sabato 20 aprile 2013

L'errore e l'orrore. Davide Giacalone

La candidatura di Romano Prodi è stata segno della disperazione a sinistra, della resa del Pd ai fantasmi del proprio passato, del tentativo di evitare la spaccatura (che non sarà evitata) accettando la scomparsa del disegno politico. Ma è anche una candidatura che segnala un errore di Matteo Renzi e un orrore di Beppe Grillo.

Seguo il gran rottamatore fin dall’epoca della prima Leopolda, con simpatia. In tanti gli riconoscono il fascino della comunicativa e la voglia di rinnovamento. Trovai più interessanti i contenuti. L’Italia avrebbe molto da guadagnare, ove la sinistra fosse incarnata non da residuati fossili di un’ideologia sconfitta dalla storia, ma da gente più attenta alla concretezza e alla quotidianità. Posto ciò, cosa ci fa Renzi appresso a Prodi? I maligni possono rispondere: fatali attrazioni fra due ex democristiani. Non sono maligno. Ma il prodismo, con le sue rimembranze di Ulivo e Unione, è il contrario del renzismo. Ne è la negazione.

Con che credibilità Renzi può reclamare il ritiro della vecchia classe dirigente, se poi diventa alfiere del sua più eccelsa incarnazione? Si può obiettare che la presidenza della Repubblica, per sua natura e per Costituzione, non è una serra per germogli, semmai un bosco per alberi secolari. Vero, ma con Prodi siamo in piena apologia della quercia. Albero a cui la sinistra s’impiccò di già. E poi, scusi, perché Franco Marini sarebbe un dispetto agli italiani e Prodi un favore? Sono figli della medesima cultura consociativa, entrambe espressione della spesa pubblica quale collante sociale. Insomma, anche senza scomodare il fantasma di La Pira (frequentato da Prodi), la scelta di Renzi sembra tanto politicista, tutta proiettata all’interno del Pd. Sicché la considero un errore. Un punto d’incoerenza. E la buona politica soffre l’incoerenza più d’altri vizi.

Sul fronte ortottero neanche lo pongo, il problema della coerenza. Non è cosa. Ma non basta l’opacità digitale per dare contezza di un visibile paradosso: il popolo frinente, i militanti del vaffaday, i detestatori d’ogni castismo, si sarebbero connessi e, spontaneamente, dovendo indicare dei nomi per il Colle, saltò loro l’uzzolo di votare per Stefano Rodotà e Prodi? E’ un’ipotesi che fa ridere assai più del bravissimo Grillo, nella sua precedente vita professionale.

Quei due hanno un lungo e medagliato cursus honorum nei palazzi della politica, dei partiti e degli incarichi parapolitici. Né si vede perché le pensioni di Giuliano Amato siano uno scandalo e quelle di questi due attempati giovanotti dei giusti tributi al loro valore. Comunque la si giri non ha senso. O, meglio, ne ha uno del tutto diverso: Casaleggio&Grillo, artefici mirabili di un fenomeno che resterà nei libri di storia (non scherzo), hanno piazzato quei due nomi per dinamitare il Partito democratico. La cosa sensazionale è che ci sono riusciti, perché quel partito è oramai un ammasso di pulsioni inconciliabili e di politiche evanescenti. I vecchi non sanno più come difendere il loro passato e i giovani si sono formati alla retorica nuovista che ha fin qui impedito ogni novità.

Avere messo Prodi fra i presidenziabili è servito per offrirgli una sponda preziosa, senza la quale non sarebbe riemerso dalla duplice distruzione delle vittorie elettorali dilapidate. E se oggi non votano Prodi, se non lo fanno da subito, è solo perché (giustamente, dal loro punto di vista) vogliono rimarcare i propri meriti e far pesare il loro patronaggio. Avere fra i rivoltosi del “siete circondati” l’ex presidente del partito assediato e l’ex capo della coalizione da dissanguare è un formidabile grimaldello per chiudere definitivamente la storia di quell’area politica. Disegno cui gli assediati collaborano, senza neanche farsi ingannare da un cavallo di legno, ma invocando l’ingresso di chi, per espugnarli, si rivolse loro e da loro ottenne viatico.

Rodotà è un politico per caso, e per vanità. Ma Prodi è un professionista astuto e vendicativo. E’ escluso che si ritrovi fra quei dieci nomi (nove, scusate, perché quel furbacchione di Grillo si ritirò) senza avere prima trattato tale posizionamento.

Ecco perché quello dei rottamatori è un errore, ma quello pentastelluto è un orrore.
Pubblicato da Il Tempo

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