Trame oscure, disegni infernali si nasconderebbero dietro il no di Alfano al vertice con Monti, Bersani e Casini su Rai e giustizia. Quali sono? A leggere le ricostruzioni del solito Fatto Quotidiano a caccia del Cav. anche quando non sta più a Palazzo Chigi o le congetture di certa sinistra malata di antiberlusconismo, il vero motivo del forfait pidiellino al tavolo di maggioranza sta in un dossier: il beauty contest. Con un timbro nero come il colore dell’onta stampato sopra: gli interessi di Mediaset e del Cav.
Il giornale di Travaglio e Padellaro parla di “vendetta” di B. “dopo la fumata nera tra Monti e Confalonieri”, con Alfano che un minuto dopo “fa saltare il vertice”. Nella ridda di polemiche che si levano da sinistra poteva mancare l’affondo dell’antiberlusconiana d’antan, Rosy Bindi? Certo che no e infatti la ‘pasionaria’ democrat ci va giù col machete: “Il Pdl è un partito che non è più governabile perchè è nato su una persona e soprattutto intorno ai suoi problemi con la giustizia e sull'informazione. E non è governabile neanche da una persona perbene come Alfano che è a sovranità limitata su queste e altre questioni”. Segue la controffensiva pidiellina. Ma che cos’è il famigerato beauty contest, quello che si vorrebbe far passare come un regalo a Berlusconi e Mediaset?
E’ nient’altro che un concorso per l’assegnazione delle frequenze della tv digitale che premia i requisiti dei partecipanti invece della loro offerta. E che non sia un regalo lo dimostrano le regole scritte nero su bianco: servono impegno e investimenti. Lo stesso colosso di Sky dopo aver fatto il diavolo a quattro per entrarci, alla fine si è sfilato. Se fosse stato un cadeau, Sky ed altre aziende vi avrebbero partecipato e i concorrenti non sarebbero stati soltanto nove.
Il beauty contest è una procedura concordata con l’Unione europea e non certo cucita addosso a Mediaset, come si vorrebbe far credere. Si tratta a tutti gli effetti di un bando pubblico, approvato da tutte le commissioni possibili che si occupano della materia, dall’Agcom fino agli organismi europei. Il bando è stato indetto per chiudere una procedura di infrazione europea che dura da diversi anni per una presunta ‘chiusura’ del mercato televisivo italiano: è dunque un sistema per allargare il mercato.
Non nasce ora, bensì è la fase finale di una procedura avviata da molto tempo e lo dimostra il fatto che le aziende concorrenti hanno già compiuto gli investimenti necessari per partecipare al concorso. Un eventuale annullamento, dunque, oltre a porre problemi in termini di certezza del diritto perché configurerebbe un cambio delle regole in (avanzata) corsa da parte dello Stato, sarebbe esposto al rischio di immediati ricorsi con buone probabilità di vittoria. E contrariamente a quello che si tenta di propagandare, un problema del genere riguarderebbe in misura più significativa i concorrenti più piccoli che hanno dovuto investire per corrispondere agli standard richiesti, rispetto a grandi aziende come Rai e Mediaset, che già detengono frequenze e requisiti industriali di un certo livello. Non solo: va considerato il fatto che l’eventuale interruzione di un procedimento già in fase avanzata e oltretutto concordato con l’Ue proprio per chiudere una procedura d'infrazione, significherebbe mettere l’Italia nelle condizioni di subìre sanzioni in sede europea.
Nessun Paese europeo ha indetto un’asta per le frequenze tv. In Europa e negli Usa la digitalizzazione delle frequenze televisive si è svolta con l'assegnazione gratuita di frequenze agli operatori già esistenti e agli altri in grado di dimostrare i requisiti fissati dalla legge. Anche la Francia, ad esempio, ha fatto ricorso al beauty contest. E chi, per evidente strumentalizzazione sostiene il contrario e osteggia questa procedura, non dice il vero perché in realtà si tratta di gare per frequenze utilizzate per la telefonia mobile. E in Italia la gara per le frequenze per la telefonia mobile c’è già stata e ha fruttato 4 miliardi.
In sostanza, ovunque in Occidente si assegnano gratuitamente le frequenze tv e attraverso una gara economica quelle destinate alla telefonia mobile. E l'Italia si è fin qui mossa esattamente in conformità con questa linea.
Morale della favola: si parla tanto di difendere l’impresa italiana, ma se invece per ragioni ideologiche si pretendesse di far pagare le frequenze - ammesso che in tempi di digitale terrestre, che ha reso le stesse frequenze un bene assai meno limitato di prima, si trovi qualcuno disposta a pagarle - si danneggerebbero tutti i broadcaster italiani rispetto ai competitor stranieri, soprattutto quelli operanti nello stesso mercato europeo, che ce l'hanno gratis!
Non è finita qui. E’ stato detto che da un’asta per le frequenze tv si potrebbero ricavare molti miliardi di euro. Chi lo afferma o fa confusione, o non conosce la materia oppure vuole artatamente creare caos, perché usa come parametro i ricavi dell’asta delle frequenze telefoniche che, come abbiamo visto, non è la stessa cosa di quelle televisive. C'è, infatti, profonda differenza tra i due settori. Ovunque nel mondo le frequenze telefoniche si pagano fior di quattrini, mentre quelle televisive valgono molto meno. Il motivo è semplice. Le compagnie telefoniche vendono agli utenti consumatori semplicemente l’uso delle frequenze per comunicare: il contenuto della comunicazione ce lo mette chi parla al telefono. Le imprese televisive vendono, invece, un contenuto che esse stesse realizzano con alti costi e professionalità, e le frequenze sono semplicemente il mezzo attraverso il quale quel contenuto viene trasmesso. Insomma, nel “prodotto telefonia” la rete è tutto, nel “prodotto televisione” la rete è solo l'inizio.
Per rendersi conto di quanto siano paradossali e addirittura surreali i discorsi ascoltati nell'ultimo periodo, basti pensare che Repubblica, per lanciare la campagna contro il beauty contest, ha sostenuto che l'asta delle frequenze varrebbe 16 miliardi. Ma se l'intero business delle televisioni in Italia non supera i 9 miliardi! Quello delle telecomunicazioni, invece, si aggira sui 50 miliardi.
Detto in altri termini: l’asta ha un senso se sono in concorrenza i fornitori di rete, non i canali televisivi che sono fornitori di contenuto.
Se fosse indetta in luogo del beauty contest un'asta per l'assegnazione delle frequenze tv, è presumibile che andrebbe deserta. Altro che recuperare miliardi! L'unico risultato – come detto - sarebbe quello di danneggiare le imprese televisive italiane rispetto a quelle straniere che dispongono di frequenze gratuite.
Infine, tanto per la cronaca: il dividendo digitale da riassegnare con il beauty contest è stato ottenuto proprio in virtù della rinuncia da parte di Rai, Mediaset e Telecom a una delle frequenze storiche che erano state regolarmente pagate.
Dove stanno le oscure trame e i disegni infernali di quel diavolo di un Cav? (l'Occidentale)
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1 commento:
nessun antiberlunanismo
in questo periodo di ristrettezze bisogna fare sacrifici, bisogna tirare fuori i soldini, padrone compreso...
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