Altro che la gioiosa macchina da guerra di Achille Occhetto del '94. Il duo Maurizio Belpietro (Libero) e Vittorio Feltri (Il Giornale) è una potenza di fuoco che il Cavaliere ha messo in piedi in questa torrida estate per sbaragliare i cosiddetti poteri forti. Primo la famiglia Agnelli, proprio quella di un certo Luca Cordero di Montezemolo che spesso viene indicato come possibile premier di un governo di salute pubblica o bipartisan. Libero ha pubblicato una serie di esclusive che hanno sgonfiato le ruote al Lingotto, tanto che non si sa più chi sia il vero padrone della principale azienda privata italiana.
Seconda bomba. Affidata al bergamasco Feltri, neo-direttore de Il Giornale, che ha messo nel mirino l'Ingegnere per i suoi presunti rapporti con l'Unione Sovietica, tanto da ricevere i complimenti del Presidente emerito Francesco Cossiga. Un uno-due micidiale per mettere al tappeto quei poteri che possono minare Palazzo Chigi. Altro che congresso del Pd... i pericoli per il Cav arrivano da altri fronti. Silvio lo ha capito e ha schierato l'artiglieria pesante...(Affaritaliani.it)
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
11 commenti:
che articolone
che scoop
alla prossima leccata di culo, zerbino
Filippo Facci sul Giornale di venerdì 3 novembre:
Ieri sono stato attaccato da Vittorio Feltri: un signore che non ha neppure
il coraggio di essere direttore responsabile del suo giornale perchè ha
paura delle querele.
Un signore che ha fatto la battaglia contro le baby-pensioni e poi è andato in pensione a 53 anni.
Un signore che ha fattola battaglia contro le sovvenzioni pubbliche ai giornali di partito e poi ha trovato il modo di prenderle anche lui.
E tacciamo di altre faccende, per ora.
A Feltri ha dato fastidio che io abbia dato di farisei a quei consiglieri di Forza Italia che vogliono appuntare la medaglia d’oro del Comune di Milano sul petto di Renato Farina: un premio a un giornalista che si è messo al soldo dei servizi segreti e che ha fatto pedinare un magistrato per il Sismi. Un premio per aver spiato nascondendosi dietro un giornale (il suo) proprio come le spie dei film. Un distintivo per aver fatto l’agente segreto con rimborso a pie’ di lista. Un riconoscimento al valor civile per aver combattuto la guerra tra Occidente e Islam: anche se Farina è diventato Agente Betulla nel ‘99, quando le Twin Towers svettavano e Farina attaccava gli Usa perchè bombardavano i serbi.
Feltri è così lucido che non ha capito neppure che per Farina si vuole solo scongiurare il peggio, come ho scritto ieri: perchè è Farina che ha abbandonato la posa del difensore dell’Occidente, è lui che si è detto pentito, e ha chiesto scusa, ha ammesso l’errore.
E non puoi premiare un tizio per un errore: penalmente rilevante, peraltro. Non puoi prospettare alla classe giornalistica che se infrangi la legge e ti fai pagare dai servizi segreti ti premiano pure. Non puoi, e non devi, alzare la posta politica e fare di Farina una bandiera: altrimenti diventa l’oggetto di un contendere che riguarda altre cose, rischia di essere schiacciato in mezzo, di peggiorare una punizione già inflittagli e che per quanto mi riguarda va benissimo così.
Ma Feltri non ha capito un tubo.
Ha scritto che “patteggiare non vuol dire riconoscere la colpa, lo dice la legge”: e la legge dice proprio il contrario.
Mi ha dato di invidioso, di roditore, di iettatore eincredibilmente di “garantista a seconda del reddito e del padrone”, confondendo la mia storia di garantista con la sua di banderuola: passato com’è egli medesimo, si sa, dal fare il quotidiano più forcaiolo della Storia al fare il più garantista, sinchè gli è riuscito: per il grano e i quattrini, direbbe lui.
Un signore, Feltri, che ieri ha scritto di me: “Sul piano della iettatura lo avverto: ne ho già stecchiti per molto meno”.
Una 44 Magnum per l’ispettore Feltri.
Datelo a lui l’Ambrogino d’oro, anche se probabilmente lo venderebbe subito.
Per correttezza è meglio mettere quello di feltri
Vittorio Feltri su Libero del 2 novembre 2006:
Vi spiego perchè è giusto dare l’Ambrogino d’oro a Farina
Filippo Facci sulla prima pagina del Giornale ieri ha mostrato di che pasta sia. Fingendo pietà, con quel suo stile da Campari Soda, seppellisce Renato Farina sostenendo che è già morto. Non vuole che gli si dia l’Ambrogino d’oro perchè, afferma, sarebbe un “disastro” proprio per Farina. Quanto altruismo, Poi, con la manina dell’accoltellatore che si avvicina con l’aria di fare una carezza, spiega: il solo merito di Renato è quello di “infrangere la legge e farsi pagare dai servizi”. Quindi si diletta pure a sentenziare e a menare gramo: “Farina è colpevole, ha pagato, pagherà”. Sulla (non) colpevolezza ci arrivo subito. Sul piano della iettatura avverto il dilettante del Giornale: ho la patente. Ne ho già stecchiti per molto meno.
Colpevole Farina? Facci ricava questa sentenza dal fatto che il mio vice ha proposto il patteggiamento all’Ordine lombardo dei giornalisti. Patteggiare in nessun caso vuol dire riconoscere una colpa: lo dice la legge. Quanto a Renato, ha avuto il torto di seguire il mio consiglio. Gli ho suggerito di fermare la pratica a Milano con il minor danno, sapendo bene che a Roma lo avevano già dichiarato radiato a prescindere, senza bisogno neanche di sentirlo.Ma per Facci è colpevole e pagherà. Mi dicono passi per garantista. Probabilmente lo è, a seconda del reddito e del padrone. Paolo Berlusconi ci risulta abbia patteggiato. Perché non gli dedica un bel corsivo sulle discariche? O forse l’ha fatto e non ce lo ricordiamo?
La dico tutta. Farina merità l’ambrogino d’oro. Per quello che scritto di Milano e su Milano, e anche per il suo modo di intendere il giornalismo. Diciamo alla Testori. Aldo Brandirali proponendolo ha interpretato i sentimenti della gente, non solo milanese, che si identifica col modo farinesco di raccontare e giudicare la realtà.
Come si fa a non caopire che l’aggressione senza precedenti che ha subito è la prova che Renato è importante? Facci losa, e gli rode. Per questo cerca di affossare la candidatura di Renato e la denigra. Poi perà inciampa nelle sue stringhe da fighetto. Quando scrive che contro Farina si sono scatenati “i linciaggi sui giornali a torto o a ragione”. Bel garantistone di un Facci. Ci sono anche i linciaggi giusti per questa mente fina di giurista da osteria. Secondo me Facci andrebbe arrestato per apologia di reato
Fate cagare la merda al mondo
Ieri sono stato attaccato da Vittorio Feltri: un signore che non ha neppure
il coraggio di essere direttore responsabile del suo giornale perchè ha
paura delle querele.
Un signore che ha fatto la battaglia contro le baby-pensioni e poi è andato in pensione a 53 anni.
Un signore che ha fattola battaglia contro le sovvenzioni pubbliche ai giornali di partito e poi ha trovato il modo di prenderle anche lui.
Quando De Benedetti tramava in politica: come ha fatto fortuna
La verità, come si sa, è sempre rivoluzionaria. Pochi la cercano e molti la temono. Altri, invece, pensano di poterla «governare» a proprio uso e consumo e tra questi, da sempre, ci sono gli amici di Repubblica. Ogni tanto partono in quarta come se fossero scesi qualche minuto prima dal monte Sinai sul quale avrebbero ricevuto, di volta in volta, le tavole della verità da comunicare al mondo. E come sempre è capitato nella storia dell’Uomo, chi inveisce moralisteggiando contro tutti dimentica di avere alle sue spalle ombre lunghe e inquietanti. Ma veniamo al fatto. Chi, come il Giornale ed altri, ha cominciato a indagare sui conti di casa Agnelli e sulle probabili evasioni fiscali lo ha fatto solo perché ha raccolto le notizie da uno dei massimi esponenti di quella famiglia, la figlia dell’Avvocato signora Margherita. Apriti cielo. Il simpatico Giuseppe D’Avanzo che sa sempre tutto su tutti tranne che sul suo editore Carlo De Benedetti, ha intimato di fatto al nuovo direttore del Giornale (ma perché solo a lui?) di dire anche tutte le malefatte, vere o presunte, di Silvio Berlusconi se voleva continuare le indagini sulle evasioni fiscali, anch’esse vere o presunte, di casa Agnelli. D’Avanzo sa che noi lo stimiamo e che per tale stima seguiamo passo dopo passo le sue orme.
Se dobbiamo fare la storia di Mediaset o quella personale di Berlusconi, come chiede D’Avanzo è giusto che anche lui faccia la storia personale e politica di Carlo De Benedetti, l’editore autorevole e illuminato del gruppo Repubblica-Espresso. Se dobbiamo sposare la Verità, e noi più di altri ne siamo affascinati, volgiamo dunque lo sguardo a 360 gradi cominciando proprio da chi predica legalità e santità e cioè dall’editore di Repubblica. In questa ricerca vogliamo dare una mano al caro D’Avanzo che forse non ricorda alcune vicende della storia italiana, quelle vicende che pure tanta devastazione produssero sul sistema politico-economico italiano. Per brevità non vogliamo ricordare la vicenda del gruppo alimentare Sme che De Benedetti stava acquistando per poche lire e che Giuliano Amato, per nome e per conto di Bettino Craxi, impedì con un intervento durissimo nella commissione Bilancio della Camera dei deputati.
Vedremo tra poco come Giuliano Amato, anni dopo, si fece perdonare dall’amico Carlo. Partiamo, invece, dal progetto «politico» che Carlo De Benedetti, con l’accordo anche di Gianni Agnelli, mise a punto nei primi mesi del 1991 per cambiare gli assetti politici che l’Italia si era democraticamente dati e per portare al governo del Paese il vecchio Pci che a Rimini stava «espellendo» la sua area più dura, quella che poi assunse il nome di Rifondazione Comunista. Nel marzo del ’91 De Benedetti chiese all’allora ministro del Bilancio Cirino Pomicino se voleva «essere il suo ministro» dopo avergli spiegato le ragioni del progetto e i suoi protagonisti. Quell’offerta, tra l’altro, per come fu fatta, dimostrò la concezione «proprietaria» che De Benedetti aveva della politica e che si impose in Italia sin da quegli anni anche se, per l’eterogenesi dei fini, con altri protagonisti.
Ma la vocazione proprietaria della politica di Carlo De Benedetti era sempre finalizzata a questioni economiche. E, infatti, il 28 marzo 1994 il carissimo Carlo Azeglio Ciampi quando stava per lasciare Palazzo Chigi perché gli amici sponsorizzati da De Benedetti (Occhetto e compagni) erano stati sconfitti alle elezioni un giorno prima da Berlusconi, decise il vincitore della gara d’appalto per il secondo gestore dei telefonini in Italia. Il vincitore fu naturalmente Carlo De Benedetti. Gli sconfitti, la cordata Fiat-Fininvest. Siccome «ciascun dal proprio cuor l’altrui misura» Carlo De Benedetti immaginò che il proprietario della Fininvest sconfitta, una volta arrivato a palazzo Chigi, avrebbe di fatto revocato alla Olivetti la licenza di secondo gestore della telefonia mobile. Così naturalmente non fu e il moribondo governo Ciampi, figlio dell’intrigo di palazzo, si comportò come i generali nazisti che con gli americani alle porte fuggivano bruciando le ultime carte e fece nascere la Omnitel di Carlo De Benedetti che realizzò uno dei migliori affari della sua vita. Ma all’ingegnere d’Ivrea non bastava. Il compianto Lorenzo Necci presidente delle Ferrovie di Stato, aveva concluso nel dicembre del 1993 con la Telecom pubblica di Ernesto Pascale la vendita della rete telefonica ferroviaria per 1.100 miliardi di vecchie lire.
Ma Giuliano Amato, nominato alcuni mesi dopo da Silvio Berlusconi presidente dell’Antitrust, si mise di traverso suggerendo addirittura a Lorenzo Necci quale dovesse essere il destinatario della rete telefonica ferroviaria e cioè la Omnitel di Carlo De Benedetti probabilmente per farsi perdonare il suo acerrimo contrasto all’acquisto della Sme di alcuni anni prima. E così fu. Il prezzo concordato fu di 750 miliardi di lire (350 in meno del prezzo pattuito tra Stet-Telecom e Fs) e il pagamento fu rateizzato in 14 anni con rate annuali di 76 miliardi sempre di vecchie lire. Roba un po’ da ridere.
Qualche tempo dopo Omnitel-Infostrada governata a quel tempo dal duo Colaninno-De Benedetti fu venduta ai tedeschi della Mannesman per 14mila miliardi senza, naturalmente, alcuna rateizzazione. Potremmo continuare a «spigolare» qui e là a cominciare dalla scandalosa vicenda Seat-Pagine Gialle che in poco più di 30 mesi passò dalla Telecom pubblica alla società Otto e poi di nuovo alla Telecom privata con una plusvalenza di oltre 14mila miliardi. Nella cordata iniziale che si candidò a comprare la Seat dalla Telecom c’erano insieme a Comit, De Agostini, Bain Cuneo, B.C. partner, Cvc partner, Investitori associati, anche il gruppo editoriale Espresso-Repubblica, che comunque ne uscì prima che l’acquisto fosse concluso.
Resta il fatto che ben il 42% della società che acquistò la Seat e che quindi realizzò la scandalosa plusvalenza era nelle mani di azionisti sconosciuti e collocati nei paradisi fiscali. Carlo De Benedetti e il principe Caracciolo non c’erano più nella cordata ma un tarlo malizioso c’è sempre nella nostra testa. E, come dice il vecchio Andreotti, a pensar male si fa peccato ma si indovina. Ci fermiamo qui lasciando al nostro amico D’Avanzo di continuare la carrellata. Se ha difficoltà potrà sempre chiamarci, ricordandogli, in ultimo, che senza l’iniziale progetto politico di De Benedetti, Berlusconi non sarebbe mai sceso in politica.
il prossimo 28 agosto la festa religiosa
L'Aquila, Berlusconi a cena con Bertone
Il premier incontrerà il segretario di Stato vaticano in occasione della celebrazione della «Perdonanza»
prima con le minorenni e a zoccole, poi con i prelati
Bella la vita, PORCO!!
La forza micidiale del Cav e del fido Feltri che fa boom-boomerang con lo scoop su Boffo gay!
Hahahahahahahaha
Ragazzi, mi sto divertendo un sacco 'sti gioni, spero che questa gli scoppi sotto il culo di brutto!
Grande continua così!!!!!!!!!! Non considerare i commenti degli stronzetti...sono loro a leccare il culo e a essere i primi porci....Sparatevi!!!!!
Posta un commento