Rebus tasse. Silvio Berlusconi diventa il bersaglio del fuoco di fila – amico e non – che oggi sta nero su bianco in tutti i quotidiani. L’accusa bipartisan rivolta al Cav. riguarda quella che viene considerata una retromarcia, un dietrofront, un annuncio atteso da anni, auspicato, chiesto a gran voce da imprenditori, liberi professionisti, dipendenti, famiglie, sindacati. Insomma, una questione tanto strategica come la riduzione della pressione fiscale che il premier e il governo di centrodestra si sono rimangiati nel breve spazio di un weekend, piegandosi alla diktat rigorista del superministro dell’Economia Giulio Tremonti.
E così basta scorrere i titoli, leggere articoli al fulmicotone, per avere il quadro delle accuse e delle recriminazioni. Dal quotidiano della famiglia Berlusconi Il Giornale che tuona sul “Pasticcio delle tasse” con tanto di fondo del direttore Feltri, a Libero che con il direttore Belpietro titola in prima pagina “Caro Silvio, non ci stiamo”. Da Repubblica che a pagina 9 offre un retroscena sullo stop di Giulio a Silvio un attimo prima della conferenza stampa a Palazzo Chigi, a Il Riformista che parla di “Stato confusionale” (focalizzando l’attenzione su fisco e giustizia) e di “Frenata sulla svolta fiscale”, mentre per il Corriere della Sera “Berlusconi frena sulle tasse”. La sinistra, ovviamente ci mette sopra il carico da novanta con in testa Bersani che per coprire la mancanza di idee e di coraggio sul fronte delle riforme, attacca il governo sul fronte tasse parlando di “giravolta” nella quale si è prodotto un esecutivo “irresponsabile”.
Noi dell’Occidentale non siamo mai stati teneri con le titubanze, gli stop and go del Cav. su importanti capitoli dell’azione di governo o su riforme strategiche anche e soprattutto in campo economico. Lo abbiamo fatto, ad esempio, senza reticenze o scrupoli di sorta, sulla questione dell’abolizione di una delle tasse più odiose ed inique: l’Irap. In quel caso e parliamo di una manciata di mesi fa, non esitammo a criticare l’annuncio di Berlusconi subito seguito (allora sì) da una correzione di tiro e di rotta, registrando il no netto di Tremonti che alla fine, strappò al Cav. l’archiviazione della pratica.
Ma oggi sulla riforma fiscale e il nodo tasse non ci sembra che Berlusconi abbia fatto annunci e poi se li sia rimangiati. Perché, in sostanza, il premier in questi giorni non ha mai detto che nel 2010 ridurrà il carico fiscale, semmai ha confermato che non lo aumenterà, come scritto nel programma elettorale del centrodestra. La riforma tributaria si farà e sarà graduale, cioè modulata da qui alla fine della legislatura e resa compatibile con i due fattori dai quali non è possibile prescindere: la tenuta in ordine dei conti pubblici (l’Italia ha il debito pubblico più alto rispetto ai paesi dell’Ue) come chiede Bruxelles e l’andamento della crisi internazionale che impone prudenza.
Adesso, il primo passo è il riordino e la semplificazione della macchina fiscale alla quale in questo anno l’esecutivo metterà testa e mani. Semmai, Berlusconi ha rilanciato quello che è sempre stato il suo pallino, fin dal ’94: l’idea di arrivare a due aliquote iperf, una al 23 per cento e una al 33 per cento. Ma non ha mai detto che il 2010 sarà l’anno della riduzione delle tasse ed è anche per questo che proprio dopo il Consiglio dei ministri in conferenza stampa ha dichiarato che il tema delle tasse lo terrà fuori dalla campagna elettorale per le regionali.
Noi stiamo alle dichiarazioni che Berlusconi dal 6 gennaio passando per l’intervista a Repubblica del 9 fino alla conferenza stampa di ieri a Palazzo Chigi ha argomentato. Eccole nella sequenza temporale in cui si sono succedute. Il 6 gennaio durante un collegamento telefonico con alcuni europarlamentari del Pdl, il presidente del Consiglio le agenzie di stampa riportano un virgolettato che dice: “Il 2010 sarà l’anno delle riforme. Partiremo con quelle della giustizia, poi proseguiremo con la scuola e soprattutto con un programma di riforma fiscale per ridurre le tasse”. Dunque Berlusconi parla di “programma di riforma” , cioè di un progetto complesso e articolato impossibile da realizzare in dodici mesi, in realtà da sviluppare nell’arco della legislatura. Nell’intervista a Repubblica, Berlusconi enuncia un proposito: “Sogno una vera riforma tributaria. Come quella che avevamo immaginato nel ’94. Con due sole aliquote. E adesso stiamo studiando tutte le possibilità per realizzarla”. Non ci sembra che in queste frasi ci siano date certe o annunci imminenti di riduzione delle tasse.
E quando Claudio Tito gli fa notare che proprio la frase sulla riforma fiscale pronunciata tre giorni prima aveva scatenato un vespaio di polemiche, lui risponde: “Con Tremonti stiamo studiando una riforma tributaria. Un progetto che avevamo indicato già nel 1994. Noi vogliamo un sistema che dia ordine, che sia meno confuso. Che non obblighi i contribuenti a rivolgersi al commercialista per pagare le tasse. Serve una semplificazione complessiva”. Tito lo incalza che nel ’94 fu lo stesso premier a proporre due aliquote irpef al 23 e al 33 per cento. La risposta del Cav. ci pare chiara: “Con il ministro dell’Economia stiamo studiando tutte le possibilità per arrivare alla fine a questo sistema. Sarebbe più razionale. Di certo, non abbiamo alcuna intenzione di aumentare le tasse. Ecco, questa è l’unica cosa impossibile”.
Fino alla conferenza stampa di ieri a Palazzo Chigi nella quale il premier mette in fila alcune precisazioni per sgomberare il campo dalle polemiche e chiarire come stanno le cose: “Nessuno di noi ha parlato di due o otto imposte, delle aliquote al 23 e 33 per cento” nel senso che quello resta l’obiettivo finale non il primo. I motivi sono chiari come pure i conti dello Stato: “La situazione attuale del debito pubblico comporterà solo interessi, una spesa di otto miliardi di euro all’anno – spiega il premier – impossibile tagliare le imposte ora” spiega il premier che aggiunge: “E’ un intervento che intendiamo fare in futuro ma le attuali condizioni di bilancio non ce lo consentono”.
Può darsi anche che dietro alle precisazioni di ieri ci sia stato lo zampino di Tremonti, che magari proprio lui in questi giorni abbia fatto pressing per riportare il Cav. dall’evocazione di una volontà alla dura realtà dei conti pubblici e della crisi da fronteggiare. Può darsi anche che Berlusconi si sia fatto prendere dalla foga di una delle idee che ha sempre avuto in testa (senza mai riuscire a realizzarle fino in fondo) e che oggi vorrebbe tradurre in fatti lasciando per questo molti margini all’interpretazione. Ma da qui a parlare di dietrofront, secondo noi ce ne corre. Piuttosto, come purtroppo è già accaduto anche nei precedenti governi Berlusconi, ci sembra che il tutto ruoti attorno a un grossolano difetto di comunicazione che applicato all’icona della comunicazione si traduce in un incredibile paradosso. Accanto a questo, la febbre da retroscenismo di molti quotidiani che preferiscono guardare dal buco della serratura anche quando la porta è spalancata.
Concediamo al Cav. queste attenuanti, in attesa di capire quando e come gli italiani pagheranno meno tasse. (l'Occidentale)
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