venerdì 12 giugno 2009

In Abruzzo neppure la propaganda di Repubblica scalfisce la fiducia nel Cav. Bernardino Ferrero

Dice Antonio Padellaro, già direttore dell'Unità, guest-star dell'ultima puntata di questa stagione di Annozero, che vi è una prova lampante della cappa plumbea che opprime l'informazione in Italia: la sordina che sarebbe calata sull'Abruzzo, dove invece fra le tendopoli e le migliaia di sfollati del terremoto sarebbe in corso una rivoluzione permanente contro Berlusconi, il governo e il Popolo della Libertà.

Ma per fortuna dalle parti di largo Fochetti, circondato da un mare di repressione e oscurantismo, resiste un atollo di libertà, presidiato dagli uomini di Repubblica. I quali, con sprezzo del pericolo e incuranti della censura di regime, nei giorni precedenti alle elezioni del 6 e 7 giugno, tra un'imboscata a Casoria e una puntatina a Villa Certosa, si sono introdotti nel cratere colpito dal sisma per dar voce all'ultima trincea di resistenti al fascinoso strapotere del Cav.

E adesso chi glielo dice, all'uno e agli altri? Chi glielo spiega a quelli di Rep. e a Padellaro, che l'unica notizia suffragata da numeri e dati a prova di bomba è che il popolo abruzzese ha deciso di fidarsi del presidente del Consiglio, del suo partito e della sua classe dirigente, con percentuali che non sono state raggiunte in nessuna altra parte d'Italia?

Eppure ai nostri eroi per evitare figuracce sarebbe bastato poco. Leggere qualche numero, ad esempio. Analizzarlo senza pregiudizi. E avrebbero scoperto che la realtà, nella terra in cui si soffre per davvero e ci si cura poco dei voli di Apicella o delle vicende private altrui, è profondamente diversa da come la si vuole raccontare. E assieme a un tuffo nella verità avrebbero (forse) avvertito il bisogno di un bagno di umiltà.

In Abruzzo, infatti, alle elezioni europee il Popolo della Libertà ha raggiunto con il 44,52 per cento il risultato record fra tutte le regioni italiane, e il Pd si è fermato al 22,8 per cento. Alle amministrative, i cinque grandi appuntamenti - le provinciali di Pescara, Teramo e Chieti e le comunali di Pescara e Teramo - sono stati centrati tutti al primo turno, con risultati ben al di sopra della soglia necessaria per evitare il ballottaggio.

All'Aquila, in particolare, nel cuore del dolore, laddove la scommessa della ricostruzione assume i connotati della sfida per la vita, laddove il presidente del Consiglio ha messo in gioco la sua faccia e il governo la sua credibilità, laddove lo Stato ha voluto far sentire la sua presenza, 55 elettori su 100 fra quelli che hanno potuto e voluto recarsi a votare hanno scelto di fidarsi di Berlusconi e della forza politica di cui il premier è alla guida. Hanno suggellato un patto che oggi è ancora più forte di ieri. E soprattutto hanno lasciato al palo, al di sotto del baratro del 20 per cento, il Partito (democratico) di quanti, finanche all'interno delle istituzioni, hanno irresponsabilmente soffiato sul fuoco di una sofferenza oggettiva nel malcelato tentativo di lucrarne un vantaggio politico, ora e in vista delle amministrative rimandate al prossimo autunno.

Non ha avuto fortuna la furibonda cavalcata di quanti, negli enti locali amministrati dal centrosinistra, anziché collaborare con le istituzioni governative alla gestione dell'emergenza e ai primi passi della ricostruzione hanno preferito inscenare una mobilitazione permanente. E non ha avuto fortuna neppure il "benaltrismo" dei soloni democrats, sempre pronti a inforcare la penna rossa e blu.

Per le strade del capoluogo ferito a morte, dove ancor più che i cumuli di macerie a gridare il bisogno di speranza e di futuro è lo spettrale silenzio dei palazzi con le fondamenta apparentemente intatte, ma in realtà implosi su se stessi e vuoti come un dente cariato svuotato di ogni polpa; lungo le vie residenziali, dove sotto il peso delle colonne superstiti sbucano surreali i fanali delle auto accartocciate; nelle piazze militarizzate, dove i soldati, gli agenti e gli uomini delle forze dell'ordine piangono con l'espressione del viso il dolore dei passanti attoniti, e gli abruzzesi fieri e solidali sono un monumento vivente alla dignità. Laddove c'è l'ansia di ricominciare a vivere non c'è bisogno di parolai, tantomeno di sciacalli. C'è bisogno di dare fiducia, e di pretendere che non venga tradita.

Ed è questo che il "regime", quello vero, ha deciso che nessuno dovesse sapere. (l'Occidentale)

4 commenti:

Anonimo ha detto...

di Peter Gomez
(Giornalista)




da Voglioscendere


I piduisti amici del boss mafioso Vittorio Mangano e di altri noti criminali ce l’hanno fatta.

Tra ieri e oggi, nel silenzio complice di buona parte della stampa italiana, è stata abolita la libertà di parola.

D’ora in poi, salvo ripensamenti del Senato, sarà impossibile raccontare sulla base di atti giudiziari i fatti e i misfatti delle classi dirigenti.

Chi lo farà rischierà di finire in prigione da 6 mesi a tre anni, di essere sospeso dall’ordine dei giornalisti e, soprattutto, dal suo giornale, visto che gli editori andranno incontro a multe salatissime, fino a un massimo di 465.000 euro.

Il plurimputato e pluriprescritto Silvio Berlusconi per raggiungere il risultato è stato costretto a ricorrere al voto di fiducia.

Le nuove norme contenute nel disegno di legge sulle intercettazioni telefoniche sono infatti talmente indecenti da risultare indigeste persino a un pezzo importante della sua maggioranza.

Da una parte, s’interviene sul diritto-dovere d’informare con disposizioni grossolane e illiberali stabilendo, per esempio, che le lettere di rettifica vadano pubblicate integralmente (anche dai blog) senza possibilità di replica.

Insomma, se un domani Tizio scriverà a un giornale per negare di essere stato arrestato, la sua missiva dovrà finire in pagina, in ogni caso e senza commenti, pur se inviata dal carcere di San Vittore.

Dall’altra, per la gioia di delinquenti di ogni risma e colore, si rendono di fatto impossibili le intercettazioni.

Gli ascolti saranno infatti autorizzati, con una procedura farraginosa e lentissima, solo in presenza di «evidenti indizi di colpevolezza».

Cioè quando ormai si è sicuri che l’intercettato è colpevole.

E in ogni caso non potranno durare più di due mesi.

Inoltre le microspie potranno essere piazzate solo nei luoghi in cui si è certi che vengano commessi dei reati: detto in altre parole, è finita l’epoca in cui le cimici nascoste nelle auto e nei salotti dei mafiosi ci raccontavano i rapporti tra Cosa Nostra e la politica.

Che Berlusconi e un parlamento formato da nominati e non da eletti dal popolo, in cui sono presenti 19 pregiudicati e una novantina tra indagati e miracolati dalla prescrizione e dall’amnistia, approvi sia pure tra qualche mal di pancia leggi del genere non sorprende.

A sorprendere sono invece le reazioni (fin qui pressoché assenti) di quasi tutti i direttori dei quotidiani e dei comitati di redazione dei telegiornali (dai direttori dei tg, infatti, non ci si può aspettare più nulla).

Quello che sta accadendo in parlamento dovrebbe essere la prima notizia del giorno.

E invece a tenere banco è la visita di Gheddafi e le polemiche intorno alla sua figura di dittatore.

Così a furia di parlare di Libia nessuno si accorge di come il vero suk sia ormai qui, a Roma, tra Montecitorio, Palazzo Madama e Palazzo Chigi.

E di come, tra poco, nessuno potrà più raccontarlo.

minnanon ha detto...

Più che libertà di parola a me sembra libertà di sputtanamento a mezzo stampa, libertà di sbandierare fatti e comportamenti privati anche in mancanza di reati accertati.

Anonimo ha detto...

good start

Anonimo ha detto...

quello che stavo cercando, grazie