sabato 13 giugno 2009

Gli abbiamo permesso troppo. Michele Brambilla

Ammesso che l’uomo visto in questi giorni a Roma sia davvero il colonnello Muammar Gheddafi e non Nino Frassica in uno dei suoi celebri travestimenti - come farebbero supporre la divisa caricaturale, il cerone e i capelli tinti con il lucido delle scarpe, la tenda le amazzoni e in genere tutta la grottesca scenografia - c’è da chiedersi se non ci sia stato un eccesso di buona educazione, da parte della diplomazia italiana, nell’accogliere l’ospite.
Siamo uomini di mondo, e conosciamo bene - come ha scritto su questo giornale Mario Cervi nei giorni scorsi - le ragioni della Realpolitik. A Gheddafi si dovevano comunque delle «scuse» per l’occupazione italiana in Libia di quasi un secolo fa (anche se, come ha ricordato ieri Sergio Romano sul Corriere della Sera, «il colonialismo fu molte cose, non tutte e non sempre necessariamente spregevoli»); e con Gheddafi, soprattutto, sono in ballo questioni importanti per non dire vitali: affari da cinquanta miliardi di dollari e la lotta all’immigrazione clandestina. Non solo, quindi, l’uomo andava ricevuto, e ricevuto con gli onori dovuti a un capo di Stato; ma si poteva pure mettere in conto di dover chiudere un occhio davanti a qualche prevedibile incontinenza.
Gheddafi però non è stato solo un po’ incontinente. Si è comportato da padrone di casa in casa d’altri; ha preteso un cerimoniale senza precedenti; non contento, ha voluto irriderci quando gli ha fatto comodo. Di tutto questo, naturalmente, egli è il primo responsabile. Ma i secondi siamo noi, che gli abbiamo permesso troppo.
Gheddafi, che della tenda se ne frega - infatti ha dormito in albergo -, ha preteso e ottenuto di trasformare in un circo il parco pubblico di Villa Pamphili, per l’occasione chiusa ai cittadini. Poi, alla sala Zuccari del Senato, di fronte ai nostri parlamentari ha tenuto, senza che alcuno potesse replicare, la sua arringa terzomondista e quartomondista contro il solito colpevole di tutti i mali, l’Occidente, del quale pure noi italiani, per inciso, facciamo parte. Ha potuto dire che la democrazia possiamo tenercela per noi, ma non dobbiamo sognarci di auspicarla per Paesi dove dittatori come lui vogliono continuare a fare ciò che vogliono; ai membri dei nostri partiti ha ricordato che i partiti non servono a niente, anzi sarebbe meglio scioglierli; infine, ha equiparato gli Stati Uniti a Bin Laden, ricordando il bombardamento Usa sulla Libia nel 1986. Senza che nessuno potesse fargli presente, magari, che quel bombardamento fu la risposta a una serie di attacchi terroristici da egli stesso commissionati, e culminati con la strage di soldati americani alla discoteca «La Belle» di Berlino. Per una volta, concordiamo con i senatori dell’Idv, che sono rimasti fuori dalla sala Zuccari (insieme a quelli dell’Udc) appuntandosi sulle giacche la foto dei rottami dell’aereo Pan Am distrutto nel dicembre del 1988 nei cieli di Lockerbie da una bomba fatta collocare appunto da Gheddafi. Una foto, quella esibita dai senatori Idv, che era una replica all’immagine anti-italiana ostentata dal leader libico all’aeroporto in faccia al nostro presidente del Consiglio.
A Gheddafi è stato poi concesso di pontificare - anche qui senza contraddittorio - alla Sapienza, dove al vero Pontefice, Benedetto XVI, era stato impedito di parlare. Del resto il Papa - ci ha detto, anzi ci ha potuto impunemente dire - ancora Gheddafi, è una specie di ayatollah o di mullah, e ha la stessa legittimità di un capo terrorista integralista. In Campidoglio, a fianco di un Alemanno non sappiamo se più imbarazzato o più infastidito, il dittatore libico ha salutato con il pugno chiuso.
Poi ha tenuto - proprio lui - una lezione sulla dignità della donna. È stata la penultima barzelletta. L’ultima è l’insolente ritardo con il quale il nostro ospite (non) si è presentato a Montecitorio. Un ritardo che Gheddafi probabilmente si è permesso anche perché aveva visto che poteva concedersi qualsiasi villania. Benissimo ha fatto Gianfranco Fini, dopo due ore di inutile attesa, ad annullare l’incontro. Finalmente uno che ha fatto capire al Prepotente che c’è un limite a tutto.
Qualcuno dice che la visita di Gheddafi ha avuto l’aspetto di una pagliacciata, e c’è del vero. Mike e Fiorello ne hanno subito fatto una divertente parodia. Ma di fronte al surreale Gheddafi di questi giorni non c’è niente da ridere. Anzi. Il kitsch, il lato comico e macchiettistico di Gheddafi e della sua corte hanno soprattutto l’effetto perverso di gettare in burletta un regime dagli armadi zeppi di scheletri. L’effetto di farci dimenticare che quel Ventennio che Gheddafi è venuto qui a denunciare, in Libia è tuttora vivo da un Quarantennio.
Gheddafi, rispetto a quando ordinava attentati in tutto il mondo, è cambiato. Lo sappiamo. E molti politici che hanno contestato la sua visita, lo hanno fatto soprattutto per contestare il governo italiano: sappiamo anche questo. Però nessuno ci toglie dalla testa che chi ha curato il protocollo di questi giorni debba farsi un esame di coscienza, e far tesoro di quel che è accaduto a futura memoria. Quanto a Gheddafi, la sua visita finisce oggi. Non ne sentiremo la mancanza. (il Giornale)

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Si, probabilmente lo e

Anonimo ha detto...

La ringrazio per intiresnuyu iformatsiyu