giovedì 7 maggio 2009

La colpa di Berlusconi per i maestrini di sinistra: non è snob come loro. Maria Giovanna Maglie

Nella serata televisiva che forse segnerà il suo maggior successo di pubblico e, obtorto collo, perfino di critica, Silvio Berlusconi a un certo punto ha raccontato di essere arrivato a Napoli un po’ in anticipo per una riunione politica che aveva in serata. «Quando il padre di Noemi mi ha detto che loro erano riuniti per festeggiare la ragazza e che il ristorante era a soli tre minuti dall’aeroporto di Capodichino, io ho verificato e avendo un’ora di tempo sono andato lì», ha continuato il premier, spiegando di essere arrivato con otto auto, tra polizia e scorta: «Sono entrato e subito sono partiti degli applausi. Di fronte a tutta quella gente non ho potuto non fare campagna elettorale e quindi ho iniziato a fare foto con tutti, dai familiari ai gestori del ristorante. Ma io mi chiedo come sia possibile pensare che se fosse stato un incontro piccante ci sarebbero state tutte quelle foto, e soprattutto io sono andato in un posto dove c’erano familiari, amici e i genitori». Interviene allora da Milano Ferruccio de Bortoli, che da neo per la seconda o terza volta direttore del Corriere, si sente intitolato a esprimere le palpitazioni e i turbamenti stiffy dell’alta borghesia lombarda, e fa notare che un capo del governo non dovrebbe andare a feste di nozze e compleanni, insomma che dovrebbe evitare il contatto con il popolino. La risposta è semplice: «Se non andassi ai matrimoni, rinuncerei a essere me stesso. Io parlo con i camerieri, i tassisti, i commessi. Ho un grandissimo rispetto per le persone umili». È così, piaccia o no, Dio sa quanto gli fa torcere le budella, ai cultori e praticanti dello snobismo politico, imprenditoriale ed intellettuale, delle élite che vivono giustificatamente separati e pensosi, perennemente con la puzza sotto il naso all’approcciarsi del cittadino comune. Quello di Silvio Berlusconi è per loro un modo insultante di esistere, di avere successo e di fare il leader, e avranno anche le loro ragioni, ma è il modo che convince, piace, ispira fiducia a un’ingombrante maggioranza di elettori italiani. Siamo un paese pop, votato a volgarità e ostentazione di immagine? Può darsi, ma il moralismo della scuola steineriana appartiene ancora una volta a pochi, e la pratica sacrosanta di opposizione politica non può nutrirsi di questi predicozzi, né tantomeno di presunte superiorità morali residue, invece di individuare un terreno serio di durissima palestra. Dario Franceschini, leader del partito che non c’è, ed è un vero peccato che un partito democratico non ci sia, è ridicolo quando dichiara che Berlusconi è alla frutta. Berlusconi dice il vero quando, come martedì sera a Porta a porta, replica che «la sinistra e la sua stampa non riescono ad accettare la mia popolarità che è al 75 per cento. Fanno solo attacchi personali fondati su calunnie». Dare del pop, del populista, del peronista, a un personaggio come il premier è patetico anche perché mai l’uomo si è presentato come diverso da sé e dalla propria natura. Il suo modo di essere può incantare o farlo detestare, ma è lineare e coerente. Il fastidio o l’apprezzamento spesso dipendono dalla libertà di pensiero e dal pregiudizio. Non a caso una delle cose più snob e fesse le ha scritte su un giornale amico, Il Foglio, Stefano Di Michele, certo la persona sbagliata per la bisogna: «Berlusconi ha tutto a favore, tranne se stesso. Si possono avere i miliardi, il potere - e persino i capelli - e mancare lo stesso di misura, di senso dell’opportunità, di gusto». E Veronica? «Veronica (detta “la signora” dal consorte: che finezza!) ha fatto bene due anni fa e ha fatto benissimo adesso». Diversa l’analisi di Peppino Caldarola, uomo di sinistra, che sul Giornale ha scritto di recente: «L’immediatezza e la forza del messaggio sono, se così posso dire, una forma di democrazia. Poi la stampa controllerà, l’opposizione farà il suo lavoro, gli elettori valuteranno, ma afferrare il problema dal lato suo più complicato è una modernizzazione rilevante dell’agire politico. Si procede “per acta” e non per parole d’occasione. Sosteneva Eraclito che il destino dell’uomo è il suo carattere. Nel caso di Berlusconi, il suo carattere è ottimista e fantasioso. Anche un non berlusconiano deve ammetterlo».
Caldarola si riferiva alla decisione lampo di portare la riunione del G8 all’Aquila, nell’Abruzzo colpito dal terremoto. Il presidente del Consiglio ha dimostrato agli abruzzesi che la partecipazione del governo alla tragedia non era solo un fatto episodico e retorico, non era solo propaganda. Ci andrà il mondo da loro, non saranno dimenticati. Se con questa mossa Berlusconi si è tolto di mezzo anche il fastidio dei no global, li voglio vedere a far casino in Abruzzo, tanto di guadagnato.
Il leader è lo stesso che due anni fa a San Babila, in un momento di crisi politica, salì sul predellino di una Mercedes e annunciò la nascita del nuovo partito. Alcuni alleati lo irrisero e lo spacciarono per matto, anche nella sua corte ci fu chi ironizzò, com’è andata si è visto. È andata così da quando in un anno orribile che era il 1993 fece dal niente Forza Italia e salvò il Paese dalla gloriosa macchina da guerra di Occhetto e anche dalla Procura di Milano. Il costo, altissimo, era già stato pagato, ma quel soviet l’abbiamo scampato.Silvio Berlusconi che piangeva e abbracciava tutti sul serio il giorno dei funerali dei morti del terremoto in Abruzzo mi ha ricordato vividamente un altro grande della politica, Bill Clinton. Tornava a far campagna elettorale in uno Stato sperduto dopo quattro anni e si ricordava delle persone, le stringeva, chiedeva come fosse finita quella storia della pensione o dell’assicurazione. Perché era così, pop, è sopravvissuto, a furor di popolo contro l’establishment schierato, a uno scandalo privato che avrebbe stroncato qualsiasi altro presidente americano. I popoli sono saggi. Sanno riconoscere un politico che li sceglie da un altro che li sopporta. (il Giornale)

7 commenti:

Anonimo ha detto...

L'immoralità è insita nel nostro Paese

dall'intervista a Bruno Tinti di Aaron Pettinari - 3 maggio 2009
Fonte: Antimafiaduemila


[...] Dottor Tinti, quando si può parlare di “questione immorale”? La classe politica spesso usa questi termini ma poi si perde nel significato della parola stessa con atteggiamenti tutt'altro che morali...
Io non farei esempi di moralità o immoralità della nostra classe dirigente. Il discorso è molto più ampio. Basta guardare la nostra situazione e la nostra storia. La rappresentanza politica che è presente in Parlamento non è certo nata oggi. Se il Paese, da anni ormai, esprime la propria preferenza per questa classe dirigente evidentemente questo significa che noi cittadini vogliamo essere rappresentati da certi soggetti, perché ci identifichiamo negli stessi. Poi va considerato che siamo in presenza di un circolo vizioso perché i cittadini non sono informati a causa di un tipo di informazione proprietaria che effettua un certo tipo di propaganda. Se il cittadino non viene informato, e non supera questo handicap tentando egli stesso di reperire informazioni tramite internet o quotidiani, ecco che i cittadini restano sudditi, continuando anche in futuro ad esprimere preferenze per leader che approfittano della situazione per proprio vantaggio. Ma la cosa ancora più preoccupante è che la nostra è una classe dirigente inquinata dal malaffare perché ad essere inquinato è il popolo italiano. E per dimostrare questo non serve fare grandi esempi, basta guardare alle piccole cose. Dalle auto parcheggiate in doppia fila, fino ai limiti di velocità mai rispettati. O ancora le leggi sulla parità di diritto tra uomini e donne sul lavoro o tra italiani e stranieri. Queste sono leggi che esistono ma che nel nostro Paese vengono raramente rispettate. E se si è così nel piccolo provate ad immaginare quando si ha tra le mani la gestione del potere.

Come valuta il problema dell'informazione in Italia? Spesso si assiste alla scomparsa delle notizie. Per esempio in questi giorni Luigi De Magistris, dopo essere stato attaccato a reti unificate, è stato prosciolto da tutte le accuse che gli avevano addebitato. Sui giornali e in tv però nessuno o pochissimo risalto è stato dato a questa notizia, invece, importantissima.
Se ai tempi del terzo Reich Goebbels avesse avuto un ministero della propaganda come quello che abbiamo noi oggi staremmo ancora con il braccio alzato: efficientissimo. Si è assistito e stiamo tutt'ora assistendo a una delegittimazione della magistratura anche a livello subliminale. Persino nelle fiction ad apparire come eroi sono i poliziotti e i carabinieri. Il giudice è quello che “rompe”, un imbecille che non lavora o arriva sempre in ritardo. Anche tramite questi mezzi si fa passare il messaggio che la magistratura è qualcosa che frena il Paese così come dice il nostro ineffabile presidente del consiglio. Quindi appare ovvio che l'informazione, al momento di dare notizie che contrastano tale progetto, preferisce tacere. Mi stupisco dei giornali indipendenti. Avrebbero dovuto dare la notizia.

Restando in tema di delegittimazione una vera e propria strategia è stata ordita ai danni del “consulente” Gioacchino Genchi. La sua opinione a riguardo?
Questo fa parte dell'attacco contro le intercettazioni e della delegittimazione della magistratura e dei suoi funzionari. Hanno fatto credere che esistesse un grande archivio di telefonate registrate facendo intendere ai cittadini che siamo tutti spiati. Un allarme assurdo che l'informazione proprietaria ha reso credibile dando spazio ad opinioni di politici che per cognizione di causa o per non conoscenza, hanno strumentalizzato tutto questo per raggiungere il loro principale obiettivo che è quello di eliminare la possibilità di essere intercettati. Per quanto riguarda l'archivio del dottor Genchi voglio precisare una cosa. Il consulente, per definizione, ha con sè la documentazione processuale. La possiede legittimamente perché è il pm a dargliela. Se si vuole effettuare un incrocio sui tabulati telefonici è chiaro che questi finiranno nelle mani del consulente. Un soggetto che dovrà essere sentito poi anche nell'eventuale processo. E se dovrà essere sentito riguardo ad un'indagine da lui compiuta perché non dovrebbe avere copia dei documenti su cui ha lavorato? Come potrebbe rispondere correttamente se no?

Per quanto riguarda le intercettazioni le principali imprese specializzate nell'eseguirle hanno minacciato il governo sia di non accettare futuri incarichi che di interrompere quelli già avviati se non verrà saldato il debito. Quale sarebbe il danno se ciò accadesse?
Secondo me il governo sarà contentissimo di questa cosa. Da tempo sta cercando di bloccare le intercettazioni, e se vi riuscirà senza fare leggi vergogna, prenderà due piccioni con una fava, risparmiando anche un sacco di soldi. Il danno per la giustizia sarebbe incalcolabile perché senza intercettazioni non si potranno più garantire se non quei processi più semplici come omicidi o quegli atti criminali commessi in flagranza di reato. Alcuni reati si scoprono solo tramite indagini complesse, lunghe e le intercettazioni sono fondamentali proprio in questi casi. Che così scomparirebbero dall'ordine dei processi.

Oggi si parla molto di necessità di maggior “controllo della magistratura”. C'è chi vorrebbe che quella italiana si uniformasse a quella straniera, sul modello degli Stati Uniti o della Svizzera.
Si può spiegare in due parole perché in Italia non può funzionare un sistema come questi. Negli Usa giudici ed i procuratori vengono eletti e sono direttamente appoggiati ad un partito. Questo implica una serie di aspetti. E' ovvio che alla fine del suo mandato il procuratore dovrà rendere conto al proprio elettorato. Dal suo agire può dipendere una rielezione o addirittura un avanzamento di carriera a sindaco o governatore. La domanda che subito sorge spontanea è “se può subire pressioni come può svolgere serenamente il proprio lavoro?”. Posso raccontare un episodio che ha coinvolto un collega svizzero. Svolgendo delle indagini su una banca questi era arrivato a scoprire delle movimentazioni con il ministero della giustizia, occupato da uno dei membri del partito che lo aveva eletto procuratore. Alle pressioni che arrivarono rispose con tono minacciando un coinvolgimento della stampa nel caso in cui non avesse più potuto porre a compimento l'indagine. Ecco perché in Italia questo sistema non potrebbe funzionare. Perché la stampa è fortemente intrecciata con la politica mentre all'estero no. A prescindere da questo poi credo che il sistema italiano sia migliore per un semplice motivo. Il giudice è un impiegato dello Stato. Non ci sono elezioni ma dei concorsi e la carriera è dettata dal merito. Ogni mese percepisce uno stipendio a prescindere da quello che sarà il suo giudizio ad un processo. Per questo potrà svolgere il lavoro con assoluta serenità. Certo è vero che può esserci il pm o il giudice corrotto con suoi progetti ed il suo santo protettore politico ma questi sono da considerare come una patologia, una malattia, e non rappresentano l'intera categoria.

Vista la situazione generale quali possono essere gli anticorpi per far fronte al grave stato che ci ha descritto?
Per prima cosa devo fare una considerazione. Io ho fatto l'impiegato tutta la vita. Io sono un tecnico, quando parlo di giustizia e di diritto; non mi sottraggo a queste domande anche se il mio giudizio vale come quello di qualunque altro. Detto ciò io ripeto ancora una volta che non posso pensare ad una Paese che esprime una classe dirigente diversa da ciò che il Paese stesso è. In un Paese sano non emerge una classe dirigente classe dirigente fondata sul malaffare. E' impossibile. Magari ci sarà una quota fisiologica di politici disonesti ma nel complesso la classe dirigente è sana ed efficiente. In un paese in cui i cittadini per primi non rispettano le regole è ovvio che emerga una classe dirigente di questo tipo. Se questo è vero, e non ho l'autorità per dire se è così o no, allora è dura uscirne perché bisogna aspettare una generazione di cittadini diversa da quella attuale. E quando arriverà chi la educherà? Come? Quindi, purtroppo, c'è da essere pessimisti"

Bruno Tinti

Anonimo ha detto...

Da "LA STAMPA" di giovedì 7 maggio 2009

VELENI IN CALABRIA: BRUNI AVEVA FATTO ARRESTARE QUATTROCENTO AFFILIATI ALLE COSCHE Tolta la scorta al pm minacciato dada mafia la procura di Crotone lo ha rimosso dalla Dda ANTONIO MASSARI CROTONE «Dotto`, che dobbiamo fare?».

E` stata la domanda più frequente, in questi giorni, nella procura dì Crotone: agenti, investigatori e consulenti che, a indagini in corso, hanno smarrito il proprio punto di riferimento.

E pensare che in Calabria, nelle procure, si lamentano della scarsità di pm. E` lo strano caso di Pierpaolo Bruni, 40 anni, fino al5 maggio applicato alla dda, e ora «rimosso»: il procuratore generale non gli ha rinnovato l`applicazione. «Che dobbiamo fare?», chiedono gli agenti. Aspettare. Aspettare che un altro pm studi le carte e riprenda le indagini. Un esempio:

sono stati individuati gli autori della faida di Papanice - tre morti ammazzati e una bimba in fin di vita - ma il pm non può disporre gli arresti: non è più nella dda. Quindi, per quell`inchiesta, non può fare pìù nulla. E non solo visto che aveva messo le mani sugli intrecci tra la mafia crotonese, la politica regionale e nazionale, con interessi ramificati fino a Bruxelles. Lo strano caso del pm Pierpaolo Bruni, diventa ancora più strano se pensiamo che il suo capo, Raffaele Mazzotta, voleva che proseguisse il suo lavoro nella dda. Mazzotta l`ha messo nero su bianco. Niente da fare. il pg reggente Dolcino Favi lo «rimuove».

E` lo stesso Favi che avocò l`inchiesta Why Not all`ex pm Luigi de Magistris e per questo è indagato dalla procura di Salerno.

E` lo stesso Bruni che, applicato a Why Not, dopo un anno, anche quella volta, dovette mollare le indagini. Eppure aveva dato un impulso notevole. Grazie al suo lavoro fu iscritto tra gli indagati, e perquisito, il governatore calabrese Agazio Loiero, per il quale era stato chiesto il rinvio a giudizio. Bruni aveva rintracciato i collegamenti finanziari che dalla Calabria portavano alla cosidetta Loggia di San Marino.

Eppure si consumò il divorzio con il pool di Why Not. Oggi perde il suo ruolo nell`antimafia.

Se non bastasse la richiesta del suo capo Mazzotta, è il curriculum di Bruni, a non lasciare dubbi: oltre 400 arresti, una decina di boss condannati in regime di 41 bis, 140 milioni di euro sequestrati alle cosche, impianti accusatori che hanno sempre retto in tutti i gradi di giudizio.

«Rispetto la decisione», dice il pm. «Ma è ovvio che sia rammaricato:

mi dispiace, dopo anni di lavoro, non poter concludere l`accertamento dei rapporti tra la `ndrangheta e quella nebulosa di colletti bianchi, asserviti alle cosche, che condiziona pesante- mente le istituzioni». A livello nazionale e internazionale. Partendo dalle cosche del crotonese Bruni ha scoperto, nell`inchiesta Perseus, che gli intrecci avevano toccato persino il ministero dell`Ambiente del vecchio governo Berlusconi, all`epoca retto da Altero Matteoli, che non è indagato, ma risulta indagato un suo stretto funzionario, Aldo Cosentino.

Per quest`inchiesta siamo arrivati al rito abbreviato, con ben 93 imputati, ma non sarà Bruni a discuterlo in aula. Negli uffici giudiziari, adesso, circola una malignità: gli toglieranno anche la scorta. Ricordando che armi e tritolo, destinate al giovane pm di Crotone sono stati rinvenuti pochi mesi fa. «Dove maturano i progetti d`attentato?», commentò Bruni all`epoca, «anche nei salotti della "buona" borghesia calabrese, tra mafiosi con la coppola e col colletto bianco, dove si decide, con l`isolamento, la vita o la morte di chi combatte, nelle istituzioni, i loro intrecci perversi».

Anonimo ha detto...

raramente la maggioranza ha ragione...deocrazia significa anche e soprattutto rispetto delle minoranz e rappresentatività, non maggiornanza plebiscitaria. La maggioranza quasi mai ha ragione, come la storia insegna, ahimé

maurom ha detto...

Può darsi che la maggioranza non abbia sempre ragione, ma è la democrazia la miglior forma di gestione dello Stato, per il momento.

minnanon ha detto...

La maggioranza non ha mai ragione,
figuriamoci allora la minoranza!

Anonimo ha detto...

raramente la maggioranza ha ragione.....

Qualche volta può capitare. E'vero.
Ma non è la regola generale.
Democrazia significa governo voluto dalla maggioranza. Ma non è il conteggio delle teste (o dei piedi, diviso per 2) CHE CONTA.
Il principio fondamentale della democrazia consiste nel controllo (CONTROLLO) che l'elettorato esercita su chi governa: dopo, ovviamente, si regola quando tornerà il momento di confermare o meno l'operato di chi ha governato fino a quel momento. OK?
Quindi: vale sì il conteggio delle teste, ma soprattutto vale il principio che in democrazia chi governa viene controllato da coloro che sono governati. Chiaro?
I principi su cui si regge un governo sono, per ora soltanto due:
-o la maggioranza viene chiamata ad eleggere i proprio governanti
-o si instaura un governo totalitario: vedi fascismo, nazismo, comunismo.
Il resto è tutta chiacchiera, flatus vocis, retorica vuota, paroloni al vento ... (oggi l'Italia è un Impero!!!!).
La democrazia ha tanti difetti, ma sfido chiunque a trovare un sistema di governo migliore, in grado di controllare e denunciare (libera stampa) gli abusi, le mascalzonate, gli accordi sotto banco ... e purtroppo anche la stampa spesso si perde e fa demagogia attraverso scoop scandalistici che niente hanno a che fare con il progresso ed il benessere del paese.

Anonimo ha detto...

...democrazia significa anche e soprattutto rispetto delle minoranze e rappresentatività, non maggiornanza plebiscitaria...

Il discorso è arrovellato, fatto ad uso e consumo della sx oggi all'opposizione.
La maggioranza GOVERNA nel ripsetto dell'elettorato che rappresenta, e, certamente, nel rispetto della minoranza del paese; ma questo rispetto non significa rinunciare al programma elettorale, al compito affidato dagli elettori al governo. La minoranza deve essere ascoltata, consultivamente; poi, se si trova l'accordo bene, altrimenti ... si governa anche senza la minoranza.
E' il caso di ricordare, en passant, le prodezze del governo
Prodi, che faceva e disfaceva, con una maggioranza di 24mila voti alla Camera, e con una minoranza di 3oomila voti al senato, dove riscosse, grazie alla legge elettorale tanto deprecata, una esigua, quasi inconsistente maggioranza parlamentare; tantoché il governo era appeso al filo di ragnatela dei senatori a vita. Molto democraticamente Prodi, contro il volere di un elettorato ormai ostile (i sondaggi parlavano chiaro) rimaneva aggrappato al potere, e faceva e disfaceva, a dispetto degli Italiani che non ce lo volevano più, con le unghie e con i denti.
... fino al patatrac!
Esempio sublime di attaccamento ai principi democratici e al rispetto delle minoranze.
... e questo si chiama malcostume democratico, crisi della democrazia, tendenza autocratica, svilimento della funzione parlamentare ( vedi governo che si regge coi voti dei senatori a vita) ... la storia insegna anche questo.