se ne vanta. E vuole pure i nostri soldi. E tv e giornali gli danno una mano.

L'itaGlietta non si smentisce mai

Anonimo ha detto...

I giudici liberano un clandestino e lui stupra una quindicenne».

Così Il Giornale, domenica. E così quasi tutti i giornali e i tg, per non parlare dell’acuto Cicchitto («la magistratura è inflessibile con i colletti bianchi e morbida con gli extracomunitari»: infatti, com’è noto, le carceri italiane pullulano di colletti bianchi).

Ora, sapete che dovete farne di questa robaccia? Gettarla nel water e tirare l’acqua.
1) Nessuna legge prevede la galera per i clandestini.
2) Ogni giorno vengono scarcerati (scadenza della pena, della custodia, del fermo) centinaia di italiani e stranieri, che poi fanno ciò che vogliono.
3) Jamel Moamid, il tunisino poi riarrestato per stupro a Bologna, era libero grazie alla Bossi-Fini, scritta e approvata dagli stessi tromboni che tuonano alle “scarcerazioni facili”.

L’ha spiegato a Repubblica il procuratore di Bologna, Silverio Piro: «Il nodo sono i tempi infiniti delle procedure di identificazione. La Bossi-Fini non consente di trattenere una persona ‘non compiutamente identificata’ per più di 2 mesi negli ex Cpt. In altri paesi le procedure sono molto più veloci ed efficaci».

Moamid, arrestato in agosto e scarcerato dal Riesame, era libero perché i 2 mesi per l’identificazione erano trascorsi invano.
Impossibile espellerlo: nessun paese si prende un tizio di identità e nazionalità ignota. «Non ci vengano a dire che siamo morbidi, piuttosto trovino un altro modo per rimandare i clandestini nei loro paesi. Noi applichiamo la legge».

Ora, con calma, qualcuno dovrebbe spiegare il tutto al Giornale e a Cicchitto. Magari con un disegnino.

maurom ha detto...

Allora perché c'è chi si oppone al prolungamento del periodo di identificazione?

Anonimo ha detto...

e che cazzo ne so?

so solo che i giornalisti inginocchiati sono dappertutto e i politici che pur di dire qualcosa sparano boiate ogni secondo

per risolvere la questione andrebbero fatti gli accordi con i paesi italiani confinanti, soprattutto accordi penali per rispedirli nel paese di provenienza.... magari accompagnati dai politici italiani ;)

Anonimo ha detto...

... c'è ignoranza a fiumi in Italia
la gente invece di analizzare i fatti e le norme (per carità abiamo migliaia di cose da fare nessuno ha mai tempo) si fa inebriare dalle scemenze ripetute migliaia di volte dai politici

Ecco perchè la sx perde le elezioni!
Lo disse Santoro-
-Ma gli italiani sono tutti cretini?

Anonimo ha detto...

Segnalo"i ragazzi turchi vogliono uscire dal ghetto" di Karin Elger"Un caro saluto a Enzo Bettiza