Maurizio Molinari commenta un libro appena uscito negli USA che parla dei BLOG.
Anche Lenin, se fosse vivo, probabilmente avrebbe un proprio blog. E' questa la conclusione a cui arrivano David Kline e Dan Burstein, i due giornalisti autori di Blog!, un volume di 402 pagine uscito a New York per i tipi di CdsBooks nel quale esplorano nomi, date e siti Internet della «più recente rivoluzione dei media che sta modificando politica, affari e cultura». Ovvero i blog. Il primo vide la luce sul web nel 1997, due anni dopo ce ne erano qualche centinaio ed ora se ne contano a milioni anche se il numero esatto nessuno lo sa perché ne nascono oltre 40 mila al giorno. Affermatisi come siti Internet personali, per esprimere proprie opinioni, i blog sono divenuti in una decade un gigantesco mezzo di comunicazione di massa anche se parcellizzato: tutti possono comunicare con tutti ad ogni ora, di ogni giorno di ogni anno. Le informazioni circolano sempre, gratis e più velocemente rispetto agli altri media. Nella blogosfera l'informazione è fatta di milioni di singoli che si interessano ed appassionano a ciò che dicono altri singoli, arrivando a volte a interagire ed a creare dei network, delle comunità online, che sfuggono a sondaggi e statistiche ma generano gli orientamenti del grande pubblico. Lo studio di decine di migliaia di blog - diversi gli uni dagli altri come avviene per gli esseri umani - porta Kline e Burstein ad affermare che ciò che li accomuna sono alcune caratteristiche di fondo: sono attraenti per la fusione fra personalità e software; consentono di creare network umani grazie comunicazioni sincere fra singoli come fra gruppi come fra gruppi e singoli; possono coesistere ed interagire con gli altri mezzi di comunicazione esistenti; consentono di fare soldi; permettono di essere global, ovvero di avere una dimensione che esula dalla propria città o nazione; creano aree segmentate di interesse, dove più è la specializzazione più aumentano i contatti; non sono di destra nè di sinistra nè tantomeno di centro perché chiunque vi può mettere il contenuto che preferisce.E soprattutto continueranno a crescere perché ciò che aumenta è il numero di persone con una conoscenza tale da poterli creare e mettere online qualcosa di interessante. Da qui l'impatto sulla politica. «Saranno sempre più importanti per la vita pubblica - scrivono gli autori - come lo è stata la televisione negli anni passati». La tv in politica debuttò con il dibattito fra John F.Kennedy e Richard Nixon alle presidenziali del 1960 mentre per i blog lo sbarco è avvenuto con la sfida fra George W. Bush e John Kerry, allorché nel 2004 vennero per la prima volta accreditati alle Convention recitando poi un ruolo di primo piano nella campagna, come avvenne ad esempio quando alcuni blog conservatori svelarono che Dan Rather - il più noto anchorman della tv americana - aveva mostrato in diretta documenti falsi sul servizio militare del capo della Casa Bianca. Per avere idea dell'impatto che ebbero allora basta tener presente che nell'agosto del 2004 i dieci più importanti blog politici sommarono 28 milioni di contatti ovvero quasi i contatti dei siti dei maggiori network tv. Con l'avvicinarsi all'Election Day di novembre il fenomenò si allargò: il liberal Dailykos.com attrasse 11 milioni di visitatori al mese ed il conservatore Instapundit.com 4 milioni fino a far sommare ai dieci maggiori blog 33 milioni di contatti. Ad urne chiuse il fenomeno è continuato: quale che siano le notizie di maggiore attualità - dall'Iraq al Ciagate - decine di milioni di americani vanno a cercare sul web gli ultimi aggiornamenti come i commenti personalizzati dei blog. Una delle spiegazioni viene data da uno studio sui media redatto nel 1997 secondo cui «i tradizionali mezzi di informazione non parlano dei valori a cui la gente tiene di più, a cominciare dalla fede». Ma gli autori di Blog! vanno oltre: «La democrazia richiede dibattito pubblico non informazione». Dunque le persone vogliono interagire, partecipare, dire la loro e non solo ascoltare passivamente la tv o leggere passivamente i giornali. Da qui l'inevitabilità della scelta dei leader politici che non possono fare a meno dei blog se vogliono emergere.Il democratico Howard Dean proprio grazie ai blog riuscì ad organizzare dal nulla la propria campagna elettorale - poi naufragata per errori politici che nulla avevano a vedere con il web - e dunque «se fosse vivo anche Lenin sarebbe un blogger politico anche se dovrebbe avere uno stile più asciutto rispetto alla verbosità che lo distingueva». E poi c'è la questione dei soldi. Chi afferma che i blog non rendono sbaglia. Il network dei blog di Dean - ideato dal manager Joe Trippi - consentì ai democratici di raccogliere fondi assai superiori a quanto avevano fatto quattro anni prima perché i singoli furono messi in condizione di donare anche cifre inferiori ai cento dollari. La pubblicità non ha tardato ad accorgersi del fenomeno ed oggi, secondo una ricerca di «Newsday», un blog popolare riesce ad incassare in pubblicità qualcosa come 48 mila dollari a mese e questo consente anche qualche agio a chi lo gestisce, visto che in genere vive nel proprio salotto di casa. Il successo si ripete anche lontano dalle coste americane: se la prima lingua del web è l'inglese e la seconda il cinese, la quarta è il persiano. In Iran vi sono almeno 60 mila blog e testimoniano la volontà di espressione di un popolo senza libertà, in maniera analoga a quanto avviene in Cina, dove i blog sono almeno 300 mila con 80 milioni di contatti al giorno. Nulla da sorprendersi se la nazione che più dà la caccia ai blog è la Nord Corea, ultima roccaforte dello stalinismo. Uno dei segreti della blogosfera sta nel fatto che «il vero potere sta nella coda» perché se è vero che i cento blog più visitati fanno miliardi di contatti il resto dei blog sommato raggiunge miliardi di miliardi di contatti ogni giorno. Sotto questo aspetto c'è qualcosa in comune con i libri: Amazon.com vende più volumi fra quelli che non figurano in cima alle classifiche di vendita.
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