lunedì 18 gennaio 2010

Commozione indotta. Massimo Fini

Un paio di anni fa, a Roma, nel popoloso quartiere di Porta Pia, un portinaio che stava pulendo delle vetrate al quarto piano di un palazzo perse l'equilibrio e precipitò sul selciato, morto. La gente che passava aggirava il cadavere oppure disinvoltamente lo scavalcava, badando bene a non inzaccherarsi le scarpe. La settimana scorsa passavo per via Fabio Filzi, a Milano, una strada piena di negozi e di gente. Un uomo era riverso per terra, la testa fra il basello del marciapiede e la strada.

La gente passava, guardava e tirava dritto. Lo feci anch'io. Avevo fretta. Ma dopo cinquanta metri mi bloccai. “Ma sono diventato pazzo, indifferente a tutto, disumano, solo perché potrei mancare un appuntamento che mi preme?”. Ritornai sui miei passi e mi chinai sull'uomo. Era un ubriaco in coma etilico.
Poiché era caduto proprio davanti a un grande magazzino, una Upim mi pare, chiesi alla guardia giurata che vi stazionava davanti se aveva chiamato l'ambulanza. “No” rispose. “La chiami”. “Non è affar mio”. “Come non è affar suo? È affare di tutti”. “È solo ubriaco”. “Ma non vede che sta male?”. Intanto poiché io mi ero fermato ed ero chino sull'uomo si era formata una piccola folla di curiosi. Ma non faceva nulla, era lì solo per godersi lo spettacolino fuori ordinanza.

Quando succedono tragedie come quella dell'Aquila o di Haiti gli italiani sono prontissimi a metter mano al portafoglio. Vespa raccontava l'altra sera che solo attraverso il suo programma aveva raccolto quattro milioni di euro. E anche questa volta, per la ben più lontana Haiti, gli italiani si sono mossi con rapida generosità. C'è un legame fra questi comportamenti apparentemente così contraddittori? Sì. L'uomo ha una capacità limitata di emozionarsi, di soffrire per gli altri, di solidarizzare. Non può farlo per il mondo intero. Invece la Tv globalizzata lo costringe a questo esercizio. Un tempo, poiché non vedevamo nulla, ci importava assai poco di un terremoto ad Haiti, per quanto terrificante.

In una bella commedia anni '50, "Buonanotte Bettina", Walter Chiari si chiedeva: “Se schiaccio un bottone e muore un cinese in Cina ho veramente ucciso qualcuno?”. La distanza contava. Oggi la Tv ha abolito questa distanza. Ma a noi di un terremoto ad Haiti continua a non importarci nulla. Però, poiché, diversamente da Walter Chiari, che non vedeva il cinese ucciso in Cina, ci sentiamo in colpa per questa indifferenza, ci precipitiamo a mandare denaro. Ma questa mitridatizzazione delle emozioni, cui ci costringe la continua sollecitazione dei media, finisce per colpire anche il nostro vicino, colui che potremmo veramente e concretamente aiutare o per il quale potremmo provare un'autentica compassione. Ho vissuto per una decina di anni fra Italia e Svizzera (avevo una fidanzata che abitava a Lugano) e ho potuto notare che gli svizzeri sono instancabili, ancor più degli italiani, nello staccare assegni per qualsiasi calamità che capiti in qualsiasi posto del mondo.

Nel periodo in cui ero lì un immigrato italiano, un giorno, prese un kalashnikov e fece fuori, d'un colpo, sei svizzeri (con la sotterranea soddisfazione della comunità italiana di Lugano). Quale il movente? Viveva da vent'anni nella Confederazione e non era riuscito a farsi un solo amico svizzero.La Modernità ha abolito le distanze. Noi siamo in contatto, via Tv o Internet, con il mondo intero. Con tutti e con nessuno. Conosciamo tutti ma non il vicino della porta accanto. Spargiamo la nostra emotività per tutto l'orbe terracqueo ma, al momento del dunque, non siamo in grado di riservarla al vicino, al vero "prossimo", che è colui che possiamo toccare e che, come nota lo psicologo junghiano Luigi Zoja in uno splendido libro, è scomparso dalla nostra vita ("La morte del prossimo", Einaudi). (Ariannaeditrice.it)

3 commenti:

Anonimo ha detto...

bellissimo articolo preso dal "fatto quotidiano" di Padellaro e Travaglio
Grazie

Acchiappabufale ha detto...

Peccato che massimo fini si sia "infatuato".

A proposito di Haiti

Ad Haiti un italiano con le palle

L’uomo delle emergenze e delle crisi naturali, colui che ha risolto l’annoso problema dei rifiuti in Campania e che, a tempo di record, ha ridato la speranza agli abruzzesi dopo il tremendo terremoto dell’aprile 2009, il ‘rompiballe’ che la sinistra voleva togliersi dalle scatole perché troppo dinamico per i suoi standard di infingardaggine e di nullafacenza (lo so che questa parola non esiste in italiano ma nemmeno la sinistra se è per questo) viene spedito da Berlusconi ad Haiti e qui, il direttore della nostra protezione civile, tira fuori le palle annunciando agli statunitensi, senza peli sulla lingua, cosa pensa della loro gestione del disastro sismico: uno show patetico, una Hollywood di effetti speciali e di manovre militari senza nessuna premura per la vita delle persone e per la ricostruzione dell’isola caraibica. “Gli americani tendono a confondere l’intervento militare con quello di emergenza. Manca una capacità di coordinamento, utile per non disperdere gli aiuti che sono stati inviati. È stato fatto uno sforzo impressionante, encomiabile, ma non c’è una leadership. Serve un uomo, serve un Obama che gestisca le emergenze…Clinton che scarica le cassette della frutta non è servito. Sarebbe stata la svolta se lui avesse gestito l’emergenza in prima persona, invece se n’è andato”. Altro che italiani campioni d’inefficienza, nei momenti tragici il nostro popolo sa dare l’esempio a tutti, primi della classe compresi. E sì che gli americani si sentono tali ma questa volta devono incassare le italiche rampogne senza poter accedere a scusanti, considerati i pessimi risultati del loro approccio militaristico alla emergenza umanitaria di Haiti. Nonostante l’imponente dispiegamento di forze gli statunitensi sono riusciti solo a metter qualche cerotto e a distribuire, disordinatamente, “cassette di frutta” alla popolazione, la maggior parte della quale non ha ancora alcun riparo e teme di essere aggredita dalle bande di sciacalli e di delinquenti che vagano per il paese.
Se si osserva il mondo esclusivamente dal mirino puntatore di un fucile o da quello di un cannone da carro armato, come fanno gli americani, non si ha la flessibilità giusta per convertirsi alle operazioni di soccorso. Ma poi gli Usa sono veramente sbarcati ad Haiti per dare una mano? E’ lecito dubitarne…

Acchiappabufale ha detto...

Bertolaso: «Ad Haiti gli Usa confondono l’intervento militare con l'emergenza» (fonte corriere.it)

Il capo della Protezione civile: «Situazione patetica, manca un coordinamento. Troppi show per la tv»
MILANO - «Ci sono enormi organizzazioni coinvolte e moltissimo da fare, ma la situazione è patetica, e tutto si sarebbe potuto gestire molto meglio». Il capo della Protezione civile, Guido Bertolaso, critica duramente la gestione degli aiuti dopo il terremoto di Haiti. E, durante la trasmissione "In mezz'ora" su Raitre, spiega che «il mondo poteva dare prova di poter gestire al meglio una situazione come questa, ma finora non ha funzionato». Riguardo alla massiccia presenza di forze militari Usa, Bertolaso ha aggiunto: «Era inevitabile e indispensabile una forte presenza dell’esercito americano, anche se i 15mila uomini non sono utilizzati in modo migliore. Le navi ospedale, le portaerei, non hanno rapporti stretti con il territorio, con le organizzazioni umanitarie che sono presenti sul posto. Ognuno fa la sua parte, ma in modo svincolato».
TECNICA D'INTERVENTO - «Gli americani - ha aggiunto - tendono a confondere l’intervento militare con quello di emergenza. Manca una capacità di coordinamento, utile per non disperdere gli aiuti che sono stati inviati. È stato fatto uno sforzo impressionante, encomiabile, ma non c’è una leadership. Serve un uomo, serve un Obama che gestisca le emergenze». Ed anche «Clinton che scarica le cassette della frutta» non è servito. «Sarebbe stata la svolta se lui avesse gestito l’emergenza in prima persona, invece se n’è andato». La «tecnica d’intervento» ad Haiti applicata dagli Usa, secondo Bertolaso, è quella già usata in passato a Goma, Ruanda e Cambogia. «Si viene qui, si dà un po’ da mangiare, bere e il problema per loro è risolto, ma è una contraddizione se non si pongono le basi per la vita futura».
BELLA FIGURA - «Troppo spesso - rileva Bertolaso - una volta arrivati sul luogo di un disastro, si pensa subito a mettere un grande manifesto con lo stemma della propria organizzazione, a fare bella figura davanti alle telecamere, piuttosto che mettersi a lavorare per portare soccorso a chi ha bisogno».


Fonte: Conflitti e strategie