martedì 10 aprile 2012

Del prof. Monti & Co. ci ricorderemo a lungo. E non sarà un bel ricordo. Giuliano Cazzola

Domanda: abbiamo mandato al potere un governo di eletti, rappresentativo delle migliori virtù scientifiche e civiche del Paese oppure ci siamo messi nelle mani di un gruppo di incompetenti per di più arroganti e vanagloriosi, che se la cantano da soli? Non è facile rispondere a questa domanda per tanti motivi. In primo luogo per questioni di coerenza personale. Chi scrive ha creduto in questa compagine e ne ha sostenuto i primi atti. Deve compiere allora un bel po’ di autocritica. In secondo luogo, è del tutto evidente l’appoggio di cui Monti e i suoi ministri ancora godono, nonostante tutto. E non è un appoggio solo mediatico, ma anche politico, da parte delle lobby più potenti del Paese e della Comunità internazionale. Lo si vede dal coro di apprezzamento unanime che accompagna ogni iniziativa del Governo, praticamente a scatola chiusa.


Ma non è ancora finita: da noi «colà dove si puote ciò che si vuole» si è deciso che questa esperienza debba andare avanti, comunque. Non è un caso che l’ufficio di presidenza del Pdl, con la presenza e la partecipazione di Silvio Berlusconi (da tempo defilato e attento ad altre attività), si sia riunito poche ore prima del cruciale passaggio riguardante il disegno di legge sul mercato del lavoro. E che i vertici del partito siano usciti da quella riunione con un ordine preciso: «Adelante Pedro, con judicio». Così, nel vertice notturno di Palazzo Chigi il provvedimento ha avuto il benestare di ABC e solo una fortunosa circostanza ha consentito al PdL di ottenere qualche modifica sul punto delicato della flessibilità in entrata, appena in tempo per mettersi alla testa di un mondo imprenditoriale imbufalito e inadeguatamente rappresentato da una Confindustria confusa e dedita al compromesso, la quale si era accontentata della foglia di fico posta, nel documento del 23 ottobre, sulla «vergogna» dell’articolo 18. E’ ormai evidente che il disegno di legge passerà, magari con talune altre modifiche, ma che non cambierà la sostanza di un provvedimento nato all’insegna di una visione scorretta del mercato del lavoro. E’ come un vestito di sartoria: se il taglio è sbagliato non si aggiusta più.

Ma quale giudizio possiamo dare di questo Governo, una volta che ha dato corso agli aspetti più importanti del suo programma? Certo, la manovra «Salva Italia» ha impressionato i mercati per la sua brutalità ed ha consentito all’Italia di allontanarsi da una spirale negativa che sembrava ormai fuori controllo. Quanto alle semplificazioni e alle liberalizzazioni, il merito dell’esecutivo è stata soprattutto quello di recuperare vecchie elaborazioni e sdruciti articolati messi a punto dal precedente governo e di farli approvare. Si è trattato, però, di interventi che non sono serviti a scuotere l’economia, tanto che la recessione è arrivata in termini più pesanti del previsto, mentre il superministro Corrado Passera, come le stelle di Cronin, si limita a guardare, parlando delle condizioni del Paese alla stregua di un osservatore che partecipa ad un Forum in qualche amena località affacciata su di un lago prealpino.

Ma è sulle iniziative fondamentali che il Governo Monti ricorda l’apprendista stregone della favola, che viene travolto dalle forze che ha evocato e che non riesce a gestire. In pochi mesi, in un contesto non solo di crisi ma di netta recessione con effetti importanti sui livelli di occupazione, l’areopago dei professori ha cambiato tutto: le pensioni, gli ammortizzatori sociali, i contratti di lavoro che più vengono usati. I risultati sono evidenti: una riforma della previdenza grazie alla quale il nostro si trasforma nel sistema più rigoroso di Europa; l’esclusione dalle nuove regole di un numero imprecisato di persone (il dato dei 357mila derogati, che possono cioè avvalersi delle regole previgenti, non è mai stato smentito) per le quali non è sufficiente la copertura finanziaria stanziata; una ristrutturazione degli ammortizzatori sociali che vede accorciato il periodo di fruizione, soprattutto nella parte in cui non è interrotto il rapporto di lavoro con l’azienda.

Che dire? Sicuramente queste misure andavano assunte, ma nella realtà concreta, sorgono tanti problemi: in piena recessione si riduce l’ambito di protezione del reddito per chi ha perso il lavoro mentre si allontana la possibilità di accesso alla pensione. La riforma del mercato del lavoro aggiunge ancora incertezza per le imprese: a fronte di un intervento poco più che simbolico sulla disciplina del licenziamento individuale (il fatidico art.18), si presume ope legis che tutti i contratti flessibili in entrata siano fasulli, salvo prova contraria. La sanzione è la trasformazione del rapporto atipico in uno a tempo indeterminato. In sostanza, sempre nel bel mezzo di una grave crisi, il mercato del lavoro diventa più rigido. Tutto ciò che non serve alle imprese e ai lavoratori. Il diritto del lavoro è una materia delicata. Ognuno degli istituti che il disegno di legge pone in una sorta di custodia cautelativa aveva un preciso profilo giuridico dettato dalla legge Biagi e da un giurisprudenza consolidata. Si dice che bastano tre parole del legislatore per mandare al macero intere biblioteche. In questo caso di nuove e cervellotiche parole ne sono state scritte qualche migliaia. Tutto ciò seminerà confusione e dubbi, che renderanno problematiche le assunzioni. Persino in materia di licenziamenti individuali la disciplina è stata riscritta di sana pianta, anche se, nelle intenzioni, i cambiamenti sostanziali sarebbero dovuti essere assai limitati. Insomma, di questi professori ci ricorderemo per un pezzo. E non sarà un buon ricordo. Per favore: arridatece er puzzone! Rivogliamo la politica. (l'Occidentale)

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