«Non ci si può limitare a sperare che il Senato corregga o che la Corte costituzionale dichiari in un lontano futuro l’illegittimità della norma. Occorre che la magistratura attraverso adeguate iniziative, inclusa la proclamazione di uno sciopero immediato, faccia comprendere anche ai più sordi l’entità della posta in gioco».
È una dichiarazione di guerra quella che il procuratore aggiunto di Roma, Nello Rossi, lancia a mezzo stampa per invitare il «parlamentino» delle toghe, l’Anm, a mobilitarsi contro il sì all’emendamento Pini sulla responsabilità civile dei magistrati approvato due giorni fa dalla Camera. Un avvertimento pesante alla politica, tanto più visto che arriva dal pm di una procura come quella di Roma, che di inchieste su politica e politici ne ha una miriade. Altro che «clima sereno» tra politica e magistratura. La casta delle toghe, se solo si sfiorano prerogative consolidate come quella della responsabilità civile del giudice, alza le barricate e urla. E va alla guerra. Modalità di battaglia da decidere martedì prossimo, quando il direttivo dell’Anm, convocato in via urgentissima, deciderà sullo sciopero. Eppure, nelle requisitorie delle toghe contro l’emendamento Pini, qualche bugia circola: dalla tesi della non necessità della norma al rischio che tutti i condannati tentino di rivalersi sul giudice condizionandone il lavoro. Ecco le principali inesattezze, su un provvedimento sicuramente perfettibile, ma certo non campato in aria.
A. LEGGE VOLUTA DALL’UE
«Non è affatto vero che l’Europa ci ha chiesto questa normativa», sostiene Rossi. Ma le cose non stanno esattamente così. Il 24 novembre del 2011 la Corte di giustizia dell’Ue ha bocciato la legge italiana che regolamenta la responsabilità civile dei giudici (la cosiddetta legge Vassalli del 1988), proprio perché limitava il riconoscimento della responsabilità ai casi di «dolo o colpa grave», escludendo la «violazione del diritto manifesta». Appunto quello che l’emendamento Pini introduce. Di qui la necessità, sottolineata giusto un anno fa dall’avvocato dello Stato Ignazio Francesco Caramazza ascoltato in commissione Giustizia, di intervenire per riformare la responsabilità civile delle toghe, pena il rischio, per l’Italia, di incorrere in nuove sanzioni.
B. I GIUDICI IMPUNITI
«I magistrati già pagano», dicono il presidente dell’Anm Palamara e lo stesso pm Rossi. «Non si sono mai registrate azioni di rivalsa dello Stato nei confronti dei magistrati», sottolinea l’ex Guardasigilli, Nitto Palma. Chi ha ragione? Sicuramente le cifre, che confermano l’analisi dell’ex ministro. In 24 anni solo l’1% delle cause intentate in virtù della Vassalli è andato in porto con la condanna del giudice: 406 procedimenti, in tutto, e quattro condanne. Pochino, no? Se a questo poi si aggiunge che la condanna del giudice consiste in una sanzione economica da parte dello Stato pari a un terzo dello stipendio lordo di un anno del magistrato, si comprende che i conti non tornano. Solo nel 2010 lo Stato ha speso ben 36,5 milioni di euro (Rapporto Eurispes 2012) di risarcimenti per ingiusta detenzione o errore giudiziario. È giusto che per l’errore di una singola toga paghino tutti i cittadini?
C. IL PROCESSO SPECIALE
Va bene le tutele a difesa dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura. Ma neanche un parlamentare ha lo scudo che hanno invece le toghe nel caso in cui ci sia un procedimento per responsabilità civile. I gradi di giudizio prima di approdare all’eventuale condanna del magistrato sono ben nove: tre per l’ammissibilità del procedimento, tre per individuare la responsabilità del singolo magistrato e altri tre per l’eventuale rivalsa dello Stato sul giudice. Comprensibile che in tanti anni le cause arrivate a compimento si contino sulle dita di una mano.
D. I MAGISTRATI INTIMIDITI
«La responsabilità del giudice limita sempre l’indipendenza, in linea di principio», dice il primo presidente della Cassazione, Ernesto Lupo. E Palamara: «Il giudice, di fronte all’eventualità di essere trascinato in giudizio da una delle due parti finirà per non decidere». «Norma vergognosa», chiosa la capogruppo Pd in commissione Giustizia, Donatella Ferranti: «Avrà effetti devastanti perché creerà contenziosi a catena che paralizzeranno il sistema». Ma si perde di vista un dettaglio. L’emendamento Pini dà la possibilità di rivalersi sullo Stato o sul giudice non a tutti gli imputati tout court, ma solo chi sia stato condannato o detenuto ingiustamente. E saranno comunque altri giudici, quelli che riconosceranno all’imputato assolto l’eventuale torto subito, a dare la stura a eventuali processi risarcitori. Il che dovrebbe essere di per sé una garanzia. A parte il fatto che, come già accade per categorie a rischio quali i medici, potrebbero essere studiate forme assicurative che proteggano il giudice in caso di errori. Come ben suggerisce, in un articolo che ricostruisce le magagne della giustizia italiana, il quotidiano on line L’Indipendenza.
E. NORMA INCOSTITUZIONALE
Secondo le toghe (su tutte ancora Palamara) l’emendamento Pini è incostituzionale perché costituisce un attentato all’autonomia dei magistrati. Ma un illustre giurista come il presidente emerito della Consulta Cesare Mirabelli non è d’accordo: «Sicuramente è inappropriata – dice a proposito della norma, rimarcando che l’interesse del cittadino è essere risarcito dallo Stato, non dal magistrato – ma che sia incostituzionale è discutibile».
F. ATTACCO POLITICO
Pezzi della magistratura, ma anche della sinistra, gridano all’aggressione alle toghe. Per tutti il leader di Idv Antonio Di Pietro: «È come il ’92, una vendetta della P2 parlamentare contro le toghe». Ma l’ex pm farebbe bene a guardare in casa propria e tra i suoi amici. Perché senza l’apporto della sinistra – Idv ha calcolato 63 «traditori» tra Pd, Terzo Polo e i dipietristi –, l’emendamento Pini non sarebbe mai riuscito ad avere l’ok. (Legno Storto)
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1 commento:
http://www.leggioggi.it/allegati/corte-di-giustizia-ue-24-novembre-2011-c-379-10/
Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara e statuisce:
1) La Repubblica italiana,
– escludendo qualsiasi responsabilità dello Stato italiano per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto dell’Unione imputabile a un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado, qualora tale violazione risulti da interpretazione di norme di diritto o da valutazione di fatti e prove effettuate dall’organo giurisdizionale medesimo, e
– limitando tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave,
ai sensi dell’art. 2, commi 1 e 2, della legge 13 aprile 1988, n. 117, sul risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e sulla responsabilità civile dei magistrati, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del principio generale di responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto dell’Unione da parte di uno dei propri organi giurisdizionali di ultimo grado.
2) La Repubblica italiana è condannata alle spese.
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