Qualcosa di nuovo, a ben vedere c’è. Il titolo: «L’Appello dei Tre Giuristi». Niente di drammatico, non si sentono digrignare i denti come ai vecchi tempi. «L’Appello dei Tre Giuristi» ricorda piuttosto certi generi di consumo anni Cinquanta, «L’acqua dei Tre Frati», il «Torrone delle Tre Marie». Si vede che a Largo Fochetti la cosa l’ha studiata l’ufficio marketing, scegliendo un brand decoroso e domestico, diciamo pure casereccio. Da ceto medio consapevole. E qui finiscono le novità: siamo un popolo spasmodicamente impegnato nel sociale, ma impegnato in modo sedentario, molto a parole e pochissimo nei fatti. Se dunque si presenta un’occasione facile facile - qualcosa da firmare, ad esempio - per manifestare concretamente l’impegno, si firma. Ancor più oggi che non ci si deve nemmeno scomodare per raggiungere il banchetto. Lo si fa dal tinello di casa, via Internet. Nome e cognome, cliccare su «invia» ed è fatta. La coscienza democratica è a posto e si può tornare a cuor leggero al prediletto Facebook. A Repubblica gongolano: sono già novantamila le firme apposte all’«Appello dei Tre Giuristi» - che sarebbero poi i notori Franco Cordero, Stefano Rodotà e Gustavo Zagrebelsky - in difesa della minacciata (minacciata da Berlusconi, e da chi altri, sennò?) libertà di stampa. Come a dire: abbiamo fatto il pieno. Ieri, poi, ci hanno aggiunto un carico da dodici, titolando che ha firmato anche Celentano. Il Molleggiato. Una delle coscienze critiche, par di capire, della nazione. Anche in quel titolo si sente la mano dell’ufficio marketing. Celentano «tira», devono essersi detti, è un buon testimonial. Come specchietto per le democratiche allodole vale mille Rosebindi, diecimila gnagnere alla Ignazio Marino e dunque sfruttiamolo.
Dove non sono state fatte concessioni alla frivolezza è nel testo dell’«Appello dei Tre Giuristi». Roba tostissima che tira in ballo perfino la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948. Che tira in ballo i «regimi illiberali e antidemocratici del secolo scorso» (cosa non si fa per non nominare il comunismo! Si rinuncia perfino a quell’asso di bastoni che è il nazifascismo). Si arriva ad accusare il Cavaliere di voler isolare Largo Fochetti - dicesi Largo Fochetti - «dalla circolazione internazionale delle informazioni», minaccia che a mio sommesso parere deve aver allarmato in particolar modo Celentano. Si mazzòlano ben bene i «giuristi» che essendo disposti a dare «forma giuridica» alla causa per diffamazione promossa da Berlusconi, non solo non sono nemmeno degni di lustrare le scarpe a Cordero, Rodotà&Zagrebelsky, ma minano «la stessa serietà e credibilità del diritto» medesimo. Perché non si fa causa alla Repubblica e chi la fa lo fa solo per «ridurre al silenzio la stampa libera» (libera da chi?) e per «anestetizzare l’opinione pubblica». Dabbenaggini, ancorché dotte, ancorché di penna dei Tre Giuristi, che probabilmente e salvo Celentano i firmaioli nemmeno hanno letto. I firmaioli, e questo da sempre, firmano senza indugio quel che c’è da firmare e alé (quanti di coloro che sottoscrissero l’appello contro Calabresi dissero poi, molto poi, di non aver capito, di non aver interpretato bene, d’esser allora giovani e quindi bamba?). Quel che lì per lì a loro importa è partecipare al rito collettivo, una sorta di onanismo ideologico di gruppo, probabilmente liberatorio, chissà. In quanto a noi, tocca aspettare fino a domani per sapere se ha firmato anche Pupo. Stiamo sulle spine. (il Giornale)
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
14 commenti:
che granzotto...
Anche io ho firmato e "valgo"meno di Celentano e Pupo! Complimenti per il sarcasmo su i due su citati: non mi risulta siano mai stati iscritti alla P2,o che abbiano avuto "frequentazioni mafiose",o che prediligano le lolite. Divertente il riferimento all'ufficio marketing.Non è stato il vostro padrone che ha insegnato agli italiani quanto sia importante "saper vendere".? Certamente,in quel campo,non lo batte nessuno . Cilios
Interessi e conflitto
Così i poteri forti controllano la stampa (e s'infiltrano in politica)
Il gruppo RCS, di cui il Corriere della Sera è la corazzata, fa capo a una grande banca d’affari, Mediobanca. A sua volta La Stampa appartiene al gruppo finanziario industriale controllato dagli eredi Agnelli, che ha, in Mediobanca un ruolo rilevante. Da anni il giornale è schierato a favore del PCI, poi dei DS, ora del PD. Repubblica è controllata, assieme a l’Espresso, dal gruppo finanziario industriale che fa capo a Carlo De Benedetti che, almeno sino a ieri si vantava di avere idealmente la tessera numero 1 del Pd.
Roberto Calderoli ha sostenuto che i recenti attacchi ricevuti dalla Lega Nord da parte di importanti organi di stampa che hanno diffuso in modo capzioso affermazioni di Umberto Bossi allo scopo di screditarlo, traggono origine dai poteri forti del mondo bancario. Questa affermazione sarebbe potuta sembrare una battuta polemica dettata da malumore. Ma si sono successivamente verificati una serie di eventi, che avvalorano la tesi che esista una campagna sistematica rivolta a screditare i leader della attuale coalizione di governo e a cercare di creare zizzania nella maggioranza, con tesi e messaggi che sembrano prodotti con lo stampino.
Nel caso di Bossi che vorrebbe differenziare i salari del Nord e del Sud in rapporto al costo della vita ed usa - in modo chiaramente non tecnico - il termine “gabbie salariali”, si è sostenuto che lui vuole resuscitare il meccanismo di determinazione di imperio a livello centrale del divario territoriale di salari che fu abrogato dal Ministro del lavoro Giacomo Brodolini negli anni '70. Volutamente si è ignorato che Bossi rilanciava la proposta fatta da Calderoli, di contratti di lavoro differenziati regionalmente, cosa ben diversa dalla fissazione dei salari per legge. Con il sistema di riportare in modo identicamente deformato il pensiero di Bossi, si è generata una sorta di verità fittizia da parte di un gruppo ben determinato di organi di stampa, tre per la precisione, che sono La Repubblica, Il Corriere della Sera e La Stampa.
La sensazione che ci sia una campagna orchestrata si è accresciuta con due recenti episodi: quello riguardante la pubblicazione della sentenza di condanna per molestie a una signora sposata a carico di Dino Boffo, direttore de l’Avvenire, da parte de Il Giornale e di Libero e quello della querela di Silvio Berlusconi nei confronti di Repubblica, che gli aveva posto dieci pseudo domande, che erano e sono un assieme di malignità tendenziose che hanno fatto il giro della stampa internazionale. Anche in questi due casi si è verificato una orchestrazione analoga a quella relativa alle esternazioni estive di Umberto Bossi. Ma ancora più assordante.
Potrebbe sembrare sorprendete che questi giornali esprimano lo sdegno non per ciò che ha fatto il direttore de L’Avvenire e per il modo con cui si è difeso ma per il presunto attacco ai vescovi o alla Chiesa cattolica che ciò comporterebbe da parte de Il Giornale e, per illazione, dello stesso Silvio Brelusconi. Ciò tralasciando la circostanza che il direttore de Il Giornale, Vittorio Feltri è noto per la sua indipendenza e quella ulteriore che ciò che è stato pubblicato era un fatto, per sua natura pubblico, ossia una sentenza di condanna passata in giudicato. La cosa forse più sorprendente è che i tre giornali, che si preoccupano del danno che ciò secondo loro può provocare alla Chiesa cattolica sono tradizionalmente laicisti. Il fatto mi ricorda di quando, alla Farnesina io avevo messo sotto inchiesta alcuni diplomatici e loro collaboratori che non operavano correttamente con il pubblico denaro: "Lei - mi disse un autorevole diplomatico - sta macchiando la reputazione del Ministero degli esteri". "Al contrario - io gli risposi - con la mia azione penso di migliorarla perché faccio sapere che chi sgarra non la passa liscia. Il medico pietoso fa la piaga cancrenosa".
Assurdamente, Boffa a sua difesa adduce di essersi assunto le colpe di un giovane drogato che disturbava una signora usando il telefonino che lui gli aveva dato. Il che se fosse vero implicherebbe da parte del Boffa di avere commesso il reato di simulazione di reato per avere difeso una persona che, presumibilmente non sarebbe stata condannata ma sarebbe stata rinviata a centro di assistenza. Il disprezzo per la legalità che Boffa ha dimostrato con questa difesa fa capire che non si tratta di una persona in grado di dare lezioni di etica a nessuno.E quanto alla querela di Berlusconi a Repubblica, la tesi che gli abbia così attentato alla libertà di stampa, indica la medesima sordità ai principi dello stato di diritto. Se Repubblica ha agito nell’ambito del diritto di libertà di stampa e di cronaca non ha da temere alcunché, salvo nel caso di giudici parziali verso Berlusconi, un evento che sarebbe veramente straordinario nelle cronache giudiziarie italiane.
Dunque ha ragione Calderoli a ritenere che sia in atto una azione concertata dei poteri forti del mondo bancario contro Berlusconi e contro chi è reo di condividerne gli indirizzi generali? L’intreccio esiste, ma è più complesso, viene da lontano, come ha spiegato Renato Altissimo in una intervista a Il Giornale pubblicata domenica. Di certo, il gruppo RCS, di cui il Corriere della Sera è la corazzata, fa capo a una grande banca d’affari, cioè a Mediobanca, il cui obbiettivo dichiarato in relazione a questo gruppo editoriale non è di ottenere il massimo profitto. A sua volta La Stampa appartiene al gruppo finanziario industriale controllato dagli eredi Agnelli, che ha, in Mediobanca un ruolo molto rilevante. Da molti anni il gioirnale è schierato a favore del PCI, poi dei DS, ora del PD. Repubblica è controllata, assieme a l’Espresso, dal gruppo finanziario industriale che fa capo a Carlo De Benedetti che, almeno sino a ieri si vantava di avere idealmente la tessera numero 1 del Pd.
A differenza degli altri due gruppi editoriali, il gruppo di De Benedetti avrebbe il compito di produrre utili, oltreché di far politica. Ma è anche il gruppo di punta della sinistra impegnata. Al tempo di mani pulite, i direttori delle tre testate si telefonavano ogni pomeriggio per concordare la linea da seguire. E del resto si sono anche scambiati i direttori. Il direttore attuale de La Stampa Calabresi viene da Repubblica mentre il direttore di Repubblica Ezio Mauro è stato direttore de La Stampa come Paolo Mieli, che ha esordito in potere operaio, poi è passato al gruppo Repubblica-Espresso, e dopo avere diretto La Stampa ha diretto il Corriere della Sera, e in tale ruolo ha fatto un esplicito invito a votare nelle elezioni per la coalizione guidata da Romano Prodi. Per un ampio periodo ha fatto il direttore editoriale del gruppo ed ora dirige RCS libri.
Sono molto stretti i rapporti fra Unicredit e Mediobanca tanto che la prima potrebbe cercare una fusione con la seconda ove continuassero le sue difficoltà finanziarie. Ed è noto che l’amministratore delegato di Unicredit Profumo fece la coda per votare alle primarie del Pd, essendo un sostenitore di Romano Prodi. Il Monte dei Paschi controllata dall’ala ex comunista del Pd considera strategica la sua quota in Mediobanca.
Quanto a Intesa San Paolo, l’altra grande banca italiana, il suo amministratore delegato Corrado Passera è stato a lungo un top manager del gruppo Cir di Carlo De Benedetti, ove si è occupato, inizialmente, proprio del settore editoriale. Ha poi lanciato Omnitel. Ed il governo Prodi lo ha nominato capo delle Poste Italiane, che ha risanato finanziariamente facendone una banca anomala, senza curarsi del miglioramento del servizio postale. E’ membro influente del consiglio di amministrazione di RCS.
Dunque l’intreccio banca-editoria-centro sinistra è palese. Tuttavia non è così sicuro che esista una strategia del Gotha bancario italiano contro Berlusconi per delegittimarlo e per delegittimare chi è al vertice della coalizione che egli guida. Infatti le banche hanno il fiato grosso e hanno bisogno di benevolenza del governo. Certo hanno l’amaro in bocca perché il governo di centro destra italiano non ha mostrato verso di loro la generosità che hanno invece mostrato i laburisti inglesi, i socialisti spagnoli, i democratici americani e anche qualche governo conservatore. Si ha la sensazione che questo attacco sistematico a Berlusconi e ai leader della sua coalizione abbia essenzialmente una origine politica e serva come linea di difesa del Pd e dei suoi intellettuali impegnati per mascherarne le difficoltà. L’imprinting è quello della “diversità morale”, la bandiera storica dei comunisti e dei catto comunisti. Una superiorità morale che non è mai esistita. Ed ora appare la bandiera della superiorità morale che queste comari sventolano appare per quello che è: un vessillo pieno di macchie di ogni genere di un esercito in ritirata.
«De Benedetti? Vi spiego chi è davvero»
«Una montagna di miliardi comprando (a poco) dallo Stato e vendendo (a molto) per le sue tasche. Così hanno fatto i soldi - quelli veri - in tanti in quegli anni, compreso l’ingegner De Benedetti. E così sognano di farne ancora e di più. Un giochetto che Bettino Craxi e chi stava all’epoca con lui al governo non gli avrebbe mai permesso e per questo chi più chi meno siamo stati massacrati. Adesso la storia si ripete. E probabilmente ora l’ostacolo da abbattere si chiama Silvio Berlusconi».
Ex segretario del Partito Liberale, per quasi 10 anni ministro della Sanità e poi dell’Industria (proprio con il primo governo Craxi) Renato Altissimo fu uno dei testimoni oculari di quella stagione che portò prima alla rimozione della classe dirigente con Tangentopoli e dopo al grande sacco dell’Italia attraverso le privatizzazioni «all’amatriciana» di decine di aziende pubbliche.
«Storie che gridano vendetta - batte i pugni sul tavolo con la rabbia di chi ha già assistito allo stesso crimine -. Dietro i racconti di lenzuola, i siluri dei giornali di De Benedetti e dei suoi amici, e persino - di complemento - le litanie quotidiane di Franceschini e Di Pietro, c’è una posta altissima. Miliardi di euro».
Ma va’! C’è la crisi… in Italia tutti piangono che non c’è una lira. Dove sarebbe questo bengodi?
«Stavamo male anche agli inizi degli anni ’90. Il debito pubblico era consistente. La lira si batteva con le altre monete con la forza di una piuma. E l’inflazione rischiava di mangiarsi i risparmi di imprese e lavoratori. Eppure proprio a quell’epoca c’è chi ha fatto i più grandi affari della sua vita, guadagnando in poco tempo migliaia di miliardi. Ovviamente il conto, salatissimo, è stato ancora una volta pagato dallo Stato».
Sia più chiaro. Lei era ministro dell’Industria e fino al 1992 segretario di uno dei partiti di governo, il Pli. Cosa è successo?
«Lo raccontava bene mercoledì scorso Geronimo sul Giornale. La sinistra mandata al governo da Tangentopoli, col sostegno palese, mai smentito, dell’Ingegner De Benedetti, ricambiò la cortesia consentendo la svendita di beni dello Stato - cioè di tutti - proprio al gruppo di Ivrea. La vicenda più incredibile fu quella di Omnitel e Infostrada. La prima, ottenne la concessione per diventare il secondo gestore della telefonia mobile a urne aperte, era il 1994, appena in tempo per pagare il “debito di riconoscenza” prima della sorprendente vittoria di Berlusconi contro la gioiosa macchina da guerra di Occhetto, D’Alema e compagni. La seconda, Infostrada - cioè la rete telefonica delle Ferrovie dello Stato - fu ceduta all’Ingegnere per 750 miliardi di lire da pagare in comode rate. Subito dopo De Benedetti vendette tutto per 14mila - ripeto - 14mila miliardi di lire ai tedeschi di Mannesman. L’Ingegnere è diventato ricco. Lo Stato decisamente più povero».
Una rondine non fa primavera…
«Ma qui di rondini è pieno il firmamento! Altre plusvalenze miliardarie sono arrivate con Telecom, Seat-Pagine Gialle, Autostrade e così via. Per non parlare delle banche che appartenevano all’Iri. Oggi nessuno sa chi sono i veri proprietari delle grandi banche, tranne i soliti noti».
L’Ingegnere è stato più bravo di altri. Ha vinto sul mercato...
copia e incolla lobotomizzato servo sciocco di un padrone puttaniere
tu sei servo dei vari de benedetti prodi montezemolo agnelli e affini
coglione
«Ma che mercato e mercato. Questo è capitalismo di rapina. Sulla Sme io stesso feci presente al presidente dell’Iri dell’epoca - sto parlando di Romano Prodi - che c’erano altri gruppi molto interessati a comprare l’azienda. Mi fu risposto picche, che di vendere la Sme proprio l’Iri non ci pensava nemmeno lontanamente. Tre mesi dopo aveva concluso la svendita a De Benedetti!».
Possibile che fosse così facile far tanti soldi?
«Mica per tutti. E mica così facile. Il primo problema era Craxi e la classe dirigente dell’epoca. Noi non avremmo permesso un tale saccheggio del Paese. Una delle ragioni importanti (e non certo la sola) che stavano dietro alla Operazione Mani pulite fu proprio la rimozione dell’ostacolo rappresentato da quella classe dirigente. Le inchieste colpirono in maniera chirurgica alcuni partiti e tennero fuori dalla mischia altri. Il Pci che sponsorizzava i capitani coraggiosi non fu raggiunto nemmeno da uno schizzetto di fango. La fattura fu saldata nel giro di qualche anno. E il prezzo per la collettività è stato altissimo».
Qual è il legame con la situazione odierna?
«La logica e gli interessi sono ancora gli stessi. O qualcuno pensa che le cannonate di Repubblica e L’espresso siano un capriccio dei direttori all’insaputa del loro editore? Il metodo è lo stesso. Far fuori chi governa per far posto a chi può saldare il conto. Una cosa però è molto diversa rispetto a prima».
Cosa?
«Vedo troppo nervosismo. Troppa fretta di dare la spallata. Forse, nonostante i tanti soldi guadagnati, sotto sotto quei gruppi si sono indeboliti e forse sono in difficoltà. Certo, con un governo amico, magari con a Palazzo Chigi qualche “neo” campione delle privatizzazioni, il panorama sarà più roseo…».
gruppo RCS, di cui il Corriere della Sera è la corazzata, fa capo a una grande banca d’affari, Mediobanca. A sua volta La Stampa appartiene al gruppo finanziario industriale controllato dagli eredi Agnelli, che ha, in Mediobanca un ruolo rilevante. Da anni il giornale è schierato a favore del PCI, poi dei DS, ora del PD. Repubblica è controllata, assieme a l’Espresso, dal gruppo finanziario industriale che fa capo a Carlo De Benedetti che, almeno sino a ieri si vantava di avere idealmente la tessera numero 1 del Pd.
Roberto Calderoli ha sostenuto che i recenti attacchi ricevuti dalla Lega Nord da parte di importanti organi di stampa che hanno diffuso in modo capzioso affermazioni di Umberto Bossi allo scopo di screditarlo, traggono origine dai poteri forti del mondo bancario. Questa affermazione sarebbe potuta sembrare una battuta polemica dettata da malumore. Ma si sono successivamente verificati una serie di eventi, che avvalorano la tesi che esista una campagna sistematica rivolta a screditare i leader della attuale coalizione di governo e a cercare di creare zizzania nella maggioranza, con tesi e messaggi che sembrano prodotti con lo stampino.
Nel caso di Bossi che vorrebbe differenziare i salari del Nord e del Sud in rapporto al costo della vita ed usa - in modo chiaramente non tecnico - il termine “gabbie salariali”, si è sostenuto che lui vuole resuscitare il meccanismo di determinazione di imperio a livello centrale del divario territoriale di salari che fu abrogato dal Ministro del lavoro Giacomo Brodolini negli anni '70. Volutamente si è ignorato che Bossi rilanciava la proposta fatta da Calderoli, di contratti di lavoro differenziati regionalmente, cosa ben diversa dalla fissazione dei salari per legge. Con il sistema di riportare in modo identicamente deformato il pensiero di Bossi, si è generata una sorta di verità fittizia da parte di un gruppo ben determinato di organi di stampa, tre per la precisione, che sono La Repubblica, Il Corriere della Sera e La Stampa.
La sensazione che ci sia una campagna orchestrata si è accresciuta con due recenti episodi: quello riguardante la pubblicazione della sentenza di condanna per molestie a una signora sposata a carico di Dino Boffo, direttore de l’Avvenire, da parte de Il Giornale e di Libero e quello della querela di Silvio Berlusconi nei confronti di Repubblica, che gli aveva posto dieci pseudo domande, che erano e sono un assieme di malignità tendenziose che hanno fatto il giro della stampa internazionale. Anche in questi due casi si è verificato una orchestrazione analoga a quella relativa alle esternazioni estive di Umberto Bossi. Ma ancora più assordante.
Potrebbe sembrare sorprendete che questi giornali esprimano lo sdegno non per ciò che ha fatto il direttore de L’Avvenire e per il modo con cui si è difeso ma per il presunto attacco ai vescovi o alla Chiesa cattolica che ciò comporterebbe da parte de Il Giornale e, per illazione, dello stesso Silvio Brelusconi. Ciò tralasciando la circostanza che il direttore de Il Giornale, Vittorio Feltri è noto per la sua indipendenza e quella ulteriore che ciò che è stato pubblicato era un fatto, per sua natura pubblico, ossia una sentenza di condanna passata in giudicato. La cosa forse più sorprendente è che i tre giornali, che si preoccupano del danno che ciò secondo loro può provocare alla Chiesa cattolica sono tradizionalmente laicisti. Il fatto mi ricorda di quando, alla Farnesina io avevo messo sotto inchiesta alcuni diplomatici e loro collaboratori che non operavano correttamente con il pubblico denaro: "Lei - mi disse un autorevole diplomatico - sta macchiando la reputazione del Ministero degli esteri". "Al contrario - io gli risposi - con la mia azione penso di migliorarla perché faccio sapere che chi sgarra non la passa liscia. Il medico pietoso fa la piaga cancrenosa".
gruppo RCS, di cui il Corriere della Sera è la corazzata, fa capo a una grande banca d’affari, Mediobanca. A sua volta La Stampa appartiene al gruppo finanziario industriale controllato dagli eredi Agnelli, che ha, in Mediobanca un ruolo rilevante. Da anni il giornale è schierato a favore del PCI, poi dei DS, ora del PD. Repubblica è controllata, assieme a l’Espresso, dal gruppo finanziario industriale che fa capo a Carlo De Benedetti che, almeno sino a ieri si vantava di avere idealmente la tessera numero 1 del Pd.
Roberto Calderoli ha sostenuto che i recenti attacchi ricevuti dalla Lega Nord da parte di importanti organi di stampa che hanno diffuso in modo capzioso affermazioni di Umberto Bossi allo scopo di screditarlo, traggono origine dai poteri forti del mondo bancario. Questa affermazione sarebbe potuta sembrare una battuta polemica dettata da malumore. Ma si sono successivamente verificati una serie di eventi, che avvalorano la tesi che esista una campagna sistematica rivolta a screditare i leader della attuale coalizione di governo e a cercare di creare zizzania nella maggioranza, con tesi e messaggi che sembrano prodotti con lo stampino.
Nel caso di Bossi che vorrebbe differenziare i salari del Nord e del Sud in rapporto al costo della vita ed usa - in modo chiaramente non tecnico - il termine “gabbie salariali”, si è sostenuto che lui vuole resuscitare il meccanismo di determinazione di imperio a livello centrale del divario territoriale di salari che fu abrogato dal Ministro del lavoro Giacomo Brodolini negli anni '70. Volutamente si è ignorato che Bossi rilanciava la proposta fatta da Calderoli, di contratti di lavoro differenziati regionalmente, cosa ben diversa dalla fissazione dei salari per legge. Con il sistema di riportare in modo identicamente deformato il pensiero di Bossi, si è generata una sorta di verità fittizia da parte di un gruppo ben determinato di organi di stampa, tre per la precisione, che sono La Repubblica, Il Corriere della Sera e La Stampa.
La sensazione che ci sia una campagna orchestrata si è accresciuta con due recenti episodi: quello riguardante la pubblicazione della sentenza di condanna per molestie a una signora sposata a carico di Dino Boffo, direttore de l’Avvenire, da parte de Il Giornale e di Libero e quello della querela di Silvio Berlusconi nei confronti di Repubblica, che gli aveva posto dieci pseudo domande, che erano e sono un assieme di malignità tendenziose che hanno fatto il giro della stampa internazionale. Anche in questi due casi si è verificato una orchestrazione analoga a quella relativa alle esternazioni estive di Umberto Bossi. Ma ancora più assordante.
Potrebbe sembrare sorprendete che questi giornali esprimano lo sdegno non per ciò che ha fatto il direttore de L’Avvenire e per il modo con cui si è difeso ma per il presunto attacco ai vescovi o alla Chiesa cattolica che ciò comporterebbe da parte de Il Giornale e, per illazione, dello stesso Silvio Brelusconi. Ciò tralasciando la circostanza che il direttore de Il Giornale, Vittorio Feltri è noto per la sua indipendenza e quella ulteriore che ciò che è stato pubblicato era un fatto, per sua natura pubblico, ossia una sentenza di condanna passata in giudicato. La cosa forse più sorprendente è che i tre giornali, che si preoccupano del danno che ciò secondo loro può provocare alla Chiesa cattolica sono tradizionalmente laicisti. Il fatto mi ricorda di quando, alla Farnesina io avevo messo sotto inchiesta alcuni diplomatici e loro collaboratori che non operavano correttamente con il pubblico denaro: "Lei - mi disse un autorevole diplomatico - sta macchiando la reputazione del Ministero degli esteri". "Al contrario - io gli risposi - con la mia azione penso di migliorarla perché faccio sapere che chi sgarra non la passa liscia. Il medico pietoso fa la piaga cancrenosa".
gruppo RCS, di cui il Corriere della Sera è la corazzata, fa capo a una grande banca d’affari, Mediobanca. A sua volta La Stampa appartiene al gruppo finanziario industriale controllato dagli eredi Agnelli, che ha, in Mediobanca un ruolo rilevante. Da anni il giornale è schierato a favore del PCI, poi dei DS, ora del PD. Repubblica è controllata, assieme a l’Espresso, dal gruppo finanziario industriale che fa capo a Carlo De Benedetti che, almeno sino a ieri si vantava di avere idealmente la tessera numero 1 del Pd.
Roberto Calderoli ha sostenuto che i recenti attacchi ricevuti dalla Lega Nord da parte di importanti organi di stampa che hanno diffuso in modo capzioso affermazioni di Umberto Bossi allo scopo di screditarlo, traggono origine dai poteri forti del mondo bancario. Questa affermazione sarebbe potuta sembrare una battuta polemica dettata da malumore. Ma si sono successivamente verificati una serie di eventi, che avvalorano la tesi che esista una campagna sistematica rivolta a screditare i leader della attuale coalizione di governo e a cercare di creare zizzania nella maggioranza, con tesi e messaggi che sembrano prodotti con lo stampino.
Nel caso di Bossi che vorrebbe differenziare i salari del Nord e del Sud in rapporto al costo della vita ed usa - in modo chiaramente non tecnico - il termine “gabbie salariali”, si è sostenuto che lui vuole resuscitare il meccanismo di determinazione di imperio a livello centrale del divario territoriale di salari che fu abrogato dal Ministro del lavoro Giacomo Brodolini negli anni '70. Volutamente si è ignorato che Bossi rilanciava la proposta fatta da Calderoli, di contratti di lavoro differenziati regionalmente, cosa ben diversa dalla fissazione dei salari per legge. Con il sistema di riportare in modo identicamente deformato il pensiero di Bossi, si è generata una sorta di verità fittizia da parte di un gruppo ben determinato di organi di stampa, tre per la precisione, che sono La Repubblica, Il Corriere della Sera e La Stampa.
La sensazione che ci sia una campagna orchestrata si è accresciuta con due recenti episodi: quello riguardante la pubblicazione della sentenza di condanna per molestie a una signora sposata a carico di Dino Boffo, direttore de l’Avvenire, da parte de Il Giornale e di Libero e quello della querela di Silvio Berlusconi nei confronti di Repubblica, che gli aveva posto dieci pseudo domande, che erano e sono un assieme di malignità tendenziose che hanno fatto il giro della stampa internazionale. Anche in questi due casi si è verificato una orchestrazione analoga a quella relativa alle esternazioni estive di Umberto Bossi. Ma ancora più assordante.
Potrebbe sembrare sorprendete che questi giornali esprimano lo sdegno non per ciò che ha fatto il direttore de L’Avvenire e per il modo con cui si è difeso ma per il presunto attacco ai vescovi o alla Chiesa cattolica che ciò comporterebbe da parte de Il Giornale e, per illazione, dello stesso Silvio Brelusconi. Ciò tralasciando la circostanza che il direttore de Il Giornale, Vittorio Feltri è noto per la sua indipendenza e quella ulteriore che ciò che è stato pubblicato era un fatto, per sua natura pubblico, ossia una sentenza di condanna passata in giudicato. La cosa forse più sorprendente è che i tre giornali, che si preoccupano del danno che ciò secondo loro può provocare alla Chiesa cattolica sono tradizionalmente laicisti. Il fatto mi ricorda di quando, alla Farnesina io avevo messo sotto inchiesta alcuni diplomatici e loro collaboratori che non operavano correttamente con il pubblico denaro: "Lei - mi disse un autorevole diplomatico - sta macchiando la reputazione del Ministero degli esteri". "Al contrario - io gli risposi - con la mia azione penso di migliorarla perché faccio sapere che chi sgarra non la passa liscia. Il medico pietoso fa la piaga cancrenosa".
una elementare osservazione se un genitore fuma o ha un qualsiasi altro vizio può ammonire i propri figli a non fare altrettanto? Se riteniamo che ne abbia facoltà,perchè pretendiamo che un giornalista debba essere "immacolato" per poter esprimere un dissenso,una critica,al comportamento riprovevole di chi è al potere? Cilios
Se Berlusconi si fosse rivolto al popolo per bloccare le indagini della Magistratura, la stampa perbenista avrebbe gridato ai quattro venti che la democrazia era in pericolo. Ora che a rivolgersi alla Magistratura è Berlusconi , gli indagati non si sono limitati a chiedere aiuto ai politici di comodo ma addirittura lanciano una sottoscrizione popolare, per fermare l'indagine dei Giudici e coartare il diritto alla giustizia, chiamandolo addirittura " l'appello dei tre giuristi".Visto che si tratta chiaramente di un "ipse dixit", in quanto pensiero di parte che si vuole imporre, e considerata la ridicola sacralità di tali menti perbeniste, ragguppate per l'occasione, io lo definirei "l'appello della sacra trinità." Possibile che in una società civile possano succedere tali cose? La legge non vale per tutti? La Magistratura non è "super partes" come ha sempre asserito la Stampa nella campagna contro Berlusconi? O forse è tale solo in determinate e strane occasioni? Allora aveva ragione il Premier? Apriamo gli occhi! Puliamo la mente ed il cuore da ottusità, invidia ed interessi personali. La nostra libertà è in grave pericolo!
Posta un commento