lunedì 9 giugno 2008

Immigrazione, giustizia e politica. Davide Giacalone

Magari fosse vero quel che ha, assai superficialmente, sostenuto Palamara, presidente dell’associazione magistrati, magari il sindacalismo togato, il corporativismo giudiziario ne avesse azzeccata una, magari si potessero creare “gravissime disfunzioni” introducendo il reato d’immigrazione clandestina. Non si può, gentili funzionari della malagiustizia, perché tutte le disfunzioni possibili si sono già verificate.
Quel reato sarebbe del tutto coerente con i sani principi del diritto, ma non funzionerebbe proprio perché la giustizia italiana è inesistente, quindi complicherebbe le cose. Ma i magistrati associati hanno confuso la causa con gli effetti. Presi dalla fregola di far politica e volendo avere un ruolo più in Parlamento che in tribunale, si son gettati a denunciare la malattia senza avvertire d’essere il malato. Sì, lo so, non sono i soli e la politica ha contribuito con slancio a scassare la giustizia, ma fra ricoverati nel reparto malattie infettive c’è poco da rimproverarsi a vicenda sulla trascuratezza dell’igiene. Visto che sono riuniti a convegno, suggerisco che qualcuno relazioni sul bidello di Brescia. Chi è costui? Nessuno, come i tantissimi che ogni giorno vengono massacrati senza suscitare l’interesse altrui. Uno di quei nessuno la cui vita deve essere immolata all’intoccabilità della malagiustizia.
Il bidello, dunque, fu accusato di pedofilia. Ha subito dieci mesi di carcere, tre anni agli arresti domiciliari e sette anni da imputato. Ora si scopre che “il fatto non sussiste”. Perché Palamara e colleghi non provano ad essere accusati di pedofilia, dovendolo spiegare a moglie, figli, conoscenti e sé stessi? Certo, l’errore giudiziario non può essere eliminato, e, per quello che ne so, tale può essere anche l’odierna assoluzione, ma è l’orrore di quei dieci mesi, tre e sette anni che grida vendetta. Il bidello sarà risarcito, dallo Stato ed a spese dei contribuenti, se avrà lo stomaco di far causa. Nessun magistrato pagherà, perché chi persegue e giudica non vuol essere perseguito e giudicato. Ne andrebbe della sua libertà, dice. Ne andrebbe, semmai, della sua irresponsabilità, compresa quella di comiziare nel corso di un week end congressuale, cui il legislatore non contrappone la forza delle riforme serie, ma il tremolio delle parole perse.

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