Il centro destra si avvia a perdere le elezioni amministrative, al punto da avere preso in considerazione l’ipotesi di disertarle. Il centro sinistra si appresta a vincerle, ma avendo sconfitto prima il Partito democratico. Se questi sono i prevedibili conti nelle urne il bilancio politico è diverso: il governo Monti sta facendo quello che il centro destra non è stato capace di fare, ma che pure avrebbe voluto, il che mette in grave difficoltà la sinistra, spaccandola. In fondo quello in carica rientra nel novero dei sogni berlusconiani: un governo senza i partiti e che sbandiera i sondaggi. Immagino l’invidia.
Lo squagliamento dei grossi partiti ha spostato alla scadenza naturale le elezioni politiche, il che non è un successo della stabilità, ma un fallimento della politica. Eppure il governo non risparmia sgradevolezze alla sinistra, spingendo Pier Luigi Bersani, controvoglia, a dire che il voto del proprio partito non è scontato. Invece lo è. La riforma del mercato del lavoro si farà, coinvolgerà anche le bandiere (leggi articolo 18), dimostrerà la scarsa rappresentatività dei sindacati e ha già messo in crisi anche confindustria. La direzione di marcia del governo è tutta politica, concepita con determinazione: l’Italia non è rappresentata da chi pretende di rappresentarla.
Se si ragiona ponendo mente alle singole questioni non si può che esserne felici. Quando parla il ministro Fornero tendo ad applaudire in piedi, anche se mi trovo da solo in una stanza. Quando vedo il modo in cui certi problemi vengono affrontati faccio mentalmente il conto di quante occasioni ha sprecato il centro destra, e il totale è inquietante. Ma rimane da esaminare un dettaglio: le democrazie funzionano con il consenso, misurato in libere elezioni, mentre qui quel che gli italiani hanno complessivamente votato è ostaggio di un governo commissariale. Sarebbe incosciente non vedere il pericolo.
Se la metà delle cose che il governo Monti sta facendo fossero anche solo state dette dal governo precedente si sarebbe scatenata la guerra civile. Non è un’ipotesi, ma la nostra storia recente. Eppure sono cose giuste e necessarie, riconosciute come tali anche dalla sinistra che non si trova in servizio propagandistico permanente. Ciò dimostra che il nostro meccanismo democratico s’era inceppato prima, e sebbene il montismo non sia un rimedio, di certo non è la causa.
Provo rispetto per il travaglio del Pd, non mi abbandonerei ad alcun dileggio. Bersani, come tanti altri, sa benissimo che si deve riformare il lavoro abbattendo le barriere all’ingresso e, quindi, anche molte garanzie. Eppure deve far fronte ad un problema: come si fa a portare il consenso di quanti sono stati allevati nel dissenso? La versione banale racconta il pericolo che il Pd si spacchi, ma questo importa solo a un gruppo dirigente vecchio, incapace, privo d’idee e strapronto per la definitiva rottamazione. La versione più ragionevole, però, descrive una questione delicata: se si abbandona la base elettorale alle tentazioni estremistiche, armate di bastoni come di moralismo, in attesa d’incrudelirsi ulteriormente, non si fa un servizio al Paese, ma se ne coltivano i vizi e i difetti.
Il centro destra, del resto, assiste attonito alla guerra contro l’evasione fiscale, condotta con metodi a dir poco appariscenti ma in sé tutt’altro che deprecabile. Non riesce, però, a trovare il modo per dire quel che è ovvio, ma, al tempo stesso, la certificazione del proprio fallimento: le tasse devono diminuire, non essere incassate con maggiore pervasività, la persecuzione fiscale non solo riduce il cittadino a suddito di un potere dispotico, che prima pignora e poi discute, ma deprime l’economia e fa scemare l’ossigeno.
Ripeto: il centro destra politicamente vincente (quello, per intenderci, che fu governativamente perdente) incasserà presto sconfitte elettorali, mentre il centro sinistra elettoralmente vincente è quello politicamente sconfitto e da superare. Tutto questo dice che quei due partiti dovrebbero fare appello all’intelligenza e al coraggio, facendo non dell’appoggio ricattato, ma della partecipazione diretta al governo Monti la chiave per aprire veramente la porta delle riforme costituzionali. In un processo che deve coinvolgere anche la prossima legislatura. Ciò segnerà la fine loro e della seconda Repubblica, ma la renderebbe utile. In caso contrario sono comunque finiti, non hanno più nulla da dire, meno ancora da fare, ma in un processo di disonorevole decomposizione.
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