Caro Direttore,
ciclicamente si levano scandalizzate voci sull’abuso dei decreti-legge e sull’eccesso dei poteri normativi del governo. Michele Ainis, fine studioso, rilancia l’argomento, addebitando peraltro la gravità del fenomeno alla seconda Repubblica, nella quale «è diventato un’emergenza pure un raffreddore».
Giorni fa, per aver semplicemente detto un’ovvietà, e cioè che anche la prima parte della Costituzione e anche l’art. 1 (nel riferimento al lavoro) potrebbero essere modificati, sono stato additato al pubblico ludibrio. Chissà cosa succederà dopo quanto sto per dire: sul tema dei decreti-legge c’è una grande ipocrisia e che i decreti-legge sono stati e sono la nostra salvezza. E non da oggi ma dai primi giorni della neonata Repubblica. I decreti-legge sono da sempre l’unico strumento per governare questo Paese. Inutile stracciarsi le vesti o puntare il dito sul governo pro tempore. Ricordo Ingrao nel 1978 tuonare, da presidente della Camera, contro la lesione dell’autonomia del Parlamento. Tutti i governi di centro, di destra e di sinistra hanno fatto un uso sempre più abnorme dei decreti-legge. Un’abnormità che è andata intensificandosi assai prima dell’avvento della Seconda Repubblica. Chi non ricorda le infinite reiterazioni degli Anni ‘80 e primi Anni ‘90? Decreti-legge a catena che mantenevano, a volte per anni, una legislazione provvisoria, magari modificandola in continuazione e che venivano sanati con la legge di conversione a decorrere persino da due anni prima.
Certo, l’avvento della cosiddetta Seconda Repubblica ha reso il fenomeno ancora più evidente, ma ciò dipende dal fatto che è nata anche proprio per superare l’immobilismo nel quale si era avvitata la prima. È sorta sulla fondamentale svolta per cui le maggioranze parlamentari rispondono ai cittadini e non dipendono dalle alchimie di maggioranze parlamentari a geometria variabile. Per fortuna ci sono i decreti-legge. Altrimenti nemmeno quel poco o tanto che si fa, si riuscirebbe a farlo, o si dovrebbe farlo al costo di negoziati infiniti, come accadeva con le leggine approvate in commissione, durante la Prima Repubblica.
E, dunque, senza ipocrisia dobbiamo dirci onestamente come stanno le cose. L’uso eccessivo dei decreti-legge è una conseguenza, non una causa. La conseguenza di istituzioni parlamentari antiquate e di una cultura politica assemblearista che continua a resistere. Una cultura fondata sull’idea che il ruolo dell’opposizione non sia criticare e controllare, preparandosi a vincere le successive elezioni, ma codecidere e urlare alla lesa maestà del Parlamento se la maggioranza non contratta ogni misura.
Si potrebbe rinunziare all’eccesso di decreti-legge? Certo. Se insieme si rinunziasse alla cultura della codecisione e della malintesa centralità del Parlamento e del misticismo del potere di emendamento. Solo nei Parlamenti dell’800 le leggi nascevano dall’assemblea dei deputati. Nei Parlamenti di oggi le leggi sono atti voluti dal governo, per l’attuazione del proprio indirizzo politico. Non sono io a dirlo, ma Luigi Einaudi, il quale nel 1944 così parlava del parlamentarismo inglese: «La teoria dice che gli elettori eleggono i membri della camera dei Comuni e che questa è la vera sovrana: fa e disfà i ministeri, fa le leggi . La realtà di oggi è tutta diversa. La Camera dei comuni non fa né disfà i ministeri, non vota mai le leggi le quali abbiano origini nella camera medesima e vota quasi sempre e soltanto i disegni di legge che le sono messi innanzi dal governo». Ma vi immaginate che putiferio succederebbe se Berlusconi dicesse queste cose? In quanti si strapperebbero le vesti in nome della sovranità del Parlamento?
Un’ultima annotazione, sarebbe importante se il prof. Ainis riconoscesse anche qualche elemento positivo, nel 2009 sono stati adottati - malgrado il terremoto in Abruzzo - solo 18 decreti-legge, la cifra più bassa dal 1960 ad oggi. (la Stampa)
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