lunedì 26 gennaio 2009

D'Avanzo, l'archivio Genchi e Berlusconi. l'Occidentale

Se a Giuseppe D’Avanzo arrivasse la notizia che un terribile terremoto sta per abbattersi sull’Italia con il suo seguito di vittime e distruzione, il suo articolo su Repubblica comincerebbe così: “Attenzione potrebbe essere il pretesto per Berlusconi per dare un colpo di spugna ai suoi abusi edilizi”.

L’articolo di oggi con cui si impanca a difensore di Gioacchino Genghi, l’oscuro consulente telefonico di Luigi De Magistris e di molti altri pubblici ministeri, suona più o meno nello stesso modo. Genghi è un vice-questore da anni in aspettativa sindacale (di un sindacato fondato da lui) che offre i suoi servigi informatici a qualsiasi pm in cerca di trame telefoniche. Così facendo però si è costruito un immenso archivio che riguarda, dice lo stesso D’Avanzo, un milione di contatti, 578 mila schede anagrafiche e 390 mila controlli eseguiti anche su presidenti del consiglio e vertici dei servizi. Nulla di illegale, dice D’Avanzo, a meno che Genghi non abbia usato le deleghe ricevute dai magistrati a scopi personali e inconfessabili. Ma questo, sottolinea il giornalista, lo deciderà la procura di Roma.

Ma a D’Avanzo quella decisione non interessa, infatti può già anticipare che la denuncia di Berlusconi circa la gravità della vicenda è una “bufala”, strumentale a modificare la legge sulle intercettazioni e a togliere potere ai magistrati.

Il riflesso è così condizionato che D’Avanzo perde persino quel minimo di cautele che un giornalista, anche se obnubilato dalla sua ossessione, dovrebbe mantenere. Dice ad esempio: “Berlusconi è in malafede perché non ha emesso un fiato quando il suo nemico Prodi è stato indagato proprio alla luce di quelle analisi”. Gli sarebbe bastato prendere il suo stesso giornale, la Repubblica del 13 luglio 2007, dove sotto il titolo. “Prodi indagato a Catanzaro per abuso d’ufficio”, avrebbe trovato questo “fiato” berlusconiano: “Auguro di cuore a Romano Prodi di uscire presto con onore da questa situazione". Nessuno, dall’opposizione di allora maramaldeggiò sulla vicenda. Sentite cosa disse Renato Schifani: “Ho la sensazione che si tratti di un’inchiesta dai contorni un po' confusi. In ogni caso non ne traggo alcun piacere o motivo di soddisfazione nei confronti dell’uomo Prodi. Mi auguro che il premier chiarisca, perché il Prodi politico vogliamo contrastarlo sul terreno della politica, in Parlamento, e non nelle aule di giustizia”. Scrive invece D’Avanzo per testimoniare la malafede di chi oggi evoca lo scandalo e ieri taceva: “Quell’indagine poteva azzoppare il governo di centrosinistra e tutto faceva brodo”.

Altro punto: secondo D’Avanzo, Berlusconi oggi mente perché “non ha battuto ciglio quando si sono scoperti gli archivi illegali della Telecom dell’amico Tronchetti Provera, anche lì si raccoglievano abusivamente tabulati”. Ma qui è lo stesso D’Avanzo a fornire involontariamente il motivo del silenzio berlusconiano, quando, parlando della vicenda Genchi, spiega: “Decisivo è il rapporto tra il consulente e il pubblico ministero: è questo lo snodo”. Da un lato dunque c’è il sospetto di un rapporto distorto tra un consulente e un potere dello Stato, dall’altro c’è una vicenda maturata nell'ambito di una società privata, sulla quale difatti è già intervenuta l'autorità giudiziaria. Berlusconi fa bene ad occuparsi del primo caso, che contiene un difetto sistemico da correggere per via legislativa, e a lasciare che del secondo si occupi la magistratura.

D’Avanzo conclude prevedendo “il can can spettacolare” che Berlusconi organizzerà nei prossimi giorni. Non si è accorto però che il can can lo sta già ballando lui e la musica la suona Gioacchino Genchi. Seduto sulla pila dei suoi dossier, Genchi allude e minaccia, fa capire di possedere segreti su tutto e tutti e continua ad accumulare dati e tabulati. Ma state tranquilli: non c'è nulla di illegale. Parola di D'Avanzo.

8 commenti:

Anonimo ha detto...

Lo scopo di questa guerra a Genchi, in questo momento, è cercare di ribaltare l'opinione pubblica con l'ennesima operazione di disinformatia.

Ricordate quando il Cavaliere, nell'ottobre del 1996, si presentò con un oggetto enorme e lo mostrò alle telecamere per tutto il mondo e disse “questa è una microspia”.
Poveretto, era una specie di frigobar portatile per le dimensioni ma lui la chiamava microspia.
I giornali, alcuni spiritosamente, la ribattezzarono “il cimicione”.

Lui si era inventato di essere spiato dalle procure deviate che gli avevano nascosto dietro il radiatore del suo studio a Palazzo Grazioli una cimice perfettamente funzionante, e quindi sgomento annunciò al mondo che in Italia la magistratura era arrivata a un tale livello di eversione da intercettare illegalmente e incostituzionalmente il capo dell'opposizione.

Tutto il Parlamento abboccò, D'Alema in lacrime corse a dargli solidarietà.

Erano già d'accordo per fare la bicamerale e, mentre D'Alema veniva eletto anche coi voti di Forza Italia in bicamerale, la procura di Roma scoprì che quella cimice intanto non funzionava, era un ferrovecchio dell'ante guerra, e soprattutto a piazzarla non era stata nessuna procura deviata ma il migliore amico del capo della sicurezza di Berlusconi, mandato a bonificargli l'alloggio.

Dato che nell'alloggio non aveva trovato niente aveva pensato di nascondere questa ciofeca dietro il radiatore per aumentare il proprio compenso e farsi bello davanti al padrone di casa.
Noi abbiamo vissuto per una settimana in un clima da colpo di Stato a causa di una delle tante bufale orchestrate dal Cavaliere e dai suoi sodali.
Bufala che quando è stata poi smontata nessuno l'ha scritto, e infatti era servita per solidificare l'inciucio destra-sinistra con D'Alema presidente della bicamerale, proprio per tagliare le unghie ai magistrati che non avevano fatto niente.
Come non avevano fatto niente neanche questa volta, di illegale.
Certo, ci sono stati episodi, scandali veri in questi anni di intercettazioni illegali.
Sono quelle di cui i politici non parlano mai.
Si è scoperto di spionaggi illegali, ancora peggio.
Si è scoperto che il Sismi del generale Pollari e del suo fedelissimo Pio Pompa - quello che teneva a stipendio il giornalista Renato Farina, detto Betulla, che adesso sta in Parlamento non a caso nel Popolo della Libertà provvisoria, dopo aver patteggiato una pena per favoreggiamento nel sequestro di persona di Abu Omar – spiava illegalmente magistrati, giornalisti, imprenditori.
Sono tutti a giudizio a Roma questi signori, naturalmente, ma nessuno ne parla.

Si è scoperto che la security della Telecom, un'azienda privata, aveva messo in piedi un archivio di informazioni e dossier completamente illegali.
Sono a giudizio anche il capo e i suoi collaboratori, Tavaroli & c.
Tronchetti Provera, che è molto perspicace, non aveva capito niente di quello che succedeva nell'ufficio accanto e ha avuto molti elogi dal suo giornale, il Corriere della Sera, per il fatto di non aver capito una mazza di quello che succedeva da parte di un signore a cui lui dava una sessantina di milioni di euro all'anno di budget.
Per fare che cosa non l'aveva capito, ma un manager non è mica li per capire cosa succede nella sua azienda, è pagato per non sapere.

Questi sono gli scandali di cui frettolosamente ci siamo spogliati perché i politici sono ricattabili o ricattati da queste persone e quindi le coprono e le proteggono.
Di Genchi non c'è niente di scandaloso, nel senso che Genchi fa esattamente quello che gli chiedono i magistrati secondo quello che è previsto dalla legge.

Sui giornali: “Berlusconi, è in arrivo uno scandalo enorme”, “I segreti che inquietano il Palazzo”, “Anche De Gennaro nell'archivio segreto Genchi”, “Rutelli: ci sono cose rilevanti”, “Archivio Genchi: fatti rilevanti per la democrazia” - questo dice Rutelli - “Rutelli: intercettazioni, libertà in pericolo”, “Mastella: denunciai l'archivio Genchi ma nessuno mi ascoltò”.
In realtà stavano ascoltando lui, perché parlava con una serie in indagati del processo Why Not, esattamente come Rutelli che era amico di Saladino.
“L'orecchio che ascoltava tutto il potere”, “In migliaia sotto controllo, presto un grande scandalo”.
E avanti di questo passo.
Questo è disinformazione organizzata allo stato puro.

Genchi non ha mai fatto un'intercettazione, ma nemmeno per scherzo. Genchi non intercetta.
Genchi riceve dalle procure della Repubblica che l'hanno nominato consulente le intercettazioni e i tabulati telefonici per fare quel lavoro di incrocio e di mosaico, per ricostruire la storia, il contesto di ogni telefonata e tabulato.
Che differenza c'è tra l'intercettazione e il tabulato? L'intercettazione registra quello che le due persone al telefono, o in una stanza, si dicono – telefonica o ambientale.
Il tabulato è, come tutti sanno, l'elenco delle telefonate fatte e ricevute da un numero di telefono, da un utenza telefonica.
Il tabulato del mio telefono riporta tutte le telefonate che io ho fatto in partenza, cioè i numeri che ho chiamato io, e tutti i numeri che hanno chiamato me.
Aggiunge alcune informazioni: l'ora esatta, la durata esatta della telefonata, il luogo nel quale io mi trovavo mentre parlavo e l'altra persona si trovava, e naturalmente il numero di telefono dell'altra persona quando non è criptato.
Questo è il tabulato.
Dimostra un rapporto più o meno intenso fra due persone: se si chiamano alle quattro del mattino sono persone che hanno un rapporto piuttosto confidenziale; se si chiamano quaranta volte al giorno hanno un rapporto confidenziale.
Se c'è una telefonata in tutto potrebbe persino essere una telefonata muta, alla quale l'altro non risponde e non saprà mai di avere ricevuto questa telefonata.
E' evidente che ci vuole intelligenza investigativa per capire la differenza e capire che tipo di rapporti denotano questi tabulati e telefonate.
Genchi non ha mai intercettato nessuno: riceve telefonate già fatte e disposte da un GIP su richiesta di un Pubblico Ministero e riceve i tabulati che formano il corollario.
E studia, incrocia e riferisce al magistrato, viene sentito in udienza, viene contro interrogato dagli avvocati dell'imputato il quale ha tutti gli strumenti per dire “hai sbagliato, perché quella telefonata l'hai interpretata male, quel contatto non c'è stato”.
C'è il contraddittorio nel processo, questo avviene, questo fa Genchi.

Dice: “centinaia di migliaia di intercettazioni”. Assolutamente no.
Nelle indagini di Catanzaro, Poseidone e Why Not”, c'erano decine e decine di indagati e quindi decine e decine di intercettati, ciascuno dei quali usava diversi telefoni e schede.
In più, abbiamo i numeri degli indagati, diverse decine, e poi i numeri delle persone che venivano chiamate o chiamavano questi indagati e che risultano dai tabulati.
Quindi abbiamo evidentemente diverse centinaia di numeri.
I numeri trattati da Genchi nelle indagini di Catanzaro sono circa 730-780. Voi leggete che ci sono dei parlamentari, eppure non si può intercettare o prendere il tabulato di un parlamentare.
E' ovvio, ma prima devi saperlo che quel numero è di un parlamentare.
Se l'indagato Saladino chiama o riceve una chiamata da Mastella o Rutelli, che sono parlamentari e non possono essere intercettati, se è intercettato il numero di Saladino si sente la voce di Mastella o Rutelli.
Se si prende il tabulato di Saladino, certo che ci saranno anche i numeri che usano Mastella e Rutelli: e tu come fai a saperlo? Non si capisce mica dal prefisso se il numero è di Rutelli o è mio, se è di un parlamentare o no, di un agente segreto o no.
Quando chiedi di chi è il numero che compare nel tabulato ti dicono: “guarda che appartiene alla Camera dei Deputati”, e non basta ancora per stabilire che è di un parlamentare.
Potrebbe essere un impiegato, un cancelliere, un usciere.
Quando scopri di chi è, è chiaro che se scopri che è di un parlamentare prima di utilizzare quell'informazione devi chiedere il permesso al Parlamento perché in Italia è previsto questo.
Ma come fai a saperlo prima? Quando lo acquisisci è un elenco di numeri tutti uguali per te.
E' dopo, quando scopri di chi sono, che eventualmente ti fermi nell'utilizzarli e chiedi al Parlamento l'autorizzazione a utilizzarli.
Esattamente come la questione De Gennaro, l'ex capo dei servizi segreti e oggi capo del coordinamento dei servizi: non è vero niente, ma può anche darsi che non se ne sia neanche accorto che ci sia tra i numeri di telefono di questi incroci un numero usato dai servizi.
Chi lo può escludere? L'importante è che De Gennaro non era indagato e non è stato sospettato di niente, se poi risulta una sua telefonata con qualcuno, c'erano un sacco di persone, agenti di polizia, magistrati, che stavano sotto intercettazione: potrebbe risultare chiunque.
Vuol dire che Genchi spiava De Gennaro? Assolutamente no! Ma questo per fortuna De Gennaro, visto che di queste cose se ne intende, lo sa meglio di noi.
Dice: se ci sono agenti segreti e quelli parlano al telefono di segreti di Stato, intercettandoli si violano dei segreti di Stato. Pericolo! Aiuto! Il nemico ci ascolta!
Bene, questa è un'altra bufala clamorosa che è già venuta fuori quando la procura di Milano ha intercettato alcuni agenti del Sismi capeggiato dal generale Pollari, col fido Pio Pompa al fianco, nell'inchiesta sul sequestro di Abu Omar e ha acquisito dei tabulati.
Anche lì i soliti politici che proteggono Pollari, Rutelli, Berlusconi, sono insorti dicendo che – Cossiga! - non si possono intercettare agenti segreti perché se parlano di segreti di Stato al telefono questo esce fuori e la sicurezza nazionale è in pericolo.
Per legge, i militari e gli agenti segreti hanno il divieto di trattare argomenti classificati al telefono. Classificati vuol dire riservati in varie gradazioni, quindi a maggior ragione è vietato parlare al telefono con chicchessia di segreti di Stato, da parte dei titolari di quei segreti.
E' impossibile che qualcuno intercettando un agente segreto o un militare violi il segreto di Stato, perché già sa che per legge l'agente segreto al telefono non parla di segreti di Stato.
Se parla di segreti di Stato, chi lo viola il segreto? L'agente segreto che ne parla, non il magistrato che lo intercetta!
Quindi, se tutti seguono la legge, non c'è mai un segreto di Stato che venga fuori da un'intercettazione, tanto meno da un tabulato da cui risulta un numero ma non il contenuto della telefonata.
Voi vi rendete conto della enormità della bugia con una piccola aggiunta: Genchi ha decine di migliaia di utenze sotto controllo? Vi ho già detto che non è vero.
Genchi può avere trattato, nella sua carriera che dura da trent'anni, centinaia di migliaia di utenze telefoniche: sono trent'anni che riceve intercettazioni, tabulati e li incrocia.
Indagati, non indagati, collaterali e affini, come diceva Totò.
Può darsi che in questo momento, dato che ha molti incarichi per molte procure d'Italia - casi di omicidi, rapina, mafia, camorra, 'ndrangheta, tangenti, evasioni fiscali, stragi, associazioni per delinquere, droga, delitti vari – può darsi che abbia in complesso migliaia di informazioni.
E' chiaro che se sta lavorando a qualche indagine a carico di qualcuno che ha rapporti con Berlusconi, ci sarà il numero di Berlusconi.
Esattamente come indagando su Saladino c'era nel tabulato il numero di Rutelli, di Mastella etc.
Li ha ascoltati lui? No, li hanno ascoltati i magistrati poi gli hanno passato le informazioni perché lui le elaborasse.
Voi capite come da una questione innocua, anzi positiva – tutti dovremmo essere grati a Genchi per quello che fa – ci stanno montando ad arte un clamoroso caso di disinformatia non solo per impedire a lui di continuare a fare questo lavoro, utile per la collettività, cioè acchiappare i delinquenti.
Ma stanno anche cercando di usare questo caso per smembrare, devastare quel poco di controllo
di legalità che ancora ci garantisce che ogni tanto venga acchiappato qualche delinquente.

Anonimo ha detto...

Bravo Anonimo, sei ben informato.
Certo che mettersi sempre dei prosciutti perché - in ogni occasione - lo chiede il capo...

Anonimo ha detto...

Guidonia, presi i 4 stupratori
In manette una banda di romeni

Fermato il gruppo che ha violentato una 21enne picchiando il fidanzato. La vittima: «Fine di un incubo»

Ancora una volta sono state avanzatissime indagini tecnologiche a consentire ai carabinieri di individuare la banda di romeni ritenuti responsabili della violenza sessuale di Guidonia. Stando a quanto si apprende, infatti, decisive sono risultate le intercettazioni telefoniche. Individuato il presunto gruppo di stupratori, la magistratura di Tivoli ha disposto le intercettazioni sui cellulari degli indagati in fuga e proprio le cellule dei telefonini hanno permesso di localizzarli e di assicurarli alla giustizia.

Anonimo ha detto...

leggendo i commenti al tuo brillante articolo traspare che non hai convinto nessuno. io mi auguro che tu sia pagato per scrivere certe stupidaggini..perché se lo fai gratis io ti consiglio di farti pagare. tanto stupido servilismo va premiato. forse e il caso che quelli come te la smettano di sottovalutare la gente..internet non é il posto per te; qui puoi essere sputtanato.. prova in tele. ho sentito che lì le minchiate vanno ancora forte!

Anonimo ha detto...

E’ in dirittura d’arrivo la nuova disciplina delle intercettazioni.
Fa venire i brividi.
Ho pensato di commentarne gli aspetti più rilevanti, trascrivendo in chiaro (spesso il DDL governativo è del tutto incomprensibile) le norme più “interessanti”. Anche qui devo andare a puntate perché se no salta fuori la Treccani.

L’art. 1 del DDL prevede che il giudice che abbia “pubblicamente rilasciato dichiarazioni concernenti il procedimento affidatogli” ha l’obbligo di astenersi da detto procedimento.
Detta così sembra una norma ragionevole; invece è generica, oscura e anche scritta male.
Prima di tutto bisogna sapere che una norma del genere esiste già: è l’art. 36 lettera c) del codice di procedura penale. In questo articolo, tra le altre cose, si prevede che il giudice ha l’obbligo di astenersi “se ha dato consigli o manifestato il suo parere sull’oggetto del procedimento fuori dell’esercizio delle funzioni giudiziarie”. La cosa si capisce bene con un esempio. Un giudice è incaricato di trattare un processo; si mette a chiacchierare di questo processo spiegando che, secondo lui, Tizio ha ragione e Caio ha torto; oppure che Tizio è innocente e il vero colpevole è Caio. Oppure il processo trattato da questo giudice riguarda un suo amico; e il giudice gli consiglia come può difendersi meglio o gli suggerisce quali documenti produrre e quali no. E’ ovvio che tutto questo non si può fare. Nel primo caso perché il giudice deve prendere la sua decisione alla fine del processo, dopo aver valutato le prove e ascoltato le parti; se invece l’ha già presa prima ancora che il processo si faccia, o anche mentre si sta facendo ma non è ancora finito, vuol dire che si tratta di un giudice prevenuto, non imparziale; e dunque di quel processo è bene che se ne occupi qualcun altro. Nel secondo caso perché, se un giudice consiglia una delle parti sul comportamento processuale da adottare, tradisce il suo compito di giudice, non è imparziale e quindi non deve celebrare quel processo.

Sicché questo art. 36 lettera c) è proprio una buona cosa; anche se, in verità mai l’ho visto applicare perché giudici così cretini da raccontare in pubblico quello che pensano dei processi loro affidati non ce n’é. Anzi, ora che ci penso, un giudice di questo tipo lo abbiamo trovato recentemente, quando tale professoressa Vacca, che faceva parte del Consiglio Superiore della Magistratura (ne fa ancora parte!!!) ha comunicato alla stampa e alle televisioni che De Magistris e Forleo erano cattivi magistrati e che sarebbero stati severamente puniti; il tutto quando il processo a loro carico era appena iniziato e lei faceva parte della commissione che doveva giudicarli. Ma naturalmente (naturalmente?) ai massimi livelli istituzionali della Repubblica la legge non si applica come si fa per i comuni mortali; quindi la professoressa Vacca è rimasta al suo posto e ha giudicato De Magistris e Forleo che, come tutti sanno sono stati puniti e trasferiti. E dell’art. 36 del codice di procedura penale non gliene è importato niente a nessuno.

Ma torniamo alla illuminata riforma delle intercettazioni.

L’articolo 36 non gli bastava e così si sono inventati questa cosa del giudice che si deve astenere se “rilascia dichiarazioni concernenti il procedimento affidatogli”. E’ evidente che questa norma non può avere lo stesso contenuto già previsto dall’art. 36 lettera c) perché si tratterebbe di un inutile doppione (anche se non sarebbe una novità). Quindi, ragionevolmente, dovrebbe avere un significato diverso. Quale?

Ai tempi in cui facevo il pubblico ministero e mi occupavo dei falsi in bilancio delle società di calcio cittadine, cosa nota a mezza Italia, mi è capitato di chiacchierare del mio lavoro con qualche amico; per esempio, mentre eravamo a cena o salivamo sulle piste in seggiovia. Dovete sapere che io di calcio non mi ero mai interessato e che, da quando mi era toccato di fare questi processi, sono stato assediato da amici, conoscenti e anche sconosciuti che mi tempestavano di domande: debbo dire che sono rimasto assai stupito dalla rilevanza che i cittadini italiani (mica gente da Grande Fratello, anche professionisti, intellettuali, persone serissime e di grande valore) attribuiscono a questo sport. E io me la sono sempre cavata dicendo, press’a poco: “E’ una rogna pazzesca, debbo lavorare come una bestia e ce l’hanno tutti con me” (che era la sacrosanta verità).

Adesso: ho “rilasciato dichiarazioni concernenti processi” che stavo trattando? Certamente sì. E però: si trattava di dichiarazioni che pregiudicavano la mia imparzialità e serenità di giudizio? Certamente no; in che modo dire che avevo tanto da lavorare e che tutti i tifosi erano incazzatissimi avrebbe potuto pregiudicare la mia imparzialità?

Beh, con la nuova legge, un giudice che dice una cosa del genere non può più trattare il processo, lo deve passare a qualcun altro.

Adesso, seriamente, a cosa può servire una norma del genere? A niente e a tutto. Perché, se il processo non interessa nessuno, intendo dire nessuno di quelli che contano, allora “dichiarazioni” del tipo che ho raccontato più sopra restano irrilevanti, il giudice non si astiene e il processo continua normalmente. Ma, se si tratta di un processo che riguarda qualcuno di quelli che contano (e i processi per falsi in bilancio delle società di calcio erano tra questi) allora state certi che l’accusa di aver “pubblicamente rilasciato dichiarazioni concernenti il procedimento affidatogli” viene sollevata e coltivata: per trovare un giudice più “morbido”, forse; o anche solo per perdere tempo. Perché, se un giudice lascia un processo, qualcun altro se lo deve sciroppare; e ricominciare tutto daccapo. Ve lo figurate quanto tutto questo giova alla velocità del processo; che è proprio lo scopo per il quale dicono (dicono) di voler al più presto attuare una grande riforma della giustizia?

Per finire su questa prima perla riformatrice, va detto che è pure scritta in maniera sbagliata.

Il codice di procedura penale distingue tra giudice e pubblico ministero; e in verità anche i politici e gli avvocati si affannano molto a dire che ci va la separazione delle carriere e che i giudici sono una cosa e i pubblici ministeri un’altra. Sicché, quando la legge dice “giudice” intende riferirsi ai giudici, quelli che fanno le sentenze; e, quando dice “pubblico ministero” intende riferirsi al Procuratore della Repubblica e ai suoi Sostituti, quelli che fanno le indagini. Quando vuole riferirsi ad entrambi usa altre parole; dice Autorità Giudiziaria, che comprende tutti, giudici e pubblici ministeri.
Bene. Il codice di procedura penale prevede i casi di astensione del giudice all’art. 36, quello che il nostro illuminato legislatore ha detto di voler modificare. E quindi, in futuro, i giudici che “pubblicamente rilasceranno dichiarazioni concernenti il procedimento affidatogli” dovranno mollare il processo; e, probabilmente, gli faranno anche un processo disciplinare affidato alla professoressa Vacca che così li condannerà presto e bene.

Però, secondo questo stesso codice di procedura penale, l’astensione del pubblico ministero è prevista dall’art. 52. Che non è stato modificato. Ragione per la quale, se un pubblico ministero “pubblicamente rilascia dichiarazioni concernenti il procedimento affidatogli”, niente gli possiamo fare perché la nuova legge riguarda solo i giudici e non i pubblici ministeri.

Ma vi rendete conto del livello professionale di questa gente che vuole riformare la giustizia?

Bruno Tinti
Procuratore Aggiunto presso il Tribunale di Torino

Anonimo ha detto...

Ma vi rendete conto del livello professionale di questa gente che vuole riformare la giustizia?

la fortuna è tutta itaGliana...prima Mastella (non è uno scherzo cari sinistri Mastella ) ministro della Giustizia e poi Angiolino Jolie

ad un paese di merda toccano ministri di merda

Anonimo ha detto...

per l'anonimo del commento
27 gennaio, 2009 12:37
chiaramente non c'e' stata nessuna intercettazione di cellulari ma una semplice individuazione per mezzo di triangolazione della posizione, cosa che fa il gestore automaticamente per determinare la cella di trasmissione e per gestire correttamente l'inoltro della chiamata.
chiaramente non ci può essere stato nessun provvedimento di intercettazione, provvedimento per cui ci vuole l'intervento e la decisione di un magistrato, per non parlare del tempo tecnico per
attivare l'intercettazione.
L'individuazione della posizione del cellulare (anche con cellulare spento)invece è un'operazione che la polizia può fare in automatico, in tempo reale ed in piena autonomia, (se dovessero aspettare anche per questo un magistrato staremmo freschi tutti) e non implica l'ascolto e la trascrizione delle conversazioni, cosa che invece deve essere richiesta ed autorizzata, da un magistrato appunto.

Anonimo ha detto...

Di Gian Antonio Stella

"La Corte dei Conti ha il compito di accertare i danni cagionati allo Stato o altro ente pubblico dai suoi agenti e condannare i responsabili al risarcimento. E' un organo di controllo che verifica come sono spesi i nostri soldi, le tasse che paghiamo. Gli amministratori pubblici e i politici stanno impiegando tutto il tempo di questa legislatura a mettere sotto controllo i loro controllori. Dopo la magistratura ordinaria ora tocca alla Corte dei Conti.
Vizzini, presidente della Commissione affari costituzionali, ha inserito un emendamento nella legge Brunetta...

"Partiamo dal fatto che i controlli sono sempre di meno, a volte ci sono dei controlli alle amministrazioni comunali, su quelle regionali eccetera, che adesso sono spariti, e la Corte dei conti è rimasto l'ultimo grande baluardo contro un certo tipo di sprechi. Non che funzioni bene! Costa tantissimo, cinque volte di più della Corte dei conti spagnola tanto per capirci, in alcune parti del Paese funziona decisamente male, però nonostante tutto è comunque un organo di controllo che argina alcune porcherie.
Si occupa un po' di tutto: dalla Croce rossa alle Regioni ai Comuni eccetera. E' successo che come tutti gli organi della magistratura, ordinaria, amministrativa, Tar e Consiglio di Stato, anche la Corte dei conti ha un organismo di autogoverno proprio per essere sottratta, come le altre magistrature, al controllo e alle interferenze della politica. Tradizionalmente e per legge, questo organo di autogoverno è presieduto da un presidente che viene scelto dalla politica, questo è vero, ma dentro una terna di proposta da un organo di autogoverno che equivale al CSM, per capirci, della magistratura ordinaria. Il consiglio di presidenza dava una terna e il governo sceglieva chi voleva all'interno di questa terna. Ora è chiaro che se tu vai a cambiare la composizione del consiglio di presidenza nel suo insieme, il consiglio di presidenza più politicizzato darà una terna diversa di quella ce dava prima, in cui il governo, di fatto, avrà modo di scegliere il suo preferito in maniera più diretta di prima. Ed è esattamente quello che sta succedendo.
Con un emendamento inserito nella legge Brunetta, direttamente proposto direttamente dal presidente della Commissione affari costituzionali Carlo Vizzini, ex ministro social democratico oggi in Forza Italia, si vorrebbe stravolgere il Consiglio di presidenza e quindi ridurre i magistrati eletti dai propri colleghi da dieci a quattro, quindi più che dimezzati! In questo modo avrebbero sempre più peso i vertici e avrebbero più peso gli eletti dal Parlamento perché a quel punto sarebbero quattro magistrati eletti dai colleghi, due esperti piazzati là dal Senato, due esperti piazzati là dalla Camera, perciò POLITICI, più i vertici della Corte dei conti, più il capo di gabinetto e il segretario, e di fatto parliamo di funzionari, sia pure fra virgolette, lo dico, che sarebbero più esposti, diciamo così, alle interferenze della politica. Questo è il giochino.
Contemporaneamente il presidente del Consiglio di presidenza e della Corte dei conti (perché le cose coincidono) avrebbe un sacco di poteri in più e di fatto diventerebbe il dominus di tutta la situazione. La cosa a quel punto diventerebbe particolarmente grave perché fra le attribuzioni che verrebbero date al presidente, che solo lui da solo (!!) da solo può decidere, se dare o non dare quell'incarico extragiudiziale, il che vuol dire incidere direttamente sui soldi, sullo stipendio, sulla carriera dei magistrati della Corte dei conti. Se un magistrato fosse chiamato a fare il capo di gabinetto alle corti di un ministro può cumulare i due stipendi: lo stipendio di magistrato della Corte dei conti e lo stipendio di capo di gabinetto, senza più il tetto massimo di 289 mila euro che era stato deciso dal governo Prodi per gli alti dirigenti ministeriali. Il che vuol dire che concedere o non concedere di fargli fare il capo di gabinetto, gli cambia il reddito di 200, 300, 400 mila euro l'anno. Il che significa essere padrone della sua carriera. Contemporaneamente è sempre il presidente del Consiglio di Stato e della Corte dei conti che decide quale magistrato Tizio piuttosto che Caio può fare un arbitrato. Il che vuol dire che siccome facendo l'arbitrato puoi guadagnare anche mezzo milione di euro o addirittura un milione di euro se l'arbitrato è particolarmente sontuoso, ancor di più incidere sulla carriera dei sottoposti. Il che vuol dire che il presidente del Consiglio di presidenza diventa di fatto il padrone dei sottoposti. E questo, siccome questo è un Paese in cui tutti teniamo famiglia, vuol dire che di fatto, il presidente del Consiglio di stato diventa il padrone di tutto, decide lui a chi dare o a chi non dare le inchieste, decide lui su cosa puntare, se sulla corruzione piuttosto che su altre cose... Insomma la Corte dei conti, di fatto, finirebbe sotto il controllo del governo. Ci si dirà che all'estero succede di continuo! In America è vero che i magistrati, i capi della polizia eccetera vengono scelti dalla politica. Però l'America è un paese diverso in cui c'è della gente che pur essendo scelta da questo o quel politico, se poi lo deve mettere in galera lo sbatte in galera. Purtroppo questo non è, diciamo così, nelle tradizioni del nostro paese per cui di tutto ciò c'è da essere molto molto molto diffidenti."

di Gian Antonio Stella