Governare stanca, ma sgovernare stanga (gli altri). Nessun ostacolo è più grande di quelli che teniamo dentro la nostra mente, lo dimostra un Piero Giarda, oggi al governo, che sostiene essere stata tagliata tutta la spesa pubblica tagliabile, ma anche un Giulio Tremonti, al governo fino a ieri, che si rende conto di quanto sia contraddittorio dire cose giuste e non averle fatte. Governare è difficile, ma pascersi dell’essere al governo, o dell’esserci stati, supporsi più bravi perché meglio collocati, è la sindrome perfetta della misera inutilità. A dispetto dei governanti, di ieri e di oggi (spero non di domani), noi torniamo a fare proposte concrete, per ridare fiato a un’Italia che non merita la sorte che le si prepara.
C’è un problema dell’euro, che deve essere risolto in Europa. Non lo ripeto ancora una volta, ma resta il fatto che ogni governo italiano disposto ad allinearsi all’Europa parametrale, per essere ricevuto alla corte della signora Merkel (cosa che hanno fatto quasi tutti), è un governo che nuoce all’Italia e avvelena l’Europa. Non si deve lavorare contro i tedeschi, ma con i tedeschi che ne sono consapevoli. Poi c’è un problema italiano, la cui soluzione è a portata di mano, se solo le mani non fossero di forze politiche prive d’idee.
L’Italia è uno dei paesi più belli del mondo, dove si vive alla grande. E’ anche un sistema produttivo potente, pregno d’innovazioni, con imprenditori coraggiosi e lavoratori competenti. Perché nessuno vuol venire a investire da noi? Perché i capitali varcano (in ingresso) la nostra frontiera infinitamente meno che quella di altri paesi europei? Perché siamo dei matti masochisti. Perché da noi il diritto di proprietà è subordinato al giudizio sociale di un pubblico ministero, che potrà essere smentito da un giudice dopo un decennio. Perché da noi non vale neanche l’habeas corpus, dato che un imprenditore settantatreenne se ne può stare in galera da innocente, senza avere intascato soldi pubblici, arrestato sotto le telecamere e irriso perché non fa comunella con gli altri detenuti. Perché il nostro fisco è non solo esosissimo, ma arrogante e dispotico, supponendo la parola dell’esattore superiore a quella del cittadino. Vado avanti? Per aprire l’Italia al mondo c’è anche da cambiare quel che significa l’articolo 18, ma ci sono due cose decisive: il fisco e la giustizia.
Per la seconda si devono stroncare le corporazioni. Senza pietà alcuna. Tutte le mezze misure sono da mezze calzette. Questo è il fronte su cui il fallimento dei governi Berlusconi è più grave e ingiustificabile. Per quel che riguarda il fisco si deve partire dal debito pubblico: ha raggiunto il 120% del prodotto interno, ammonta a 1.935 miliardi e ce ne costa 73 l’anno. Le tasse che gli italiani pagano sono al servizio di questo debito, come della resa culturale di Giarda, quindi della rinuncia a rimpicciolire lo Stato. Anche qui, niente pannicelli caldi: il debito va abbattuto, non mantenuto.
Farlo con le tasse è impossibile. Farlo con una patrimoniale è suicida. Ecco una proposta: si costituisce una società pubblica, nella quale si fanno confluire beni mobiliari, immobiliari e crediti pubblici; se ne affida la gestione a manager internazionali, incaricati di quotare il tutto e dismetterne il 10-20% ogni anno; i proventi delle vendite vanno per la metà ad abbattere il debito e per l’altra metà a finanziare grandi opere infrastrutturali (reti di telecomunicazioni, strade, ponti, energia, ecc.); solo chi, fra i grandi investitori istituzionali del mondo, ha finanziato le dismissioni acquisisce il diritto a cofinanziare le opere. In questo modo non si chiede l’elemosina, ma si propongono affari. In questo modo non ci si becca la lezione (giusta) di Andy Xie (economista cinese), ma si dimostra, a lui e al mondo, di che pasta è fatta l’Italia.
Certo, occorre una classe dirigente che non sia composta da gente che non sa quel che dice, che si arrende senza combattere, o che si candida a vincere le battaglie del passato. Fra noi e un nuovo rinascimento c’è un ostacolo terribile, costituito dalle menti che non sanno che concepire la sconfitta, avendola incarnata. Facciamoli contenti, restituiamoli alla loro vita privata.
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