martedì 23 aprile 2013

Germania declassata. Davide Giacalone

Mentre l’Italia cerca di districarsi dal groviglio istituzionale, e mentre le irragionevoli rigidità imposte da Pierluigi Bersani hanno allungato l’assenza di un governo, nella pienezza delle sue funzioni (e della sua legittimazione democratica), fin oltre l’elezione del presidente della Repubblica, il mondo che ci circonda corre. Incurante della nostra distrazione. Egan-Jones, agenzia di rating minore, ma che è anche la prima ad avere declassato gli Stati Uniti, poi seguita dalle altre, declassa ora la Germania, portandola ad A da A+. Ieri Moody’s ha invece confermato la tripla A ai tedeschi, ma ha aggiunto che l’outlook (la previsione) volge al negativo.

La ragione del declassamento sta proprio nella fragilità delle banche tedesche, a cominciare da Deutche Bank. Egan-Jones svolge un ragionamento che ricalca quello che qui avevamo anticipato: se i numeri rendono necessario un aiuto di Stato, nell’ordine dei 100 miliardi di euro, il debito pubblico tedesco non solo è il più grande, in termini assoluti, ma raggiunge e supera il 100% del pil. A questo si aggiunga che il debito pubblico dei tedeschi, come anche quello dei francesi, è cresciuto, negli ultimi cinque anni, assai più di quello italiano. Quindi non solo abbiamo problemi comuni, ma la nostra condotta è, proprio adottando la dottrina teutonica, più virtuosa della loro.

Ciò non significa che “mal comune mezzo gaudio”, né toglie nulla alle arretratezze strutturali del nostro mercato, che da troppi anni attende riforme che non arrivano, o arrivano smozzicate, significa, però, che un governo degno di questo nome avrebbe il dovere e l’opportunità di toglierci dalla vetrina degli esempi negativi e, anzi, far valere il peso politico dei molti sacrifici già fatti.

A questi dati va aggiunto l’approfondimento fatto dal Fondo Monetario Internazionale sulle nostre banche, che si rivelano patrimonialmente più solide di altre, in giro per l’Europa. Ancora una volta: non significa che stiamo bene, ma che non siamo malati infetti da tenere in isolamento, per evitare il contagio, ma, semmai, che la severità imposta dalla Banca d’Italia dovrebbe essere un modello per gli altri.

Il fatto è che tutti gli altri hanno sistemi istituzionali senza posti vacanti e governi pienamente insediati. Il tempo fin qui devastato è un costo che imponiamo al nostro sistema produttivo. Uno svantaggio competitivo che non intacca la parte improduttiva della spesa pubblica, ma azzoppa l’Italia che corre e che ancora porta a casa risultati ragguardevoli, in giro per il mondo. Ci siamo fatti del male da soli, insomma, anche consentendo che ci venissero affibbiate colpe che non abbiamo e messi in conto penalità che non meritiamo. Chi crede che il problema sia solo estetico guardi a questi scenari, più che convincenti per risolversi a farla finita. Tornando ad occuparci di cose che non siano il retrocucina della politica politicante.

Pubblicato da Libero

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