martedì 30 aprile 2013

Lunardi, l'ingegnere dimenticato. Vittorio Feltri

«Scusi ingegner Pietro Lunardi! Scusi proprio!». Questo bigliettino dovrebbe sottoscriverlo non dico il popolo italiano, che oggi non è di buon umore e sbranerebbe chiunque sia stato ministro della Repubblica, ma almeno il gruppazzo dei giornalisti autori della pubblica impiccagione della reputazione di Lunardi. Non vedendo nessuna possibilità di assistere in vita ad un simile episodio, lo faccio io.
Scusi, ingegnere.
Lunardi fu messo sotto accusa per una palazzina acquistata dal Vaticano. L'avrebbe pagata troppo poco, e lo sconto sarebbe stato il premio delittuoso di una buona parola per indirizzare finanziamenti così da sistemare un museo vaticano. Coimputato il cardinale Sepe. Ho subito pensato: impossibile. A parte l'onestà dell'uomo, da me sperimentata nel momento della prova più dura, so per diretta esperienza come i preti siano capaci di tutto, ma sugli immobili non farebbero sconti neanche se si presentasse la Sacra Famiglia la vigilia di Natale. Poi, quella notizia me la sono scordata e ho creduto nella solita lentezza della giustizia. E siccome la vita è complicata, non ho più avuto occasione di frequentare l'ingegnere per domandargliene conto.
Sapete com'è finita la vicenda? Archiviata, archiviatissima. Una bolla di sapone. Non coincidono date, non è vero che il prezzo era incongruo. Sarò anche stato distratto, ma non ricordo un trafiletto che sancisse l'innocenza del nostro. L'ho appreso poche ore fa. Mi ero a dire il vero chiesto, nei mesi scorsi, perché Lunardi, un ministro eccellente tra il 2001 e il 2006, non si fosse ripresentato in politica. Aveva fatto ripartire i cantieri con la famosa legge obiettivo, in seguito aveva imposto ad un'Italia indisciplinata la patente a punti, salvando centinaia di vite. Risposte generiche dagli addetti ai lavori, allusioni al fatto di cui sopra. Ci ho creduto, altrimenti almeno gli uomini del suo partito - ho pensato - l'avrebbero trattenuto. Invece no. Innocente eppure sacrificato. Perché? Chi conosce un po' la vita, anche senza aver fatto il militare a Cuneo, sa cosa accade quando uno è bravo, troppo bravo, e non ha leve di potere per cacciar via i lupi. Comincia per «i». Traduco: invidia.
Ho telefonato a Lunardi, per domandargli del suo destino e se mai gli avessero domandato la disponibilità per un ministero, visto che a suo tempo ero stato io a proporre una campagna di stampa per imporlo (con successo e con soddisfazione, grazie all'intelligenza di Berlinguer). Ci siamo visti nel suo ufficio di Milano, sede della Rocksoil, dalle parti di piazza San Marco. Prima di descrivere che cosa ci ho visto dentro, qualcosa di splendido, Lunardi mi ha messo in mano le carte giudiziarie, il cui sunto ho proposto poco sopra. Zero al cubo. Mi fermo qui sul versante della carta bollata.
Ho trovato Lunardi in forma splendida. Ha già il plastico di progetti fantasmagorici. Della politica, anzi dei politici, mi dice: «Ho conosciuto gente splendida, Berlusconi è unico. Ma su tanti altri mi viene da dire: quanta incompetenza. Non potevo far massa con quella gente lì. Ora sto da dio». Non fa nomi, è un signore. Posso dire che a me viene un po' di magone? Perché sbattiamo fuori i migliori dall'arena pubblica? Tra poco ci sarà il centenario di Machiavelli, avrei voluto che questo Ingegnere fosse un po' più machiavellico, e io sarei tranquillo, con tanti asini fatti fuori e un cavallo di razza, un Varenne, a correre con i nostri colori.
Molte cose che ci siamo dette sono fatti nostri. Ma altre le voglio riferire, perché utili. Egli ritiene necessario insistere sulle grandi opere, fattore di trascinamento di tutta l'economia, infrastrutture insostituibili per dare sostegno alla competitività del Paese e anche simboli di una certa grandezza positiva.
Per questo è pro-Tav, con convinzione. A differenza mia è anche un fervente sostenitore del Ponte di Messina, e ce l'ha con Monti e Passera che l'hanno bloccato. Sostiene sarebbe tranquillamente finanziato dai privati, ad esempio il Qatar, e consentirebbe a sei milioni di persone di non essere isolate (che non a caso viene da isola).
Non posso dire che cosa ha sul tavolo, mi vincola alla riservatezza. Posso dire che è un progetto meraviglioso e riguarda i mondiali di calcio del 2018. Qualcosa di assolutamente geniale, nel deserto, un deserto trasformato. Ma basta così. Vedo ovunque, sparsi sugli scaffali, volumoni suoi in varie lingue. Anche in cinese, dove è ritenuto il non plus ultra in fatto di tunnel, e lo chiamano nelle università con gli onori di un Nobel. Mi faccio confessare l'ultima: ha in ballo lo studio di una galleria che attraverserà le Ande, per un collegamento ferroviario tra Buenos Aires e Santiago del Cile, e l'idea è di sfruttare - d'intesa con il Nobel Carlo Rubbia - questa perforazione per piazzare sotto la Cordigliera un immenso laboratorio sul modello di quelli del Gran Sasso. Ne manca uno infatti di questo tipo nell'emisfero sud.
Ma ero qui nello studio per altro. Per un dovere di giustizia e per il piacere dell'amicizia. L'amicizia nata dal cozzare di due teste dure e arciconvinte ciascuna di aver ragione. Aveva ragione lui, e salvò migliaia di vite, e permise il ritorno della vita in una regione. Parlo dell'alluvione della Valtellina, 1987. In un Paese appena appena più capace di gratitudine e meno invidioso, lo si innalzerebbe più su di un Nobel. Avrebbe già delle strade e delle piazze dedicate in vita, sarebbe stato collocato come una gloria sullo scranno di senatore perenne.
Ormai ci sono e per togliervi la curiosità racconto l'antefatto.
Ho conosciuto Lunardi quando, tranne gli scienziati, nessuno sapeva chi fosse. Siccome non sono uno scienziato, appartenevo al gregge di chi belava paura e incertezza. Era il 1987. Non erano belle circostanze. C'era stata, dopo l'alluvione, la frana che aveva causato molti morti in Val Pola, tra Bormio e Grosio, lungo l'Adda. Sull'alto versante montuoso della Val Pola, che si stende ai piedi del monte Zandila, martedì 28 luglio, alle 7.23, venne giù, con un fragore somigliante a uno schiocco di frusta, un intero pezzo del monte Zandila: in mezzo minuto, 40 milioni di metri cubi di terra, roccia, sassi riempirono il fondovalle, si incastrarono, in basso, nella strozzatura della valle. Morirono 7 operai al lavoro per ripristinare la statale 38 dello Stelvio e 28 abitanti di Aquilone (non fu travolta dalla frana ma divelta dallo spostamento d'aria).
Il Corriere della Sera mi spedì da quelle parti come inviato e come coordinatore di parecchi cronisti. Non bastavano i morti di quel giorno e dei giorni precedenti. Incombeva il peggio. Si era formata una barriera naturale che bloccava il deflusso delle acque dell'Adda. Una parete di 50 metri: insieme solida ma instabile. Il rischio assai prossimo era che la pressione del sinistro lago artificiale sfondasse la diga. Che fare? Continuavano a scatenarsi temporali, il livello delle acque cresceva di 20 centimetri ogni ora. La prospettiva era di un'ondata di violenza spaventosa, capace di distruggere ogni località del fondovalle, fino a Sondrio e oltre.
L'ingegner Lunardi (chi è questo qua?) prende su di sé la responsabilità: la tracimazione controllata. Ci litigai. Non mi convinceva. Com'era possibile che per svuotare un vaso colmo di liquido se ne dovesse aggiungere dell'altro? Non me ne capacitavo. Be', ebbe ragione lui. Domenica 30 agosto 1987 la Valtellina cominciò a tornare se stessa, l'Adda fu di nuovo quel fiume vivace e buono dei Promessi sposi. E l'ingegner Lunardi per me diventò l'Ingegnere. Ingegnere nel senso più completo e umano del termine. Mi spiego. Di solito si pensa all'ingegnere come a una persona seria, la quale fonda le sue scelte sulle certezze della fisica e della matematica. Giusto, e nell'età delle chiacchiere e dei sentimentalismi, dei valori proclamati ma mai misurati, è un complimento da incartare e portare a casa. Nel caso di Lunardi e del suo modo di vivere, intendere in questi termini l'identità ingegneristica è però totalmente riduttivo. Lunardi infatti è uno che installa sui numeri e sulle certezze della scienza la fantasia e la creatività capaci di salvare la vita a tanti. La Valtellina sta lì a provarlo.
Ingegnere - non ci vuole molto sforzo a capirlo - viene da ingegno, da genio. Se un uomo è tale lo si capisce solo nel momento della prova. La Valtellina fu quella prova. Star lì, scegliere, mettere la faccia e la firma quando uno potrebbe fuggire, dedicarsi a disegni avveniristici di immensi ponti.
Anni dopo, rividi Lunardi. Pensavo di dover sopportare qualche sua battuta ironica sulla mia insipienza. Ammise invece che potevo aver ragione, ma bisognava decidere, e lui scelse, mettendo sul piatto la propria testa. Dopo anni in cui avevo smesso di frequentarlo lo ritrovo intatto nel suo coraggio. Bastonato dagli attacchi pretestuosi, ma l'anima e il cervello sono rimasti vigorosi.
Uno così lo si vorrebbe sempre nei posti dove si decide il destino di molta gente. Per questo mi battei perché fosse scelto da Berlusconi come ministro delle Infrastrutture. Pietro Lunardi per me è il prototipo dell'Ingegnere. L'Ingegnere Perfetto. Uno cui darei in mano non solo le chiavi di casa e dell'auto, ma quelle del Vesuvio, se i vulcani avessero le chiavi e io ci abitassi vicino. Mi dà sicurezza. Ora gli ho chiesto scusa a nome di tutti, anche di chi non sa neanche chi sia. Lunardi sì che è una riserva (d'ingegno) della Repubblica. (il Giornale)

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