lunedì 24 agosto 2009

Nuova prudenza alla procura di Torino. Davide Giacalone

Secondo la procura di Torino, circa il miliardo e più di soldi che Gianni Agnelli sembrerebbe avere accumulato all’estero, “non si è a conoscenza di ipotesi o elementi di reato”. Il che segna un grande salto, di cultura e prassi, per un ambiente giudiziario fortemente influenzato da uomini e caratteri forti, come quello di Marcello Maddalena, autore di un non dimenticato libro, “Meno grazia più giustizia”, nel quale si tessevano le commosse lodi della galera preventiva, intesa come sistema per sollecitare le confessioni, si descriveva il pubblico ministero come “unico portatore dell’interesse dello stato (…) a vedere scoperti e puniti gli autori dei reati”, e si guarda con tenerezza ai processi in piazza, fatti dalla “gente”, convinta che l’accusato sia effettivamente colpevole, o come quello di Raffaele Guariniello, che si è eletto a vigile guardiano nazionale della sofisticazione e della frode sportiva. Sicché vederli oggi, attestati a difesa della necessità che ci si vada con i piedi di piombo, prima di mettere nei guai un cittadino, chiunque egli sia (spero), desta un certo compiacimento. Ben arrivati.
Gliecché, però, un dubbio ci assale. L’ipotesi che qualcuno stesse facendo sparire una somma gigantesca non è stata formulata da un pubblico ministero, o da un agente del fisco, o da un vicino invidioso, bensì da un legittimo erede, l’unico figlio vivente di colui che ebbe quelle somme nella propria disponibilità. E, stando a quanto abbiamo letto in questi mesi, i curatori fiduciari di quell’esecuzione testamentaria hanno sempre risposto non che la supposizione sia folle, bensì di avere agito secondo le istruzioni ricevute. Ora, pur considerato che si tratta di gente ricca, che, pertanto, l’entità delle cifre deve essere parametrata alla consuetudine nel maneggiare somme considerevoli, resta il fatto che più di un miliardo di euro non si accumula grazie a qualche prestazione professionale non fiscalizzata, o in virtù di qualche generosa liberalità. E visto che il soggetto accumulante aveva cariche di vertice in una società quotata, il minimo della fantasia accusatoria suggerisce diversi reati, relativi alla trasparenza del bilancio ed alla regolarità dei rapporti con il mercato. Maneggiando quel tir di denaro, inoltre, si fa fatica a parcheggiarlo senza dare nell’occhio, spendendo il necessario per qualche umano vizio ed accumulando il resto per i posteri (ma non per gli eredi, la qual cosa, già di suo, sollecita qualche sospetto).
Diciamo che, in altre circostanze, con altri soggetti e con altri poteri la procura avrebbe fatto sapere all’universo mondo di avere, nel più sereno e pacifico dei casi, “acceso un faro”. Più probabilmente avrebbe chiesto lumi, già abbagliata dall’evidenza che i conti non tornano.
Naturalmente può ben darsi che sia tutto a posto e che l’amministrazione aziendale non abbia alcunché da rimproverarsi. Ne saremmo felici. Però, in questo caso, si dovrebbe presentare il conto all’erede esoso ed azzardoso, che con le affermazioni fatte ha lasciato intendere che potevano essere state sottratte ingenti ricchezze ad una società quotata in Borsa e utilizzati per fini d’arricchimento illecito gli aiuti di Stato (quindi con i soldi dei cittadini) forniti ad una nota impresa.
A ben vedere, pertanto, qualche “ipotesi” e qualche “elemento” su cui ragionare non mancano. Magari manca l’entusiasmo popolare che tanto giovò all’umore di certi procuratori, ma troveranno ugualmente la forza, ed il senso del dovere, per pensarci.

33 commenti:

Anonimo ha detto...

Il mistero di casa Agnelli: chi comanda alla Fiat?



Di chi è la Fiat? Questa domanda inquietante discende dal fatto che la vicenda dell’eredità di Gianni Agnelli che ne deteneva la quota di controllo, passata tramite complessi giri esteri al nipote John Elkann, sta diventando una vicenda kafkiana, in cui più si leggono le carte disponibili, meno si capisce. Salvo una cosa chiara, anzi lapalissiana, ossia che Margherita Agnelli, un tempo sposata Elkann e ora contessa de Pahlen, dal nome del nuovo marito, contesta la successione ereditaria, in cui ritiene di essere stata ingannata. E quindi contesta tutta la situazione attuale, dell’eredità in questione.

Sino a poco tempo fa, la tesi principale di Margherita, una signora molto riservata, molto religiosa che concepisce il matrimonio come una severa missione familiare, tanto da avere messo al mondo otto figli, nelle due legittime unioni, era che le era stata nascosta una parte del patrimonio del padre, che essa adorava e da cui pensava di essere ricambiata. E che pertanto l’accordo, definito tombale, con cui nel 2004 aveva accettato 583 milioni, provenienti dalle Isole Vergini, come quota ereditaria, rinunciando a ogni altra pretesa, comprese quelle che danno diritto a quote di controllo di società che controllano Fiat, sarebbe nullo perché l’asse ereditario che era stato posto alla base di tale accordo, era gravemente incompleto. In altri termini era stata ingannata. Ma si trattava di una affermazione e di una pretesa, ancora da dimostrare. Mentre la vertenza, ormai nelle mani di avvocati andava avanti, Margherita ha anche ricevuto, da un mittente sconosciuto, tramite la banca Morgan Stanley 109 milioni di euro, come invito a lasciar perdere la controversia. Ma un po’ perché la contessa de Pahlen non ha desistito, un po’ perché il fisco di Tremonti ci vede e ci sente, anche con i big, a differenza di quello precedente, molto più occupato con i personaggi di seconda e terza schiera, è stato individuato un tesoro nascosto di Gianni Agnelli nei meandri delle banche estere di paradisi fiscali. E ora, anche se tutto è confuso e kafkiano, è chiaro che Margherita aveva ragione a sostenere che le era stato occultato una parte dell’asse ereditario del padre. E ciò comporta che l’accordo «tombale» è nullo. Il sepolcro in cui esso doveva esser sepolto per sempre è stato scoperchiato. Ed era un sepolcro ipocrita.

Ma esiste una volontà testamentaria dell’avvocato Gianni Agnelli? Dai documenti resi disponibili non si riesce a capirlo. E si legge, invece, che egli aveva una volontà, manifestata oralmente e con testi, non definitivi, ma rilevanti, consistente nel concentrare nel nipote John Elkann la quota di controllo della società in accomandita per azioni (in gergo Sapaz), che a sua volta controlla il gruppo di cui fa parte la Fiat. Ma nel labirinto oscuro di questa lettura, c’è per fortuna un fascio di luce. Costituito dal documento di accordo con cui Margherita ebbe 583 milioni più il bonus di 109 milioni successivo, per tacitarla. Se ci fosse una carta testamentaria chiara, se non ci fossero queste società possedute su conti in banche off shore (cioè non regolamentate) detenuti da banche serie come Morgan Stanley, quale mezzano, non ci sarebbe bisogno di stilare «compromessi» di 583 milioni e non ci sarebbe bisogno di rafforzarli con assegni di origine ignota di 109 milioni. Se le carte testamentarie fossero chiare, ossia se si potesse dire «carta canta», il discorso ereditario sarebbe concluso. Rimarrebbe aperta una rognosa faccenda di evasione fiscale internazionale, ma si saprebbe se Margherita Agnelli de Pahlen, unica legittima erede di Gianni, a seguito del tragico suicidio del fratello Edoardo, ha ricevuto ciò che le spetta o no. Si saprebbe se è stata o no lesa una volontà testamentaria. O se con tale testamento è stata lesa la sua quota di legittima o se, mancando testamenti ed essendo nulle alcune donazioni in vita, per vizi legali, Margherita sia l’erede quasi unica di tutto, salvo l’usufrutto alla madre Marella, vita natural durante.

Anonimo ha detto...

Da società come Dicembre, come Alkyone, come Sapaz si dirama la catena di controllo di Fiat, la maggiore impresa industriale manifatturiera italiana, si dirama il potere di comando di Fiat in Confindustria, si dirama il potere del gruppo torinese in Mediobanca. Dipendono, da ciò, tre nobili giornali: La Stampa, Il Sole 24 Ore, il Corriere della Sera e una parte importante della nostra economia e del listino di Borsa. Non è una curiosità da salotto o da portineria e nemmeno da bar sport, quella che riguarda le catene di comando e controllo dell’impero finanziario e industriale del Lingotto e delle sue diramazioni. È una richiesta di chiarezza, che riguarda l’economia e la finanza nazionale.

Anonimo ha detto...

1 - DIECI DOMANDE AGLI AGNELLI
Maurizio Belpietro per Li bero
gabetti

Sono trascorsi dieci giorni da quando abbiamo cominciato a occuparci dei conti esteri di Gianni Agnelli. Come i lettori sanno, fummo i soli, il 13 agosto, a dare con grande evidenza la notizia che l'Agenzia delle entrate voleva vederci chiaro nella storia dei 2 miliardi di euro che l'Avvocato avrebbe accumulato nei paradisi fiscali.

Altri giornali preferirono liquidare il fatto con una breve in prima pagina, dimenticandosene immediatamente il giorno dopo. Quando ci accorgemmo della straordinaria discrezione con cui era stata trattata la questione, invitammo i colleghi a un sussulto di coraggio nei confronti di uno dei veri poteri forti di questo Paese, quello che ruota intorno alla sacra famiglia torinese.
xv22 maurizio belpietroMARGHERITA AGNELLI - Copyright Pizzi

Non perché volessimo fare i maestrini, semplicemente perché ritenevamo che un'indagine su 2 miliardi di euro di presunta evasione non fosse una bagatella da liquidare in poche righe, ma meritasse approfondimenti degni del caso. Dopo il nostro articolo, invece di rompersi, il silenzio è continuato. Sarà la calura estiva o molto più verosimilmente la paura lavorativa, che, in un periodo di crisi dell'editoria, fa temere a molti colleghi per il posto, sta di fatto che giornaloni e giornalini continuano a non fiatare.
Margherita e Gianni Agnelli

Il solo a rompere il silenzio è stato ieri Vittorio Feltri, su il Giornale. Benvenuto, caro Vittorio, fra quelli che hanno voglia di saperne un po' di più sulla vicenda. Che attenzione, non è solo una questione di tasse non pagate, anche se dalle dimensioni di una manovra tremontiana.

E neppure è semplicemente una banale lite per l'eredità, che vede una figlia contrapposta alla madre perché ritiene che le spettino più soldi oltre ai molti che ha già avuto. Sì, ci sono le imposte e perfino le beghe di famiglia, che fanno scendere gli Agnelli dal piedistallo cui certa stampa li ha issati per anni e li collocano fra noi, che quotidianamente smoccoliamo contro il Fisco e se ci riusciamo evadiamo un po' di tributi, litigando pure con i parenti quando ci sentiamo fregati.

Ma la storia non è solo questa. Più si approfondisce e più si capisce che il punto vero della faccenda è un altro.
Se avete seguito gli articoli di Gigi Moncalvo, che spiegano le tesi di Margherita, avrete notato che tutto ruota intorno alle decisioni prese subito dopo la scomparsa di Gianni Agnelli.


Scelte che di fatto incoronano alla guida del gruppo Fiat John Elkann, il nipote dell'Avvocato, tagliando fuori sua madre, che era la legittima erede, e i suoi fratelli. In pochi giorni egli diviene il padrone, perché gli viene donata la quota di maggioranza della cassaforte di famiglia.

Lui e solo lui è l'erede. Chi ha deciso tutto ciò? Gianni Agnelli, è la risposta. Ma Margherita non ci crede, perché non ci sono disposizioni testamentarie, perché a dire che John è l'erede sono due arzilli vecchietti che collaborarono con il padre, Gianluigi Gabetti e Franzo Grande Stevens.

Il sospetto della figlia dell'Avvocato è insomma che i due abbiano favorito suo figlio, contando sulla giovane età e l'inesperienza per condizionarlo, o, addirittura, plagiarlo. Margherita è una pazza che s'inventa tutto, spinta da un marito, Serge de Pahlen, avido e rancoroso come lo descrivono gli uomini di casa Agnelli, oppure ha ragione e la legittima erede e gli altri figli sono stati scippati del controllo del più grande gruppo industriale del Paese?

Anonimo ha detto...

Ecco, questo è il punto. Sono balle quelle della figlia dell'Avvocato, sono invenzioni di una mente fervida che non si raccapezza più tra le decine di società finanziarie costituite all'estero, o davvero a Torino qualcuno ha sfilato il controllo dell'azienda alla discendente diretta di Agnelli?

Voi capirete che la domanda non è peregrina e, al di là degli interessi della signora de Pahlen, come con disprezzo la chiamano Gabetti e Franzo Grande Stevens, c'è anche un interesse giornalistico. Si tratta di un colpo di stato aziendale, con i colonnelli che hanno preso il potere dentro la Fiat, o di un colpo di sole dell'erede del signor Fiat?

Finora, di fronte alle contestazioni di Margherita, a Torino hanno mantenuto un riserbo assoluto, evitando i commenti, un po' come si fa quando un parente dà di matto.

Naturalmente capisco l'imbarazzo, raddoppiato dal fatto che si parli di questioni venali come i soldi. Ma io credo che una risposta ci voglia e che questa storia un po' di chiarezza la meriti. E' ora di far luce su sei anni di veleni e di dubbi e di mettere in chiaro cosa è successo quando ancora la salma dell'Avvocato era calda.

Chi ha deciso cosa e perché? Chi ha pagato Margherita, chi ha scelto di donare le azioni a John, quante fondazioni gestiscono il patrimonio dell'Avvocato e chi le controlla?

Per questo Libero ha preparato dieci domande che gira alla famiglia, alla vedova Marella, a John, a Gabetti e a Grande Stevens. Bastano poche parole chiare. Dieci risposte che ci aiuteranno a capire se c'è da chiamare la polizia

Anonimo ha detto...

LE DIECI DOMANDE DI LIBERO AGLI AGNELLI

Perché è stata creata una fondazione all'estero, la Alkyone, per gestire una parte del patrimonio dell'Avvocato e la figlia Margherita ne è stata tenuta all'oscuro?

Perché Margherita esce dalla Dicembre, la cassaforte di famiglia, nonostante lo zio Umberto Agnelli l'avesse definita "l'unica erede"?

Perché all'Avvocato è stato consigliato da Gabetti e Grande Stevens di escludere Edoardo e Giovannino Agnelli dalla Giovanni Agnelli Sapaz?
agnelli, 1986

Perché Marella ha tagliato i ponti con la figlia Margherita?

Perché le azioni della Dicembre vengono donate a John Elkan e i fratelli Lapo e Ginevra vengono esclusi?

C'è un documento che dimostra la volontà dell'Avvocato di designare John principale azionista della Dicembre?
agnelli umberto e suni

In base all'accordo del 2004 Margherita Agnelli riceve 583 milioni da un trust delle Isole Vergini che non risulta nella fondazione Alkyone. Perché e chi lo gestisce?

Quali altri trust o fondazioni gestiscono il patrimonio degli Agnelli?

Chi ha disposto il bonifico da 109 milioni a Morgan Stanley in favore di Margherita?

Quanti giorni trascorre Marella Agnelli in Italia? Più di 187?

Anonimo ha detto...

Dove sono finiti i magistrati di piazza , i giornalisti d assalto ,i moralisti senza morale i giornali sempre pronti al pettegolezzo e allo scandalo ???

Non è che per caso abbiano paura dei loro padroni che con le loro quote azionarie detengono tutto il potere.
Meglio la cadrega che la dignità:

VERGOGNA!!

Sembrano tutti agnellini....

Anonimo ha detto...

LE DIECI DOMANDE DI LIBERO AGLI AGNELLI

il solito libero che imita la repubblica con le 10 domande

con una piccolissimissima differenza

gli Agnelli sono dei privati cittadini mentre il PORCO del CONSIGLIO dovrebbe lavorare per gli italiani tutti invece di scopare e mettere le sue ragazze ai ministeri e nei posti chiave

continua a copiare ed incollare pirla e continua a lasciare il cervello nel cesso

Anonimo ha detto...

Littorio Feltri torna al Giornale e, per elogiare il padrone, non trova di meglio che dire che Agnelli era peggio di lui (già, peccato che Agnelli non sia mai stato capo del governo e, detto per inciso, sia pure morto). Poi, per dare il buon esempio, si porta al Giornale due condannati in primo grado: Renato Farina e Luciano Moggi (più che un quotidiano, pare l’ora d’aria).

Anonimo ha detto...

GRAMSCI E LA FIAT di A. Berlendis

A l’Infedele su La7 lunedì 10 novembre 2008 il ministro della cultura Bondi sostenne che “Gramsci è stato un pensatore comunista che andrebbe studiato, ed il fatto che non lo sia è un sintomo della grave degenerazione della sinistra attuale.” Rispose sul ‘Corriere della sera’ sbottando il ministro dei Beni Culturali del governo ombra del PD Cerami «L' ho mangiato per trent' anni. Ora sta sul comodino» (1).

Sicuramente dal comodino è poi passato al cestino, visto che i post-comunisti sono oggi un sol uomo negli osanna e nei peana alla Fiat ed alle sue capacità di condurre strategie autonome, mentre in realtà il complesso di azioni di questa impresa—che continua ad essere una delle espressioni dei subdominanti italiani—è connesso in modo subalterno rispetto alle strategie dei dominati Usa, e con i loro mutamenti tattici.



Intanto se invece di depositare Gramsci sul comodino l’avessero messo sulla scrivania e magari (ri)letto (ma l’avranno poi mai veramente letto?) avrebbero avuto una preziosa indicazione metodologica antieconomicistica sull’intreccio tra la sfera politica e la sfera economica. Infatti Gramsci proprio partendo dal caso contingente della Fiat scriveva: “Il trinomio Agnelli-Gualino-Ponti, col complesso di forze economiche rappresentate—la Fiat, la Snia viscosa, la Sip—dirige la più potente organizzazione capitalistica che esista in Italia. […] questa potentissima coalizione finanziario-industriale è naturalmente anche una potentissima macchina politica. La politica serve a creare le condizioni favorevoli per la prosperità delle speculazioni, e le speculazioni riuscite forniscono i milioni necessari per alimentare e mantenere l’influenza politica” (2).

Così come a proposito della nostra congiuntura attuale, poteva tornare utile la riflessione gramsciana circa un settore allora di punta e dell’innovazione di prodotto. Ancora partendo da un evento contingente Gramsci così dispiegava la sua riflessione: “La Fiat ha perduto la sua battaglia. Nella grande gara automobilistica di Brescia, la grande casa torinese, nonostante l’audacia di un suo corridore, ha dovuto vergognosamente cedere di fronte alla superiorità delle macchine francesi. Questo fatto dipende forse da una momentanea defaillance della capacità tecnica dei costruttori della Fiat o da una rimediabile disorganizzazione dell’industria, o da un inizio di decadenza senza rimedio?”

Secondo Gramsci i vertici aziendali Fiat “avevano saputo provvedere ottimamente ad organizzare la loro industria ed a metterla in grado di affrontare con successo l’accanita concorrenza delle migliori case straniere. […] i capi della Fiat,…,erano allora veramente ‘capitani dell’industria’, esperti, sagaci, arditi e prudenti nello stesso tempo. In che cosa li ha trasformati la guerra? In cavalieri d’industria. Essi hanno abbandonato … la tradizione degli anni passati per cercare la fortuna nel campo della speculazione più temeraria, nei giochi di banca più pericolosi. L’intensa, affannosa attività di guerra, durante la quale la Fiat aveva dovuto subire trasformazioni impressionanti, ha certamente richiesto ai capi della grande impresa industriale sforzi enormi, imponente spreco di energie. Si aggiunga che innumerevoli industrie sorsero durante il conflitto mondiale, che aggruppamenti potentissimi di finanzieri si formarono nell’intento di conquistare industrie, banche, mercati. […] La Fiat non è estranea a queste competizioni. L’attività del comm. Agnelli, in altri tempi rivolta a migliorare il funzionamento dell’azienda industriale, è rimasta quasi completamente assorbita dalle manovre dei gruppi di banchieri, che si assaltavano a vicenda, dalla necessità di parare i colpi minacciosi dei nemici. […] Mentre la concorrenza industriale si trasformava in una rovinosa competizione di gruppi bancari, il capitano d’industria si trasformava fatalmente in speculatore, in cavaliere d’industria. A questo punto è incominciata la decadenza della Fiat” (3).

Anonimo ha detto...

Risulta chiaro che l’invito ad una ridiscussione radicale della tradizione marxista (partendo anche da Gramsci ma per andare ben oltre…) di cui sopra era puramente retorico, dato che vi era la dimostrata (e rivelata) incapacità strutturale già per l’allora Pci togliattiano . Volando molto più in basso, per l’attuale gruppo dirigente del Pci-Pds-Ds, si attagliano alla perfezione le parole che Gramsci rivolse ai loro precursori dell’oggi Pd, cioè l’allora Partito Popolare, da lui dipinto come un “gruppetto di miserabili politicanti” capaci di produrre politiche ed azioni da cui emerge “la sfrontata malafede dei suoi autori che invano tentano di riguadagnare la fiducia delle masse irrimediabilmente perduta nei mercanteggiamenti con tutti i governi della borghesia, da quello di Giolitti, a quello di Bonomi, a quello di Facta, a quello di Mussolini” (4).

(1)Corriere della Sera - 3 settembre 2008
(2)Gramsci ‘La plutocrazia piemontese.’ L’Unità’ 11 settembre 1925
(3)Gramsci ‘La sconfitta della Fiat.’ In ‘L’Ordine Nuovo’ 6 settembre 1921
(4)Gramsci ‘Omertà aventinista.’ Da’L’Unità’ 5 agosto 1926.

Anonimo ha detto...

l unico pirla sei tu .
Rileggiti le Parole di Gramsci :

"Il trinomio Agnelli-Gualino-Ponti, col complesso di forze economiche rappresentate—la Fiat, la Snia viscosa, la Sip—dirige la più potente organizzazione capitalistica che esista in Italia. […] questa potentissima coalizione finanziario-industriale è naturalmente anche una potentissima macchina politica. La politica serve a creare le condizioni favorevoli per la prosperità delle speculazioni, e le speculazioni riuscite forniscono i milioni necessari per alimentare e mantenere l’influenza politica"

Anonimo ha detto...

"questa potentissima coalizione finanziario-industriale è naturalmente anche una potentissima macchina politica. La politica serve a creare le condizioni favorevoli per la prosperità delle speculazioni, e le speculazioni riuscite forniscono i milioni necessari per alimentare e mantenere l’influenza politica"

Hai capito ,beota.

Anonimo ha detto...

Nel decennio che va dal 1991 al 2001, Fiat ha beneficiato di circa 10 miliardi di aiuti di stato, più o meno i dividendi distribuiti agli azionisti nello stesso periodo (!!?). Nei primi anni del nuovo secolo, non è che sia andata meglio: rottamazioni ripetute e la concessione di una mobilità lunga (7 anni) che ha richiesto decreti ad hoc e che non conosce eguali nel pianeta. Certo, le quote di mercato in questo mesi di crisi aumentano, ma non ci vuole un genio a capire che il segmento in cui prevalentemente opera Fiat, è privilegiato in tempi di crisi.

Anonimo ha detto...

per non parlare delle montezemolate e dell appoggio al governo prodi.
o basti vedere adesso cosa sta succedendo con opel.
Guarda che i soldi di rottamazzione sono soldi del contribuente , e un evasione da 1 a 2 mld di euro non è roba da privato cittadino.

Hai capito, mentecatto

Anonimo ha detto...

Caro cameriere, invece di copiare ed incollare notizie dal giornale della servitù di Arcore riesci ad esprimere un giudizio personale e grammaticalmente corretto?

Anonimo ha detto...

innanzitutto l articolo "Gramsci e la fiat" non vienecerto da quella che tu chiami la servitù di arcore.
Gli Agnelli non sono una famiglia normale , ma sono una famiglia potentissima coalizione finanziario-industriale , detiene gran parte dei giornali e ha molti interessi nella politica .
Se tu hai interesse a difendere questa famiglia fai pure , l unico cameriere sei tu.

Anonimo ha detto...

a me non frega un cazzo degli Agnelli come di te povero cameriere

a me interessa che il capo del governo che compra senatori e va a letto con zoccole e minorenni lavori per il paese invece di continuare a dare la colpa ad altri (magistrati comunisti agnelli eccecc) attraverso i suoi zerbini di giornalisti

continua a copaire ed incollare pirla

Anonimo ha detto...

eppure ti dovrebbe interessare quello che fanno gli agnelli e la fiat , in generale.
Naturalmente è più comodo dare tutta la colpa del mondo a una persona.

Anonimo ha detto...

Partiamo, invece, dal progetto «politico» che Carlo De Benedetti, con l’accordo anche di Gianni Agnelli, mise a punto nei primi mesi del 1991 per cambiare gli assetti politici che l’Italia si era democraticamente dati e per portare al governo del Paese il vecchio Pci che a Rimini stava «espellendo» la sua area più dura, quella che poi assunse il nome di Rifondazione Comunista. Nel marzo del ’91 De Benedetti chiese all’allora ministro del Bilancio Cirino Pomicino se voleva «essere il suo ministro» dopo avergli spiegato le ragioni del progetto e i suoi protagonisti.

Anonimo ha detto...

Se ha difficoltà (D avanzo)potrà sempre chiamarci, ricordandogli, in ultimo, che senza l’iniziale progetto politico di De Benedetti, Berlusconi non sarebbe mai sceso in politica.

Anonimo ha detto...

Naturalmente queste rivelazioni , non ti dicono niente.
Pochi mesi più tardi arriva
mani pulite, la solita manina americana porta Buscetta dagli usa per accusare Andreotti e i
rinnegati del pci sono pronti a vincere attraverso la gioiosa macchina da guerra , e a svendere tutto , vedi l incontro del britannia .
Poi arriva Berlusconi a mettere i bastoni tra le ruote e non gliel hanno mai perdonata....

Naturalmente sto sintetizzando,
però è bene che inizi ad aprire il cervello e a ragionare.

Anonimo ha detto...

"Naturalmente è più comodo dare tutta la colpa del mondo a una persona."

COLGIONE TE LO RISCRIVO
IL MIO ODIO E' NEI CONFRONTI DEI POLITICI CHE GOVERNANO QUESTO PAESE E CHE (fino a prova contraria) FANNO LE LEGGI che riguardano me e anche una testa di cazzo come te

AGNELLI E LA SUA FAMIGLIA (se non mi dimostri il contrario) non fanno leggi per cui se rubano o corrompono politici sono CAZZI loro e della giustizia

Berlusconi governa e fa i cazzi propri : io lo attacco come ho sempre attaccato prodi e d'alema

capisci la differenza tra uno schiavo ed una persona libera di pensiero che non guarda alle ideologie ma al pragmatismo?


continua a leccare il culo

Anonimo ha detto...

come vedo ignori ciò che non ti fa comodo :

"Partiamo, invece, dal progetto «politico» che Carlo De Benedetti, con l’accordo anche di Gianni Agnelli, mise a punto nei primi mesi del 1991 per cambiare gli assetti politici che l’Italia si era democraticamente dati e per portare al governo del Paese il vecchio Pci che a Rimini stava «espellendo» la sua area più dura, quella che poi assunse il nome di Rifondazione Comunista. Nel marzo del ’91 De Benedetti chiese all’allora ministro del Bilancio Cirino Pomicino se voleva «essere il suo ministro» dopo avergli spiegato le ragioni del progetto e i suoi protagonisti."

"Se ha difficoltà (D avanzo)potrà sempre chiamarci, ricordandogli, in ultimo, che senza l’iniziale progetto politico di De Benedetti, Berlusconi non sarebbe mai sceso in politica."

Anonimo ha detto...

Ripeto :

Naturalmente queste rivelazioni , non ti dicono niente.
Pochi mesi più tardi arriva
mani pulite, la solita manina americana porta Buscetta dagli usa per accusare Andreotti e i
rinnegati del pci sono pronti a vincere attraverso la gioiosa macchina da guerra , e a svendere tutto , vedi l incontro del britannia .
Poi arriva Berlusconi a mettere i bastoni tra le ruote e non gliel hanno mai perdonata....

Naturalmente sto sintetizzando,
però è bene che inizi ad aprire il cervello e a ragionare.

Anonimo ha detto...

l’accordo anche di Gianni Agnelli, mise a punto nei primi mesi del 1991 per cambiare gli assetti politici....

se l'hai preso ti sputo in faccia...fai passare come verità le merdate che pubblica iil giornale della famiglia Berlusconi scritte da un pregiudicato tangentista Pomicino alias Geronimo

belle quest parole come mai escono oggi quando sono del 91?

io devo riflettere? tu invece copia e incolla, vomito!

Anonimo ha detto...

Veramente Geronimo o Pomicino ha pubblicato 3 libri su questo argomento senza esser mai smentito.

Inizia a ragionare e metti insieme i tasselli : incontro De benedetti- Agnelli , mani pulite , Incontro suòl panfilo Britannia ,Buscetta e processo andreotti e poi discesa in campo di berlusconi.

Cerca di ragionare ....

Anonimo ha detto...

ragiono vediamo...

i partiti hanno sempre rubato, pomicino faceva parte dei politici ladroni e colto con le mani nella marmallata (indagato e condannato un anno e otto mesi di reclusione per finanziamento illecito (tangente Enimont) e ha patteggiato una pena di due mesi per corruzione per fondi neri Eni) favoleggia puttanate senza riscontri. Perchè non va alla magistratura e denuncia se ha le prove di questi complotti: o forse non c'è nulla di penalmente rilevante ossia E' ARIA FRITTA?

le cose che ha detto buscetta sono vere e grazie a lui mafiosi di merda sono andati in carcere

berlusconi scende in campo perchè altrimenti lo mandavano in galera non certo per amore della patria


« Da quando sono sceso in campo, la magistratura ha dedicato alla Fininvest un'attenzione e un impegno degni della maggior organizzazione mafiosa »
(Silvio Berlusconi, 24 novembre 1995)
BUGIA GROSSOLANA,
infatti il bugiardo dimentica che quando annunciò il suo ingresso in politica il 26 gennaio 1994 tramite uno storico discorso di 9 minuti trasmesso in TV,già nel 1992 e nel 1993, la Fininvest, come tutte le altre grandi aziende nazionali, fu oggetto di indagini da parte del pool di Mani pulite e delle Procure di Torino e Roma.

altro che complotti come vedi il nano-furbo che si circonda di idioti come te aveva capito tutto

ecco il ragionamento con fatti documentati come si fa PIRLA!

Anonimo ha detto...

Con queste 4 puttanate non dimostri un bel nulla, se non l intento di coprire le rivelazioni con la foglia di fico.

Secondo quanto dice Geronimo a inizio 91 De benedetti-Agnelli progettano di cambiare gli assetti del paese ,di portare la sinistra senza la partre dura di rifondazione,
e addiritura nel marzo 91 è De benedetti propone a Pomicino di esser suo ministro.

Vediamo le date ufficiali se combaciano:
12 dicembre 1991 nasce rifondazione comunista
17 febbraio 1992 inizia mani pulite
2 giugno 1992 incontro sul panfilo britannia
26 gennaio 1994 discesa in campo di berlusconi

Come vediamo ha ragione Geronimo che "senza l’iniziale progetto politico di De Benedetti, Berlusconi non sarebbe mai sceso in politica".

Se poi, vuoi avere ragione fai pure, a me non interessa fare a chi grida più forte.

Anonimo ha detto...

si metti pure in fila le date dei lutti in famiglia ci trovi la soluzione al teorema di cournot coglione

W manipulite
e nel cesso i politici ladri e mafiosi e i collusi come te

a proposito il panfilo britannia ficcatelo nel sedere coglione e vedrai che ci entra tutto

Geronimo o cazz, grande bandito tangentaro
vuoi vedere che dobbiamo pure ringtraziare sto ladro di merda

Anonimo ha detto...

SVENDITA ITALIA: L'ABC - PANFILO BRITANNIA. di Nicoletta Forcheri

Dalla lettura di un articolo del Corriere di qualche giorno fa, la Goldman Sachs sarebbe sul punto di prendere il controllo della rete Wimax italiana (vedi sopra); del resto non c’è nessuna sorpresa, visto il ruolo cruciale che la Goldman, azionista della Federal Reserve americana, ha svolto sin dall’inizio nella svendita dell’Italia, di cui si può ragionevolmente affermare che sia iniziata con esattezza il 2 giugno 1992 – nonostante alcuni precedenti inutili tentativi - con l’accordo preso sul panfilo Britannia, onori di casa fatti dalla Regina d’Inghilterra, al largo di Civitavecchia, tra Draghi, allora direttore generale del Tesoro, Azeglio Ciampi, in qualità di governatore della Banca d’Italia, e un centinaio tra rappresentanti della finanza anglosassoneamericana (Barclays, Warburg, azionista della Federal Riserve, PricewaterhouseCoopers – ex Coopers & Lybrand – Barings – oltre alla Goldman ecc.) e degli ambienti industriali e politici italiani. Era presente anche Costamagna, che diventerà dirigente della Goldman quando sua moglie finanzierà l'ultima campagna elettorale di Prodi.

Lì gli angli dettarono le istruzioni su come privatizzare, per scelta obbligata, le industrie italiane statali. Con l’aiuto della stampa iniziò una campagna martellante per incutere il timore nel popolo italiano di “non entrare in Europa”, manco ne fossimo stati tra i Sei paesi fondatori…

E questa è oramai storia, tant’è vero che sull’episodio del “panfilo Britannia” vi furono le interrogazioni parlamentari di alcuni onorevoli come Raffaele Tiscar (DC), Pillitteri e Bottini (PSI) Antonio Parlato (MSI), autore di tre interrogazioni rimaste senza risposta e della senatrice Edda Fagni (PCI). Fu l’inizio dell’era dei governi tecnici, dopo 40 anni di regime DC, con il “tecnico” Ciampi, il tecnico Amato, il tecnico Prodi. Il governo doveva, a tutti i costi essere “tecnico”, pur di non fare arrivare al potere neanche un’idea, che fosse tale e che lo fosse per il bene del paese, come sarebbe potuto esserla quella, ad esempio, di un Aldo Moro…

Era la stagione dell’attentato a Falcone cosicché – guarda caso - la stampa non diede il dovuto risalto all’incontro, e da poco erano iniziate le indagini di Tangentopoli - nome in codice Manipulite – cosicché molti esponenti degli ambienti politico-economici si ritrovarono improvvisamente “minacciati” dall’insidia latente di potersi ritrovare nell’occhio del ciclone. Un modo per “ammorbidire” un ambiente, prima della grande “purga”? Certo è che Manipulite sembra sia avvenuta proprio in un momento opportuno per fare “PiazzaPulita” di una classe politica con velleità italiote, e per ottenere le “ManiLibere” di fare entrare i governi dei “tecnici”, quelli che con i loro amici della Goldman e della Coopers ci avrebbero inculcato la “medicina” amara della svendita dell’IRI.

Di sicuro un Craxi, per quanto corrotto, non avrebbe mai siglato un patto così scellerato, quello di svendere tutto il comparto nazionale produttivo del paese (l’IRI ad oggi sarebbe stata la maggiore multinazionale al mondo e noi non saremmo un paese in svendita), lui che tenne testa agli americani nella vicenda dell’Achille Lauro, negando loro l’accesso al nostro territorio per attaccare i sequestratori della nave, terroristi palestinesi, e portando avanti le trattative con i terroristi nonostante il veto del presidente Reagan… Certo è che Craxi, dopo l’inizio di Tangentopoli, dovette rassegnare le dimissioni a febbraio del 1993…Guarda caso…

Anonimo ha detto...

E, infatti, proprio qualche anno prima Craxi era stato duramente criticato dagli ambienti angloamericani, quegli stessi che non si privano mai d’interferire nella nostra politica interna, proprio di “ingerenza dello Stato in economia” - per voce dei loro accoliti Andreotti, Spadolini, Cossiga - perché aveva decretato la fine del mandato di Enrico Cuccia come presidente di Mediobanca (di cui divenne però presidente onorario), e perché si era opposto alla vendita dello SME, il complesso alimentare dell’IRI, negoziato direttamente dal suo presidente Romano Prodi ma smentita da una direttiva del Governo.

Mediobanca, secondo il sito e movimento internazionale Movisol (http://www.movisol.org/draghi4.htm ) “fu posta sotto il controllo di fatto della Lazard Frères [altra azionista della Fed Res] di Londra, una banca che è proprietà di un raggruppamento estremamente influente dell’establishment britannico, il Pearson Group PLC (…) che controlla anche la rivista “The Economist” e il quotidiano “Financial Times”. Nel piano di spartizione del bottino della seconda guerra mondiale "l'Italia, occupata dalle potenze occidentali, sarebbe diventata un'area in cui avrebbe predominato l'influenza britannica", influenza che nel frattempo è scesa a patti con la grandeur della Francia….

Ma tornando agli angli, era quindi chiaro che per potere procedere alle privatizzazioni bisognava togliere di torno una classe politica che mostrava i muscoli davanti a certe velleità statunitensi di comandare a casa nostra, e soprattutto che non voleva mollare l’osso – o il malloppo - per lasciare posto a una classe di tecnici, fedeli servitori delle banche e dei circoli finanziari angloamericani, il cui motto era “privatizzare per saccheggiare”. Quella della condizione di tecnicità per accedere al potere fu un imperativo talmente tassativo, da riuscire nell’intento di dividere il PCI, con una fetta che divenne sempre più “tecnica”, sempre più British, sempre più amica delle banche, sempre più …PD…

Il premio di tutta questa svendita, prevista per filo e per segno in tanto di Libri sulle privatizzazioni dai governi tecnici, o di sinistra che dir si voglia (a firma di Amato o di Visco) fu la nostra “entrata in Europa”, demagogicamente parlando, o la cessione della nostra già minata sovranità monetaria dalla Banca d’Italia alla Banca centrale europea SA c per una moneta, l’euro che, con il tasso iniziale di cambio imposto euro-Lira troppo elevato fu penalizzante per le nostre esportazioni. Senza più la possibilità di emettere moneta quando il governo lo reputi giusto, con la possibilità di vendere i titoli del debito pubblico in mani istituzionali estere e private (fino al 2006 il nostro debito doveva rimanere in mani pubbliche e nazionali), senza neanche un governo economico a livello europeo che possa controllare quella banda di imbroglioni, è come se ci avessero improvvisamente messo sulla piazza pubblica per venderci al mercato degli schiavi…

E non c’è l’ombra di un dubbio che nel nostro indebitamente crescente vi sia la mano invisibile di qualche regia occulta, occulta ad esempio come i British Invisibles, che organizzarono appunto la riunione sul panfilo, occulta come alcuni azionisti che si nascondono nelle partecipazioni incrociate e a catena e di cui mai si riescono a scoprire i nomi. O come i mandanti di Soros che speculò sulla Lira per svalutarla, facendoci uscire dallo SME (Sistema monetario europeo) proprio per ostentare lo spauracchio del rischio di “non entrare in Europa”.

Anonimo ha detto...

L’anno 1992 fu davvero un anno cruciale per il destino del nostro paese, tant’è vero che quando Amato divenne presidente del Consiglio qualche giorno dopo l’incontro sul panfilo, con il decreto 333 dell’11 luglio trasformò in SpA le aziende di Stato IRI, ENEL, INA ed ENI e mise in liquidazione l’Egam. In quell’anno, quando Amato dovette far fronte alla speculazione contro la Lira di Soros, utilizzò 48 milioni di dollari delle riserve della Banca d’Italia, dopo avere operato un prelievo forzoso dell’8 per mille dai conti correnti degli italiani. Sempre in quell’anno mise in liquidazione l’Efim, le cui controllate passarono all’IRI e trasformò le FS in SpA. Sempre nel 1992 Draghi, Direttore del Tesoro preparò la Legge Draghi che entrerà in vigore nel 1998 con il governo Prodi e si predispose una legge per permettere la trattativa privata nella cessione dei beni pubblici qualora fosse in gioco “l’interesse nazionale”….Prodi, che dal 1990 al 1993 fu consulente della Unilever e della Goldman Sachs, quando nel maggio del 1993 ritornò a capo dell’IRI riuscì a svendere la Cirio Bertolli alla Unilever al quarto del suo prezzo e a collocare le azioni che le tre banche pubbliche, BNL (diventanta della BNP Paribas), Credito italiano e Comit detenevano ina Banca d’Italia, privatizzando il 95% della stessa. Indovinate chi scelse come "Advisor"?

Uomini della Goldman, nel senso che vi hanno lavorato sono, oltre a Costamagna e Prodi, Monti (catapultato alla carica di Commissario), Letta, Tononi e naturalmente Draghi. Sicuramente ce ne sono altri; molti nostri uomini politici se non lavorano per la Goldman, lavorano per l'FMI, come Padoa Schioppa, presidente della BEI, Banca europea per gli Investimenti.

Queste sono informazioni che dovrebbero essere spiegate in lungo e in largo dalla stampa, e sicuramente superate dagli avvenimenti - tranne articoletto del Corriere sopra - e invece sono state, e lo sono tutt'ora, accuratamente occultate al grande pubblico, anche se per quelli che gli altri si divertono a chiamare complottisti, per denigrarne le parole, è storia arcinota.


NF

http://archiviostorico.corriere.it/1992/giugno/02/convegno_sul_Britannia_sponsor_Regina_co_0_92060218751.shtml
http://archiviostorico.corriere.it/1992/giugno/03/Inglesi_cattedra_privatizzazioni_fate_come_co_0_92060319034.shtml http://informatieliberi.blogspot.com/2008/07/1992panfilo-britannia-e-la-svendita.html

Anonimo ha detto...

ti è entrato tutto il panfilo?
Dai che ce la fai da solo?
Altrimenti fatti dare una mano dall'agente (poco)segreto Betulla!!!