Prendete l’ignoranza, impastatela con la malafede ed avrete la sostanza dei titoloni che i giornali (quelli che vogliono far credere d’essere seri) sparano sulle inchieste giudiziarie. Aggiungete una buona dose di paura, e capirete anche il senso della proposta fatta dal ministro ombra, ds, della giustizia: a disporre il carcere preventivo non sia più un solo giudice, ma tre.
Il tribunale della libertà, a Potenza, ha annullato la richiesta d’arresto, prima avallata dal gip, di un parlamentare ds. E subito tutti a scrivere che l’“impianto accusatorio” s’è ridimensionato e indebolito. Stessa commedia, con diverso copione, a Pescara, dove è il gip stesso ad averci ripensato, dopo avere incarcerato un sindaco, sempre ds. Commenti frettolosi, e non innocenti, dimenticano che: a. l’avviso di garanzia o la custodia cautelare non sono neanche indizi di colpevolezza; b. la privazione cautelare della libertà è possibile, secondo la legge, solo se c’è concreto pericolo di fuga, rischio di reiterazione, per reati di sangue e pericolosi, o di effettivo inquinamento delle prove; c. sia la disposizione che il venir meno delle misure cautelari non hanno nulla a che vedere con l’accertamento dei fatti, che spetta ad un tribunale vero (fra anni!). Gli “impianti”, di cui tanti straparlano, se li dovrebbero fare al cervello.
A vigilare sulle richieste della procura sono stati posti due livelli: il gip ed il tribunale della libertà. Due fallimenti. Dice Tenaglia, magistrato, già membro del Csm, ed ora ministro nella zona oscura: mettiamocene tre, al posto di uno. Ce ne può mettere un’assemblea, magari sperando di averne almeno uno nella corrente amica, ma sarà sempre un obbrobrio, perché il pm, il gip, il gup e gli altri sono tutti colleghi. Se lo ricorda, il non soleggiato, quel gip milanese che si faceva la campagna elettorale, in modo da raggiungerlo a Palazzo dei Marescialli, grazie ad un pm? Ecco, questo è il motivo per cui non funziona.L’Italia vive, da molti anni, senza giustizia, ciucciando un succedaneo velenoso, il giustizialismo. Siamo ancora qui, con Napolitano che vuole le “riforme condivise” ed auspica il “dialogo”, alimentando conservazione e chiacchiere. Nella Costituzione c’è scritto come si fanno le riforme. Peccato la trascurino, anche alla Corte Costituzionale.
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7 commenti:
4 gennaio 2009
Ci vuole una riforma della giustizia. Subito. Ma solo in certi casi.
di Bruno Tinti
"Il sindaco è stato arrestato, l’onorevole è stato iscritto nel registro degli indagati, il ministro è stato intercettato.
Ci vuole una riforma della giustizia. Subito.
Il tribunale della libertà ha deciso che il sindaco (che ha dato le dimissioni) non potrà commettere altri reati di corruzione, motivo per il quale il GIP lo aveva arrestato; e quindi lo scarcera. Dunque il sindaco è innocente, il PM (e il GIP) un persecutore.
Ci vuole una riforma della giustizia. Subito.
Il tribunale ha condannato l’onorevole per favoreggiamento semplice mentre il PM aveva chiesto la condanna per favoreggiamento di mafiosi. Il PM ha commesso un grave errore e l’onorevole è stato ingiustamente perseguitato.
Ci vuole un riforma della giustizia. Subito.
La corte d’appello ha deciso che onorevoli e ministri sono responsabili di corruzione, turbativa d’asta, concussione e favoreggiamento; però ha escluso l’associazione a delinquere. Non avevano progettato di dedicarsi in pianta stabile al malaffare, vi si dedicavano quando capitava. Sono stati perseguitati da una magistratura politicizzata.
Ci vuole una riforma. Subito.
A leggere i giornali e guardare le televisioni sembra che i giudici non facciano altro che processare i politici. Purtroppo non è vero. Sarebbe bello che il malaffare politico venisse effettivamente scoperto, tutto, e sanzionato. Ma più che la punta dell’iceberg non si riesce a trovare. Per il resto del tempo, per il 99 % del tempo, i giudici si occupano di un altro tipo di delinquenti, quelli comuni, i ladri, i rapinatori, gli spacciatori di droga, gli assassini. Si occuperebbero anche di delinquenti border line, gli evasori fiscali, i falsificatori di bilancio, i bancarottieri; ma questi spesso appartengono all’altra categoria di delinquenti, quella dei politici, e allora la legge è congegnata in modo che questi processi non si riescano a fare.
Sicché i giudici si occupano prevalentemente di delinquenti comuni. Li perquisiscono, li pedinano, li intercettano, li arrestano, li processano. Talvolta li condannano, talaltra no. Talvolta il PM chiede al GIP di arrestare quel rapinatore che è stato riconosciuto da tre testimoni mentre un quarto ha avuto dei dubbi; e il GIP non lo arresta perché, dice, le prove della sua colpevolezza non sono poi così sicure. Talvolta dalle intercettazioni si scopre che ci sono altri delinquenti che prima non si conoscevano; e quindi il PM chiede al GIP di arrestarli e il GIP emette il suo bravo provvedimento di cattura. Talvolta il PM chiede al tribunale una condanna a 10 anni per associazione a delinquere e una quindicina di episodi di spaccio; e il tribunale condanna a 5 anni per 10 episodi di spaccio e assolve per l’associazione a delinquere. Talvolta addirittura il PM chiede l’assoluzione: non ci sono prove sufficienti signor giudice; e il giudice assolve.
Tutto questo succede centinaia di volte al giorno in centinaia di tribunali, di corti d’appello, di procure: si chiama amministrazione della giustizia; funziona così. I giudici studiano le carte, interrogano i testimoni, fanno perizie, ascoltano telefoni, insomma fanno il loro lavoro. E poi decidono. E speriamo che decidano bene, come in genere fanno. Qualche volta decidono male, si sbagliano; e il sistema (l’appello, la cassazione, il tribunale della libertà) prova a controllare gli errori. Magari poi il primo giudice non aveva sbagliato, anzi aveva proprio ragione, e sbaglia il secondo. Ma va bene così, quella che conta è l’ultima sentenza. E se è sbagliata? Beh, intanto non lo sappiamo se è sbagliata; e poi è l’ultima, questa è la legge, è questa quella che conta.
Qualcuno ha mai sentito i politici preoccuparsi della necessità delle riforme quando un assassino è stato assolto, un spacciatore scarcerato, un ladro acchiappato e messo in prigione su due piedi? Anzi, quale lassismo, quante pene miti! E la certezza della pena? Con tutti questi condannati e subito scarcerati? E le intercettazioni che hanno permesso di scoprire un intero clan dedito allo sfruttamento di tante povere ragazze violentate e buttate sulla strada? E la retata delle forze dell’ordine che ha arrestato 83 mafiosi e sequestrato un intero arsenale (esibito in bella fila sul tavolo della caserma)? Qui sì che lo Stato ha dato la sua risposta ai poteri criminali: una capillare indagine condotta da … coordinata da… ha permesso di smantellare etc. etc. Naturalmente a seguito di perquisizioni, sequestri, catture e … e intercettazioni.
Allora. Possibile che nessuno si chieda come mai la “riforma subito” sembra necessaria solo quando i delinquenti su cui si indaga o che si processa sono politici?
Voglio dire: magari una riforma è necessaria; per la verità io, che un poco me ne intendo, potrei indicare varie centinaia di riforme legislative, parecchie decine di assetti organizzativi da adottare domani, anzi oggi. Ma, prima di occuparsi di queste riforme (che ovviamente non hanno nulla a che fare con quelle che i politici illustrano con una sicurezza pari alla loro ignoranza), dovremmo chiederci perché l’idea della “riforma subito” gli viene sempre quando si tratta di un sindaco arrestato, di un onorevole iscritto nel registro degli indagati, di un ministro intercettato.
Il tormentone delle intercettazioni è un buon test che raccomando alla riflessione di tutti.
Allora: le intercettazioni si debbono fare per i reati di corruzione, peculato, concussione e in genere per i reati contro la pubblica amministrazione? Oppure no?.
Ma che razza di domanda è?
Il problema, semmai, dovrebbe essere: le intercettazioni servono per scoprire i reati e incastrare i colpevoli? Se si, allora si tratta di uno strumento di indagine che deve essere utilizzato sempre; se no, si tratta di un’attività inutile e costosa che dobbiamo abbandonare.
Una volta deciso che le intercettazioni sono uno strumento di indagine utile (non solo nemmeno Berlusconi ha mai detto che si tratta di uno strumento di indagine inutile; ma proprio il fatto che le vuole riservare ai reati di terrorismo e mafia dimostra che anche lui lo sa, che si tratta di strumenti di indagine necessari), porsi il problema dei reati per cui consentire le intercettazioni e di quelli per cui non consentirle significa solo decidere che alcuni reati li vogliamo scoprire e altri no.
Quindi, secondo i nostri politici, va bene scoprire terrorismo e mafia e mettere in prigione terroristi e mafiosi; ma scoprire corruttori, corrotti, falsificatori di bilanci, turbatori d’asta e metterli in prigione, questo no.
Mi pare di sentirli (come ci si abitua a tutto!): “Il punto è che le intercettazioni sono uno strumento invasivo della privacy e dunque solo in casi gravissimi si deve accettare che la vita privata delle persone venga violata. Quindi accettiamo malvolentieri questa aggressione all’intimità dei cittadini per reprimere reati gravissimi; ma non siamo disposti a pagare questo prezzo per reati come la corruzione e le sue sorelline”.
E già; quindi va bene intercettare le comunicazioni dei cittadini per il furto pluriaggravato (3 giovanotti che vanno a rubare le macchine parcheggiate sulla pubblica via – reato di cui agli artt. 110, 624, 625 n. 2 e 7 codice penale); va anche bene intercettare per il reato (una contravvenzione) di molestie (art. 660 codice penale); e poi va bene intercettare per una rapinetta alle poste o per lo spaccio di un centinaio di dosi di coca.
Però, ma che volete che sia una tangente, un finanziamento al partito, un appalto fatto vincere a un amico, un dirigente o un amministratore messo in qualche ente pubblico o sbattuto via da qualche ente pubblico. Robetta, non si può violare la privacy di tanti cittadini che hanno diritto alla tutela della loro vita privata etc. etc..
Ecco, se, prima di pensare alla “riforma della giustizia subito” si cominciasse a pensare “ma perché questi vogliono la “riforma della giustizia subito” solo in certi casi?”, si farebbe qualche passo avanti sulla strada, tanto per cominciare, del voto consapevole. Alle prossime elezioni...
Mah, mi sto spaventando da solo."
Irene
p.s. 2: "Prendete l’ignoranza, impastatela con la malafede ed avrete la sostanza dei titoloni che i giornali (quelli che vogliono far credere d’essere seri) sparano sulle inchieste giudiziarie"
Davide Giacalone sta parlando di se stesso?
Irene
Ecco chi è Davide Giacalone, condannato dalla Corte dei Conti nel 2005 a risarcire i danni allo Stato per un’edificante storia di tangenti.La persona più indicata, quindi, per fare la morale agli altri e per parlare di etica e di Giustizia…
Sezione I giurisdizionale centrale
Sentenza 5 gennaio 2005, n. 1
Con sentenza 7 giugno 2005, n. 191, la Corte dei conti, sezione I giurisdizionale centrale d'appello, ha disposto la revoca, per errore di fatto, della presente decisione, nella parte in cui condanna il sig. Davide Giacalone al risarcimento del danno arrecato alle Poste italiane s.p.a.
[...]Inoltre, anche la chiamata di correità del Giacalone è credibile sia per il fatto che lo stesso Giacalone subiva danno dalle dichiarazioni rese, sia per il fatto che essa è concorde con le altre dichiarazioni rese negli interrogatori secondo cui il Ministro pretese e ottenne somme per riattivare gli ordinativi alla ditta fornitrice.
Quanto al Giacalone, assolto in primo grado, si osserva che la stessa sentenza sembra contraddirsi perché, nel mentre cita una serie di episodi, ammissioni e testimonianze (pagg. 20-22, e 42) che dimostrano la sua responsabilità, perviene poi a conclusioni difformi. Infatti la sentenza ammette che il Giacalone conosceva la percezione delle tangenti e riconosce un suo ruolo nella vicenda, ma poi ne definisce la posizione defilata rispetto agli altri compartecipi tenuto conto della sua iniziale opposizione all'acquisto degli apparati.
La motivazione non convince. Infatti, proprio la consapevolezza specifica di andare incontro all'acquisto di macchine obsolete viene sopita nel Giacalone dalla percezione di tangenti (nell'interrogatorio del 31.5.1993 svoltosi alla Procura della Repubblica di Milano Parrella afferma di aver versato a Giacalone somme sia a beneficio dei partiti che SUO PERSONALE) e dal suggerimento del Ministro Mammì- di cui si è sopra detto - di cercare di non sapere entrambi a quali contratti si riferissero le tangenti. E' evidente, peraltro, oltre alle considerazioni già svolte per Mammì, che in una evidente situazione di illiceità l'acquisto di macchine obsolete era facilmente collegabile quale contropartita nel sinallagma per la percezione di tangenti. Le dichiarazioni del Parrella sulla percezione delle tangenti anche da parte del Giacalone sono credibili in quanto tale percezione era compensativa del fatto di assumere rischi considerevoli e andare incontro a responsabilità anche penali. D'altro canto la sentenza impugnata sostiene la prevalenza del ruolo degli altri soggetti, ma ciò non esclude la concorrente responsabilità anche del Giacalone per la presenza di tutti gli elementi concretizzanti la responsabilità e ritiene il collegio che le responsabilità, in definitiva, si equivalgano valutati i ruoli di ciascuno nella vicenda.
Il Parrella, il Mammì e il Giacalone, pertanto, devono condannarsi, in solido tra loro, al risarcimento del danno.
Peraltro, a fronte di un danno di Lire 26.535.740.000 richiesto in citazione, deve tenersi conto della SUSSISTENZA ANCHE DI ALTRE IRREGOLARITA' nella produzione del pregiudizio non più perseguibili per intervenuta PRESCRIZIONE o per infruttuoso o mancato esercizio dell'azione o per decesso dei chiamati cosicché l'importo da porre in solido a carico dei soggetti sopra citati può essere rideterminato nella cifra totale, comprensiva di rivalutazione di Euro. 2.405.429,00 oltre agli interessi legali dalla data della sentenza al soddisfo.
P.Q.M.
La Corte dei Conti - Sezione Prima Giurisdizionale Centrale di Appello, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza ed eccezione reiette, rigetta i gravami proposti avverso la sentenza in epigrafe dalle parti private; rigetta l'appello del Procuratore Generale nei confronti dei sig.ri Enrico Veschi e Maurizio Di Sarra; accoglie parzialmente gli appelli proposti dal Procuratore Regionale e dal Procuratore Generale e, per l'effetto, CONDANNA i sig.ri Giuseppe Parrella, Oscar Mammì e Davide Giacalone, al pagamento, in solido tra loro, della somma di Euro 2.405.429,00 (duemilioniquattrocentocinquemilaquattrocentoventinove/00), comprensiva della rivalutazione monetaria oltre agli interessi legali dalla data della sentenza al soddisfo, in favore delle Poste S.p.a. e alle spese del primo grado come in premessa, nonché a quelle del presente grado che si liquidano in Euro 3429,59 (tremilaquattrocentoventinove/59)."
il testo integrale della sentenza della Corte dei Conti è disponibile, per chiunque lo voglia, in Internet
Irene
"Nella Costituzione c’è scritto come si fanno le riforme"
bravo, Giacalone. se è per questo, nella Costituzione c'è anche scritto che gli amministratori pubblici devonono svolgere il loro lavoro con ONESTA' e imparzialità. Non mi sembra che le tangenti rientrino in questo criterio di buona amministrazione.
Irene
Cara Irene ti preciso che Giacalone collabora con uno dei giornali come l'opinione che prende un fiume di soldi pubblici perchè costituito sotto forma di cooperativa (ti ricordi la sfuriata del nano verso le cooperative?) e dove come condirettore abbiamo Paolo Pillitteri, il cognato di Craxi che faceva il sindaco di Milano, e che riceveva le mazzette da Mario Chiesa “in una busta nascosta in un giornale” che s’è beccato 4 anni per corruzione.
ti chiedo ma che pretendi?
Per Irene e per l'ultimo anonimo che non si firma neanche con un nickname
Leggendo i vostri commenti e seguendo i vostri ragionamenti se ne dovrebbe dedurre che tutti i frequentatori del blog siano dotati di scarso quoziente intellettivo e che non abbiano niente da fare;
Per fortuna chi più vale ha ben poco tempo da sprecare per ribattere alle vostre stupidaggini, continua così maurom,
non ti avvilire, non ti potranno mai togliere la libertà di scrivere ed esprimere il tuo pensiero.
Per Irene, Giacalone ti ha indirettamente risposto nel post del 23-01-09, motivo per cui o taci, o riporti i fatti nella propria interezza (senza lasciare i compitini a metà (voto 4))
oppure, se ritieni di essere nel giusto ed hai la sicurezza di quello che dici, gli fornisci le tue generalità e ve la vedete in tribunale.
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